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La non punibilità per particolare tenuità del fatto (pag. 2)


Le relazioni tematiche del massimario

SOMMARIO:



3. Altre ipotesi in tema di abitualità della condotta

Sempre in tema di configurabilità della condizione ostativa all’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., costituita dalla abitualità del comportamento, Sez. 3, n. 776 del 04/04/2017, dep. 2018, Del Galdo, Rv. 271863, in una fattispecie di violazione, da parte del datore di lavoro, di diverse disposizioni in materia di sicurezza di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ha ribadito, richiamandosi all’esegesi del massimo consesso nomofilattico (cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591), che tale condizione ricorre qualora l’imputato, anche se non gravato da precedenti penali specifici, abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi), anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità. Nella medesima prospettiva, Sez. 5, n. 53401 del 30/05/2018, M., Rv. 274186, pone l’accento sul fatto che l’identità dell’indole dei reati «deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni».

Nel caso di specie, concernente ipotesi di furto e detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, la Corte ha sottolineato come l’interpretazione dell’art. 101 cod. pen., che individua le caratteristiche dei reati aventi la stessa indole, vada condotta alla luce della sua collocazione sistematica ed anche – stante l’incipit della disposizione, «agli effetti della legge penale» – di tutte le altre norme sostanziali (artt. 102, 167, 168, 172, 177, art. 53 e seguenti legge 24 novembre 1981, n. 689) e processuali (art. 274, comma 1, lett. c); art. 445, comma 2, cod. proc. pen.) che evocano il concetto di un agire criminale sostanzialmente omogeneo. In tal senso, la Corte ha richiamato, in particolare, l’elaborazione nomofilattica in tema di presupposti delle misure coercitive personali, laddove per «reati della stessa specie» ex art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. si intendono non solo i reati che offendono il medesimo bene giuridico, ma anche le fattispecie criminose che, pur non previste dalla stessa disposizione di legge, presentano “uguaglianza di natura” in relazione al bene tutelato ed alle modalità esecutive (Sez. 5, n. 52301 del 14/07/2016, Petroni, Rv. 268444; Sez. 3, n. 36319 del 05/07/2001, Vasiliu, Rv. 220031), nonché in tema di applicazione della pena, laddove, ai fini dell’operatività del meccanismo estintivo previsto dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., occorre valutare se l’eventuale ulteriore reato commesso nel periodo di osservazione costituisca violazione della medesima disposizione di legge ovvero, in caso negativo, se sussista comunque identità di indole sostanziale, in ragione della natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati (cfr. Sez. 1, n. 27906 del 15/04/2014, Stocco, Rv. 260500).

Parimenti, la Corte ha valutato anche gli approdi ermeneutici in tema di applicazione della recidiva “specifica” ex art. 99, comma 2, n. 1, cod. pen., tesi a superare il criterio formale della identità della norma incriminatrice in nome dei criteri del bene giuridico violato o del movente delittuoso, che consentono di accertare, nei casi concreti, i caratteri fondamentali comuni fra i diversi reati (v. anche Sez. 6, n. 15439 del 17/03/2016, C., Rv. 266545), pur non essendo sufficiente il rilievo dell’analogo movente economico alla base dei diversi reati (Sez. 5, n. 40281 del 13/07/2017, Baratto, Rv. 271014). Tale impostazione sistematica ha condotto la Corte a sottolineare come il criterio sostanziale – pur evocato dal legislatore nell’art. 101 cod. pen. mediante il riferimento alla natura dei fatti o ai motivi dell’agire – «dilata sensibilmente l’area dei reati della stessa indole, determinando, nelle diverse ipotesi che a tale concetto si richiamano, un trattamento più sfavorevole per il soggetto che ne è attinto»: ne consegue che, come già affermato da precedenti arresti (Sez. 4, n. 27323 del 04/05/2017, Garbocci, Rv. 270107), ai fini che qui occupano l’identità dell’indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione alla singola fattispecie esaminata, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni.


4. Abitualità e precedenti di polizia

In ogni caso, ai fini della configurabilità del presupposto ostativo della abitualità della condotta illecita, «non rileva la mera presenza di denunzie nei confronti dell’imputato o di “precedenti di polizia”, di cui si ignori la sorte, dovendo il giudice, sollecitato dalla difesa o anche di ufficio, verificare l’esito di tali segnalazioni, per trarne l’esistenza di eventuali concreti elementi fattuali che dimostrino la abitualità del comportamento dell’imputato». (Sez. 4, n. 51526 del 04/10/2018, B.)

In tale prospettiva, la Corte ha escluso che, in subiecta materia, possano estendersi le soluzioni applicative adottate, ad esempio, al fine della concedibilità o meno delle circostanze attenuanti generiche, laddove si è affermato che il giudice, alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., può ben considerare i precedenti giudiziari, ancorché non definitivi (cfr. Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013, Paderni, Rv. 257200), nonché i meri precedenti di polizia (Sez. 2, n. 18189 del 05/05/2010, Vaglietti e altri, Rv. 247469), anche se successivi al compimento dell’illecito per cui si procede (Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane e altri, Rv. 252881), in quanto elementi che sono espressione della personalità dell’imputato (cfr. Sez. 4, n. 18795 del 07/04/2016, P., Rv. 266705, con specifico riferimento ad illeciti prescritti o amnistiati). Nella specie, invero, non si tratta già di modulare la pena, ma di verificare la sussistenza o meno di una causa di non punibilità, ed in tale dimensione ricostruttiva la Corte ha preso le mosse dall’autorevole precedente costituito da Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591, allorché si è chiarito che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione, ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131-bis cod. pen. e, più in generale, a reati che possono essere anche solo in corso di accertamento giudiziale (in tal senso, la sentenza richiama il passo della motivazione delle S.U. in cui si puntualizza che «La pluralità dei reati può concretarsi non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l’esistenza»).

In ogni caso, peraltro – osserva la decisione della Quarta sezione – i principi enunciati dalle Sezioni Unite non fanno riferimento a mere ipotesi, quali sono le denunzie ed i precedenti di polizia, intese come prospettazioni unilaterali tutte da verificare e che, isolatamente considerate, non forniscono nemmeno la prova della iscrizione di una compiuta notitia criminis nel registro delle notizie di reato. In tale contesto, va notato che la decisione in esame si colloca nel medesimo alveo di altra recente pronunzia (Sez. 2, n. 41774 del 11/07/2018, Moretti, Rv. 274247), nella quale si è escluso, sulla scorta della stessa Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo predisposta dal Governo, che il mero “precedente giudiziario” possa essere, di per sé, ostativo al riconoscimento dell’art. 131-bis cod. proc. pen., al pari delle testimonianze da cui sia emersa la reiterazione da parte dell’imputato di condotte identiche a quella contestata, quando non si conosca se tali condotte abbiano dato luogo a denunce o querele e siano state oggetto di accertamento processuale.



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