RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza emessa il 7 marzo 2022, confermava la pronuncia del Tribunale, che aveva accertato la responsabilità penale di R.A., per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale, con l'aggravante della cd. continuazione fallimentare.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di R.A. consta di sei motivi, oltre un motivo aggiunto, enunciati qui di seguito nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
3. Il primo motivo deduce violazione degli artt. 546,125,178, comma 3, e 179 c.p.p. e vizio di motivazione.
Lamenta il ricorrente che la Corte di appello non avrebbe stimato la sussistenza del legittimo impedimento dell'imputato a comparire per l'udienza del 7 marzo 2022, nonostante la certificazione medica allegata, non avendo consentito al ricorrente di prendere parte attiva al processo.
4. Il secondo motivo deduce violazione degli art. 192,530 e 546 c.p.p. e 216 L. Fall. con riferimento alla bancarotta documentale e vizio di motivazione.
Il ricorrente lamenta che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte di appello, l'imputato, quale liquidatore della società R.C. S.r.l., dichiarata fallita il (Omissis) dal Tribunale messinese, aveva consegnato tutte le scritture contabili al curatore fallimentare.
La sentenza impugnata riterrebbe erroneamente integrata la condotta di bancarotta fraudolenta documentale in relazione al mancato deposito della nota integrativa al bilancio, quanto al deprezzamento delle rimanenze di magazzino, senza considerare che la contestazione di bancarotta distrattiva fondava proprio sulla ricostruzione operata a mezzo delle scritture contabili e che la nota integrativa al bilancio 2016 non costituisce scrittura obbligatoria la cui sottrazione integri il delitto contestato.
5. Il terzo motivo deduce violazione degli art. 192,530 e 546 c.p.p. e 216 L. Fall. con riferimento alla bancarotta distrattiva e vizio di motivazione, nonché omesso espletamento di indagine peritale, quale prova decisiva ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p..
La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere configurabile la distrazione, sulla base della sola riduzione del valore, iscritta in bilancio, e della vendita al prezzo di circa seimila Euro, senza confrontarsi con il deprezzamento previsto per i capi di abbigliamento e senza espletare la decisiva perizia di stima, tanto più che risulterebbe dall'istruttoria che R. tentò la svendita straordinaria. In sostanza, R. non aveva alternativa alla vendita sottocosto e la Corte territoriale stima nella misura di 50mila Euro il valore delle rimanenze a fronte dell'originario valore di oltre 700mi1a Euro.
Difetterebbe inoltre la prova del nesso eziologico fra la condotta distrattiva e il fallimento che è scaturito dalla sola esposizione verso il fornitore (Omissis) S.r.l. per 87.150,00 Euro. Pertanto, al più sarebbe configurabile l'ipotesi della bancarotta semplice per aggravamento del dissesto.
6. Il quarto motivo deduce violazione degli artt. 216, comma 1, nn. 1 e 2 e 219, commi 1 e 2, n. 1, 223 L. Fall..
Lamenta il ricorrente che le modifiche apportate dall'art. 329 del codice della crisi d'impresa, in sostituzione dell'art. 216 L. Fall., determina la sostituzione immediata di una fattispecie di reato, con abolitio criminis.
Per altro l'art. 390 del medesimo codice, quanto alla disciplina intertemporale, risulterebbe in contrasto con gli artt. 3 Cost. e 2, comma 2, c.p. determinando un trattamento difforme di situazioni identiche.
7. Il quinto motivo lamenta violazione degli artt. 131-bis, 62-bis, 133 c.p., 27 Cost., 219 L. Fall. quanto alla attenuante della tenuità del danno. In particolare, in ordine a tale attenuante, il valore non inferiore a 50mila Euro della merce sottratta non dovrebbe escluderne l'applicazione, anche in considerazione della circostanza che se l'ammontare dei debiti è inferiore a 30mila Euro, il fallimento non può essere dichiarato ai sensi dell'art. 15 L. Fall.
8. Il sesto motivo lamenta violazione degli artt. 131-bis, 62-bis, 133 c.p., 27 Cost., in ordine alla commisurazione della pena, dell'omesso riconoscimento delle attenuanti generiche e dell'ipotesi del fatto di lieve tenuità ex art. 131-bis c.p..
9. Il motivo aggiunto, contenuto nelle conclusioni depositate dal difensore di fiducia del ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata, ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett a), e 179 c.p.p. per difetto di capacità del giudice, di cui all'art. 33 c.p.p., vista la partecipazione di giudici onorari al collegio giudicante.
10. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, D.L. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto annullarsi la sentenza in ordine alla bancarotta fraudolenta documentale, convenendo con le censure difensive, per nuovo esame e per rideterminazione del trattamento sanzionatorio, con rigetto del resto del ricorso.
11. Il difensore, come indicato in epigrafe, ha insistito per l'accoglimento del ricorso, con le conclusioni depositate il 19 maggio 2023, anche in replica a quelle della Procura generale, proponendo il motivo nuovo su indicato.
12. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è solo parzialmente fondato.
2. In ordine al primo motivo, afferente l'impedimento a comparire dell'imputato, ritenuto non legittimo, deve rilevarsi come la Corte di appello di Messina con ordinanza abbia ritenuto la certificazione medica non adeguata a comprovare l'impedimento, per difetto di specificazione della data dell'intervento chirurgico subito dall'imputato e anche perché l'indicazione di terapia e riposo per quindici giorni non era accompagnata dalla specificazione della impossibilità di lasciare il domicilio per comparire in udienza.
A riguardo deve rilevarsi come l'impedimento a comparire dell'imputato, se per un verso deve riguardare non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per esercitare il diritto di difesa, deve però integrare un impedimento effettivo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dall'imputato e a lui non ascrivibile (cfr., fra le altre, Sez. 5, n. 12056 del 20/01/2021, Profeta, Rv. 281022 - 01).
Pertanto, nel caso in esame l'ordinanza della Corte territoriale risulta certamente non affetta da illogicità manifesta, né da violazione di legge, in quanto in linea con l'orientamento consolidato di questa Corte, risultando adeguatamente motivata l'esclusione della natura assoluta dell'impedimento addotto.
3. Quanto al secondo motivo lo stesso e', invece, fondato.
3.1 Come correttamente osservato anche dalla Procura generale, il bilancio non può essere annoverato fra le scritture e i libri di cui all'art. 216, comma 1, n. 2 L. Fall.
Se tale ultima disciplina - a differenza dell'ipotesi della bancarotta semplice documentale che ha come oggetto del reato solo libri e scritture contabili assolutamente o relativamente obbligatorie (artt. 2241, commi 1 e 2, c.c.) -riguarda oltre alle scritture obbligatorie anche quelle facoltative, non di meno il reato di bancarotta fraudolenta documentale non può avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di "libri" e "scritture contabili" prevista dalla norma di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall. (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E., Rv. 273925 - 03; Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti, Rv. 268503 - 01).
Il principio di tassatività proprio del precetto penale esclude che il bilancio possa ritenersi libro o scrittura contabile, indicati dall'art. 216, comma 1, n. 2 L. Fall. e con identica espressione richiamati dalla rubrica dell'art. 2214 c.c., che prevede al comma 1 la documentazione obbligatoria in modo assoluto, al secondo quella relativamente obbligatoria.
Diversamente la "Sezione IX - Del bilancio" del Libro V del codice civile, dagli artt. 2423 c.c. e ss., regola la disciplina del bilancio, al di fuori della regolamentazione della disciplina dei libri e delle scritture contabili, facendo capo al bilancio, per altro, una propria disciplina in sede penale, quale quella integrante il diverso reato di bancarotta impropria da reato societario (cfr. Sez.5, Robusti).
3.2 Pertanto il delitto di bancarotta fraudolenta documentale non può avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di "libri" e "scritture contabili" prevista dalla norma di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall., che rinvia agli artt. 2214 e ss. c.c. e non anche alla disciplina del bilancio prevista nella sezione IX del libro V del codice civile, agli artt. 2423 e ss.
3.3 Nel caso in esame, per altro, non si contesta neanche l'omesso inserimento di una posta in bilancio - che potrebbe appunto al più integrare il delitto di falso in bilancio o la bancarotta impropria da reato societario, ma non il delitto ora contestato - bensì l'assenza della nota integrativa di accompagnamento al bilancio che avrebbe dovuto fornire gli elementi di comprensione della repentina riduzione di valore degli abiti costituenti rimanenza di magazzino. Si tratta di documento estraneo all'oggettività del reato contestato.
3.4 Ne consegue sul punto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
4. Quanto al terzo motivo lo stesso è generico.
La sentenza impugnata propone una ricostruzione dei fatti con i quali non si confronta il ricorrente: difatti la Corte di appello ha ritenuto che gli abiti trattati dalla R.C. S.r.l. fossero per lo più per bambini, mentre invece la vendita sottocosto risultava essere avvenuta per abiti da adulti, cosicché dalle circostanze che né l'acquirente P. ebbe a ricevere i primi - ma abbia ricevuti quelli per adulti - né siano stati rinvenuti in magazzino all'atto del fallimento, la sentenza impugnata ha tratto la prova della distrazione degli abiti per bambini. A ben vedere la ricostruzione risulta non manifestamente illogica e anche coerente con i principi in materia, per i quali, una volta accertata la preesistenza dei beni, nel caso di specie tratta dalle scritture contabili e dai libri ritenuti attendibili dalla curatela e anche dai giudici del merito, oltre che dallo stesso ricorrente, la prova della destinazione a fini aziendali della stessa spetta al fallito.
Difatti la prova della distrazione può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni risultanti dai documenti attendibili (cfr. Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, Ranon, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, Zanettin, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411).
Solo nel caso in cui vi sia una indicazione specifica della destinazione aziendale dei beni da parte del fallito, il giudice non può ignorarne l'affermazione, quando però le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l'individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 - 01; mass. conf. n. 19896 del 2014 Rv. 259848 - 01). Ma nel caso in esame la Corte di appello ha verificato la tesi dell'imputato, quanto alla vendita sottocosto a P., ritenendola infondata e smentita, senza alcuna illogicità.
Con tutto ciò e con la ricostruzione in fatto operata dalla sentenza impugnata non si confronta il motivo di ricorso, che dunque risulta generico, come anticipato, anche perché reiterativo delle ragioni di appello.
e', pertanto, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849), al più con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6 n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521).
In tale prospettiva, anche la doglianza in ordine all'omessa rinnovazione dell'istruttoria non disponendo la richiesta perizia risulta infondata. Va richiamato il consolidato orientamento per cui in tema di giudizio di appello, poiché il vigente codice di rito pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione -in senso positivo o negativo- sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento. (Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009 - dep. 2010, Pacini, Rv. 246859; mass. conf. N. 8891 del 2000 Rv. 217209 - 01, N. 47095 del 2009 Rv. 245996 - 01).
5. Quanto al quarto motivo lo stesso è manifestamente infondato.
5.1 Va preliminarmente evidenziato come la disciplina dell'art. 322 prevista dal Codice della crisi di impresa, D.Lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14, è in vigore dal 1 luglio 2022, per quanto previsto dall'art. 389, comma 1, del medesimo decreto, come modificato dall'art. 42, comma 1, lett. a) del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79.
Tanto premesso, deve evidenziare questa Corte come la nuova disposizione incriminatrice, che reca la medesima rubrica "Bancarotta fraudolenta", replica le stesse condotte già previste nell'art. 216 L. Fall., cosicché l'unico elemento innovativo è di natura lessicale e attiene all'uso dei termini "fallito" e "fallimento", che vengono sostituiti con il riferimento a "l'imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale" e "liquidazione giudiziale", nonché alla modifica della disciplina delle pene accessorie fallimentari, conseguente alla sentenza della Corte costituzionale, n. 222/2018, che già aveva prodotto i suoi effetti sostanziali.
D'altro canto, è stato correttamente osservato in dottrina come il principio di continuità fra le fattispecie criminose, prefissato dall'art. 2, comma 1, lett. a), L. 155 del 2017, è rifluito nella previsione dell'art. 349 del Codice della crisi che stabilisce con norma generale: "1. Nelle disposizioni normative vigenti i termini "fallimento", "procedura fallimentare", "fallito" nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni "liquidazione giudiziale", procedura di liquidazione giudiziale" e "debitore assoggettato a liquidazione giudiziale" e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie".
Proprio il riferimento alla "salvezza della continuità delle fattispecie" viene anche declinato attraverso la disciplina dell'art. 390, comma 3, del Codice della crisi, che prevede che in relazione alle procedure a trattarsi con la disciplina della legge fallimentare, "quando...sono commessi i fatti puniti dalle disposizioni penali del titolo sesto del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché della sezione terza del capo II della L. 27 gennaio 2012, n. 3, ai medesimi fatti si applicano le predette disposizioni".
In sostanza, il legislatore del Codice della crisi per sgombrare il campo da equivoci, pur a fronte, nel caso in esame relativo agli artt. 216 L. Fall. e 322 Codice della crisi, di precetti e sanzioni assolutamente identici, comunque prevede che debba, per i fatti anteriori alla vigenza dell'art. 322, continuare ad applicarsi la disciplina dell'art. 216 L. Fall.
5.2 D'altro canto, a fronte di una chiara volontà normativa, nel caso in esame il ricorrente non evidenzia quale sia il trattamento deteriore, rilevante ai sensi dell'art. 2 c.p., che verrebbe a subire per l'applicazione della precedente disciplina e dunque su cosa fondi la dedotta violazione dell'art. 3 Cost., determinata dalla norma transitoria denunciata di illegittimità costituzionale, cosicché la relativa questione difetta certamente di rilevanza, oltre ad apparire manifestamente infondata per la sostanziale sovrapponibilità della disciplina penalistica come innovata rispetto a quella applicata nel caso in esame (nello stesso senso, in motivazione, Sez. 5, n. 4772 del 2020, Mattiazzo).
5.3 Va evidenziato come neanche il mutamento quanto al profilo civilistico della disciplina ha rilievo, in quanto la sentenza dichiarativa di fallimento fa stato in sede penale e risulta immutata in assenza di esplicite previsioni normative in senso opposto, mentre che nel caso in esame esiste la richiamata norma transitoria che ne salvaguarda l'efficacia.
Quanto alle ricadute penali delle modifiche in sede civile, va inoltre richiamato l'autorevole intervento che ha consolidato in modo definitivo il principio per cui il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore. Il caso era proprio relativo a una modifica della disciplina dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, apportata all'art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. n. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. n. 12 settembre 2007, n. 169, che le Sezioni Unite chiarirono non avere alcuna influenza ai sensi dell'art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398 - 01; Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, Sebastianutti, Rv. 273188 - 01; Sez. 5, n. 9279 del 08/01/2009, Carottini, Rv. 243160 - 01).
Per altro, in relazione alla evocata sentenza delle Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, RIZZOli, Rv. 243586, richiamata dal ricorrente, va osservato, in sintonia con quanto affermato da Sez. 5, n. 12056 del 20/1/2021, Profeta, n. m che nel caso in esame si verte, pertanto, in ipotesi del tutto diversa da quella richiamata dal ricorrente, perché relativa all'esplicita abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata ed ‘alla soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 D.Lgs. n. 5 del 2006), rispetto alla quale è stata, coerentemente, ritenuta l'abolitio criminis: l'abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata e la soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 D.Lgs. n. 5 del 2006) hanno determinato l'abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura concorsuale (art. 236, comma 2, R.D. n. 267 del 1942), mentre, nel nuovo codice, al "fallimento" è stata sostituita la procedura di "liquidazione", senza che siffatta modificazione abbia in alcun modo inciso sulla rilevanza penale dei fatti previsti dal R.D. 267/194, integralmente richiamati dall'art. 329 del "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza". Le nuove norme si pongono, quindi, in perfetta continuità normativa con le precedenti disposizioni contenute del Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267.
5.4 Pertanto, in tema di bancarotta fraudolenta, sussiste piena continuità normativa fra la previsione dell'art. 216 L. Fall. e l'art. 322 del Codice della crisi e dell'insolvenza di impresa (D.Lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14) in vigore dal 1 luglio 2022, per quanto previsto dall'art. 389, comma 1, del medesimo decreto, come modificato dall'art. 42, comma 1, lett. a) del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79., per l'identità della formulazione delle due norme incriminatrici, al netto di non rilevanti, in sede penale, aggiornamenti lessicali. Pertanto la disciplina antecedente, da applicarsi ai sensi della disciplina transitoria dell'art. 390, comma 3, Codice della crisi, in ordine a tutti i casi in cui vi sia stata dichiarazione di fallimento, non determina alcun trattamento deteriore, rilevante ai fini dell'art. 2 c.p..
5.5 Pertanto, il motivo è manifestamente infondato.
6. Il motivo aggiunto, proposto con le conclusioni depositate in data 19 maggio 2023, non è consentito, in quanto non costituisce sviluppo di motivo di ricorso originario.
6.1 A riguardo va evidenziato che in tema di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del "petitum" dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto "petitum", introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione. (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012 - dep. 11/01/2013, P.C. in proc. Platamone e altro, Rv. 254301)
6.2 Ad ogni buon conto, deve rilevarsi come l'art. 12 del D.Lgs. n. 13 luglio 2017, n. 116, consente che i giudici onorari di pace (g.o.p.), rispetto ai quali non ricorrono le condizioni di cui all'art. 9, comma 4, possano essere destinati a comporre i collegi civili e penali del tribunale, quando sussistono i presupposti di cui all'art. 11 e secondo le modalità di cui al medesimo articolo.
E bene, l'art. 9 comma 4 richiede che il g.o.p. non possa essere chiamato ad integrare il collegio del tribunale nel corso dei primi due anni dal conferimento dell'incarico, dovendo essere assegnati solo all'ufficio per il processo.
L'art. 11 regola l'assegnazione ai giudici onorari di pace dei procedimenti civili e penali in presenza di alcune condizioni - come quella indicata alla lett. a), per cui il tribunale o una sua sezione presenta vacanze di posti in organico, assenze non temporanee di magistrati o esoneri parziali o totali dal servizio giudiziario tali da ridurre di oltre il trenta per cento l'attività dei giudici professionali assegnati al tribunale o alla sezione - ovvero per situazioni straordinarie e contingenti, a fronte della impossibilità di adottare misure organizzative diverse.
Tali previsioni riguardano non la capacità del giudice ma i criteri di assegnazione interni all'ufficio giudiziario, ai quali deve attenersi il presidente del Tribunale, la cui violazione al più potrebbe condurre a una illegittimità del provvedimento di assegnazione quanto al profilo amministrativo, ma solo a una mera irregolarità, e non certamente alla nullità della sentenza per incapacità del giudice, in relazione al provvedimento assunto in sede di giudizio penale.
Difatti, in ordine alla precedente disciplina ordinamentale, che regolamentava l'attività del giudice onorario, si era già affermato, in modo condiviso da questa Corte, che in tema di capacità del giudice la trattazione in dibattimento, da parte del giudice onorario, di un procedimento penale diverso da quelli relativi ai reati previsti dall'art. 550 c.p.p., non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale di cui all'art. 43-bis, comma 3, lett. b), ord. giud. (oggi art. 11, comma 6, D.Lgs. n. 13 luglio 2017, n. 116) introduce un mero criterio organizzativo dell'assegnazione del lavoro tra i giudici ordinari e quelli onorari (Sez. 3, n. 1735 del 21/10/2014, dep. 2015, Cinque, Rv. 262019 - 01; mass. conf. N. 20187 del 2004 Rv. 228363 - 01, N. 9323 del 2006 Rv. 233911 - 01, N. 41988 del 2006 Rv. 235544 - 01, N. 13573 del 2009 Rv. 243142 - 01).
Per altro, anche l'inosservanza delle disposizioni tabellari sulla formazione dei collegi giudicanti non è idonea ad integrare la nullità assoluta riguardante la capacità del giudice prevista dall'art. 178, comma 1, lett. a), c.p.p., ma costituisce una irregolarità amministrativa, a meno che la diversa composizione sia del tutto arbitraria e non sorretta da uno specifico provvedimento di assegnazione presidenziale (Sez. 3, n. 4841 del 18/07/2012, dep. 2013, Monacu, Rv. 254406 - 01, fattispecie nella quale è stata respinta la censura di inosservanza dei criteri tabellari sul presupposto che il ricorrente non aveva indicato le originarie disposizioni organizzative e le variazioni conseguenti all'assunzione delle funzioni di presidente del collegio di uno dei giudici a latere e al subentro di un giudice onorario; mass. conf.: N. 5113 del 2001 Rv. 217861 01, N. 17510 del 2004 Rv. 229702 - 01, N. 13445 del 2005 Rv. 231338 - 01, N. 27856 del 2005 Rv. 232310 - 01, N. 33519 del 2006 Rv. 234397 - 01, N. 6505 del 2011 Rv. 249450 - 01).
Diverso è il caso, in cui sussiste la nullità per incapacità del giudice, di impiego del g.o.p. in violazione dell'art. 12 cit., che in sede penale vieta l'integrazione del collegio del tribunale del riesame ovvero di quello che proceda per i reati indicati nell'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (sul punto Sez. 3, n. 9076 del 21/01/2020, G.G.T. Giovenzana Trasformazioni S.r.l., Rv. 279942 - 01, in relazione alla composizione del Tribunale del riesame).
D'altro canto, anche in sede civile, si è fatto riferimento ai soli divieti dell'art. 12 cit. come causa di nullità, escludendola in casi di impieghi non consentiti da diversa normativa o dalla previsione di indiRIZZO per l'assegnazione tabellare (Sez. 2 civ., Ordinanza n. 29629 del 28/12/2020 - Rv. 659979 - 02; Sez. 1 civ., Ordinanza n. 4887 del 24/02/2020 - Rv. 657037 - 01; mass. conf. N. 3356 del 2019 Rv. 652464 - 02).
L'art. 178, comma 1, lett. a) c.p.p., per altro, richiama la lettera dell'art. 33, comma 1, c.p.p., sancendo la nullità per mancata osservanza delle disposizioni in tema di "condizioni di capacità del giudice" e "numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario"; lo stesso art. 33, però, al comma 2 chiarisce che "Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici". In sostanza le norme relative alla assegnazione dei magistrati onorari, non rilevano ai fini della capacità del giudice, se non a fronte di un esplicito divieto di impiego previsto dal legislatore.
Nel caso in esame pacificamente il G.o.p. non è stato chiamato a integrare un Collegio per trattare un procedimento di riesame ovvero relativo a reati previsti dall'art. 407 c.p.p..
6.3 Ne consegue la natura preclusa e manifestamente infondata del motivo aggiunto.
7. Quanto al quinto e sesto motivo, afferenti al trattamento sanzionatorio, gli stessi risultano assorbiti in quanto, a seguito dell'annullamento senza rinvio quanto alla bancarotta documentale, spetterà alla Corte territoriale, vertendosi in valutazione discrezionale non consentita in sede di legittimità, determinare la pena in conseguenza del venir meno dell'aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, come anche valutare il trattamento sanzionatorio nella sua globalità.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta documentale perché il fatto non sussiste. Rigetta nel resto il ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Messina per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2023