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Colpa medica: la responsabilità penale del sanitario dopo l'entrata in vigore della Gelli-Bianco (pag. 4)


Colpa medica

SOMMARIO:



5. La decisione delle Sezioni Unite “Mariotti”.

Il contrasto è stato rimesso alle Sezioni Unite, con provvedimento in data 13 novembre 2017 del Primo Presidente, ai sensi dell’art. 610, comma 2, cod. proc. pen. La questione controversa rimessa al Supremo consesso è stata così formulata : «Quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l’ambito applicativo della previsione di “non punibilità” prevista dall’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, anche con riguardo alla precedente disciplina della materia, dettata dall’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189».

Le Sezioni unite si sono pronunciate con la sentenza n.  8770 del 21/12/2017, – dep. 2018 –, Mariotti, Rv. 272174-272175-272176 enunciando i seguenti principi di diritto: «L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico». Le Sezioni Unite, pur riconoscendo che in ciascuna delle sentenze in contrasto sono espresse molteplici osservazioni condivisibili, in parte anche comuni, non aderiscono a nessuna delle due interpretazioni espresse dalla Quarta Sezione della Corte nelle sentenze citate, bensì offrono una “sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione” attraverso una attività ermeneutica che, nell’individuare gli elementi costitutivi della nuova previsione, tiene conto non soltanto della lettera ma anche della ratio della legge, ed in particolare di “circostanze anche non esplicitate ma necessariamente ricomprese in una norma di cui può dirsi certa la ratio, anche alla luce del complesso percorso compiuto negli anni dal legislatore sul tema in discussione (…) al quale non risultano estranei il contributo della Corte costituzionale né gli approdi della giurisprudenza di legittimità”.

In estrema sintesi le Sezioni Unite ritengono che l’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, preveda una causa di non punibilità in senso tecnico, operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. Tale causa di non punibilità non è, invece, applicabile né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. La norma di cui all’art. 590-sexies, secondo comma, cod. pen., quindi, deve essere interpretata nel senso che, nonostante il silenzio della legge, continua a sottendere la nozione di “colpa lieve”; ciò in base alla sua ratio che, come desumibile anche dai lavori parlamentari (che dimostrano la volontà di differenziare, ai fini della esenzione da responsabilità, la colpa grave da imperizia dalla colpa lieve della medesima specie), è in linea con quella di cui all’abrogato art. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012 (che aveva legislativamente introdotto la distinzione tra colpa lieve e colpa grave quale discrimine della rilevanza penale della condotta che prescindeva dalla situazione di particolare difficoltà tecnica ed era, invece, connesso al criterio della conformazione alle linee guida) e con la tradizione giuridica che ha mostrato – pur a fronte di un precetto (quale l’art. 43 cod. pen.) che scolpisce la colpa senza distinzioni interne – che il tema della colpa medica penalmente rilevante è sensibile alla questione della sua graduabilità, riconoscendo dapprima la diretta applicabilità dell’art. 2236 cod. civ. (con una interpretazione che aveva ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale con la sentenza n. 166 del 1973), e poi la sua valenza quale principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia.

Tale interpretazione che va “oltre” il significato delle espressioni usate, ma non contro di esso, è secondo il Supremo Consesso imposta dalla necessità di un’interpretazione conforme a Costituzione. In proposito si ricorda che il procuratore generale aveva concluso chiedendo sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-sexies cod. pen., per contrasto con i principi posti negli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 32, 33, 101, 102 e 111 Cost., ritenendo che l’unica interpretazione possibile della nuova normativa fosse quella fatta propria dalla sentenza Cavazza, in quanto basata sulla lettera della legge, a differenza di quella della sentenza Tarabori che se ne è distaccata tentando una ricostruzione normativa costituzionalmente conforme ma inaccettabile perché sostanzialmente abrogativa del nuovo precetto.

L’interpretazione, fatta propria dalla sentenza Cavazza – secondo cui la causa di non punibilità prevista dal secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. si applica a qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, pur se connotata da colpa grave, sul solo presupposto della corretta selezione delle linee-guida pertinenti in relazione al caso di specie – viene, infatti, ritenuta dalle Sezioni Unite in contrasto con il divieto costituzionale di disparità ingiustificata di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti che parimenti operano con alti coefficienti di difficoltà tecnica, nonché rispetto a situazioni meno gravi rimaste sicuramente punibili, quali quelle connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza.

La stessa interpretazione determinerebbe, per altro verso, un evidente sbilanciamento nella tutela degli interessi sottesi, posto che l’esigenza di tutela della salute alla base del contrasto della “medicina difensiva” è incompatibile con l’indifferenza dell’ordinamento penale rispetto a gravi infedeltà alle leges artis; provocherebbe, infine, rilevanti e ingiustificate restrizioni nella determinazione del risarcimento del danno addebitabile all’esercente una professione sanitaria ai sensi dell’art. 7 della legge n. 24 del 2017, poiché tale articolo, al comma 3, stabilisce una correlazione tra il “quantum” del danno risarcibile e i profili di responsabilità ravvisabili ex art. 590-sexies cod. pen.. Viceversa, l’interpretazione che delimita l’ambito applicativo della causa di non punibilità prevista dal secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. - oltre che ai soli fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen. - alla sola colpa lieve per imperizia nei soli casi in cui vengano individuate e adottate linee guida adeguate al caso concreto, viene ritenuta non censurabile sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento, rispetto ad altre categorie di professionisti che pure siano esposti alla gestione di rischi particolari, perché circoscrive l’ambito applicativo della causa di non punibilità ai soli operatori ed atti sanitari che si confrontano con la necessità della gestione di un rischio del tutto peculiare, in quanto collegato alla mutevolezza e unicità di ognuna delle situazioni patologiche da affrontare. In ordine alle censure di tassatività connesse al timore che la distinzione tra colpa lieve e colpa grave possa essere fonte di scelte non prevedibili e ondivaghe, dipendenti dalla ampiezza della valutazione del giudice, rilevano che tale timore è sempre stato adeguatamente contrastato dalla complessa opera ricostruttiva, in seno alla dottrina e alla giurisprudenza, di criteri utili per la tendenziale definizione del giudizio. E ribadiscono in proposito la perdurante valenza dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sotto la vigenza della disciplina abrogata di cui all’art. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012 (tra le molte, Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105; Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri), volti a fissare i criteri utili per individuare preventivamente e, quindi, in sede giudiziaria riconoscere, il grado lieve della colpa, che richiamano sia il criterio oggettivo di tipo “quantitativo”, – per cui rileva il «quantum dello scostamento dal comportamento che ci si sarebbe attesi come quello utile» – sia il parametro soggettivo e dunque «la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente e del suo grado di specializzazione; la problematicità o equivocità della vicenda; la particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato; la difficoltà obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche; il grado di atipicità e novità della situazione; la impellenza; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa», condividendo l’assunto consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione sulla gravità della colpa (generica) debba essere «effettuata “in concreto”, tenendo conto del parametro dell’ homo eiusdem professionis et condicionis, che è quello del modello dell’agente operante in concreto, nelle specifiche condizioni concretizzatesi».

Inoltre, le Sezioni Unite rilevano il notevole ridimensionamento comunque operato dalla legge n. 24 del 2017 della discrezionalità del giudice attraverso la circoscrizione della causa di non punibilità alla sola imperizia e l’introduzione del procedimento pubblicistico di formalizzazione delle linee guida rilevanti. In proposito le Sezioni Unite, come la sentenza Tarabori – rilevando che il precetto dell’art. 6 deve essere letto alla luce degli artt. 1, 3 e 5 che lo precedono e che costituiscono «uno dei valori aggiunti della novella, nell’ottica di una migliore delineazione della colpa medica» – valorizzano l’indubbia l’utilità del nuovo sistema di “accreditamento istituzionale” delle linee guida, oltre che come guida per l’operatore sanitario (disorientato, in precedenza, dal proliferare incontrollato delle clinical–guidelines), come plausibile risposta alle istanze di maggiore determinatezza che riguardano le fattispecie colpose qui di interesse, «che, nella prospettiva di vedere non posto in discussione il principio di tassatività del precetto, integrato da quello di prevedibilità del rimprovero e di prevenibilità della condotta colposa, hanno necessità di essere etero-integrate da fonti di rango secondario concernenti la disciplina delle cautele, delle prescrizioni, degli aspetti tecnici che in vario modo fondano il rimprovero soggettivo».

Sul punto le Sezioni Unite precisano che, pur non integrando le linee guida «veri e propri precetti cautelari, capaci di generare allo stato attuale della normativa, in caso di violazione rimproverabile, colpa specifica, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto», la precostituzione delle raccomandazioni consente una tendenziale circoscrizione dei parametri alla cui stregua valutare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia, anziché in base «ad una norma cautelare legata alla scelta soggettiva, a volte anche estemporanea e scientificamente opinabile, del giudicante».

D’altra parte – anche avuto riguardo al fatto che tra i motivi per i quali il procuratore generale aveva chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-sexies cod. pen., vi era proprio il dedotto contrasto della norma con il principio del diritto alla tutela della salute, posto in crisi da una richiesta di applicazione di protocolli non chiaramente calibrati sul caso concreto, nonché con quello della dignità della professione sanitaria, che si contrappone alla rigidità delle linee guida da applicare – si segnala che le Sezioni Unite, avendo cura di precisare che il tema della natura delle linee-guida non risulta investito da divergenza di interpretazioni, ribadi


scono le conclusioni maturate in seno alla giurisprudenza delle sezioni semplici della Cassazione, sul tema della natura, finalità e cogenza delle linee-guida ed in particolare sulla loro inidoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti.

Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza che «anche a seguito della procedura ora monitorata e governata nel suo divenire dalla apposita istituzione governativa, e quindi tendente a formare un sistema con connotati pubblicistici, le linee-guida non perdono la loro intrinseca essenza, già messa in luce in passato con riferimento alle buone pratiche.

Quella cioè di costituire un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti». Le Sezioni Unite escludono, quindi, che il nuovo sistema introdotto, nonostante le apparenze, possa ritenersi agganciato ad automatismi, (che configuri, cioè, “uno “scudo” contro ogni ipotesi di responsabilità”), rilevando come la efficacia e forza precettiva delle raccomandazioni contenute nelle linee guida dipenda comunque dalla loro dimostrata “adeguatezza” alle specificità del caso concreto: «Non, dunque, norme regolamentari che specificano quelle ordinarie senza potervi derogare, ma regole cautelari valide solo se adeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente e implicanti, in ipotesi contraria, il dovere, da parte di tutta la catena degli operatori sanitari concretamente implicati, di discostarsene.».

Ed evidenziano come l’apprezzamento della adeguatezza al caso concreto delle raccomandazioni contenute nelle linee guida costituisca, per il sanitario, proprio «il mezzo attraverso il quale recuperare l’autonomia nell’espletare il proprio talento professionale e, per la collettività, quello per vedere dissolto il rischio di appiattimenti burocratici. Evenienza dalla quale riemergerebbero il pericolo per la sicurezza delle cure e il rischio della “medicina difensiva”, in un vortice negativo destinato ad autoalimentarsi.»

Peraltro l’esclusione, dall’ambito applicativo della causa di non punibilità prevista dall’art. 590-sexies cod. pen., delle ipotesi in cui le linee guida siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata al caso concreto consente alle Sezioni Unite di ravvisare l’incompatibilità della novella «con qualsiasi forma di appiattimento dell’agente su linee-guida che a prima vista possono apparire confacenti al caso di specie (…) e conseguentemente con ipotesi di automatismo fra applicazione in tale guisa delle linee-guida ed operatività della causa di non punibilità» e anche di escludere che il precetto in esame possa essere sospettato di tensione col principio costituzionale di libertà della scienza e del suo insegnamento (art. 33 Cost.), come pure di quello dell’assoggettamento del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.). In ordine alla nozione di errore nella “scelta” delle linee-guida adeguate al caso concreto, al quale non è applicabile la causa di non punibilità, le Sezioni Unite chiariscono che esso comprende, oltre all’ipotesi di scelta del tutto sbagliata, anche quella di scelta incompleta – per non essersi tenuto conto di fattori di co-morbilità che avrebbero richiesto il ricorso a più linee-guida regolatrici delle diverse patologie concomitanti o comunque la visione integrata del quadro complesso – nonché il caso in cui, in ragione delle peculiarità del caso concreto, l’esercente la professione sanitaria avrebbe dovuto discostarsi radicalmente dalle raccomandazioni previste dalle linee guida. Infine, in ordine al criterio che deve guidare il giudizio sull’adeguatezza delle linee guida al caso concreto ribadiscono che «la valutazione da parte del giudice sul requisito della rispondenza (o meno) della condotta medica al parametro delle linee-guida adeguate (se esistenti) può essere soltanto quella effettuata ex ante, alla luce cioè della situazione e dei particolari conosciuti o conoscibili dall’agente all’atto del suo intervento, altrimenti confondendosi il giudizio sulla rimproverabilità con quello sulla prova della causalità, da effettuarsi ex post.

Ma con la ulteriore puntualizzazione che il sindacato ex ante non potrà giovarsi di una soglia temporale fissata una volta per sempre, atteso che il dovere del sanitario di scegliere linee-guida “adeguate” comporta, per il medesimo così come per chi lo deve giudicare, il continuo aggiornamento della valutazione rispetto alla evoluzione del quadro e alla sua conoscenza o conoscibilità da parte del primo».

Le Sezioni Unite, ritengono inoltre, condivisibile la “perimetrazione”, effettuata dalla sentenza Tarabori-De Luca, dell’ambito di operatività della novella, connessa al fatto che la causa di non punibilità prevista dall’art. 590-sexies, dipende dal rispetto delle linee-guida adeguate allo specifico caso in esame, nell’ipotesi di responsabilità da imperizia. E affermano, pertanto, che la causa di non punibilità non può essere invocata: - nei casi in cui la responsabilità sia ricondotta ai diversi casi di colpa, dati dalla imprudenza e dalla negligenza; - né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche; - né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso. Non ritengono invece condivisibile la negazione, operata dalla sentenza Tarabori, di qualsivoglia residuo spazio operativo per la causa di non punibilità, cioè la conclusione circa l’impossibilità di applicare il precetto, e, quindi l’interpretazione abrogatrice da essa offerta, di fatto in collisione con il dato oggettivo della iniziativa legislativa e con la stessa intenzione innovatrice manifestata in sede parlamentare (rilevando, peraltro, che la principale obiezione della sentenza in questione, e cioè la confusione della formulazione legislativa e la sua incongruenza interna, avrebbero dovuto trovare sfogo nella denuncia di incostituzionalità per violazione del principio di legalità).

Pertanto individuano l’ambito applicativo della novella nell’errore commesso nella fase della attuazione/esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee guida, riferendo il requisito dell’adeguatezza delle linee guida al caso concreto, richiesto dalla norma, alla sola fase della scelta delle stesse, come operato dalla sentenza Cavazza, alla quale le Sezioni Unite riconoscono il pregio di non discostarsi in modo patente dalla lettera della legge, e il difetto di valorizzarla in modo assoluto, attribuendole una portata applicativa impropriamente lata, (cioè quella di rendere non punibile qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, pur se connotata da colpa grave, sul solo presupposto della corretta selezione delle linee-guida pertinenti in relazione al caso di specie), che rende “più che concreti” i profili di illegittimità della interpretazione stessa, quantomeno per violazione del divieto costituzionale di disparità ingiustificata di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti che parimenti operano con alti coefficienti di difficoltà tecnica. La formulazione lessicale del precetto non viene, quindi, ritenuta dalle Sezioni Unite, a differenza della sentenza Tarabori, tale da non renderne possibile l’individuazione di un ambito applicativo, in quanto tenendo conto che le fasi della individuazione, selezione ed esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee-guida adeguate sono articolate è possibile ipotizzare la mancata realizzazione di un segmento del relativo percorso, la quale «giustifica ed è compatibile tanto con l’affermazione che le linee-guida sono state nel loro complesso osservate, quanto con la contestuale rilevazione di un errore parziale che, nonostante ciò, si sia verificato, con valenza addirittura decisiva per la realizzazione di uno degli eventi descritti dagli artt. 589 e/o 590 cod. pen.».

D’altra parte l’errore non punibile non può, però, alla stregua della novella del 2017 (e a differenza di quanto previsto dall’art. 3 del d.l. n. 158 del 2012) riguardare la fase della selezione delle linee-guida perché, dipendendo il “rispetto” di esse dalla scelta di quelle “adeguate”, qualsiasi errore sul punto, dovuto a una qualsiasi delle tre forme di colpa generica, porta a negare l’integrazione del requisito del “rispetto”.

La ratio di tale conclusione viene individuata «nella scelta del legislatore di pretendere, senza concessioni, che l’esercente la professione sanitaria sia non solo accurato e prudente nel seguire la evoluzione del caso sottopostogli ma anche e soprattutto preparato sulle leges artis e impeccabile nelle diagnosi anche differenziali; aggiornato in relazione non solo alle nuove acquisizioni scientifiche ma anche allo scrutinio di esse da parte delle società e organizzazioni accreditate, dunque alle raccomandazioni ufficializzate con la nuova procedura; capace di fare scelte ex ante adeguate e di personalizzarle anche in relazione alle evoluzioni del quadro che gli si presentino.

Con la conseguenza che, se tale percorso risulti correttamente seguito e, ciononostante, l’evento lesivo o mortale si sia verificato con prova della riconduzione causale al comportamento del sanitario, il residuo dell’atto medico che appaia connotato da errore colpevole per imperizia potrà, alle condizioni che si indicheranno, essere quello che chiama in campo la operatività della novella causa di non punibilità».

Come la sentenza Cavazza, inoltre, le Sezioni Unite ritengono che la natura giuridica della fattispecie prevista dall’art. 590-sexies cod. pen. sia quella della causa di non punibilità in senso tecnico: «La previsione della causa di non punibilità è esplicita, innegabile e dogmaticamente ammissibile non essendovi ragione per escludere apoditticamente – come fa la sentenza De Luca-Tarabori – che il legislatore, nell’ottica di porre un freno alla medicina difensiva e quindi meglio tutelare il valore costituzionale del diritto del cittadino alla salute, abbia inteso ritagliare un perimetro di comportamenti del sanitario direttamente connessi a specifiche regole di comportamento a loro volta sollecitate dalla necessità di gestione del rischio professionale: comportamenti che, pur integrando gli estremi del reato, non richiedono, nel bilanciamento degli interessi in gioco, la sanzione penale, alle condizioni date.».

Ciò anche alla luce del fatto che l’intervento protettivo del legislatore è direttamente connesso con l’esigenza di contrastare la medicina difensiva in quanto la novella, a differenza dell’art. 3 del d.l. n. 158 del 2012, ha circoscritto l’esenzione da pena ai soli comportamenti che causano uno degli eventi descritti dagli artt. 589 e 590 cod. pen., e quindi ad un «perimetro più circoscritto di operatori ed atti sanitari che si confrontano con la necessità della gestione di un rischio del tutto peculiare in quanto collegato alla mutevolezza e unicità di ognuna delle situazioni patologiche da affrontare». Infine, in ordine ai profili diritto intertemporale, le Sezioni Unite ritengono che l’abrogato art. 3 comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, si configura come norma più favorevole rispetto all’art. 590-sexies cod. pen., sia in relazione alle condotte dell’esercente la professione sanitaria connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto, e cioè di errore nella valutazione della appropriatezza della linea-guida.

Per l’errore determinato da colpa lieve da imperizia nella sola fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle linee guida che andava esente da responsabilità penale per il decreto Balduzzi, ed è oggetto della causa di non punibilità di cui all’art. 590-sexies, viene ritenuta ininfluente, in relazione alla attività del giudice penale che si trovi a decidere nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio.


6. La giurisprudenza successiva

La giurisprudenza successiva, senza discostarsi dai principi affermati dalle Sezioni Unite, ha avuto occasione di precisare che, in ragione della successione di leggi nel tempo, la motivazione della sentenza di merito, in tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria deve indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, specificare di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza), e appurare se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali. (Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018, De Renzo, Rv. 273463; Sez. 4, n. 24384 del 26/04/2018, Masoni, Rv. 273536; Sez. 4, Sentenza n. 33405 del 13/04/2018, D. Rv. 273422).

Deve tuttavia darsi atto che, in un caso di impugnazione di sentenza di condanna per grave negligenza esecutiva (nella specie, nel corso di un intervento laparoscopico di rimozione di una cisti splenica, veniva erroneamente realizzata l’asportazione del rene, anziché della cisti), con riferimento al motivo di ricorso con cui si denunciava la mancata applicazione dell’art. 590-sexies cod. pen., lamentando che in sede di merito non erano state svolte considerazioni sul rispetto o meno delle linee guida, la Corte (Sez. 4, n. 39733 del 19/07/2018, Arzillo, non mass.) ha ritenuto che l’elevato grado della colpa riconosciuta in capo all’imputato non consentisse il sindacato della sentenza impugnata per il mancato approfondimento del tema relativo all’osservanza delle raccomandazioni contenute nelle linee guida adeguate al caso di specie, per «l’ontologica inapplicabilità al caso di giudizio della disciplina di cui all’art. 590-sexies cod. pen.» così come della previgente disciplina in materia di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria.

Analogamente, in un caso di impugnazione di una sentenza di condanna per grave negligenza consistita nella mancata preparazione a un intervento chirurgico mediante somministrazione di terapia antibiotica, la Corte (Sez. 4, n. 38365, del 23/05/2018, Carrabs, non mass.), con riferimento al dedotto vizio di motivazione in ordine alla qualificazione della condotta dell’imputato come negligente invece che imperita e alla conseguente invocazione dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 590-sexies cod. pen.., ha ritenuto infondato il motivo di ricorso, a prescindere dalla natura della colpa dell’imputato, «difettando, ictu oculi, nel caso di specie, i due requisiti che tanto la legge Balduzzi, quanto la legge Gelli-Bianco, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni unite Mariotti, richiedono per essere operative, vale a dire il rispetto delle linee guida ed il grado lieve della colpa». Inoltre, in un caso di impugnazione di una sentenza di condanna per colpa grave consistita nella mancata somministrazione di terapia antitrombotica, in presenza di un elevato rischio trombotico, la Corte (Sez. 4, n. 40923 del 30/05/2018, Iemmolo, non mass.), ritenendo «evidente lo scostamento dalle linee guida adeguate al caso di specie», in cui i rischio trombotico veniva ritenuto prevalente sul concomitante rischio emorragico, e «assai grave la sottovalutazione operata dal dott. Iemmolo del rischio trombotico in favore di quello emorragico» ha ritenuto irrilevante l’individuazione del regime più favorevole tra quello di cui all’art. 3, comma 1, d.l. n. 158 del 2012 e quello di cui all’art. 590-sexies cod. pen., non sussistendo le condizioni di applicabilità né dell’uno né dell’altro. Avuto riguardo al principio affermato sotto il vigore della legge “Balduzzi”, secondo cui «in tema di responsabilità medica, ai fini dell’applicazione della causa di esonero da responsabilità prevista dall’art. 3 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, è necessaria l’allegazione delle linee guida alle quali la condotta del medico si sarebbe conformata, al fine di consentire al giudice di verificare:

a) la correttezza e l’accreditamento presso la comunità scientifica delle pratiche mediche indicate dalla difesa;

b) l’effettiva conformità ad esse della condotta tenuta dal medico nel caso in esame» (Sez. 4, n. 21243 del 18/12/2014 – dep. 2015 –, Pulcini, Rv. 263493; Sez. 4, n. 7951 del 08/10/2013 – dep. 2014-, Fiorito, Rv. 259333) la Corte ha altresì puntualizzato che tale “insegnamento, peraltro, deve essere contestualizzato, alla luce delle sopravvenute modifiche normative, in forza delle quali l’esercente la professione sanitaria è espressamente tenuto ad uniformarsi alle linee guida, che sono state istituzionalizzate” prevedendo che siano espresse da istituzioni individuate dal Ministero della salute e sottoposte a verifica dell’Istituto superiore di sanità in ordine alla conformità a standard predefiniti ed alla rilevanza delle evidenze scientifiche poste a supporto delle raccomandazioni, e, quindi, pubblicate. Conseguentemente, ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza che aveva escluso la rilevanza di linee guida in un caso in cui l’imputato non aveva soddisfatto il relativo onere di allegazione, e il giudice non aveva disposto perizia (Sez. 4 , n. 49884 del 16/10/2018, P.), rilevando che con la legge 8 marzo 2017, n. 24, il legislatore ha inteso costruire un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell’attività sanitaria, che ne assicuri lo svolgimento in modo uniforme, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate, rappresentate dalle linee guida alle quali l’esercente la professione sanitaria è tenuto a conformarsi.

D’altra parte è stato anche chiarito che, nelle more della pubblicazione delle linee guida di cui all’art. 5 della legge n. 24 del 2017, la rilevanza penale della condotta ai sensi dell’art. 590-sexies cod. pen. può essere valutata con esclusivo riferimento alle buone pratiche clinico assistenziali adeguate al caso concreto. (Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018, De Renzo, Rv. 273463). In ordine all’errore determinato da colpa lieve da imperizia nella sola fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle linee guida correttamente individuate – che andava esente da responsabilità penale per il decreto Balduzzi, ed è oggetto della causa di non punibilità di cui all’art. 590-sexies cod. pen. – la Corte (Sez. 4, n. 36723 del 19/04/2018, Di Saverio, non mass.), pur dando atto di una «sostanziale omogeneità di previsioni fra il nuovo regime e la legge Balduzzi», ha, evidenziato come, tuttavia, sia ancora riscontrabile una differenza, data dal fatto che, mentre il nuovo art. 590-sexies cod. pen. deve essere correttamente interpretato come avente natura di mera causa di non punibilità, la giurisprudenza di legittimità era concorde nel ritenere che, invece, la previsione dell’art. 3 della legge Balduzzi integrasse una parziale abolitio criminis degli artt. 589 e 590 cod. pen., avendo ristretto l’area del penalmente rilevante individuata da questi ultimi ed avendo ritagliato implicitamente due sotto-fattispecie, una che conservava natura penale e l’altra divenuta penalmente irrilevante (ex multis, Sez. 4, n. 16237 del 29 /01/2013, Cantore, Rv. 255105). Ed ha individuato nella legge Balduzzi la norma più favorevole, da applicarsi ultrattivamente a norma dell’art. 2 cod. pen. ai fatti commessi sotto la vigenza dell’art. 3, comma 1, d.l. n. 158 del 2012, dal momento che integra una parziale abolitio criminis e non una mera causa di non punibilità, dovendo dunque essere applicata a norma dell’art. 2 cod. pen.


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