RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Savona - che aveva dichiarato Al.Wa., Ma.Ma., Za.Fi. colpevoli di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva, il primo, quale amministratore unico (dal 21 maggio 2014) della Edil Mac Srl, gli altri, come amministratori di fatto - ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 219 co.3 L.F., rideterminando la pena e confermando, nel resto, la prima sentenza.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il comune difensore di fiducia e procuratore speciale, avvocato Pasquale Ventura, il quale svolge due motivi.
2.1. Con il primo, denuncia erronea applicazione della legge fallimentare quanto alla qualificazione giuridica della condotta appropriativa delle somme di danaro appartenenti alla società gestita dai ricorrenti, trattandosi, in realtà, di pagamenti effettuati in loro favore quale compenso dell'attività svolta per conto della stessa, condotta da qualificarsi, quindi, quale bancarotta preferenziale. In particolare, si invoca l'orientamento giurisprudenziale che incentra la distinzione con la bancarotta distrattiva sulla congruità o meno della somma prelevata rispetto al lavoro prestato; nel caso di specie, i ricorrenti hanno prelevato per sé l'importo di 5000 Euro complessivi cadauno per l'attività prestata per dieci mesi, risultando detti importi congrui rispetto all'impegno da loro profuso per rimediare ai guasti provocati dai precedenti amministratori intavolando trattative per riscuotere crediti della società.
2.2. Con il secondo motivo, è dedotta violazione degli artt. 598-bis e 545-bis cod. proc. pen. per avere la Corte di appello omesso di dare avviso agli imputati, alla lettura del dispositivo, della possibilità di ottenere la sostituzione della pena detentiva ex art. 53 legge n. 689/1981, avendo comminato una pena di anni uno e mesi quattro di reclusione cadauno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi non sono fondati. 1.11 primo motivo - incentrato sulla qualificazione giuridica della percezione delle somme di danaro in contestazione da parte degli amministratori - di diritto e di fatto - non è fondato.
1.1. Posto che i ricorrenti non contestano né i ruoli rispettivamente a loro attribuiti, di amministratore di diritto l'Al.Wa., e di amministratori di fatto Ma.Ma. e Za.Fi., né l'avvenuta percezione delle somme indicate nell'imputazione, la tesi difensiva fonda sulla circostanza che le somme complessivamente riscosse nell'arco di circa dieci mesi - il periodo in cui essi, subentrati alla precedente amministrazione, gestirono la società fallita - corrisponderebbero all'importo (500 Euro mensili cadauno) a loro dovuta quale compenso per l'attività gestoria svolta. Detta autoliquidazione integrerebbe, nell'ottica dei ricorrenti, la bancarotta preferenziale, non quella Astrattiva ritenuta dai giudici di merito, sottolineandosi come le somme autoliquidate fossero corrispondenti al lavoro effettivamente prestato in favore della società.
1.2. E' opportuno, allora, richiamare il condiviso principio di recente affermato, secondo cui "a seguito dell'accettazione rituale della carica di amministratore di una società di capitali, quest'ultimo ha diritto al compenso per l'attività svolta e spetta al giudice del merito verificare se, anche in assenza di delibera assembleare o di previsione statutaria in merito alla quantificazione dello stesso, ricorra il delitto di bancarotta preferenziale piuttosto che quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato ad una prestazione effettiva o meno e che il prelievo dalle casse sociali sia o meno congruo rispetto all'impegno profuso" (Sez. 5 n. 36416 del 11/05/2023, Rv. 285115).
1.3. Nell'enunciare tale principio il Collegio si è chiaramente affrancalo dal primo, più risalente, orientamento, (Sez. 5 n. 5077 del 30/01/1987 , Rv. 175775; Sez. 5 n. 1458 del 02/12/1997, Rv. 209801; Sez. 5 n. 17616 del 27703/2008 Rv. 240069; Sez. 5 n. 25292 del 30/05/2012, Rv. 253001; Sez. 5 n. 34505 del 06E06/2014, Rv. 264277; Sez. 5 n. 24324 del 15/04/2015, Rv. 263910; Sez. 5 n. 50495 del 14/06/2018, Rv. 274602) a tenore del quale, qualora il socio creditore si identifichi con lo stesso amministratore della società, la condotta volta a ripagarsi, in periodo di dissesto, di crediti asseritamente vantati nei confronti della società, sottraendo la somma all'attivo fallimentare, integra il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale, non potendo scindersi, secondo tale prospettiva, la qualità di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo di fedeltà e da quello della tutela degli interessi nei confronti dei terzi. Si ritiene, cioè, in tale ottica, che le restituzioni ai soci dei conferimenti o delle anticipazioni effettuate prima del fallimento della società, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale, integrino una condotta in contrasto con gli interessi della società fallita e dell'intera massa dei creditori, distolte dalla loro naturale destinazione a garanzia dei creditori (tra le tante, Sez.5 n. 34505 del 06/06/2014, Rv. 264277; Sez. 5 n. 41143 del 20/05/2014, Rv. 261250; Sez. 5 n. 23672 del 15/04/2004, Rv. 229032). L'orientamento è stato da ultimo ribadito (Sez. 5 n. 30105 del 05/06/2018 Rv. 273767; conf. Sez. 5 n. 11405 del 12/06/2014, Rv. 263056; Sez. 5 n. 46959 del 27/10/2009, Rv. 24539; Sez. 5 n. 43869/2007, Rv. 237975; Sez. 5 n. 46301/2007, Rv. 238291 Sez. 5 n. 4985 del 19/12/2006; Rv. 247964).
1.4. L'approdo giurisprudenziale richiamato in premessa, si inscrive, piuttosto, nell'orientamento che ha preso piede nella giurisprudenza di legittimità in tempi più recenti, il quale ravvisa nella descritta condotta di autoliquidazione da parte degli amministratori dei compensi da loro vantati per l'attività gestoria, il reato di bancarotta preferenziale, tanto perché l'amministratore, come il liquidatore, è un creditore della società, che ha diritto a un congruo compenso per l'attività svolta (ai sensi dell'art. 2389 cod. civ.), sicché l'autoliquidazione di somme a proprio favore altera la par condicio creditorum, ma, ancorché la società versi in stato di dissesto, non la depaupera (Rv. 38149 del 07/06/2006, Rv. 236034).
1.5. Detto orientamento richiama due elementi fattuali perché possa ritenersi integrata la bancarotta preferenziale: la effettività del credito ("an") e la congruità delle somme percepite ("quantum") (cfr. Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, Rv. 247964, che ha ritenuto che l'amministratore risponda di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione allorché, pur senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti verso la società in dissesto relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto al lavoro prestato nell'interesse delle società (conf. Sez. 5 n. 38149 del 06/07/2006, Rv. 236034; Sez. 5 n. 5186 del 0210/2013; Sez. 5 n. 28077 del 15/04/2011, Rv. 250461; Sez. 5 n. 48017 del 10/07/2015, Rv. 266311; Sez. 5 n. 17792 del 23/02/2017, Rv. 269639).
1.6. Dunque, il punto centrale per stabilire se ricorra o meno il delitto di bancarotta fraudolenta, è stabilire se la somma prelevata dalle casse sociali dall'amministratore trovi fondamento effettivo in un'attività svolta nell'interesse della società e se essa sia o meno congrua rispetto al lavoro prestato (Sez. 5 n. 21570 del 16/04/2010, Rv. 247964), congruità la cui valutazione può essere rimessa al giudice o agli organi societari (Sez. 5 n. 48017 del 10/07/2015, Rv. 266311). Cosicché, secondo quanto, anche recentemente, ribadito da questa Corte (sezione 5 n. 32378 del 12/04/2018, Rv. 273576), risponde di bancarotta preferenziale l'amministratore che disponga in proprio favore il pagamento del compenso proporzionato alla quantità e alla qualità dell'attività svolta, ma in assenza di una corrispondente delibera societaria, mentre ricorre il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l'amministratore si auto-attribuisca un compenso sproporzionato all'attività svolta (conf. Sez. 5 n. 28077 del 15704/2011, Rv. 250461; n. 5186 del 02/10/2013, dep. 2014, Rv. 260196; n. 48017 del 10/07/2015, Rv. 266311).
1.7. Questo perché, il dato formale della assenza di una delibera assembleare o di una previsione statutaria, che fissi il compenso per l'amministratore della società di capitali, deve pur sempre confrontarsi con la circostanza che il prelievo possa essere comunque dovuto nell'"an" ed essere congruo, nel quale caso la condotta risulta non più distrattiva, in quanto determinante il pericolo di una riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori ma, a fronte della legittima sussistenza del credito, deve ritenersi lesiva del principio della par condicio creditorum, integrando così la fattispecie della bancarotta preferenziale. (Sez. 5 n. 36416/ 2023 cit., in motivazione, fol.4).
1.8. Calando i richiamati principi nella fattispecie in esame, è agevole rilevare che, dalla ricostruzione operata dalla sentenza impugnata, i compensi invocati dai ricorrenti non hanno trovato alcun riscontro documentale, poiché i crediti lavorativi, non deliberati dal C.d.A. né in qualche modo contrattualizzati, non risultano in alcun altro modo provati. Anzi, la dedotta circostanza che i prelevamenti per cassa fossero corrispondenti a emolumenti maturati nei pochi mesi di attività gestoria svolta in favore della società, dopo avere acquisito la società, prima del fallimento, è stata solo prospettata dai ricorrenti, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, in cui i Giudici di merito hanno, invece, segnalato come gli imputati "si siano limitati a incassare, senza versarli nelle casse sociali, i crediti residui che la società vantava nei confronti dei committenti dei lavori che erano stati eseguiti dalla Srl EDIL MAC prima che AL.WA. e coi coimputati ne diventassero amministratori", attività che " non solo non è stata svolta nell'interesse della società, a vantaggio della quale non ha portato alcuna utilità, ma che ha distratto tali rediti dal patrimonio della EDIL MAC, privando i creditori della relativa garanzia"
1.9. La Corte territoriale ha, pertanto, correttamente ricostruito il fatto secondo lo schema legale della bancarotta fraudolenta, dal momento che, risultando smentita la tesi che i prelevamenti fossero corrispondenti ad attività svolta nell'interesse della società - avendo la Corte di appello ampiamente spiegato come gli imputati, invece, abbiano solo incassato i crediti maturati nella vecchia gestione - non è concretamente prospettabile la qualificazione della condotta quale bancarotta preferenziale.
1.10. Le ulteriori deduzioni difensive volte a sconfessare la ricostruzione fattuale proveniente dai giudici di merito risultano genericamente riversate in fatto, e, dunque, non consentite nel giudizio di legittimità, nel quale la Corte di cassazione è giudice della motivazione e non delle prove sicché, in tema di controllo sulla motivazione, è normativamente preclusa, nel giudizio di legittimità, la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla cognizione Corte mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).il motivo di ricorso risulta, dunque, oltre che infondato, anche afflitto da genericità.
2. Non ha pregio neppure il secondo motivo, che denuncia violazione degli artt. 545-bis e 598-bis cod. proc. pen.
2.1. Come è noto l'art. 545-ó/s cod. proc. pen., (introdotto con l'art. 31 D.Lgs. n. 150 del 2022, attuativo del criterio di delega di cui all'art. 1, co. 17, lett. c) I. n. 134/2021) ha introdotto, tra gli atti successivi alla deliberazione del giudizio di merito, e, precisamente, dopo la lettura del dispositivo (art. 545 cod. proc. pen.), una nuova fase: è previsto, infatti, che, quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il Giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689, ne dà avviso alle parti, acquisendo il consenso dell'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale.
2.2. Con riguardo al tema posto dal ricorso, questa Corte si è già pronunciata nel senso che il presupposto dell'onere di dare l'avviso all'imputato è la preliminare, sommaria, positiva, delibazione del giudice di merito, da svolgersi secondo il criterio discrezionale di cui all'art. 133 cod. pen., sulla sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive di concedibilità del beneficio, oltre alle ulteriori condizioni correlate al limite quadriennale di pena e al mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena. Una volta che, con la lettura del dispositivo, risulti chiaro al Giudice e alle parti che la pena inflitta è contenuta nel predetto limite legale e che non è stata riconosciuta la sospensione condizionale della pena, il Giudice opera una valutazione discrezionale sulla sostituibilità della pena detentiva, e rivolgerà l'avviso all'imputato, acquisendone il consenso, solo laddove abbia valutato in astratto sussistenti i presupposti per la sostituzione. Se, invece, egli si risolve negativamente, sulla base di quanto a sua conoscenza, non sarà tenuto a dare alcun avviso, avendo evidentemente valutato insussistenti i presupposti per la sostituzione della pena (come, ad esempio, nel caso di conclamata pericolosità del condannato).
2.3. Il Collegio si riconosce, invero, nel principio, già affermato da questa Corte, per cui "in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, il giudice non deve in ogni caso proporre all'imputato l'applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito, al riguardo, di un potere discrezionale, sicché l'omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell'avviso di cui all'art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen., non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un'implicita valutazione dell'insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva" (Sez. 2 n. 43848 del 29/09/2023, Rv. 285412; conf. Sez. 1, n. 2090 de/ 12/12/2023 (dep. 2024) Rv. 285710; sez. 5 n. 10867 del 02/02/2024, Lenaz, n.m.). Orienta nel senso ora ricordato, sia la relazione preliminare alla legge che il chiaro testo normativo, fonti dalle quali emerge come il Legislatore abbia affidato al Giudice una prima delibazione sommaria circa la sussistenza dei presupposti che consentano all'imputato l'accesso alle sanzioni sostitutive, e posto a suo carico l'onere di darne avviso alle persone presenti alla lettura del dispositivo, raccogliendo, eventualmente, il consenso dell'imputato o del suo procuratore speciale, oppure rinviando a una nuova udienza ad hoc, solo laddove egli ritenga in astratto praticabile la via della sostituzione della pena. Conforta tale ricostruzione ermeneutica anche la constatazione della assenza di una sanzione processuale per il caso in cui il Giudice ometta di rivolgere l'invito in parola, dopo la lettura del dispositivo di condanna.
2.4. Deve, in sintesi, ribadirsi che non sussiste un obbligo generalizzato del Giudice: questi, ove ritenga concedibile il beneficio, acquisisce il consenso dell'imputato e, se ne sussistono le condizioni, decide immediatamente oppure apre la fase interlocutoria, fissando una udienza dedicata; ove escluda la concedibilità del beneficio, e non vi sia alcuna istanza della difesa, non è tenuto ad alcun avviso. Con la conseguenza che, nel caso di silenzio del giudice, che manchi cioè di rivolgere l'invito all'imputato, non può ravvisarsi alcuna nullità, poiché deve ritenersi che egli abbia implicitamente escluso la possibilità di sostituire la pena detentiva con sanzioni sostitutive; in tal ipotesi, spetta all'imputato, personalmente, se presente, o al difensore, sollecitare la valutazione della possibilità del ricorso a misure sostitutive.
2.5. In tale quadro, non ravvisandosi la codificazione di un obbligo del Giudice di dare avviso all'imputato, e avviare la procedura per l'applicazione delle sanzioni sostitutive, se non a seguito di una positiva delibazione di ammissibilità, deve ritenersi che il suo silenzio, dopo la lettura del dispositivo, equivalendo a una implicita delibazione negativa sul punto, non dia luogo ad alcuna nullità, e non può l'imputato - che, a sua volta, non abbia sollecitato il giudice - dolersi del mancato avviso. Può, invece, come è stato già affermato - attraverso il richiamo al principio affermato dalle Sezioni Unite 'Salerno', con riguardo alla possibilità del Giudice di appello di riconoscere, d'ufficio, la sospensione condizionale della pena - ravvisarsi una nullità della sentenza che abbia omesso l'avviso di legge solo in presenza di una espressa sollecitazione difensiva.
2.6. Giova, infine, aggiungere, che tale orientamento non risente delle recenti modifiche apportate all'art. 598-bis cod. proc. pen., con riguardo alla possibilità di disporre la sostituzione della pena detentiva nel giudizio di appello, dall'art. 2, comma 1, lettera z) del D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31, che ha modificato il comma 2 e introdotto i commi 1-bis, 4-bis e 4-ter, limitandosi la novella a individuare il termine per esprimere il consenso alla sostituzione di cui al comma 1-bis, in caso di udienza partecipata, e a prevedere, anche per il giudizio di secondo grado, secondo la medesima cadenza, la fase successiva alla delibazione in cui "la Corte, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva".
5. Al rigetto dei ricorsi segue ex lege la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 13 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024.