RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 18 marzo 2024 dalla Corte
di appello di Messina, che, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato
la condanna di C e di P. per alcuni
reati fallimentari commessi in relazione al fallimento della "K. s.r.l.",
dichiarato dal Tribunale di Patti il 7 maggio 2012. Più precisamente, G. C. (classe 1968) è stato condannato per i reati di bancarotta fraudolenta
documentale e distrattiva di cui ai capi A) e B) mentre G. P. è stato
condannato per la bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo E). Con la
stessa sentenza, il terzo imputato, G. C. classe 1983 —
amministratore della K. fino al 30 settembre 2010 — ha definito la sua
posizione ex art. 599-bis cod. proc. pen. e oggi non ricorre per cassazione.
G. C. classe 1968 risponde della bancarotta fraudolenta
documentale di cui al capo A) quale legale rappresentante della K. dal
settembre 2010 alla data del fallimento e della bancarotta fraudolenta distrattiva
di cui al capo B) quale concorrente extraneus, siccome beneficiario di distrazioni
di somme avvenute quando ancora non era amministratore della società fallita;
P. (cugino dei C.), risponde della bancarotta fraudolenta distrattiva di
cui al capo E) quale legale rappresentante della "Pett s.r.l.", società beneficiaria
di una delle distrazioni avvenute a danno della K..
2. Gli imputati hanno presentato ricorso a mezzo dei rispettivi difensori.
3. Il ricorso di G. C. si compone di tre motivi,
3.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione quanto alla bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A per
omessa, integrale tenuta delle scritture contabili.
Di fronte alla censura dell'atto di appello secondo cui il ricorrente era
subentrato al precedente amministratore quando tutti gli asset societari erano
stati dismessi e la contabilità era «pacificamente "ferma"» — dato ammesso
dalla stessa sentenza impugnata —, la Corte territoriale non avrebbe risposto, se
non affidandosi ad una motivazione apodittica.
La Corte di merito, inoltre, avrebbe fatto mal governo della norma di cui
all'art. 210 cod. proc. peri., omettendo la ricerca dei necessari riscontri e
richiamando genericamente la chiamata di correo di G. C. classe
1983, senza tuttavia riportarne il contenuto, che comunque, anche verificando
gli atti, non sarebbe dotato di portata eteroaccusatoria. Piuttosto, nel
dibattimento era emersa la prova della genuinità del contributo dichiarativo
dell'allora curatore Marco Barbiera, che aveva dichiarato che, debitamente
compulsato, G. C. classe 1983 aveva ammesso di detenere tutta la
documentazione contabile e che l'avrebbe fatta avere alla curatela, mentre il
ricorrente aveva genuinamente riferito di non avere nulla in quanto, quando era
subentrato come amministratore, la società non era più operativa. Sarebbe
altresì apparente la motivazione della decisione avversata laddove la Corte ha affermato che ricevere la guida della società quando la contabilità era ferma
indica addirittura malafede e quando ha fatto leva sui precedenti del prevenuto.
3.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di
motivazione quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo B).
Dopo aver genericamente richiamato la doglianza del precedente motivo
quanto alla violazione dell'art. 210 cod. proc. pen., il ricorrente si duole che la
Corte distrettuale abbia affrontato in sole cinque righe le censure secondo cui le
erogazioni ricevute al più avrebbero integrato il reato di bancarotta preferenziale
ormai prescritto, perché si trattava di dazioni avvenute quando G. C.
classe 1968 non rivestiva alcuna carica nella società.
4. Il ricorso di G. P. si articola in due motivi.
4.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione quanto all'unico capo a lui ascritto. In particolare, la parte ricorda
che, nell'atto di appello, si era sostenuto come la vendita del terreno avesse
generato per la K. addirittura una plusvalenza e che nulla potesse essere
addebitato a P. per il fatto che, con la somma pagata con assegni circolari e
regolarmente incamerata, l'amministratore della società venditrice avesse poi
effettuato dei pagamenti preferenziali. Anche in questo caso, la Corte distrettuale
ha motivato evocando, genericamente, la chiamata in correità di G.
C. classe 1983 e facendo riferimento ad un rapporto strettissimo tra i tre
imputati e alla destinazione della somma pagata da P. ad essere sottratta
alla casse della K..
Mancherebbe, inoltre, la risposta al motivo di appello circa il coefficiente
soggettivo oggetto del sesto motivo di appello.
4.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di
motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, anche in
questo caso non motivato nonostante specifico motivo di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati.
1. G. C. classe 1968.
1.1 Il primo motivo di ricorso — che riguarda la bancarotta fraudolenta
documentale di cui al capo A) — coglie nel segno per varie, concorrenti ragioni.
Per meglio chiarirle, occorre innanzitutto precisare che la sentenza di primo
grado — a dispetto della formulazione del capo di imputazione, che vedeva una
descrizione del fatto ove l'omessa tenuta delle scritture contabili conviveva con
la tenuta in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio —
aveva ritenuto che si trattasse di bancarotta fraudolenta documentale specifica.
Il Tribunale aveva così chiaramente individuato la figura delittuosa di riferimento
nell'omissione fraudolenta della tenuta delle scritture contabili, che la
giurisprudenza di questa Corte assimila, ancorché non testualmente prevista,
alle altre condotte indicate all'art. 216, comma 1, n. 2) prima parte legge fall., se
lo scopo dell'omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, così segnando il
tratto differenziale con la corrispondente figura di cui all'art. 217, comma 2,
legge fall (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Morace, Rv. 279179;
Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Di Cosimo, Rv. 262915; la rilevanza ex art.
216 legge fall. dell'omissione laddove collegata al fine pregiudizievole è
richiamata anche in Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, Ziliani, Rv. 271847 e Sez.
5, n. 47923 del 23/9/2014, De Santis, rv. 261040).
Fatta questa premessa, la decisione avversata presenta vizi motivazionali
sotto due aspetti: l'uno è quello della riferibilità soggettiva del fatto all'imputato
per il periodo anteriore all'assunzione della carica di amministratore della K.,
l'altro è quello del coefficiente soggettivo.
1.1.1. In ordine al primo punto, la Corte territoriale ha ritenuto, in termini
apodittici, che l'omessa tenuta delle scritture contabili fosse stata operata «in
modo ininterrotto e doloso al fine di non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio» ed ha attribuito a C. classe 1968 la responsabilità anche per
l'omissione anteriore alla sua entrata in scena come amministratore della K.,
accennando alle accuse di G. C. classe 1983 ed alla circostanza che
l'odierno ricorrente fosse stato colui che aveva coinvolto quest'ultimo
nell'operazione.
Ebbene, si tratta di riferimenti, da una parte, del tutto vaghi (essi mancano
di qualsiasi precisazione su quali fossero le accuse rivolte all'imputato dal cugino)
e, dall'altra, confliggenti con quanto si legge nella sentenza di primo grado, dalla
quale pare evincersi che C. classe 1983 avesse affermato che a
coinvolgerlo nell'operazione era stato P. e non il «cugino omonimo», come
invece scrive la Corte distrettuale. Neanche vale a sostenere la decisione
impugnata l'accenno, peraltro non inserito in maniera organica nella
motivazione, alle somme di 7000 e 4950 euro percepite dal ricorrente quale
extraneus quando era ancora in carica, come amministratore, C. classe
1983 (oggetto dell'addebito sub B), in quanto non si comprende come questa
circostanza possa logicamente sostenere il giudizio di attribuibilità soggettiva al
ricorrente della decisione di non tenere la contabilità prima che assumesse la
carica gestoria.
1.1.2. Il secondo difetto del capo della sentenza impugnata che concerne il
reato sub A) riguarda il coefficiente soggettivo che, come prima ricordato, si
individua del dolo specifico di recare nocumento ai creditori. Ebbene, a parte il
già richiamato e problematico accenno alle presunte accuse del coimputato
omonimo, l'unico riferimento che si coglie in sentenza è presuntivo e
congetturale, laddove sembra limitarsi a far discendere la prova della sussistenza
del dolo specifico richiesto in capo al prevenuto dalla sola circostanza di avere
accettato la carica amministrativa di una società che non teneva la contabilità dal
2007, quando sarebbe stato necessario individuare degli indicatori più robusti a
denotare la finalità dell'agire dell'imputato.
In conclusione, le carenze argomentative sopra illustrate esigono che la
Corte di appello motivi nuovamente sia quanto all'estensione della responsabilità
dell'imputato anche al periodo precedente all'assunzione della carica
amministrativa, sia quanto al dolo della fattispecie.
1.2. E' fondato anche il secondo motivo di ricorso, che concerne la
bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo B), consistita nell'aver ricevuto
sine causa, nel 2007, la somma di 7000 euro e, nel 2009, la somma di 4950
euro dall'allora amministratore della K. G. C. classe 1983.
In particolare la sentenza impugnata, così come la sentenza di primo grado,
non si è posta il problema di ragionare in termini di rapporto tra l'entità delle
somme distratte e l'epoca delle distrazioni, da una parte, e il pregiudizio effettivo
per il ceto creditorio delle azioni ascritte al prevenuto, dall'altra, né ha
approfondito il versante psicologico dell'addebito.
Riguardo al primo aspetto, il Collegio ricorda che, se è patrimonio acquisito,
nella giurisprudenza di questa Corte, che non è richiesta l'esistenza di un nesso
causale tra i fatti di bancarotta distrattiva ed il successivo fallimento, né tra la
condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, essendo sufficiente che l'agente
abbia cagionato il depauperamento di quest'ultima destinandone le risorse ad
impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli,
Rv. 266804; tra le altre, Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562 -
01, in motivazione; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437 - 01,
Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella e altro, Rv. 270763 - 01, in
motivazione; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269389; Sez. 5, n.
47616 del 17/07/2014, Simone, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014,
Tanzi ed altri, Rv. 261942), occorre, tuttavia, che la condotta depauperativa
abbia cagionato un concreto pericolo per la garanzia patrimoniale a disposizione
dei creditori. In questo senso va ricordato e ribadito quanto sancito da Sez. 5,
Palitta, (ripresa, tra le altre, da Sez. 5 Zazzini e Sez. 5, Sgaramella), secondo cui
il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di
pericolo concreto, in cui l'atto di depauperamento deve risultare idoneo ad
esporre a pericolo l'entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei
creditori e deve permanere tale fino all'epoca che precede l'apertura della
procedura fallimentare. Onde scongiurare il rischio che la fisiologia dell'attività di
impresa — la cui natura implica il compimento di operazioni che possono
intaccare il patrimonio sociale e che possono essere connotate da elementi di
rischio — conduca sempre ad addebiti di bancarotta prefallimentare nel caso in
cui l'impresa successivamente fallisca e per individuare le operazioni che esulino
da quelle connaturate al rischio d'impresa e che si configurino come distrattive,
la giurisprudenza di legittimità ha delineato un percorso interpretativo
complesso; si tratta di un percorso che, mutuando le parole di Sez. 5 Palitta,
valuti l'«idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità
della garanzia dei creditori in caso di apertura di procedura concorsuale - non
dunque come singoli, ma come categoria- , con una analisi che deve riguardare
in primo luogo l'elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo
l'elemento soggettivo e che certamente deve poggiare su criteri "ex ante", in
relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione
finanziaria della società, laddove l'"anteriorità" di regola è tale relativamente al
momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la
permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di
apertura della procedura e senza, comunque, che possano acquisire rilevanza,
nella prospettiva che qui interessa, fattori non imputabili come un tracollo
economico».
Quanto al versante soggettivo, l'elemento psicologico della bancarotta
fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non
è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo
di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevole volontà di dare
al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e
di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori (Sez. U,
Passarelli; Sez. 5, Sgaramella, Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv.
269389), con la rappresentazione «della pericolosità della condotta distrattiva,
da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale
che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del
rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice»
(Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi ed altri, Rv. 263801). In
coerenza con la costruzione del reato come di pericolo concreto, tale
consapevolezza deve riguardare, in particolare, la rappresentazione da parte
dell'agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come
probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, come consapevole volontà del compimento di
operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un
danno ai creditori (Sez. 5, Sgaramella).
In termini di prova della natura distrattiva di un'operazione e della relativa
consapevolezza in capo al suo autore come sopra delineate, la sentenza
Sgaramella ha altresì enucleato degli "indici di fraudolenza" «della cui valenza
dimostrativa il giudice penale - fuori dei casi di immediata evidenza
dell'estraneità o, viceversa, della riconducíbilità del fatto al paradigma della
fraudolenza - deve dar conto con motivazione che renda ragione della puntuale
analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità e delle massime di
esperienza utilizzate nel procedimento valutativo».A titolo esemplificativo la
sentenza in esame ha indicato, tra gli anzidetti indici di fraudolenza, la «disamina
del fatto distrattivo, dissipativo, etc. alla luce della condizione patrimoniale e
finanziaria dell'impresa e della congiuntura economica in cui la condotta
pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata;» il « contesto in cui
l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'imprenditore o
dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi;» la
«"distanza" (e, segnatamente, nell'irriducibile estraneità) del fatto generatore di
uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza
imprenditoriale».
Tanto premesso, nella sentenza impugnata manca qualsiasi riflessione che
riguardi specificamente le due distrazioni di cui G. C. classe 1968 è
chiamato a rispondere, che sarebbe stata necessaria a fortiori laddove si tratta di
somme di denaro di importo non particolarmente rilevante; manca, ad esempio,
la motivazione circa la loro contestualizzazione nell'ambito della dinamica
societaria e della condizione economica della K. nel periodo in cui esse
furono realizzate ovvero difetta una spiegazione chiara a proposito dell'esistenza
di un disegno complessivo depauperativo in cui fosse coinvolto anche G.
C. classe 1968 prima che assumesse la carica di amministratore, disegno
vagamente evocato ma non precisato nella sentenza impugnata.
2. G. P.
P. è stato condannato per avere concorso, quale extraneus, alla
distrazione di cui al capo E), individuata nella vendita dalla K. alla "Pett
s.r.l.", amministrata dal ricorrente, di un terreno.
Ebbene, in primo luogo, pur a fronte di uno specifico motivo di appello, la
Corte di appello non ha spiegato in termini ragionevoli perché la vendita del
terreno, effettuata a prezzo congruo ed effettivamente pagato dalla Pett, fosse
stata in sé depauperativa per la K.; i Giudici di appello, infatti, si sono
limitati ad annettere le ragioni della fraudolenza alla mancata contabilizzazione
dell'ingresso della somma nelle scritture contabili della fallita, confondendo il
piani della scritturazione contabile dell'operazione (peraltro esclusa in radice
dalla circostanza che le scritture contabili non erano tenute) con quello
dell'effettivo pagamento del prezzo, che i Giudici di appello non hanno negato,
ma che hanno sbrigativamente attribuito a «ragioni di regolarità notarile più che
altro».
In secondo luogo, la Corte territoriale, evocando genericamente il «rapporto
strettissimo tra i tre imputati», ha posto l'accento sulla destinazione delle somme
ottenute per la vendita ad essere poi indebitamente prelevate dalle casse sociali
della K. dall'allora amministratore G. C. classe 1983, condotta
che, tuttavia, non può valere a connotare di fraudolenza la vendita da cui quelle
somme erano state ricavate e la volontà del compratore; tale inferenza sarebbe
stata possibile, infatti, solo qualora la Corte di merito avesse dato atto della
precisa ricostruzione di un'ideazione unitaria e condivisa ab initio, tra C.
classe 1983 e P., dell'intera operazione, dalla vendita del terreno alla
destinazione finale delle somme incamerate, ricostruzione che, tuttavia, sarebbe
stato necessario affidare ad argomentazioni ben più articolate e specifiche di
quelle che si leggono nella sentenza impugnata.
E' in questo senso, dunque, che si richiede una nuova valutazione da parte
della Corte distrettuale.
3. Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata con
rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Messina, che dovrà ripianare le
anomali motivazionali sopra evidenziate,
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione
della cda di Messina.
Così deciso il 30/9/2024.