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Bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare: è un reato di pericolo concreto

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Ottobre 2024 - Cassazione penale, Sez. 5 Num. 40865 Anno 2024

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in cui l'atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l'entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all'epoca che precede l'apertura della
procedura fallimentare.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 18 marzo 2024 dalla Corte di appello di Messina, che, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la condanna di C e di P. per alcuni reati fallimentari commessi in relazione al fallimento della "K. s.r.l.", dichiarato dal Tribunale di Patti il 7 maggio 2012. Più precisamente, G. C. (classe 1968) è stato condannato per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e distrattiva di cui ai capi A) e B) mentre G. P. è stato condannato per la bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo E). Con la stessa sentenza, il terzo imputato, G. C. classe 1983 — amministratore della K. fino al 30 settembre 2010 — ha definito la sua posizione ex art. 599-bis cod. proc. pen. e oggi non ricorre per cassazione. G. C. classe 1968 risponde della bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A) quale legale rappresentante della K. dal settembre 2010 alla data del fallimento e della bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo B) quale concorrente extraneus, siccome beneficiario di distrazioni di somme avvenute quando ancora non era amministratore della società fallita; P. (cugino dei C.), risponde della bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo E) quale legale rappresentante della "Pett s.r.l.", società beneficiaria di una delle distrazioni avvenute a danno della K.. 2. Gli imputati hanno presentato ricorso a mezzo dei rispettivi difensori. 3. Il ricorso di G. C. si compone di tre motivi, 3.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A per omessa, integrale tenuta delle scritture contabili. Di fronte alla censura dell'atto di appello secondo cui il ricorrente era subentrato al precedente amministratore quando tutti gli asset societari erano stati dismessi e la contabilità era «pacificamente "ferma"» — dato ammesso dalla stessa sentenza impugnata —, la Corte territoriale non avrebbe risposto, se non affidandosi ad una motivazione apodittica. La Corte di merito, inoltre, avrebbe fatto mal governo della norma di cui all'art. 210 cod. proc. peri., omettendo la ricerca dei necessari riscontri e richiamando genericamente la chiamata di correo di G. C. classe 1983, senza tuttavia riportarne il contenuto, che comunque, anche verificando gli atti, non sarebbe dotato di portata eteroaccusatoria. Piuttosto, nel dibattimento era emersa la prova della genuinità del contributo dichiarativo dell'allora curatore Marco Barbiera, che aveva dichiarato che, debitamente compulsato, G. C. classe 1983 aveva ammesso di detenere tutta la documentazione contabile e che l'avrebbe fatta avere alla curatela, mentre il ricorrente aveva genuinamente riferito di non avere nulla in quanto, quando era subentrato come amministratore, la società non era più operativa. Sarebbe altresì apparente la motivazione della decisione avversata laddove la Corte ha affermato che ricevere la guida della società quando la contabilità era ferma indica addirittura malafede e quando ha fatto leva sui precedenti del prevenuto. 3.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo B). Dopo aver genericamente richiamato la doglianza del precedente motivo quanto alla violazione dell'art. 210 cod. proc. pen., il ricorrente si duole che la Corte distrettuale abbia affrontato in sole cinque righe le censure secondo cui le erogazioni ricevute al più avrebbero integrato il reato di bancarotta preferenziale ormai prescritto, perché si trattava di dazioni avvenute quando G. C. classe 1968 non rivestiva alcuna carica nella società. 4. Il ricorso di G. P. si articola in due motivi. 4.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'unico capo a lui ascritto. In particolare, la parte ricorda che, nell'atto di appello, si era sostenuto come la vendita del terreno avesse generato per la K. addirittura una plusvalenza e che nulla potesse essere addebitato a P. per il fatto che, con la somma pagata con assegni circolari e regolarmente incamerata, l'amministratore della società venditrice avesse poi effettuato dei pagamenti preferenziali. Anche in questo caso, la Corte distrettuale ha motivato evocando, genericamente, la chiamata in correità di G. C. classe 1983 e facendo riferimento ad un rapporto strettissimo tra i tre imputati e alla destinazione della somma pagata da P. ad essere sottratta alla casse della K.. Mancherebbe, inoltre, la risposta al motivo di appello circa il coefficiente soggettivo oggetto del sesto motivo di appello. 4.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, anche in questo caso non motivato nonostante specifico motivo di appello. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono fondati. 1. G. C. classe 1968. 1.1 Il primo motivo di ricorso — che riguarda la bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A) — coglie nel segno per varie, concorrenti ragioni. Per meglio chiarirle, occorre innanzitutto precisare che la sentenza di primo grado — a dispetto della formulazione del capo di imputazione, che vedeva una descrizione del fatto ove l'omessa tenuta delle scritture contabili conviveva con la tenuta in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio — aveva ritenuto che si trattasse di bancarotta fraudolenta documentale specifica. Il Tribunale aveva così chiaramente individuato la figura delittuosa di riferimento nell'omissione fraudolenta della tenuta delle scritture contabili, che la giurisprudenza di questa Corte assimila, ancorché non testualmente prevista, alle altre condotte indicate all'art. 216, comma 1, n. 2) prima parte legge fall., se lo scopo dell'omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, così segnando il tratto differenziale con la corrispondente figura di cui all'art. 217, comma 2, legge fall (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Morace, Rv. 279179; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Di Cosimo, Rv. 262915; la rilevanza ex art. 216 legge fall. dell'omissione laddove collegata al fine pregiudizievole è richiamata anche in Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, Ziliani, Rv. 271847 e Sez. 5, n. 47923 del 23/9/2014, De Santis, rv. 261040). Fatta questa premessa, la decisione avversata presenta vizi motivazionali sotto due aspetti: l'uno è quello della riferibilità soggettiva del fatto all'imputato per il periodo anteriore all'assunzione della carica di amministratore della K., l'altro è quello del coefficiente soggettivo. 1.1.1. In ordine al primo punto, la Corte territoriale ha ritenuto, in termini apodittici, che l'omessa tenuta delle scritture contabili fosse stata operata «in modo ininterrotto e doloso al fine di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio» ed ha attribuito a C. classe 1968 la responsabilità anche per l'omissione anteriore alla sua entrata in scena come amministratore della K., accennando alle accuse di G. C. classe 1983 ed alla circostanza che l'odierno ricorrente fosse stato colui che aveva coinvolto quest'ultimo nell'operazione. Ebbene, si tratta di riferimenti, da una parte, del tutto vaghi (essi mancano di qualsiasi precisazione su quali fossero le accuse rivolte all'imputato dal cugino) e, dall'altra, confliggenti con quanto si legge nella sentenza di primo grado, dalla quale pare evincersi che C. classe 1983 avesse affermato che a coinvolgerlo nell'operazione era stato P. e non il «cugino omonimo», come invece scrive la Corte distrettuale. Neanche vale a sostenere la decisione impugnata l'accenno, peraltro non inserito in maniera organica nella motivazione, alle somme di 7000 e 4950 euro percepite dal ricorrente quale extraneus quando era ancora in carica, come amministratore, C. classe 1983 (oggetto dell'addebito sub B), in quanto non si comprende come questa circostanza possa logicamente sostenere il giudizio di attribuibilità soggettiva al ricorrente della decisione di non tenere la contabilità prima che assumesse la carica gestoria. 1.1.2. Il secondo difetto del capo della sentenza impugnata che concerne il reato sub A) riguarda il coefficiente soggettivo che, come prima ricordato, si individua del dolo specifico di recare nocumento ai creditori. Ebbene, a parte il già richiamato e problematico accenno alle presunte accuse del coimputato omonimo, l'unico riferimento che si coglie in sentenza è presuntivo e congetturale, laddove sembra limitarsi a far discendere la prova della sussistenza del dolo specifico richiesto in capo al prevenuto dalla sola circostanza di avere accettato la carica amministrativa di una società che non teneva la contabilità dal 2007, quando sarebbe stato necessario individuare degli indicatori più robusti a denotare la finalità dell'agire dell'imputato. In conclusione, le carenze argomentative sopra illustrate esigono che la Corte di appello motivi nuovamente sia quanto all'estensione della responsabilità dell'imputato anche al periodo precedente all'assunzione della carica amministrativa, sia quanto al dolo della fattispecie. 1.2. E' fondato anche il secondo motivo di ricorso, che concerne la bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo B), consistita nell'aver ricevuto sine causa, nel 2007, la somma di 7000 euro e, nel 2009, la somma di 4950 euro dall'allora amministratore della K. G. C. classe 1983. In particolare la sentenza impugnata, così come la sentenza di primo grado, non si è posta il problema di ragionare in termini di rapporto tra l'entità delle somme distratte e l'epoca delle distrazioni, da una parte, e il pregiudizio effettivo per il ceto creditorio delle azioni ascritte al prevenuto, dall'altra, né ha approfondito il versante psicologico dell'addebito. Riguardo al primo aspetto, il Collegio ricorda che, se è patrimonio acquisito, nella giurisprudenza di questa Corte, che non è richiesta l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di bancarotta distrattiva ed il successivo fallimento, né tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento di quest'ultima destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804; tra le altre, Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562 - 01, in motivazione; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437 - 01, Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella e altro, Rv. 270763 - 01, in motivazione; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269389; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi ed altri, Rv. 261942), occorre, tuttavia, che la condotta depauperativa abbia cagionato un concreto pericolo per la garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori. In questo senso va ricordato e ribadito quanto sancito da Sez. 5, Palitta, (ripresa, tra le altre, da Sez. 5 Zazzini e Sez. 5, Sgaramella), secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in cui l'atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l'entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all'epoca che precede l'apertura della procedura fallimentare. Onde scongiurare il rischio che la fisiologia dell'attività di impresa — la cui natura implica il compimento di operazioni che possono intaccare il patrimonio sociale e che possono essere connotate da elementi di rischio — conduca sempre ad addebiti di bancarotta prefallimentare nel caso in cui l'impresa successivamente fallisca e per individuare le operazioni che esulino da quelle connaturate al rischio d'impresa e che si configurino come distrattive, la giurisprudenza di legittimità ha delineato un percorso interpretativo complesso; si tratta di un percorso che, mutuando le parole di Sez. 5 Palitta, valuti l'«idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura di procedura concorsuale - non dunque come singoli, ma come categoria- , con una analisi che deve riguardare in primo luogo l'elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l'elemento soggettivo e che certamente deve poggiare su criteri "ex ante", in relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove l'"anteriorità" di regola è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura e senza, comunque, che possano acquisire rilevanza, nella prospettiva che qui interessa, fattori non imputabili come un tracollo economico». Quanto al versante soggettivo, l'elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori (Sez. U, Passarelli; Sez. 5, Sgaramella, Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269389), con la rappresentazione «della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice» (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi ed altri, Rv. 263801). In coerenza con la costruzione del reato come di pericolo concreto, tale consapevolezza deve riguardare, in particolare, la rappresentazione da parte dell'agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, come consapevole volontà del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un danno ai creditori (Sez. 5, Sgaramella). In termini di prova della natura distrattiva di un'operazione e della relativa consapevolezza in capo al suo autore come sopra delineate, la sentenza Sgaramella ha altresì enucleato degli "indici di fraudolenza" «della cui valenza dimostrativa il giudice penale - fuori dei casi di immediata evidenza dell'estraneità o, viceversa, della riconducíbilità del fatto al paradigma della fraudolenza - deve dar conto con motivazione che renda ragione della puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità e delle massime di esperienza utilizzate nel procedimento valutativo».A titolo esemplificativo la sentenza in esame ha indicato, tra gli anzidetti indici di fraudolenza, la «disamina del fatto distrattivo, dissipativo, etc. alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata;» il « contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'imprenditore o dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi;» la «"distanza" (e, segnatamente, nell'irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale». Tanto premesso, nella sentenza impugnata manca qualsiasi riflessione che riguardi specificamente le due distrazioni di cui G. C. classe 1968 è chiamato a rispondere, che sarebbe stata necessaria a fortiori laddove si tratta di somme di denaro di importo non particolarmente rilevante; manca, ad esempio, la motivazione circa la loro contestualizzazione nell'ambito della dinamica societaria e della condizione economica della K. nel periodo in cui esse furono realizzate ovvero difetta una spiegazione chiara a proposito dell'esistenza di un disegno complessivo depauperativo in cui fosse coinvolto anche G. C. classe 1968 prima che assumesse la carica di amministratore, disegno vagamente evocato ma non precisato nella sentenza impugnata. 2. G. P. P. è stato condannato per avere concorso, quale extraneus, alla distrazione di cui al capo E), individuata nella vendita dalla K. alla "Pett s.r.l.", amministrata dal ricorrente, di un terreno. Ebbene, in primo luogo, pur a fronte di uno specifico motivo di appello, la Corte di appello non ha spiegato in termini ragionevoli perché la vendita del terreno, effettuata a prezzo congruo ed effettivamente pagato dalla Pett, fosse stata in sé depauperativa per la K.; i Giudici di appello, infatti, si sono limitati ad annettere le ragioni della fraudolenza alla mancata contabilizzazione dell'ingresso della somma nelle scritture contabili della fallita, confondendo il piani della scritturazione contabile dell'operazione (peraltro esclusa in radice dalla circostanza che le scritture contabili non erano tenute) con quello dell'effettivo pagamento del prezzo, che i Giudici di appello non hanno negato, ma che hanno sbrigativamente attribuito a «ragioni di regolarità notarile più che altro». In secondo luogo, la Corte territoriale, evocando genericamente il «rapporto strettissimo tra i tre imputati», ha posto l'accento sulla destinazione delle somme ottenute per la vendita ad essere poi indebitamente prelevate dalle casse sociali della K. dall'allora amministratore G. C. classe 1983, condotta che, tuttavia, non può valere a connotare di fraudolenza la vendita da cui quelle somme erano state ricavate e la volontà del compratore; tale inferenza sarebbe stata possibile, infatti, solo qualora la Corte di merito avesse dato atto della precisa ricostruzione di un'ideazione unitaria e condivisa ab initio, tra C. classe 1983 e P., dell'intera operazione, dalla vendita del terreno alla destinazione finale delle somme incamerate, ricostruzione che, tuttavia, sarebbe stato necessario affidare ad argomentazioni ben più articolate e specifiche di quelle che si leggono nella sentenza impugnata. E' in questo senso, dunque, che si richiede una nuova valutazione da parte della Corte distrettuale. 3. Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Messina, che dovrà ripianare le anomali motivazionali sopra evidenziate, P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della cda di Messina. Così deciso il 30/9/2024.
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