RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 08/10/2018 il Tribunale di Milano ha condannato alla pena di giustizia F.M. e R.M., avendoli ritenuti responsabili di vari fatti di bancarotta fraudolenta distrattiva, il primo quale amministratore di diritto e liquidatore dal 19/12/2008 sino alla data del fallimento (03/05/2011), il secondo quale amministratore e socio unico sino al 19/12/2008 e quale amministratore di fatto sino alla stessa data della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione.
Con sentenza del 16/11/2020 la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha assolto F.M. dalla distrazione della somma di 169.600,00 Euro (avvenuta in epoca anteriore all'assunzione della carica di amministratore), confermando nel resto la sentenza, salvo che per la rideterminazione, nei confronti di entrambi gli imputati, delle pene accessorie fallimentari di cui all'art. 216, u.c., L. Fall..
2. Nell'interesse del R. e del F. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando: a) che numerose operazioni contestate agli imputati erano state poste in essere in tempi non sospetti o comunque al fine di far fronte a debiti scaduti, con la conseguente insussistenza di un coefficiente di dolo e necessità di riqualificare i fatti come operazioni manifestamente imprudenti, ai sensi dell'art. 217 L. Fall., o come bancarotta preferenziale, ai sensi dell'art. 216, comma 3, L. Fall.; b) che la dichiarazione di fallimento, in quanto elemento costitutivo del reato, deve porsi in collegamento causale con la condotta ed essere coperto dal dolo dell'autore; c) che, invece, nel caso di specie, come chiarito dalla curatrice fallimentare, il dissesto era scaturito da un'ispezione dell'Inps, effettuata tra il febbraio e il giugno del 2010, e dal conseguente blocco dei cantieri, laddove gli atti dispositivi contestati erano stati posti in essere tra il 2007 e il gennaio 2010 e avevano anche comportato delle sopravvenienze attive; d) che in tale contesto l'ispezione dell'Inps aveva in ogni caso interrotto il nesso causale.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali, rilevando: a) quanto alla distrazione della somma di 169.600,00 Euro, attribuita al solo R., che, a parte l'epoca in cui l'operazione sarebbe stata effettuata - ossia quando ancora non c'erano creditori della fallita da tutelare -, non era stata acquisita la prova documentale dei pagamenti; questi peraltro erano stati operati, secondo la sentenza impugnata, in favore della Erreemme Immobiliare s.r.l., ossia di società diversa da quella indicata dalla prospettazione accusatoria, ossia la RM s.r.l.; b) che, in ogni caso, nel rapporto con quest'ultima società, emergeva un saldo
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attivo in favore della società poi fallita; c) che la distrazione dei canoni di locazione versati in favore della Erreemme Immobiliare s.r.l. era stata ritenuta sussistente, senza spiegare come avrebbe potuto la società poi fallita occupare immobili non propri senza corrispondere alcun corrispettivo e comunque senza illustrare le ragioni della ritenuta eccessività dei canoni; d) che del tutto irragionevolmente si era ritenuta sussistente la distrazione che sarebbe stata operata attraverso la cessione simulata di autoveicoli ai dipendenti, quando le risultanze dibattimentali avevano dimostrato che sette delle nove cessioni erano reali; e) che la Corte territoriale aveva, infine, ritenuto sussistente la distrazione delle rimanenze, sebbene il commercialista della società avesse illustrato che tale voce poteva anche rappresentare delle commesse in corso con pagamenti non ancora effettuati; e) che illogicamente la Corte d'appello aveva ritenuto che, nell'ambito di tali rimanenze, dovessero essere annoverati beni di cui a fatture di acquisto che la curatrice aveva ricondotto ad altra distrazione ritenuta insussistente dal Tribunale.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione alla mancata riqualificazione del pagamento dei canoni di locazione e della retrocessione dei beni alla venditrice Vipe s.r.l., come bancarotta preferenziale.
2.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali, per avere la Corte territoriale valorizzato quanto accertato dalla relazione del curatore fallimentare sulla base degli accertamenti disposti dall'Inps, nonostante che la relazione dell'Istituto non fosse accompagnata dai verbali di audizione o da altri documenti rappresentativi di quanto affermato.
Si aggiunge che, ai fini del giudizio di responsabilità, si erano valorizzate le dichiarazioni di S.P., che non potevano ritenersi attendibili, per la partecipazione della prima alla vita delle tre società coinvolte nel presente procedimento e per lo stesso corrispettivo percepito dalla fallita, e che comunque non erano corroborate da altri elementi di prova.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilità del R. per il periodo dal 19/12/2008 e per il F., con riguardo al periodo antecedente al 19/12/2008, rilevando: a) quanto al primo, l'assenza di atti gestori dopo la cessazione dalla carica di amministratore di diritto, dal momento che le conclusioni della Corte territoriale erano state fondate su dichiarazioni di due persone non ascoltate nel contraddittorio delle parti; b) quanto al secondo, la contraddittorietà della decisione che, dopo avere assolto il F. per la distrazione di 169.000,00 Euro, in quanto avvenuta in epoca antecedente alla sua nomina, aveva poi confermato la condanna per la distrazione di somme erogate prima dell'assunzione della carica di amministratore (si tratta della somma di 115.304,80 Euro versate a titolo di canoni di locazione dal dicembre 2007 al dicembre 2008).
2.6. Con il sesto motivo si lamenta violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 219, comma 2, L. Fall., deducendo che essa non può dirsi sussistente alla luce del capo di imputazione e che gli episodi attribuiti agli imputati sono espressione di un'unica azione.
3. Sono state trasmesse, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Venegoni Andrea, il quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità o, in subordine, il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e', nel suo complesso, infondato.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (che non rientra, pertanto, nel fuoco del dolo), essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, sicché, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804).
D'altra parte, la natura di reato di pericolo concreto rispetto alla "conservazione dell'integrità del patrimonio dell'impresa, costituente la garanzia per i creditori della medesima" (Corte Cost., ord. n. 268 del 1989) richiede che "l'offesa provocata dal reato non può ridursi al mero impoverimento dell'asse patrimoniale dell'impresa, ma si restringe alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori" (Sez. 5, n. 16388 del 23/03/2011, Barbato, Rv. 250108, in motivazione).
Per questo si è ritenuto, indipendentemente dalla soluzione che s'intenda dare alla questione della natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento che, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763 - 01).
Ciò posto, deve ribadirsi che l'esito conforme delle decisioni pronunciate nei due gradi di giudizio consente di operare la lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, trattandosi di motivazioni che si fondono in un unico corpo di argomenti a sostegno delle conclusioni raggiunte per il principio della c.d. doppia conforme - su cui v., da ultimo, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E, Rv. 277218 -, a tenore del quale ove le decisioni di merito abbiano entrambe affermato la responsabilità dell'imputato "le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità" (in questi termini, nella motivazione, Sez. 2, n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096).
In tale contesto, il tema, assertivamente introdotto dal ricorso, della lontananza degli atti distrattivi rispetto alla data della sentenza dichiarativa di fallimento riposa sull'insistita rilevanza causale attribuita all'ispezione dell'INPS del 2010, completamente trascurando i fatti che, secondo la sentenza di primo grado, sono stati accertati in quella sede, ossia l'irregolare impiego di personale inquadrato con contratti di collaborazione coordinata e continuativa e l'utilizzazione di lavoratori extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno.
In altri termini, non è l'accertamento dell'INPS ad avere paralizzato l'operatività della società, ma la scelta di svolgere in termini irregolari l'attività imprenditoriale, mettendo in conto il maturare di debiti per l'inadempimento degli obblighi di legge.
D'altra parte, sempre secondo la sentenza di primo grado, non semplicemente per effetto del ricalcolo del reddito imponibile derivante dal maggior impiego di manodopera emerso in sede di accertamento (secondo le doglianze dell'appello proposto nell'interesse del R.), ma proprio dall'analisi dei bilanci della società effettuata dal curatore era emerso che già nel 2009 si era registrata una perdita di esercizio superiore ai due milioni di Euro che aveva azzerato il capitale sociale.
Significativamente la sentenza di primo grado aggiunge che, avendo riguardo agli indici di valutazione patrimoniale - finanziaria desumibili dai bilanci relativi al triennio 2007 - 2009, il curatore aveva evidenziato la palese inadeguatezza del capitale proprio, l'assoluta dipendenza della società dal sistematico ricorso al credito a breve di banche e fornitori e, in definitiva, l'incapacità dell'impresa di far fronte alle passività con i mezzi ritratti dalla gestione ordinaria.
Si tratta di rilievi che dimostrano l'assoluta genericità della deduzione secondo la quale gli atti distrattivi sarebbero stati operati in un contesto nel quale nessuna reale messa in pericolo della garanzia dei creditori era configurabile.
E ciò senza dire degli ulteriori profili di fraudolenza che emergono esaminando le singole condotte attribuite, alla luce delle censure sviluppate nel secondo motivo di ricorso.
2. Il secondo motivo e', del pari, nel suo complesso, infondato
2.1. Le doglianze concernenti la distrazione della somma di 169.600,00 Euro, attribuita al solo R. - fermo quanto sopra rilevato a proposito delle considerazioni relative al tempo dell'operazione - ruotano attorno alla mancata acquisizione dei "conti correnti", ma il punto è che la sentenza impugnata valorizza gli accertamenti operati dal curatore, indicati nella relazione, dai quali emerge la prova dei bonifici per 151.000,00 Euro e l'annotazione della compensazione con un controcredito per la somma restante (e ciò indipendentemente dall'indicazione della società beneficiaria, frutto di mero errore materiale, come si desume non solo dalla rubrica del punto 4.3 della motivazione, ma anche dal resto della motivazione, dalla quale appare chiaro che la società destinataria è la RM s.r.l. e non la Erreemme Immobiliare s.r.l.). Ora, posto che non esiste un sistema vincolante di prove dimostrative dei fatti rilevanti ai fini del decidere, deve escludersi che la affermata mancata acquisizione degli estratti dei conti correnti possa aver menomato, di per sé, il diritto di difesa. Del tutto inconferente e', infine, già in astratto, la (peraltro assertiva) deduzione di un saldo attivo, nei rapporti di dare - avere nei rapporti tra la società fallita e la (OMISSIS) s.r.l., posto che la distrazione della quale si discute riposa non sul saldo aritmetico negativo, ma sull'assenza di causa dei pagamenti, come peraltro ben inteso dal R. nel suo atto di appello.
Una volta superato il tema della prova delle erogazioni, resta la piana applicazione della regola per la quale la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l'accertamento della previa disponibilità, da parte dell'imputato, dei beni non rinvenuti in seno all'impresa (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, Buttitta, Rv. 249715): una volta raggiunta tale dimostrazione, la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, Zanettin, Rv. 255385), in quanto le condotte descritte all'art. 216, comma 1, n. 1 L. Fall., hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto della garanzia che su di lui grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie. E' in funzione di siffatta garanzia che si spiega l'onere dimostrativo posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura. Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato perché fornisca la dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l'artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 2011 cit., in motivazione).
In altri termini, a fronte della sicuro ingresso nel patrimonio dell'imprenditore di componenti attive e dell'assoluta impossibilità di ricostruire la destinazione delle stesse, del tutto ragionevolmente si può desumere che queste ultime siano state sottratte alla garanzia dei creditori, nella piena consapevolezza della concreta pericolosità di tali condotte in vista del soddisfacimento delle loro pretese.
E allora, a ben guardare, non viene in questione un ribaltamento dell'onere probatorio ma la sollecitazione a fornire elementi idonei a scardinare, introducendo un ragionevole dubbio, le conclusioni altrimenti univocamente raggiungibili sul piano logico.
2.2. Quanto alla distrazione dei canoni di locazione versati in favore della Erreemme Immobiliare s.r.l., le critiche sono reiterative e non affrontano la reale ratio decidendi che emerge dalle decisioni dei giudici di merito.
Il tema non è quello del necessario canone da corrispondere al locatore, ma del carattere fittizio dell'intera operazione, desunto dalla valutazione globale di una serie di dati sui quali il ricorso non si sofferma: la cessione di immobili in favore di Ubi Leasing, creata poco prima; la conclusione di contratti di sublocazione tra la Erreemme Immobiliare s.r.l., amministrata dal R. e divenuta locatrice degli immobili, e la RM LT s.r.l., sempre gestita dal R., per un canone eccessivo (ed esattamente la sentenza rileva che tale giudizio non muta per il fatto che esso era equivalente a quello versato da Erreemme Immobiliare s.r.l. favore di Ubi Leasing, giacché tale rilievo non spiega per quale ragione la società poi fallita abbia scelto una soluzione antieconomica, sol perché la sublocatrice l'aveva accettata); il dato significativo - poiché non accompagnato da contrarie, obiettive risultanze - che nell'immobile di Verbania aveva sede un'unità secondaria, dichiarata cessata persino presso il registro delle imprese.
Anche il tema dell'antieconomicità del canone rinegoziato è affrontato dalla sentenza impugnata in termini che non palesano alcuna illogicità, dal momento che hanno riguardo alla conclamata situazione di crisi della RM LT s.r.l..
2.3. Quanto alla distrazione che sarebbe stata operata attraverso la cessione simulata di autoveicoli ai dipendenti, le critiche sono del tutto assertive e aspirano ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie.
In particolare, il ricorso non si confronta con dati razionalmente ritenuti univoci da parte della Corte d'appello: ossia la concentrazione delle vendite in due giorni con corrispettivi non pagati, salvo che per importi irrisori, e il fatto che due presunti acquirenti si fossero detti all'oscuro dell'operazione traslativa in loro favore.
In definitiva, la Corte territoriale, senza palesare alcuna incongruenza motivazionale, ha escluso che gli elementi in atti consentissero di ritenere reali le cessioni
2.4. Quanto alla distrazione delle rimanenze, si osserva: a) che del tutto generica è la censura secondo la quale la Corte territoriale avrebbe affidato la prova della distrazione de qua a fatture d'acquisto che la curatrice avrebbe annoverato in altra distrazione, esclusa dal Tribunale; b) che la Corte ha chiarito come l'inclusione nelle rimanenze dell'attivo circolante delle commesse in corso di ordinazione rappresentava dato di nessun rilievo rispetto alla prova del fatto distrattivo, con la conseguenza che il ricorso sul punto insiste sulla questione in termini privi di specificità.
3. Il terzo motivo e', nel suo complesso, infondato.
Quanto al versamento dei canoni in favore della Erreemme Immobiliare s.r.l., occorre considerare quanto osservato supra sub 2 a proposito del carattere distrattivo dell'intera operazione.
Quanto ai beni retrocessi alla Vipe s.r.l., si osserva, in disparte la genericità della critica, che la Corte d'appello, rispondendo al motivo di doglianza, si è occupata soltanto - per escluderla dal novero delle distrazioni contestate - della vendita sottocosto alla medesima società di materiali di carpenteria.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
In linea generale, la critica che investe la rilevanza dimostrativa della relazione del curatore e dei verbali ispettivi dell'INPS si caratterizza per una assoluta genericità di formulazione, laddove, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 - 01).
Quanto alle critiche indirizzate alle indicazioni tratte dalle dichiarazioni della S., va ribadito che (v., di recente, Sez. 5, n. 17568 del 22/03/2021) che è estraneo all'ambito applicativo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" né fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510). Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformità allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167).
5. Il quinto motivo, per quanto attiene alla posizione del R., è inammissibile per genericità, poiché non si confronta in termini specifici con la motivazione della sentenza impugnata e richiama assertivamente dati senza illustrarne in termini puntuali il contenuto e consentire a questa Corte di intendere la concreta idoneità a scardinare il percorso argomentativo della sentenza impugnata.
La responsabilità del F. è stata argomentata dalla Corte territoriale in relazione alla vicenda della sublocazione degli immobili, alla luce dei motivi di censura sviluppati nell'atto di appello (che non investono, a differenza che per il pagamento della somma di 169.000,00 Euro, l'arco temporale di realizzazione della condotta), sottolineando che egli aveva dato continuità all'esecuzione del contratto, proseguendo nel pagamento dei canoni.
Il richiamo motivazionale alla persistenza nella materialità della condotta e alla condivisione dell'intento distrattivo illuminano peraltro la responsabilità anche in relazione al mancato esercizio delle doverose azioni recuperatorie.
6. Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Sotto il profilo del rapporto con il capo di imputazione, è appena il caso di rilevare che, in tema di reati fallimentari, nel caso in cui all'imputato siano contestati più fatti di bancarotta, la mancata contestazione esplicita della circostanza aggravante speciale di cui all'art. 219, comma 2, n. 1), L. Fall. non integra alcuna violazione dell'art. 522 c.p.p., perché il riferimento alla predetta circostanza aggravante, in tutti i suoi elementi costitutivi, è implicitamente contenuto nella descrizione della pluralità dei reati, la cui contestazione pone l'imputato in condizione di conoscere il significato dell'accusa e di esercitare il diritto di difesa (Sez. 5 n. 33123 del 19/10/2020, Martini, Rv. 279840 - 01).
D'altra parte, la cd. continuazione fallimentare non richiede alcuna formale contestazione (diversa, s'intende, da quella dei fatti di bancarotta), in quanto l'utilizzazione di tale istituto si risolve esclusivamente nell'applicazione di una disciplina più favorevole di quella che deriverebbe dalle regole generali in tema di determinazione della pena in caso di pluralità di reati.
Come chiarito da Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011 - dep. 26/05/2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249665, in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p..
Ciò posto e passando a trattare il secondo profilo della doglianza, si osserva che, in generale, il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ha natura di reato a condotta eventualmente plurima, che può essere realizzato con uno o più atti, senza che la loro ripetizione, nell'ambito dello stesso fallimento, dia luogo ad una pluralità di reati in continuazione, non venendo meno il carattere unitario del reato quando le condotte previste dall'art. 216 L. Fall. siano tra loro omogenee, perché lesive del medesimo bene giuridico, e temporalmente contigue (Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020 - dep. 09/04/2021, Verdini, Rv. 281031 - 01).
Ora, è vero che l'art. 216 L. Fall. contiene norme a più fattispecie alternative o fungibili, le quali, se hanno ad oggetto lo stesso bene, sono, per così dire, in rapporto di "alternatività formale", di "alternatività di modi", nel senso che le diverse condotte descritte dalla legge sono estrinsecazione di un unico fatto fondamentale e integrano un solo reato; ma è altresì vero che, in difetto, come nella specie (le operazioni sono avvenute in tempi diversi e hanno riguardato anche beni disomogenei), della detta unitarietà d'azione con pluralità di atti, anche tra fattispecie alternative, si ha concorso ogniqualvolta le differenti azioni tipiche siano distinte sul piano ontologico, psicologico e funzionale e abbiano ad oggetto beni specifici differenti.
7. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2022