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L’arbitraria occupazione di area demaniale richiede un rapporto di fatto illegittimo che esclude quello pubblico preesistente

Invasione di terreni ed edifici

Cassazione penale sez. II, 20/10/2023, n.46709

Il reato di arbitraria occupazione di area demaniale postula l'instaurazione di un rapporto di fatto illegittimo, che esclude in tutto o in parte quello preesistente del soggetto pubblico e dal quale il privato trae un qualsiasi profitto. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse ritenersi legittimamente acquisita tramite alluvione, ex art. 941 c.c., la porzione di terreno prospiciente la riva di un fiume, trattandosi di bene appartenente al demanio necessario dello Stato, sottratto in assoluto alla proprietà privata, sicché la costruzione di opere su di esso costituiva occupazione arbitraria di fondo altrui).

Il reato di invasione di terreni o edifici richiede il dolo specifico di occupazione arbitraria o profitto

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L’arbitraria occupazione di area demaniale richiede un rapporto di fatto illegittimo che esclude quello pubblico preesistente

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO S.A., ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno del 28/03/2023 che, in riforma della sentenza del Tribunale di Salerno, ha rideterminato la pena inflitta all'imputato in relazione al reato di cui agli artt. 633 e 639-bis c.p., e revocato la disposta confisca. 1. Il ricorrente, con due motivi, deduce: 1. Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla sussistenza del reato di "invasione di terreni o edifici" a lui ascritto, posto che la particella (Omissis) era già di sua proprietà, in virtù di un acquisto a titolo derivativo. Invero, la porzione di particella (Omissis) del comune di (Omissis) "ricadente interamente in (Omissis)" e sulla quale erano state realizzate svariate opere da parte dell'imputato, era stata da lui acquistata a titolo originario, a norma dell'art. 941 c.c., per effetto degli incrementi di terreno dovuti alla alluvione, ossia alla spontanea e impercettibile modificazione della sponda del fiume dovuta a cause naturali. Pertanto, non vi era stata un'abusiva introduzione nel bene demaniale da parte dell'imputato o dei suoi danti causa, ma una modificazione naturale dei confini della particella già legittimamente posseduta, con conseguente legittimità delle opere ivi costruite. In ragione di ciò, la Corte territoriale avrebbe erroneamente identificato il momento consumativo del reato all'epoca della realizzazione delle opere, poiché il reato de quo non può dirsi consumato "quando si continui, pur illegittimamente, a possedere un bene, peraltro, già posseduto dal proprio dante causa". 2. Vizio di motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva per avere la Corte d'appello omesso, anche graficamente, di rispondere alla censura, specificatamente proposta con l'appello, inerente alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, attraverso la quale si voleva dimostrare l'epoca e le modalità di incremento della particella de quo, così da escludere la sussistenza di un'occupazione abusiva da parte dell'imputato. 3. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale Giulio Romano, con requisitoria del (Omissis), ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. 4. Con nota di conclusioni del (Omissis), il difensore del ricorrente ha insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Invero, la censura mossa dall'imputato, secondo cui le opere realizzate nella porzione di particella immediatamente prospiciente al fiume (Omissis) sarebbero legittime in virtù dell'antecedente e legittima acquisizione di tale porzione di terreno per effetto delle impercettibili unioni di terra avvenute ai sensi dell'art. 941 c.c., muove da un erroneo presupposto di diritto. Tra i beni appartenenti allo Stato che fanno parte del demanio pubblico e che sono tassativamente indicati all'interno dell'art. 822 c.c., vi rientrano i fiumi. Essi attengono alla categoria del demanio idrico e si tratta di un bene demaniale c.d. necessario, ossia di uno di quei beni che per sue qualità e caratteristiche intrinseche è sottratto in assoluto alla proprietà privata e può appartenere soltanto alle amministrazioni territoriali. Infatti, l'art. 823 c.c., nel quale è contenuta la disciplina civilistica del demanio pubblico, stabilisce che i beni che fanno parte del demanio sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Pertanto, una volta acclarata la natura demaniale della porzione di particella situata lungo la riva destra del fiume Tusciano ne consegue l'impossibilità di ammetterne l'acquisto a titolo originario con conseguente legittimità delle svariate opere ivi realizzate, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 822-823 c.c., dai quali si ricava una deroga rispetto al modello privatistico generale che trova giustificazione proprio in ragione della funzionalizzazione dei beni in questione al perseguimento dell'interesse pubblico. Invero, la clausola di riserva contenuta nell'ultimo inciso dell'art. 941, "salvo quanto è disposto dalle leggi speciali", esclude l'applicazione della c.d. "accessione fluviale" alla materia delle acque pubbliche, ormai interamente disciplinata da leggi speciali. Pertanto, la costruzione di opere sul predetto fondo da parte dell'imputato, non solo non può trovare giustificazione in virtù del suo legittimo possesso, posto che tale porzione di terreno non poteva essere acquisita tramite alluvione; bensì, come emerge dall'esame degli atti del processo - dai quali si ricava l'assenza di titoli abitativi o di qualsiasi altra autorizzazione amministrativa, nonché l'inosservanza delle disposizioni contenute nell'atto di diffida, volte a regolarizzare la posizione dell'imputato nei confronti della Regione Campania (si veda, in particolare, pag. 8 della sentenza di primo grado) -, non può che costituire un'occupazione arbitraria di un fondo altrui, che nella specie appartiene allo Stato; restando del tutto indifferente la circostanza per cui la particella 933 fosse stata legittimamente acquisita in virtù di un acquisto a titolo derivativo, poiché ciò che viene contestato all'imputato è di avere illegalmente e abusivamente allargato l'oggetto del suo possesso, peraltro anche in difetto di un precedente titolo abilitativo che ne legittimi, in ipotesi, l'estensione. Pertanto, i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato di arbitraria occupazione di area demaniale implica l'instaurazione di un rapporto di fatto illegittimo, che escluda in tutto o in parte quello preesistente del soggetto pubblico, e dal quale il privato tragga un qualsiasi profitto (Sez. 3, n. 865 del 22/02/1996, Coppola, Rv. 204303). 2.1. Infine, considerando che "il delitto di invasione di terreni o edifici ha natura permanente nel caso in cui l'occupazione abusiva si protragga nel tempo" (Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, Vetrano, Rv. 274458-01), correttamente il momento consumativo del reato è stato identificato con la cessazione della condotta abusiva da darsi risalire all'atto del sequestro preventivo avvenuto il 12/07/2016 (con conseguente esclusione di profili di estinzione del reato per prescrizione, a prescindere dai 245 giorni di sospensione intervenuti nelle more del procedimento). 3. Infondata e', altresì, la doglianza secondo cui l'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale avrebbe negato la possibilità di provare che l'incremento del fondo fosse antecedente all'acquisto a titolo derivativo del bene, poiché tale indagine è resa del tutto superflua ed indifferente dalle caratteristiche proprie del fondo; trattandosi, infatti, di un bene demaniale non trovano applicazione le regole della proprietà privata contenute nel Codice civile. In aderenza al principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non bisognevole di approfondimenti indispensabili (Sez. 4, n. 47095 del 02/12/2009, Segio, Rv. 245996-01; in questo senso v. Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589-01) la Corte territoriale ha, con motivazione logica e giuridicamente corretta, seppure coincisa ed essenziale, correttamente evidenziato che "ricadendo in area demaniale (...) è indiscutibile che le opere realizzate sull'area integrino l'arbitraria invasione contemplata dalle norme incriminatrici" 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2023. Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2023
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