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Colpa medica: la responsabilità penale del sanitario dopo l'entrata in vigore della Gelli-Bianco (pag. 3)


Colpa medica

SOMMARIO:



3. La tesi contraria: l’interpretazione che ritiene configurabile una causa di non punibilità operante nel solo caso di imperizia e indipendentemente dal grado della colpa

Secondo un’altra interpretazione espressa in una più recente sentenza (Sez. 4, n. 50078 del 19/10/2017, Cavazza, Rv. 270985), invece, il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen., si configura quale norma più favorevole rispetto all’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, in quanto prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante – ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso) – nel solo caso di imperizia, ma indipendentemente dal grado della colpa. Il ragionamento della Corte muove dall’individuazione di quelli che ritiene gli unici punti chiari della novella: - l’abrogazione della esclusione della responsabilità penale per colpa lieve prevista dalla c.d. “legge Balduzzi”; - la limitazione dell’innovazione prevista dalla novella alle sole situazioni astrattamente riconducibili all’imperizia, e il conseguente superamento in senso restrittivo del dibattito apertosi in sede di legittimità sull’applicabilità della limitazione di responsabilità di cui all’art. 3 del d.l. n. 158 del 2012 non solo nelle ipotesi di imperizia ma anche nei casi di negligenza ed imprudenza. Quindi la Corte, avuto riguardo alla lettera della legge, osserva che essa, innovando rispetto alla legge Balduzzi, «non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa, così che, nella prospettiva del novum normativo, alla colpa grave non potrebbe più attribuirsi un differente rilievo rispetto alla colpa lieve, essendo entrambe ricomprese nell’ambito di operatività della causa di non punibilità». Tale tesi, secondo tale pronuncia, trova conforto nella finalità della legge che ha «esplicitamente inteso favorire la posizione del medico, riducendo gli spazi per la sua possibile responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile».

La nuova disposizione, secondo tale pronuncia, configura una causa di non punibilità in senso tecnico – come tale collocata al di fuori dell’area di operatività del principio di colpevolezza – la cui ratio è da individuarsi nella «scelta del legislatore di non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie, mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd. medicina difensiva».

Tale causa di non punibilità, pur se limitata alla sola imperizia, la comprende sia nella forma della colpa lieve che in quella della colpa grave.

Ciò in quanto il legislatore, innovando rispetto alla legge Balduzzi che escludeva la responsabilità solo per colpa lieve, non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa.

Quanto alla difficoltà di conciliare la “colpa grave”, con la sussistenza delle condizioni previste per l’impunità del sanitario – cioè con il rispetto delle buone pratiche clinico assistenziali, e, soprattutto, con un giudizio positivo di adeguatezza delle linee guida al caso concreto – l’ambito applicativo della causa di non punibilità prevista dalla norma viene delineato con riferimento al caso del medico che, seguendo linee guida adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una “imperita” applicazione di queste, nella fase “esecutiva” dell’applicazione. Al riguardo si precisa che l’imperizia, per essere non punibile, non deve essersi verificata nel momento della scelta della linea guida, «giacchè non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie». In questa prospettiva il requisito dell’adeguatezza delle linee guida al caso concreto, viene limitato alla fase della scelta e dell’individuazione delle linee direttive da applicare, a differenza che per il contrapposto orientamento che lo estende anche alla fase esecutiva di applicazione delle linee guida. Infine, la previsione di un trattamento diverso e più favorevole della colpa per imperizia nell’esercizio della professione sanitaria, rispetto alla colpa per negligenza o per imprudenza, viene ritenuta «una scelta del legislatore – che si presume consapevole», che suscita, però, perplessità in ordine alla compatibilità con l’art. 3 della Costituzione, senza che la questione venga approfondita, per difetto di rilevanza nel caso di specie. Secondo questa interpretazione, quindi, la novella del 2017 prevede la non punibilità dell’imperizia, anche grave, commessa nell’attuazione delle raccomandazioni previste dalle linee guida, con la conseguenza che, sotto tale profilo, deve ritenersi norma più favorevole rispetto all’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, che aveva depenalizzato solo la colpa lieve. La legge Balduzzi può, invece, configurarsi come norma più favorevole per i reati coinvolgenti profili di colpa diversi dall’imperizia, e cioè di negligenza e imprudenza qualificati da colpa lieve. La sentenza in rassegna, in relazione all’interpretazione accolta, non si confronta in alcun modo con i problemi di costituzionalità evidenziati nella motivazione della sentenza Tarabori.


4. I punti essenziali del contrasto

Entrambe le interpretazioni offerte dalla Corte di cassazione si fondano sulla lettera della disposizione, che richiama espressamente la sola imperizia e non contiene alcun riferimento al grado della colpa: entrambe ritengono limitato l’ambito applicativo della novella alla sola colpa per imperizia e negano rilevanza al grado della colpa al fine di ritenere integrata o meno la fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. Le due tesi si distinguono, sul piano dell’interpretazione letterale, per il diverso significato che attribuiscono al requisito richiesto dalla norma con la locuzione «sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate al caso concreto».

La sentenza Tarabori, infatti, attribuisce tale requisito sia alla scelta delle raccomandazioni, che all’attuazione delle stesse, mentre la sentenza Cavazza limita tale requisito alla scelta.

Da tale diversa interpretazione letterale discende la conseguenza opposta a cui giungono le sentenze, della rilevanza penale o meno dell’imperizia, anche grave, nella fase esecutiva, e della stessa configurabilità o meno (di un ambito applicativo) di una limitazione o di un esonero di responsabilità penale. Conseguentemente diverse sono le conclusioni in ordine all’individuazione della disciplina più favorevole tra quella introdotta dalla novella e quella di cui all’abrogato 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012.

Sul piano dell’individuazione della ratio della norma le due interpretazioni si distinguono in quanto: - la sentenza Tarabori la individua nella mera esigenza di tipizzazione – determinatezza del giudizio sulla colpa, in ciò ravvisando il novum legislativo che, attraverso il sistema di accreditamento istituzionale delle linee guida, ha posto rimedio all’incertezza nell’individuazione delle linee guida che dovevano guidare l’operato del medico e, quindi, il giudizio sulla sua colpevolezza; - la sentenza Cavazza individua nell’esigenza di ridurre, rispetto al passato, gli spazi della responsabilità del medico, “ferma restando la responsabilità civile”, al fine di restituirgli serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd. medicina difensiva. Le tesi sostenute nelle due sentenze divergono, inoltre, anche in ordine all’individuazione dell’ambito di rilevanza penale dell’imperizia, che per la sentenza Cavazza è limitato al solo caso di scelta di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso concreto, mentre per la sentenza Tarabori è molto più ampio, comprendendo, oltre al caso di linee guida non appropriate al caso concreto, anche le ipotesi di linee guida estranee al momento topico in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata, (cioè di condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo), nonchè tutti gli ambiti non governati da linee guida.

Diverso, infine, è l’inquadramento dogmatico della fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen., quale regola sulla configurazione della colpa in ambito sanitario secondo l’interpretazione offerta nella sentenza Tarabori e, invece, causa di non punibilità, secondo l’opzione ermeneutica fatta propria dalla sentenza Cavazza.

Le tesi contrapposte presentano diversi punti di forza e di debolezza.

L’interpretazione offerta dalla sentenza Tarabori, infatti, se da un lato non sembra esporsi a censure di costituzionalità, dall’altro lato però attribuisce un significato molto riduttivo al secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. – quale norma che si limita a operare sul piano dell’individuazione dei parametri alla cui stregua valutare la colpevolezza dell’esercente la professione sanitaria, e che non contiene una fattispecie di limitazione e/o esonero di responsabilità – che si pone in radicale discontinuità, sotto tale profilo, rispetto all’abrogato art. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012.

L’opzione ermeneutica prescelta dalla sentenza Cavazza, invece, pur ponendosi in linea di continuità con la “legge Balduzzi” – attribuendo alla novella il significato di una fattispecie di esonero di responsabilità, sempre ancorata al rispetto delle linee guida ma più ampia di quella prevista dalla disposizione abrogata, in quanto estesa anche alla colpa grave – pone i problemi di costituzionalità evidenziati dalla sentenza Tarabori, e cioè quello della ragionevolezza di una esclusione di responsabilità per colpa grave operante in favore dei soli professionisti dell’ambito sanitario, e della compatibilità con l’art. 32 Cost.


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