RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Lecco - che aveva riconosciuto M.V. colpevole di bancarotta fraudolenta preferenziale e di avere aggravato il dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento della società - ha concesso le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla aggravante di cui all'art. 219 L. Fall. e alla recidiva, conseguentemente rideterminando il trattamento sanzionatorio.
1.1. Dalla ricostruzione dei giudici di merito emerge che il ricorrente, nella qualità di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 14 marzo 2014, prima della procedura fallimentare e allo scopo di favorirli, aveva effettuato pagamenti in favore di alcuni soci, creditori della società, e aveva, altresì, aggravato il dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento della società, che già nel triennio 2010-2012, non era in grado di produrre un ammontare di ricavi che le permettesse di fronteggiare i costi di gestione.
2. Propone ricorso M., con il patrocinio del difensore, che svolge due motivi.
2.1. Violazione dell'art. 522 c.p.p., per violazione del principio di correlazione fra l'imputazione e la condanna, denunciando la nullità della sentenza con la quale è stata riconosciuta la circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, u.c., senza contestazione formale, e l'erronea valutazione della Corte di appello che ha ritenuto contestata in fatto la predetta circostanza, senza, tuttavia, tenere conto del principio di diritto stabilito dalla pronuncia delle Sezioni Unite "Sorge" (n. 24906 del 18/04/2019).
2.2. Vizio della motivazione, contraddittoria o manifestamente illogica con riguardo alla ritenuta sussistenza dei due reati per i quali vi è stata affermazione di responsabilità. Rileva la difesa che, in realtà, come si legge anche nella sentenza impugnata, solo uno dei soggetti indicati come soci "preferiti" dai pagamenti del ricorrente, l'arch. Zanier, era stato socio della società, ma fino al 2009, e, comunque, il pagamento era avvenuto con riferimento all'attività professionale da questi svolta; quanto al geom. Me.Da., già procuratore della società, egli è stato ritenuto genericamente "vicino alla società", con formula che integra una mera, immotivata, illazione. In ordine al ritardo nella richiesta di auto -fallimento, si rappresenta che lo stato di insolvenza della società era fortemente contestato dalla società, dal momento che la parte più consistente del passivo, emerso da un accertamento induttivo, era costituito da un supposto credito dell'Erario conseguente alle vendite di appartamenti realizzate dalla società conformemente all'oggetto sociale. Inoltre, la società (OMISSIS) era titolare di un credito IVA pari a 4000.000 Euro. La situazione non era, dunque, tale da far pensare a una situazione di dissesto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso ripropone, nel giudizio di legittimità, le medesime doglianze già prospettate con l'atto di appello, ed esaminate esaurientemente, oltre che correttamente, dal Giudice di merito. Il ricorrente omette, però, il dovuto confronto critico con la motivazione della sentenza gravata; ma il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, è inammissibile perchè trattasi di motivi non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) all'inammissibilità (Sez. 4 n. 47170 dell'811/2007, Nicosia,; Sez. 4 n. 256/1998, Rv. 210157; Sez. 4 n. 1561/1993, Rv 193046.). Un concetto già accreditato nella giurisprudenza di questa Corte, e recentemente ribadito dalle Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823).
2. Nello specifico, il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Innanzitutto perchè come già affermato dalla giurisprudenza di questa Sezione, in tema di reati fallimentari, laddove all'imputato siano contestati più atti di bancarotta, la mancata contestazione della circostanza aggravante speciale di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1), non integra alcuna violazione dell'art. 522 c.p.p., in quanto la predetta circostanza comporta una disciplina più favorevole di quella derivante dalle regole generali sulla determinazione della pena in caso di pluralità di reati, e la contestazione di questi ultimi pone l'imputato in condizione di conoscere il significato dell'accusa e di esercitare il diritto di difesa. (Sez. 5 n. 20532 del 02/04/2019, Rv. 275311: Conf. sez. 5, n. 13390 del 2019, n. m.); ciò che è stato correttamente affermato dalla Corte di appello, che ha ritenuto l'aggravante dei più fatti di bancarotta adeguatamente contestata in fatto, ancorchè in maniera non esplicita, essendo la pluralità dei fatti evincibile dal contesto dell'imputazione.
2.2. La valutazione non cambia pur dopo la pronuncia delle Sezioni Unite "Sorge" che, recentemente, hanno chiarito che, per contestazione in fatto, si intende, in conformità ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità con particolare riguardo alle circostanze aggravanti, una formulazione dell'imputazione che non sia espressa nell'enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell'indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all'imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi (Sez. U -, n. 24906 del 18/04/2019, Rv. 275436). In motivazione le Sezioni Unite hanno precisato che tali principi non sono tuttavia applicabili in modo indifferenziato con riguardo a tutte le fattispecie circostanziali, a prescindere dalle particolari connotazioni con le quali le stesse sono costruite nelle norme che le prevedono e che l'ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l'indicazione di tali elementi, nell'imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell'accusa da parte dell'imputato. Nella prospettiva appena delineata, è evidente come la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l'indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell'imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l'adeguato esercizio dei diritti di difesa dell'imputato.
2.3. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, è pertanto condivisibile il giudizio della Corte di appello ed è possibile affermare che la contestazione di una pluralità di condotte di bancarotta contenga implicitamente, ma chiaramente, il riferimento alla circostanza aggravante dell'avere "commesso più fatti di bancarotta" di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1.
3. Con il secondo motivo si formulano deduzioni generiche e meramente contestative, proponendosi, in chiave critica, valutazioni fattuali, prive di coerenza logica, idonea a prevalere sulla lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni della corte di merito.
Con esse, in realtà, il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente, il sostanziale riesame nel merito, senza, però, confrontarsi con gli argomenti spesi dalla sentenza gravata, nella quale, a confutazione dei rilievi difensivi, si è osservato che, dalla relazione del curatore fallimentare, erano emersi i pagamenti effettuati nel 2011, tra cui quelli in favore dei creditori Z. e Me.; che, dalla stessa fonte di prova, emergeva che, a quel tempo, la società era già in situazione di dissesto, e che già il bilancio chiuso al 31/12/2011 mostrava un patrimonio netto inferiore al minimo legale, che avrebbe dovuto indurre il ricorrente ad avanzare l'istanza di fallimento, la cui omissione ha aggravato il dissesto della società; che la restante massa creditoria era rimasta insoddisfatta a differenza dei creditori preferiti. Inoltre, con riguardo ai rapporti tra i predetti creditori e la società, la Corte di appello ha osservato che la Z. era soda della fallita, mentre il Me. era stato procuratore ad negotia con ampi poteri gestori per molti anni, fino al 2009, circostanza giustamente valorizzata in quanto significativa di una stretta correlazione con la compagine sociale, che su di lui aveva fatto affidamento per molto tempo.
3.1.Si tratta di argomenti che offrono ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M e altri, Rv. 271227), non essendo, invece, incorso, il Giudice gravato, nel denunciato vizio motivazionale, posto che dà luogo a vizio della motivazione non qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma solo quello che sia idoneo a disarticolare uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione, quale risultante dall'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico; Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, P.M. in proc. Maniscalco ed altri, Rv. 212053).
4.Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge (art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in Euro 3000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020