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Riciclaggio: configurabile il dolo eventuale


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di riciclaggio

La massima

In tema di riciclaggio, si configura il dolo eventuale quando l'agente ha la concreta possibilità di rappresentarsi, accettandone il rischio, la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito. (Fattispecie nella quale la Corte ha censurato la decisione assolutoria per insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, assunta dalla Corte territoriale, nonostante risultassero noti all'imputato alcuni indici rivelatori della provenienza delittuosa della cospicua somma investita, quali l'allocazione dei fondi in Paesi off shore e l'intestazione a soggetti giuridici costituiti per impedire l'individuazione del reale beneficiario - Cassazione penale , sez. II , 28/05/2018 , n. 36893).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 28/05/2018 , n. 36893

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 30/10/2017, rideterminava la pena nei confronti di P.M. nella misura di anni tre, mesi sette, giorni dieci di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa con riferimento ai reati indicati nell'originaria imputazione:


ai capi Z) e Z4), di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 317 c.p.; e artt. 110 e 317 c.p., riqualificava le imputazioni nel reato di cui all'art. 319 quater (indebita induzione in danno del colorificio Stangalini e in danno di A.F. per una somma di denaro e la fornitura di una lavatrice);


- assolveva la predetta P. dal reato di cui al capo T4) relativo alla ricettazione di materiale vario proveniente da rapporti corruttivi;


- riqualificava il reato di cui al capo B) - art. 648 c.p., comma 1 - in quello di cui all'art. 318 c.p. (acquisto di un appartamento in (OMISSIS) ad un prezzo vistosamente inferiore rispetto al valore di mercato, ma il reato veniva dichiarato prescritto);


- quanto al capo Al (art. 81 cpv. c.p., art. 648 bis c.p., comma 1), esso riguardava il riciclaggio di somme di denaro, che veniva trasferito in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza, accreditando somme contanti in conti correnti e libretti di deposito di varia entità, intestati all'imputata o congiuntamente al coniuge (denaro proveniente da attività concussiva del marito con la piena consapevolezza dell'imputata, circa il reato addebitatole). La condanna conseguiva a diffuse condotte corruttive e induttive per fatti risalenti agli anni 2007, 2008, 2009.


2. Ricorre per cassazione P.M. per il tramite del difensore di fiducia per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..


1) con riferimento al capo A1), si deduce nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in particolare dell'art. 379, e in subordine dell'art. 648 c.p.. La sentenza della Corte di appello riteneva che l'accorgimento di versare somme non presso un istituto bancario, bensì su un deposito relativo ad una cooperativa di consumo dovesse essere qualificato come reato ai sensi dell'art. 648 bis c.p.. Viceversa, la difesa chiede riqualificarsi la condotta in favoreggiamento reale ai sensi dell'art. 379 c.p., o, al più, in ricettazione, ai sensi dell'art. 648 c.p.;


2) sempre con riferimento al delitto di cui al capo Al), si denuncia erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in conseguenza di jus superveniens, trattandosi di condotta inquadrabile nello schema degli artt. 110 e 648 ter.1 c.p., (autoriciclaggio) e pertanto non punibile;


3) con riferimento ai capi Z) e Z4), si denuncia nullità della sentenza per erronea applicazione dell'art. 110 c.p.;


4) si lamenta infine il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato.


2. Con il primo motivo la difesa chiede - come già richiesto presso i giudici di merito - di qualificare diversamente il reato sub A1), sussumendo la relativa condotta, in alternativa, o sotto le fattispecie di cui all'art. 379 c.p., ovvero sotto quella dell'art. 648 c.p..


La condotta è punita sulla base dell'art. 648 bis c.p., il quale sanziona il compimento di operazioni volte non solo ad impedire, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro dei beni o delle altre utilità, attraverso condotte caratterizzate da un tipico effetto dissimulatorio.


L'imputata aveva versato su un libretto di deposito di una cooperativa di consumo, e poi prelevato mediante assegni, denaro provento dalla attività concussiva attuata dal marito, comandante dell'Arma dei Carabinieri presso l'Ispettorato del lavoro, in danno di un imprenditore, in occasione di un infortunio verificatosi presso la sua azienda, dal quale aveva lucrato considerevoli somme. Un'altra parte delle somme era stata versata presso un conto corrente cointestato ad entrambi i coniugi.


Era stata ritenuta la piena consapevolezza della ricorrente della provenienza illecita della somma sia nel deposito delle somme predette, sia nei successivi prelievi mediante assegni bancari, integranti il contenuto del reato di cui all'art. 648 bis c.p., rappresentando la concussione commessa dal coniuge il "reato presupposto" dell'addebito di riciclaggio (i depositi ridondavano a vantaggio anche della ricorrente, ed il versamento in libretto della cooperativa, richiedendo obblighi di comunicazione diversi rispetto alla disciplina bancaria, rendeva più difficoltoso il rintraccio, potendo sfuggire ad accertamenti finanziari).


Si tratta di comportamenti sintomatici della consapevolezza in testa all'agente della provenienza illecita del denaro e del conseguente dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l'identificazione (Sez. 2, n. 50950 del 13/11/2013 - dep. 17/12/2013 - Rv. 257982).


Va evidenziato che il delitto di "riciclaggio" si distingue dal reato di "ricettazione", non tanto con riferimento ai delitti presupposti, bensì sulla base degli elementi strutturali relativi 1) all'elemento soggettivo che implica il dolo specifico dello scopo di lucro nella ricettazione e il dolo generico nel delitto di riciclaggio; 2) all'elemento materiale che, con particolare riferimento all'art. 648 bis c.p., ha riguardo alla idoneità ad ostacolare l'identificazione della provenienza del bene quale "indice caratteristico" delle condotte di cui all'art. 648 bis c.p., (Sez. 2, n. 10746 del 21/11/2014 (dep. 13/03/2015) Rv. 263155) secondo cui, in tema di distinzione tra il delitto di riciclaggio e quello di ricettazione, l'elemento essenziale ai fini della qualificazione giuridica del fatto nel reato di cui all'art. 648 bis c.p., è la idoneità della condotta ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene, in presenza della quale, il concreto intento di lucro, può valere a rafforzare, ma non ad escludere, il dolo generico del riciclaggio.


Del pari, non può essere accolta la richiesta di una diversa qualificazione giuridica del fatto addebitato nel delitto di favoreggiamento reale, poichè tale delitto concreta una figura criminosa "sussidiaria" rispetto al riciclaggio di denaro, come del resto evidenziato dalla clausola di salvaguardia ivi contenuta e trova applicazione il principio selettivo della specialità stabilito dall'art. 15 c.p., laddove occorre riconoscere che nella struttura del reato di cui all'art. 648 bis c.p., sono presenti, oltre tutti gli elementi propri dell'altra figura, l'elemento specializzante del compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, od anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità.


Se è vero, infatti, che l'ipotesi criminosa di cui all'art. 648 bis, in esame (sostituzione di denaro o valori) risulta modellata sui reati di ricettazione e favoreggiamento reale, tuttavia la norma prevista dall'art. 648 bis c.p., richiede un elemento ulteriore costituito dalla "direzione della condotta al conseguimento della sostituzione del denaro o dei valori".


Siffatto inquadramento in senso funzionalistico della fattispecie esaminata rende priva di conducenza l'affermazione difensiva che "la somma non fu nè sostituita nè trasferita essendo depositata su un conto riferibile al colpevole del delitto presupposto.... neppure per la seconda parte vi fu trasferimento ma a tutto concedere mero occultamento difettando la sostituzione e realizzandosi soltanto l'aiuto ad eludere... investigazioni, attraverso l'occultamento".


E' orientamento della giurisprudenza di legittimità che per realizzare la condotta di riciclaggio, non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni provento di reato, ma è sufficiente anche che essa sia solo ostacolata (Sez. 2^, n. 26208 del 9 marzo 2015, Rv. 264368): in applicazione del principio, si è già ritenuto che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi versa denaro di provenienza illecita sul conto corrente intestato a una società fiduciaria in difetto di un formale incarico da parte del titolare della somma movimentata, poichè, in tal modo, si realizza un ostacolo alla tracciabilità del percorso dei beni provento di reato. Si è anche ritenuto che integra il delitto di riciclaggio, e non il meno grave delitto di ricettazione, la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poichè, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con "denaro pulito" (Sez. VI, n. 13085 del 3 ottobre 2013, dep. 2014, Rv. 259485; Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017 Rv. 271530).


3. Con il secondo motivo - che ha riferimento sempre al delitto di cui al capo Al) - si chiede di inquadrare la condotta nello schema di cui all'art. 648 ter.1 c.p., e pertanto non punibile, in conseguenza (secondo l'assunto difensivo) di jus superveniens.


Correttamente la Corte di appello non ha accolto la richiesta avanzata dal ricorrente, non riconoscendo, in luogo del delitto di riciclaggio, il concorso nella condotta di autoriciclaggio, commessa dal marito dell'imputata, autore del reato presupposto, sostenendo che doveva escludersi il concorso di P.M. nel detto reato presupposto.


La difesa, al contrario, sostiene che era necessario accertare la sussistenza di elementi per ritenere che l'imputata avesse collaborato con il marito nell'azione finalizzata alla messa in salvo del denaro proveniente dal delitto principale, elementi che si possono trarre dalla ricostruzione storica del fatto. Dal che la necessità di ricondurre il fatto medesimo alla più appropriata fattispecie di cui all'art. 648 ter.1 c.p., reato tuttavia, non vigente all'epoca del fatto.


Orbene, la sopra esposta ricostruzione non può essere accolta, poichè dagli atti risulta che i versamenti sul libretto sono stati sicuramente effettuati dalla sola P. con la consapevolezza in ordine alla provenienza illecita sia per la consistenza delle somme depositate in meno di dieci giorni sia per la successiva esecuzione in breve tempo di prelievi mediante assegni bancari sempre di notevole ammontare.


In punto di diritto, la fattispecie di cui all'art. 648 ter.1, è stata introdotta nell'ordinamento con L. 15 dicembre 2014, n. 186, e tale previsione non ha operato una "resezione" rispetto alle condotte contemplate, perchè aggiunge contegni penalmente rilevanti e perciò punibili. Al momento del fatto, la condotta era punibile sulla base della fattispecie di cui all'art. 648 bis c.p., poichè la prima norma non era ancora entrata in vigore. Di conseguenza non è fondato sostenere che sia mutato il titolo di reato e pertanto sia applicabile la fattispecie di cui all'art. 117, che tradizionalmente rende comunicabili agli altri concorrenti le circostanze inerenti alle qualità personali del colpevole o ai rapporti tra il colpevole e l'offeso che fanno mutare il titolo di reato. Non avendo la P. concorso con il marito nel reato presupposto, non si pone la questione relativa allo jus superveniens poichè l'un reato esclude l'altro, non può trovare applicazione la nuova figura più volte citata di cui all'art. 648 ter.1 c.p..


Peraltro, precisa la giurisprudenza che, in tema di autoriciclaggio, il soggetto che, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio o contribuisca alla realizzazione da parte dell'autore del reato - presupposto delle condotte indicate dall'art. 648 ter.1 c.p., risponde di "riciclaggio" e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio, essendo questo configurabile solo nei confronti dell'intraneus (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018 Rv. 272652).


A ben riflettere poi, sussistono almeno due ordini di ragioni per ritenere non configurabile il delitto di cui all'art. 648 ter 1 c.p., nella condotta tenuta dall'imputata. Non costituisce nè "attività economica" nè "attività finanziaria" il mero deposito di una somma su un conto corrente o un libretto di deposito, poichè è "economica" secondo la indicazione fornita dal codice civile all'art. 2082 soltanto quella attività finalizzata alla produzione di beni ovvero alla fornitura di servizi ed in essa non rientra certamente la condotta contestata; nè tantomeno può ritenersi ravvisabile nella condotta di versamento di somme in un conto corrente un'attività "finanziaria" con ciò facendosi riferimento ad ogni attività rientrante nell'ambito della gestione del risparmio ed individuazione degli strumenti per la realizzazione di tale scopo.


In secondo luogo deve precisarsi che la norma sull'autoriciclaggio punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità "commesse dallo stesso autore del delitto presupposto", finalizzato ad occultare l'origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto. Nessuna delle due condizioni ricorrono nel caso di specie.


4. Con il terzo motivo si contesta la partecipazione concorsuale della ricorrente agli episodi di indebita induzione, nei confronti di taluni operatori commerciali (titolari di un colorificio e di un panificio, assoggettatisi a fornire merce senza ottenere il prezzo). Sostiene la difesa che, con queste condotte, l'intervento della ricorrente sarebbe stato successivo al perfezionamento del reato consumatosi con la promessa alla quale la P. era stata estranea e pertanto la condotta dell'imputata concreterebbe, al più, un post factum non punibile. Il motivo non può essere accolto perchè fa leva sulla conversazione intercorsa tra il marito della P. con la medesima, sulla cui interpretazione non possono sorgere dubbi o alternative spiegazioni, in uno alla continua consapevolezza e partecipazione dell'imputata alle iniziative illecite del coniuge connesse alla sua attività di servizio.


All'evidenza, il motivo proposto introduce in questa sede elementi di fatto tendenti ad una diversa ricostruzione di merito, non consentita nel giudizio di legittimità.


5. Con il quarto motivo si invoca l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche denegate dal primo e dal secondo giudice. Il motivo è del pari infondato anche perchè aspecificamente proposto.


In tema di circostanze attenuanti generiche, va detto che esse consentono un adeguamento della sanzione alle peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto, ma la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, avendo il giudice l'obbligo, ove ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l'insussistenza e, quando ne affermi l'esistenza, di dare apposita motivazione per fare emergere gli elementi atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 2, n. 2769 del 2/12/2008 dep. 21/1/2009, Rv. 242709; Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315).


Orbene, l'impugnazione ha genericamente censurato il diniego, rilevando che "le violazioni commesse dall'imputata costituivano una mera parentesi nella vita di una donna, la quale non agiva in posizione paritaria con il marito". I giudici di merito invece, hanno fatto riferimento alla condivisione della donna rispetto all'attività corruttiva e concussiva posta in essere dal marito nell'esercizio delle sue funzioni, considerando altresì l'elevato livello delle sue competenze culturali e professionali. In ogni caso, la Corte d'appello ha provveduto a rideterminare la pena in misura più ridotta, così mostrando di tenere conto del profilo soggettivo della ricorrente.


7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.


Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2019




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