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La non punibilità per particolare tenuità del fatto


Le relazioni tematiche del massimario

SOMMARIO:


1. Premessa.

La speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata introdotta, come noto, dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, che ha disciplinato i profili sostanziali dell’istituto attraverso l’introduzione di una nuova norma, l’art. 131-bis, nel tessuto del codice penale, ed i profili processuali attraverso l’integrazione degli artt. 411 e 469 del codice di rito e l’inserimento dell’art. 651-bis cod. proc. pen., senza trascurare una specifica previsione circa l’iscrizione nel casellario giudiziale dei provvedimenti che dichiarano la non punibilità a norma dell’art. 131-bis citato.



In particolare, l’istituto di nuovo conio è applicabile, ai sensi del primo comma dall’art. 131-bis cod. pen., ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla prima, ed è configurabile in presenza di un duplice condizione, essendo richiesta – congiuntamente e non alternativamente – la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento (onde, ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo: Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678).



Il primo di tali “indici-criteri”, esige, a sua volta, la specifica valutazione degli “indici-requisiti” della modalità della condotta, nella sua componente oggettiva e soggettiva, e dell’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133, comma 1, cod. pen., cui segue, in caso di vaglio positivo, l’ulteriore verifica della non abitualità del comportamento, che il legislatore, con previsione non esente da margini di ambiguità, esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. In tale dimensione esegetica, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto è stato oggetto di specifici approfondimenti da parte degli arresti giurisprudenziali di legittimità maturati nel corso del 2018, sia con riferimento ai profili di carattere sostanziale della disciplina, sia a questioni di matrice più squisitamente processuale. Il medesimo criterio di – almeno tendenziale – ripartizione sistematica costituisce il filo conduttore attraverso il quale si sviluppa l’analisi che segue.


2. I profili sostanziali. Abitualità del comportamento illecito e reato continuato.

L’indice-criterio della non abitualità del comportamento è stato oggetto di approfondimento da alcune delle più recenti pronunce della Corte, con particolare riferimento alla sua configurabilità nei casi di continuazione tra reati. La soluzione che, nel caso di più reati esecutivi del medesimo disegno criminoso, esclude l’applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. in ragione della “abitualità” del comportamento è stata sostenuta da Sez. 3, n. 19159 del 29/03/2018, Fusaro, Rv. 273198, secondo cui «la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio. (Fattispecie in tema di abuso edilizio, in cui la S.C. ha escluso l’occasionalità dell’azione illecita sulla base della continuazione diacronica tra i singoli reati, posti in essere in momenti distinti, e della pluralità delle disposizioni di legge violate)». In tale prospettiva, la Corte ha escluso che, con il riferimento ai “reati della stessa indole”, il legislatore abbia voluto riferirsi solo ai casi in cui l’autore del reato sia gravato da precedenti penali specifici, posto che, altrimenti. si sarebbe espresso in termini di recidiva specifica; un’esegesi più coerente con la ratio sottesa al dettato normativo, invece, deve condurre, secondo la Corte, a valorizzare le indicazioni desumibili dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 28 del 2015, la quale, osservato che il terzo comma dell’art. 131-bis cod. pen. «descrive soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di “abitualità”, entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità», espressamente rileva, in relazione alla specifica previsione della commissione di «reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità», che «non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell’ulteriore richiamo alle “condotte plurime, abituali e reiterate”».



Tale pronuncia si inscrive nel filone giurisprudenziale che sottolinea come il riconoscimento della continuazione incida bensì sul trattamento sanzionatorio, nella misura in cui evidenzia la minore intensità del dolo espresso nel corso della progressione criminosa, per tale via influendo sulla valutazione del complessivo disvalore della condotta, ma non si estende al punto di elidere la circostanza, ostativa al riconoscimento del beneficio, della oggettiva reiterazione di condotte penalmente rilevanti, distante da forme di devianza meramente “occasionali”. Lungo tale direttrice ermeneutica, la pronuncia in esame non disconosce l’esistenza di talune decisioni nelle quali si è esplicitamente affermato che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità in esame, non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, incompatibili con l’abitualità presa in considerazione in negativo dall’art. 131-bis cod. pen. (fra le più recenti, Sez. 5, n. 5358 del 15/01/2018, Corradini, Rv. 272109).

E tuttavia, i giudici di legittimità sottolineano come, anche in tali precedenti arresti, il principio non sia stato formulato in termini assoluti, ma, piuttosto, calibrato sulla peculiare ipotesi in cui le azioni poste in essere dal reo non possano, in ragione dell’identità delle circostanze di luogo e di tempo in cui i reati sono stati commessi, «essere considerate espressione del carattere seriale dell’attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a violare la legge», così annettendo rilievo, sia pure nell’ambito del medesimo disegno criminoso, alla sostanziale unicità della condotta: dunque, decisivo appare il dato peculiare costituito dalla contemporanea, e non già ripetuta nel tempo, esecuzione delle distinte azioni delittuose, «che, in quanto sorrette da un’unica e circoscritta volizione criminosa, è stata ritenuta non incompatibile con il concetto di estemporaneità dell’azione illecita rispetto alla positiva personalità del reo, posto alla base della disciplina della causa di non punibilità, ex art 131-bis cod. pen.». Un’interpretazione, quest’ultima, non estensibile a casi, come quello oggetto della pronuncia in esame, «in cui la continuazione diacronica tra i singoli reati posti in essere in momenti distinti, si aggiunge alla pluralità delle disposizioni di legge violate che, pur attenendo alla materia lato sensu edilizia, evidenzia la consistenza dell’intervento abusivo commesso infrangendo in momenti distinti le norme poste a presidio del carico urbanistico, del pericolo sismico e delle prescrizioni tecniche in relazione all’impiego del cemento armato».

Nello stesso senso, va registrata anche Sez. 6, n. 3353 del 13/12/2017, dep. 2018, Lesmo, Rv. 272123, così massimata: «La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale” per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo il segno di una devianza “non occasionale”».

La più compiuta analisi del filone ermeneutico che approda ad esiti difformi rispetto a quello appena illustrato, porta a segnalare Sez. 2, n. 9495 del 07/02/2018, P.g. in proc. Grasso, Rv. 272523, secondo cui «ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, quando le violazioni non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità, ovvero di progressione criminosa indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva».

La decisione si riaggancia alla tesi che – rifuggendo dal rischio di elevare tout court ad indice di abitualità il fenomeno disciplinato dall’art. 81, comma 2., cod. pen., che traduce la volontà legislativa di mitigare il cumulo materiale delle pene nell’ipotesi di pluralità di reati frutto di un’unitaria spinta a delinquere, ritenuta di minor allarme rispetto ad una reiterazione delittuosa fondata su autonome e rinnovate decisioni di compiere azioni illecite – riconosce come la causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis cod. pen. possa ricorrere anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, posto che quest’ultima non si identifica automaticamente con l’abitualità nel reato, ostativa al riconoscimento del beneficio, non individuando comportamenti di per se stessi espressivi del carattere seriale dell’attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a violare la legge (cfr. Sez. 2, n. 19932 del 29/03/2017, Di Bello, Rv. 270320), particolarmente quando le fattispecie in continuazione consistano in condotte poste in essere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo (Sez. 5, n. 35590 del 31/05/2017, P.G. in proc. Battizocco, Rv. 270998).

Tale opzione interpretativa valorizza la già sottolineata distinzione semantica fra il concetto di “abitualità”, tipizzato nell’art. 131-bis cod.pen. e quello di “occasionalita”, richiamato dall’art. 27 d.P.R. n. 448 del 1988 (irrilevanza del fatto nel processo penale a carico di imputati minorenni) e dall’art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000, con riguardo alla causa di esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto nei procedimenti di competenza del giudice di pace. In tal senso, si rileva che l’occasionalità «richiama una devianza isolata, spuria, laddove la non abitualità definisce la zona ampia e variegata che si interpone tra la violazione estemporanea e avulsa dallo stile di vita dell’autore e l’area della proclività a delinquere e della recidivanza in senso stretto, qualificata ex art. 99 cod. pen., suscettibile di ricomprendere sequenze reiterative che assumono valenza ostativa solo nei termini indicati dalle Sezioni Unite Tushaj».

Ne consegue che, laddove le violazioni non siano in numero tale da costituire di per sé indice di serialità ovvero di progressione criminosa, «espressiva di particolare intensità del dolo o ancora di versatilità offensiva» e non identificabile con la mera reiterazione, non scatterà in modo automatico l’effetto ostativo rispetto all’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., richiedendosi la specifica valutazione di ciascuna delle condotte illecite alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. 

Segue la stessa linea interpretativa Sez. 5, n. 5358 del 15/01/2018, Corradini, Rv. 272109, secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità in esame, «non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardano azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo, di luogo e nei confronti della medesima persona, elementi da cui emerge una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l’abitualità presa in considerazione in negativo dall’art. 131- bis cod. pen.».


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