Tentata frode in commercio: basta il deposito in magazzino di merce con marchio CE contraffatto (Cass. Pen. n. 28976/25)
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Tentata frode in commercio: basta il deposito in magazzino di merce con marchio CE contraffatto (Cass. Pen. n. 28976/25)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28976 del 6 agosto 2025, ha affermato che il reato di tentata frode in commercio è configurabile anche quando la merce con marchio CE contraffatto sia solo depositata nel magazzino dell’esercizio, costituendo una condotta idonea e non equivoca alla vendita.


Il fatto

Il Tribunale di Pavia aveva assolto H.L., legale rappresentante della G. Market s.s., dall’accusa di tentata frode in commercio. Nel magazzino dell’impresa erano stati rinvenuti oltre 100.000 mascherine chirurgiche, visiere e altre mascherine protettive, tutte con marchio CE contraffatto, ma in un locale non accessibile al pubblico.

Il Pubblico Ministero aveva impugnato l’assoluzione, deducendo l’erronea esclusione della fattispecie di tentata frode e contestando l’illegittima mancata ammissione a testimoniare di un ausiliario di polizia giudiziaria che avrebbe riferito sulla contraffazione.


La decisione della Corte

La Cassazione ha accolto il ricorso, chiarendo preliminarmente che, in caso di impugnazione proposta con mezzo diverso da quello previsto dalla legge, il giudice adito deve solo verificare l’oggettiva impugnabilità dell’atto e la volontà di impugnare, trasmettendo gli atti al giudice competente senza valutazioni di merito.

Nel merito, la Corte ha ribadito che il marchio CE non è un marchio di qualità, ma un’attestazione amministrativa di conformità del prodotto alle norme UE in materia di sicurezza e requisiti tecnici. L’apposizione di un marchio CE contraffatto integra la frode in commercio se il prodotto è consegnato al consumatore, e la tentata frode quando, pur non essendo ancora venduto, è comunque destinato alla vendita.

Il deposito della merce nel magazzino dell’esercizio, anche se non accessibile al pubblico, costituisce provvista idonea alla successiva alienazione, quindi condotta inequivocabilmente diretta alla vendita.

Quanto alla prova della contraffazione, la Corte ha censurato l’esclusione della testimonianza dell’ausiliario di polizia giudiziaria: il parere tecnico acquisito in fase investigativa non è una consulenza tecnica del PM né un documento utilizzabile direttamente in dibattimento, ma richiede l’esame in contraddittorio dell’esperto.


Il principio di diritto

«Integra il reato di tentata frode in commercio la detenzione, nel magazzino dell’esercizio commerciale, di prodotti recanti marchio CE contraffatto, in quanto condotta idonea e non equivoca alla vendita, anche se il locale non è accessibile al pubblico. L’accertamento della contraffazione, se basato su valutazioni tecniche, richiede l’esame in dibattimento dell’esperto quale testimone.»


La sentenza integrale

Cass. pen., sez. III, ud. 26 giugno 2025 (dep. 6 agosto 2025), n. 28976


Presidente Di Nicola - Relatore Gai


Ritenuto in fatto


Il Procuratore della Repubblica impugna la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Pavia, nei confronti di H.L. in relazione al reato di cui agli art. 54- 515 cod.pen. perché, quale legale rappresentante della società G. Market s.s., deteneva all'interno del magazzino, in luogo non accessibile al pubblico, n. 104 mila mascherine chirurgiche, n. 61 visiere protettive e n. 1000 mascherine protettive, tutte recanti la marcatura CE contraffatta, compiendo in tal modo atti idonei e diretti in modo non equivoco a consegnare agli acquirenti un bene di diversa qualità da quella dichiarata.


Deduce, con il primo motivo di ricorso, la violazione di legge in relazione all'errata applicazione dell'art. 54-515 cod.pen. con riferimento alla detenzione per la vendita di beni con marchio contraffatto CE, condotta integrante il reato di tentata frode in commercio.


Con il secondo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione all'esclusione dalla lista testimoniale di R.C. , ausiliario di P.G. erroneamente ritenuto consulente, in assenza di formale nomina, testimone che avrebbe riferito sulla contraffazione.


Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio. La difesa ha depositato memoria scritta.


Considerato in diritto


Il ricorso è fondato.


L'impugnazione del Pubblico Ministero, in data 12/12/2023, è stata trasmessa alla Corte di cassazione, con ordinanza della Corte d'appello di Milano, trattandosi di sentenza di assoluzione inappellabile ai sensi dell'art. 593 comma 3 cod.proc.pen. vigente all'epoca della sentenza impugnata e dell'impugnazione, trattandosi di reato per il quale è prevista la pena alternativa della reclusione o della multa.


Ciò posto, occorre preliminarmente osservare che la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio condivide, ha chiaramente precisato che qualora un provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente stabilito, il giudice che riceve l'atto di gravame deve limitarsi, secondo quanto stabilito dall'art. 568 c.p.p., comma 5, alla verifica dell'oggettiva impugnabilità del provvedimento e dell'esistenza della volontà di impugnare, intesa come proposito di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice competente, astenendosi dall'esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la possibilità della conversione (Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013, P.M. in proc. Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 del 8/4/2013, Arena, Rv. 257117; Sez. 5, n. 21581 del


28/4/2009, P.M. in proc. Mare, Rv. 243888; Sez. 3, n. 2469 del 30/11/2007, Catrini, Rv. 239247; Sez. 4, n. 5291 del 22/12/2003, Stanzani, Rv. 227092 ed altre prec. conf., tra cui Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221).


Si è peraltro affermato che l'istituto della conversione della impugnazione, previsto dall'art. 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. 1 ", n. 2846 del 8/4/1999, Annibaldi R, Rv. 213835. V. anche ex pi. Sez. 3", n. 26905 del 22/04/2004, Pellegrino, Rv. 228729; Sez. 4", n. 5291 del 22/12/2003 (dep.2004), Stanzani, Rv. 227092).


Ancora di recente si è ribadito che in tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice adito, prescindendo da qualunque analisi valutativa in ordine all'indicazione della parte, deve limitarsi, a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, quindi, a trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (Sez. 5, n. 42678 del 27/09/2024, Prencipe, Rv. 287234 - 02).


Ciò detto, va dapprima disattesa la prospettazione difensiva svolta nella memoria con cui si chiede l'inammissibilità dell'impugnazione per erronea conversione e deduce la violazione dell'art. 568 comma 5 cod.proc.pen. nonché l'erronea valutazione che la Corte d'appello di Milano avrebbe compiuto, argomentata con riferimento ai devoluti motivi.


Il giudizio di convertibilità e di ammissibilità dell'impugnazione va, infatti, compiuto dal giudice dell'impugnazione a cui gli atti sono stati trasmessi, non di meno la circostanza che la Corte d'appello di Milano abbia compiuto una valutazione nel merito dell'impugnazione, ancorchè non richiesta, non può influire sulla valutazione che deve compiere il giudice che riceve l'impugnazione trasmessa ai fini della ricorrenza dei requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione.


Nel merito il primo motivo di ricorso che denuncia la violazione della legge penale è fondato.


Il c.d marchio CE è un'attestazione che garantisce al consumatore la conformità di alcune categorie di prodotti agli standard di qualità e sicurezza europei, cioè a tutte le disposizioni dell'Unione Europea che prevedono il suo utilizzo dalla progettazione, alla fabbricazione, all'immissione sul mercato, alla messa in servizio e fino allo smaltimento.


La funzione del marchio "CE" è quella di tutelare interessi pubblici, come la salute e la sicurezza degli utilizzatori dei prodotti, appartenenti ad una determinata tipologia, assicurando che essi siano conformi a tutte le disposizioni comunitarie che prevedono il loro utilizzo, così che la marcatura CE non funge da marchio di qualità o d'origine, ma costituisce un puro marchio amministrativo, che segnala che il prodotto marcato può circolare liberamente nel mercato unico dell'UE. (testualmente Sez. 2, n. 36228 del 18/8/2009, Wang, n.m.).


In tali ipotesi, pertanto, l'apposizione del marchio contraffatto CE sui beni venduti, proprio perché questo garantisce la sussistenza dei requisiti aprioristicamente standardizzati dalla normativa comunitaria, che possono essere scelti dall'acquirente in ragione della loro origine e provenienza controllata alla fonte, configura il reato di frode in commercio ovvero, nel caso in cui il bene non sia stato ancora consegnato al consumatore, il reato di tentativo di frode in commercio (Sez. 3, n. 17686 del 14/12/2018, Lia, Rv. 275932; Sez. 3, n. 33397 del 20/6/2018, Feng, n.m.).


Quanto alla destinazione alla vendita, si è affermato che il deposito dei beni nel magazzino dell'esercizio commerciale gestito dalla ricorrente, seppure non consenta, in difetto di consegna materiale ad un compratore e dunque di effettiva messa in vendita dei beni, di ritenere la frode in commercio consumata, configura comunque, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il tentativo in quanto condotta idonea e diretta in modo non equivoco, costituendo la provvista del venditore rispetto al prodotto esposto nel negozio, alla alienazione della merce ai potenziali acquirenti (Sez. 3, n. 1980 del 25/06/2014 - dep.16/01/2015, Tongiani, Rv. 261806; Sez. 3, n. 44340 del 30/09/2015 - dep.03/11/2015, Olivieri, Rv. 265237).


Tali principi sono stati disattesi dal giudice del merito e la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Pavia in diversa persona fisica per nuovo giudizio.


Anche il secondo motivo è fondato.


L'esito della interlocuzione cartolare tra organi investigativi e case produttrici titolari dei marchi rinvenuti su merce contraffatta non ha natura di consulenza tecnica del pubblico ministero ai sensi dell'art. 359 cod. proc. pen., né di prova documentale ex art. 234 cod. proc. pen., ma di parere tecnico a formazione endoprocedimentale, contenente valutazioni specialistiche e funzionali alla prova del fatto, di cui è escluso il transito diretto nel fascicolo dibattimentale in violazione delle regole del contraddittorio, vertendosi in materia di dichiarazioni di scienza, provenienti da esperti, che possono essere esaminati in dibattimento in qualità di testi (Sez. 2, n. 19160 del 03/04/2019, Basti, Rv. 276559 - 01). La Corte ha, altresì, precisato che l'esperto può essere qualificato come ausiliario di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 348, ultimo comma, cod. proc. pen., rispetto al quale non opera il divieto di cui all'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., da cui l'erronea esclusione della testimonianza di R.C. .

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di pavia, in diversa persona fisica.

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