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Bancarotta fraudolenta: ne rispondono anche i componenti del collegio sindacale di Srl per omesso controllo

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 11/05/2018, n.44107

La responsabilità per concorso nel reato di bancarotta fraudolenta è configurabile anche nei confronti dei componenti del collegio sindacale di società a responsabilità limitata che abbiano omesso i dovuti controlli sull'operato degli amministratori, sussistendo anche in tale ipotesi il potere di segnalazione previsto dall'art. 2409 cod. civ., norma che disciplina in linea generale i poteri del collegio sindacale, ove esistente.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. M.P. è stato condannato per concorso nella bancarotta fraudolenta patrimoniale della società (OMISSIS) srl, fallita il 15/4/2010, perchè, omettendo i dovuti controlli sull'operato degli amministratori; - doverosi nella sua qualità di sindaco della società - aveva favorito i propositi distrattivi di questi ultimi, concretizzatisi come segue: - appropriazione (nel periodo compreso tra il 17/6/2009 e il 24/3/2010) di somme per Euro 235.710 (capo b); - distrazione del ramo d'azienda più redditizio, affittato in prossimità del fallimento a canone irrisorio (capo d); - distrazione di circa Euro 100.00 per il noleggio di uno yacth utilizzato per fini personali nel 2006 e nel 2007 (capo f); - appropriazione di somme a titolo di compenso per l'amministrazione (Euro 5.000 mensili ed Euro 100.000 per indennità di fine mandato) non deliberato dall'assemblea (capo i). 2. Contro la pronuncia di condanna ha presentato ricorso il difensore dell'imputato, lamentando quanto segue: a) erronea applicazione dell'art. 40 c.p. in relazione a tutte le fattispecie di reato per cui è intervenuta condanna. Non è stata fornita la prova che le condotte penalmente rilevanti degli amministratori non si sarebbero verificate qualora l'imputato non avesse violato gli obblighi di legge che lo riguardavano. La struttura dell'art. 40 cpv c.p. comporta necessariamente il ricorso al ragionamento contro fattuale per assegnare giuridico rilievo penalistico al non agere. Inoltre, occorreva individuare i "poteri impeditivi" che caratterizzano la posizione di garanzia del sindaco all'interno della società; b) vizio di motivazione in ordine all'individuazione dei poteri impeditivi del sindaco, tenuto conto del fatto che la compagine sociale della (OMISSIS) srl coincideva con quella dell'organo amministrativo, sicchè non sarebbe valsa a distogliere gli amministratori dai loro propositi delittuosi una eventuale segnalazione all'assemblea; c) vizio di motivazione in ordine alla prova del dolo, poichè era stata accomunata la posizione di M. a quella degli altri sindaci, senza tener conto delle difficili condizioni personali e familiari dell'imputato a partire dal 2008. Inoltre, perchè era stato attribuito rilievo, contro l'imputato, a fatti neutri (mancanza di dimissioni e falsificazione, post factum, dei verbali del collegio sindacale). Era stata illegittimamente equiparata la conoscibilità dei fatti delittuosi alla loro conoscenza effettiva; d) erronea applicazione dell'art. 40 c.p. e L. Fall., art. 223, in quanto era stata affermata la responsabilità di M. per il noleggio dello yacht senza considerare che questi non avrebbe potuto impedire la distrazione delle somme necessarie al noleggio ma solo rilevarne, successivamente, la commissione, in quanto non rientra nei poteri del sindaco l'esercizio di un controllo preventivo sulle scelte dell'amministratore. Al più, M. avrebbe potuto rilevare l'eventuale, falsa appostazione contabile della spesa, con conseguente applicabilità dell'art. 223 L. Fall. in relazione all'art. 2621 c.c., nel concorso degli altre condizioni richieste dalla norma. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non merita accoglimento. 1. Effettivamente, come sottolineato dal ricorrente, la responsabilità per condotta omissiva presuppone il nesso causale tra l'omissione e l'evento, nonchè la coscienza e volontà delle conseguenze dell'omissione. Prima ancora, la responsabilità penale è collegata all'esistenza - a carico del soggetto - di un obbligo di attivazione, previsto dalla legge al fine specifico di prevenire l'evento. 2. Trattandosi di valutare la correttezza giuridica e la congruità argomentativa di una sentenza che si è pronunciata sulla responsabilità del sindaco di una società di capitali, occorre ricordare, brevemente, quali siano gli obblighi dell'organo di controllo, secondo la normativa civilistica, come riformata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in vigore dall'1/1/2004. Ebbene, ai sensi dell'art. 2403 c.c., "il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento". Inoltre, ove previsto dallo statuto, esercita (altresì) il controllo contabile. La norma pone a carico del sindaco, quindi, obblighi di "vigilanza" (che è qualcosa in più del "controllo" demandatogli dalla precedente normativa), relativa all'osservanza, da parte degli amministratori, "della legge e dello statuto", nonchè della "corretta amministrazione": formulazione in cui è compresa, ovviamente, la preservazione del patrimonio sociale rispetto ai comportamenti distrattivi o dissipativi dell'organo gestorio. L'indicazione normativa è tanto evidente che non ha bisogno di nessuna ulteriore spiegazione. 3. Per l'adempimento dei compiti riservatigli dalla legge il collegio sindacale, ed ogni suo componente, è titolare di una serie di poteri che lo pongono senz'altro in condizione di assolvere compiutamente ed efficacemente l'incarico. Esso può, infatti, procedere, in ogni momento, ad "atti di ispezione e controllo", nonchè chiedere informazioni agli amministratori su ogni aspetto dell'attività sociale o su determinati affari (art. 2403 bis c.c.) e deve convocare l'assemblea societaria quando ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità (art. 2406 c.c.); inoltre, può, e all'occorrenza deve, secondo una parte della giurisprudenza (tutta di merito) finora formatasi sul punto, denunziare al Tribunale le gravi irregolarità commesse dall'amministratore, per consentire all'Autorità giudiziaria di intraprendere le iniziative di sua competenza (art. 2409 c.c., u.c.). Sebbene l'argomento sia oggetto dí discussione anche nella giurisprudenza civile, non è corretto affermare - ad avviso di questo Collegio - che il collegio sindacale delle società a responsabilità limitata sia sprovvisto del potere di segnalazione previsto dall'art. 2409 c.c., giacchè la norma suddetta disciplina, con carattere di generalità, i poteri del collegio sindacale, laddove esistente; ne è riprova il fatto che il capo 7^ del libro 5^ del codice civile, dedicato alle società a responsabilità limitata, non contiene un'autonoma e specifica disciplina del funzionamento del collegio sindacale e rinvia alle disposizioni in tema di società per azioni, laddove il collegio sindacale sia previsto dalla legge (art. 2477 c.c.). La norma non può che valere anche laddove l'istituzione del collegio sindacale sia facoltativo e questo sia - in concreto - previsto dallo statuto, trattandosi di permettere il dispiegamento di una funzione ritenuta necessaria dal legislatore o dai soci. La violazione di tali obblighi è fonte di responsabilità risarcitoria, quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi della loro carica (artt. 2407,2393,2393 bis, 2394,2394 bis e 2395 c.c.). Come più volte è stato ribadito in costanti pronunce di questa Corte, sia in sede penale che in sede civile (cfr. Cass., sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006; Sez. 5, 28.2.91 ric. Cultrera e Sez. 1 Civile 7.5.1993 n. 5263), l'obbligo di vigilanza dei sindaci e del collegio sindacale (oltre a riguardare la regolare tenuta della contabilità, nei casi contemplati, ora, dall'art. 2409 bis, u.c.), si estende al contenuto della gestione, perchè la previsione della prima parte dell'art. 2403 c.c., comma 1, deve essere correlata con tutte le altre norme che conferiscono ai sindaci il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni e su determinate operazioni quando queste possono suscitare, per le modalità della loro scelte o della loro esecuzione, delle perplessità. La Giurisprudenza civile ha anche precisato che, in tema di responsabilità degli organi sociali, per la configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall'art. 2407 c.c., comma 2, non è richiesta l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero (ora Tribunale - nde) per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. (cass. civ. n. 16314 del 3/7/2017), in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria. 4. E' di tutta evidenza - questa Corte ne è, ovviamente, ben consapevole - che le regole e i princìpi valevoli nel campo della responsabilità contrattuale (qual'è quella del sindaco verso la società) non possono essere automaticamente trasferiti nel campo della responsabilità penale, dove vige il principio di personalità e dove le condotte di bancarotta - che vengono in rilievo nella specie - sono punite a titolo di dolo. Per affermarsi la responsabilità penale del sindaco occorre, quindi, che egli abbia dato un contributo giuridicamente rilevante sotto l'aspetto causale - alla verificazione dell'evento e che abbia avuto la coscienza e la volontà di quel contributo, anche solo a livello di dolo eventuale (a parte i casi in cui l'elemento soggettivo sia richiesto nella forma del dolo specifico). Il che vuol dire che non basta imputare al sindaco - e provare comportamenti di negligenza o imperizia anche gravi, come può essere il disinteresse verso le vicende societarie (fonte indiscutibile di responsabilità civile), ma occorre la prova - che può essere data, come di regola, anche in via indiziaria - del fatto che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente, la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell'amministratore. Non è necessaria, ad ogni modo, la prova di un preventivo accordo del sindaco con chi amministra la società in relazione alle operazioni distrattive, giacchè l'inerzia è sinonimo di omissione e questa, così come può essere l'effetto di una negligenza, può anche essere animata dal dolo, in tutte le sue possibili graduazioni; ed essa, al pari dell'azione, entra a pieno titolo nelle possibili modalità esecutive del reato. 5. Alla luce di tali criteri devono respingersi le censure del ricorrente alla sentenza impugnata, atteso che risulta infondata la prima obiezione da lui mossa al ragionamento del giudicante: M. aveva - anche in base alla nuova formulazione degli artt. 2403,2406,2409 e 2477 c.c. - i poteri necessari a stroncare, sul nascere, le velleità appropriative dell'amministratore, atteso che poteva segnalare all'assemblea le scorrettezze di quest'ultimo, ma poteva anche segnalare al Tribunale le irregolarità di gestione, anche in vista della sostituzione dell'amministratore. A nulla rileva, quindi, che la compagine societaria della (OMISSIS) srl (e non della Sgarbi srl, come erroneamente indicato, forse per refuso, dal ricorrente) fosse corrispondente a quella dell'organo gestorio, dal momento che - a parte la possibilità di rivolgersi al Tribunale - la semplice segnalazione delle irregolarità all'assemblea avrebbe - secondo ogni logica - messo in moto un circuito informativo idoneo a influenzare le scelte dell'amministratore e costringerlo a comportamenti più rispettosi degli interessi della società e dei creditori, evidenziando scorrettezze e illiceità suscettibili di determinare responsabilità civili e penali (specie nella previsione del fallimento). I "poteri impeditivi" necessari a configurare una responsabilità per omesso controllo, che difetterebbero - secondo il ricorrente - ai sindaco, non sono i poteri capaci di evitare, in assoluto, la commissione dei reati da parte degli amministratori (atteso che non è demandato ai sindaci un controllo preventivo sugli atti di amministrazione), ma i poteri, senz'altro appartenenti al sindaco, di ricognizione e di segnalazione sopra specificati, che stimolano la reattività dei soggetti legittimati ad agire per la tutela del patrimonio sociale (i soci e i creditori). Del tutto inconferente è, pertanto, il riferimento del ricorrente al "ragionamento controfattuale", che, secondo lui, si imporrebbe nella specie, giacchè l'esercizio scrupoloso della funzione di controllo è richiesto per stimolare, in generale, comportamenti legali e virtuosi dell'amministratore e non già per impedire, rendendoli impossibili, i reati di bancarotta. Così come inconferente è il riferimento - fatto nella parte finale del ricorso - all'applicabilità dell'art. 223 L. Fall. in relazione all'art. 2621 c.c., per le spese voluttuarie sostenute dall'amministratore, giacchè la condotta omissiva del sindaco assume rilievo prima ancora che si traduca in appostazione contabile falsa. 6. Ugualmente infondato è il motivo di ricorso concernente la prova del dolo, ancorato, nella corretta valutazione del giudice di merito, alla durata delle omissioni (dal 2004 al 2009) e al numero e alla gravità delle stesse (il collegio sindacale aveva completamente abdicato alle sue funzioni, tant'è che non aveva mai eseguito le prescritte verifiche trimestrali, nè aveva mai richiesto la documentazione necessaria all'esecuzione della verifica; aveva sistematicamente omesso di verificare la effettività dei crediti e dei debiti; era stato assente nelle verifiche di fine anno e nella formazione dell'inventario fisico), oltre che alle condotte manipolative poste in essere in prossimità del fallimento (le relazioni al bilancio - trascritte sul libro delle adunanze del collegio sindacale - erano state redatte adattando quelle tempestivamente depositate presso il Registro delle Imprese ed erano state manipolate le relazioni, in modo da simulare l'apparenza di controlli mai eseguiti). Tutto ciò in un contesto caratterizzato da diffusa e profonda illegalità, essendo la società venuta meno agli obblighi tributari da almeno cinque anni prima del fallimento; avendo (gli amministratori) alienato il ramo d'azienda più fruttifero a canone irrisorio; aggravato il dissesto societario con la falsificazione dei bilanci, per coprire le perdite di gestione; appropriati, con condotte reiterate e perduranti, di oltre 235.000 Euro; distratto risorse sociali per scopi personali (lavori in villa e noleggio di yacht, quando la società aveva già problemi nel pagamento dei tributi); auto-attribuito compensi al di fuori di qualsiasi delibera assembleare (anche per indennità di fine mandato, nella cospicua somma di Euro 100 mila, in epoca di conclamato dissesto). Tale modus procedendi non è passibile di censura in sede di legittimità, perchè, se è vero che la responsabilità (per distrazione) del sindaco presuppone la conoscenza, e non la sola conoscibilità, delle malefatte dell'amministratore, è altrettanto indubbio che l'ampiezza dell'arco temporale in cui queste sono state poste in essere, il loro numero e reiterazione, oltre che la loro rilevanza, vanno presi in considerazione dal giudicante per risalire allo stato psicologico del soggetto gravato da obblighi di garanzia; stato che, per appartenere al foro interno, può essere accertato solo in maniera induttiva, facendo applicazione di massime di comune esperienza e valorizzando i segni esteriori della volontà, rilevante - nella specie - anche sotto forma del dolo eventuale. Questo perchè anche i singoli atti di distrazione assumono - quanto sono reiterati, abbracciano un lungo lasso di tempo e incidono in maniera significativa sul patrimonio aziendale - la connotazione di "segnali di allarme", idonei ad avvisare l'organo di controllo circa la spregiudicatezza del controllato e la necessità di attivarsi per contenerla. Senza contare che, nel caso concreto, M. era, secondo il giudicante, il membro del collegio sindacale deputato alla redazione dei verbali del collegio, oggetto delle falsificazioni sopra menzionate; quindi, il soggetto posto in condizione, anche più degli altri, di rendersi conto delle illiceità commesse dall'organo amministrativo. La motivazione con cui è stata affermata la responsabilità concorsuale dell'imputato è quindi tutt'altro che manifestamente illogica, giacchè è stata desunta da circostanze esterne effettivamente espressione di atteggiamenti psichici e senza trascurare le difficoltà familiari cui M. è andato incontro a partire dal giugno 2008, superate dall'appropriato rilievo che nessuna discontinuità è stata riscontrata - nell'atteggiamento dell'imputato - tra il prima e il dopo: segno di una continuità che ha assunto rilievo causale nella produzione dell'evento. Ne consegue che il ricorso, seppur non inammissibile, risulta infondato per la ragioni fin qui esposte; ai sensi dell'art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato alle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 11 maggio 2018. Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018
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