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Reati fallimentari

Bancarotta fraudolenta: la disponibilità di documentazione fiscale della società prova la qualifica di amministratore di fatto

Bancarotta fraudolenta: la disponibilità di documentazione fiscale della società prova la qualifica di amministratore di fatto

Luglio 2024 - Cassazione penale sez. V, 10/07/2024, n.32173

Costituiscono indici fattuali rivelatori della qualifica di amministratore di fatto dell'imputato la disponibilità di buste paga dei dipendenti e documentazione fiscale della società.

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Per approfondire l'argomento, leggi il nostro articolo sul reato di bancarotta fraudolenta.

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 29 giugno 2023 la Corte di appello di Cagliari ha riformato la pronuncia dell'11 giugno 2020 del Tribunale cittadino in punto di pena, a seguito della esclusione della contestata recidiva, e ha per il resto confermato la decisione con la quale l'imputato Un.Gi. era stato condannato alla pena di giustizia: per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, nella qualità di amministratore di fatto della società Antichi S. dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Cagliari in data 17 novembre 2010; - per il reato di bancarotta fraudolenta documentale ed. specifica; con l'aggravante di avere commesso più fatti di bancarotta e di avere cagionato un danno di rilevante gravità. 2. Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l'imputato, attraverso i difensori di fiducia, articolando i motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, è stata dedotta violazione del divieto di reformatio in peius. La sentenza impugnata nel rideterminare la pena -riducendola a seguito della esclusione della contestata recidiva- ha, tuttavia, operato un maggiore aumento di pena per le contestate circostanze aggravanti rispetto alla sentenza di primo grado: mentre la sentenza di primo grado aveva operato un aumento cumulativo pari a mesi 6 di reclusione, la sentenza impugnata ha disposto un aumento pari ad anni 1 e mesi 11 di reclusione, violando la disposizione di cui all'art. 597 comma quarto cod. proc. pen. (Sez. 1 n.37985 del 08/06/2021, Rv. 282145). 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge, tradottasi in illegalità della pena, per la mancata indicazione del reato più grave sul quale è stato operato l'aumento. Pur applicandosi nel caso dei reati fallimentari lo specifico istituto della ed. continuazione fallimentare, è sempre necessario individuare quale delle fattispecie incriminatrici sia stata considerata più grave. La sentenza impugnata nella rideterminazione della pena non ha provveduto a tale indicazione. 2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta l'abnormità della statuizione relativa alla inammissibilità dell'impugnazione sulla confisca con conseguente irrevocabilità della stessa. Con l'atto di appello il ricorrente aveva impugnato le statuizioni relative alla confisca dello stabilimento della società Caseificio del Campidano Srl, in quanto nella sentenza di primo grado era stata disposta la confisca diretta del profitto del reato ex art.240 cod. proc. pen., ravvisandosi un collegamento causale tra i proventi dell'attività distrattiva e la realizzazione dello stabilimento. Conseguentemente l'imputato appellante aveva contestato l'assenza di motivazione in relazione a siffatto collegamento causale "reato-profitto-immobile." La sentenza impugnata non ha risposto allo specifico motivo di appello, dichiarando la inammissibilità dell'appello sul punto per difetto di legittimazione. La decisione è viziata secondo la difesa per una pluralità di ragioni: la confisca del profitto del reato non può divenire irrevocabile prima della irrevocabilità della condanna del fatto reato; l'amministratore e legale rappresentante della società colpita dalla confisca, Un.An., non era l'unico legittimato a proporre impugnazione, atteso che non era imputato per il reato per il quale è stata disposta la confisca (capo B); non era neanche legittimato ad impugnare dal momento che la società alla quale appartiene il bene confiscato è una società di capitali, di cui egli era unicamente il legale rappresentante al momento della commissione del fatto. 2.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge quanto alla mancata lettura degli atti utilizzabili in sede di rinnovazione dibattimentale e vizio di motivazione per il contrasto sussistente tra il verbale in forma riassuntiva e quello in forma integrale del 25 febbraio 2020. Con l'atto di appello era stata impugnata la sentenza di primo grado perché emessa in violazione dell'art. 525 comma secondo cod. proc. pen. in quanto, chiusa l'istruttoria, non era stata data lettura degli atti ritenuti utilizzabili ai fini della decisione ex art. 511 cod. proc. pen., mancando il provvedimento del giudice da adottare anche di ufficio circa la lettura dei verbali delle prove dichiarative non rinnovate. La sentenza impugnata ha risposto alla censura richiamando l'art. 511 comma quinto cod. proc. pen., secondo il quale il giudice, in luogo della lettura, può limitarsi a dare indicazione degli atti utilizzabili ai fini della decisione; e nel caso in esame il Tribunale ha esplicitamente dichiarato l'utilizzabilità degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento ai fini della decisione (verbale di udienza in forma riassuntiva del 25 febbraio 2020, ultima pagina). Con l'atto di appello si era censurata l'attività del giudice del primo grado proprio nella parte in cui non aveva mai indicato quali fossero gli atti utilizzabili ex art. 511 comma quinto cod. proc. pen., né aveva provveduto a darne lettura come risulta dai verbali di udienza del 9 gennaio 2020 e delle udienze precedenti dell'8 febbraio e del 29 maggio 2018. Infine, la dichiarazione di utilizzabilità degli atti contenuta nel verbale riassuntivo del 25 febbraio 2020 (nella parte prestampata) è in contrasto con il verbale integrale dal quale emerge l'assenza di siffatta dichiarazione. È ravvisabile la mancata applicazione dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte "Bajrami" e la conseguente violazione dell'art. 525 comma secondo cod. proc. pen. 2.5. Con il quinto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualifica dell'imputato quale amministratore di fatto della società fallita. La sentenza impugnata non si confronta con un dato decisivo: l'imputato svolgeva il ruolo di rappresentante di commercio per la società fallita. Riconoscendo l'incarico di piazzista svolto dall'Un.Gi., correttamente la Corte territoriale ha definito i rapporti commerciali con Bo. e To. equivoci e non decisivi, perché relativi ad operazioni che potevano svolgere anche semplici incaricati e piazzisti. Tuttavia, la sentenza impugnata ha poi contraddittoriamente valorizzato, ai fini della configurabilità del ruolo di amministratore di fatto in capo all'imputato, elementi non decisivi quali: - la disponibilità in capo allo stesso di due timbri, senza considerare che nella pratica commerciale le quietanze sono apposte proprio dal rappresentante di commercio; -la disponibilità presso l'abitazione di "importanti parti delle scritture contabili" e della documentazione della società, contrariamente a quanto risulta dal verbale di sequestro del 6 ottobre 2010, che non indica alcuno dei documenti previsti dall'art. 2214 cod. civ.; - la esistenza di rapporti con lo studio professionale incaricato della trasmissione delle dichiarazioni fiscali e dei bilanci; sul punto la sentenza impugnata appare contraddittoria perché, dopo avere affermato che siffatti documenti erano predisposti dall'imputato, nel prosieguo precisa che l'imputato si limitava a consegnare i bilanci e le dichiarazioni da trasmettere, accompagnando il legale rappresentante della società, Ca.; - le dichiarazioni del teste Er. nella parte in cui ha riferito che l'imputato era presente al momento del sopralluogo dell'immobile e al momento del rogito notarile. Le dichiarazioni del teste non sono state mai richiamate o utilizzate nella sentenza di primo grado e, comunque, l'intervento del ricorrente è stato del tutto occasionale, quale semplice intermediario della trattativa; - le dichiarazioni etero accusatorie rese dal coimputato Ca. al curatore fallimentare che, per essere utilizzate quale chiamata di correo, avrebbero necessitato degli avvisi ai sensi dell'art. 64 cod. proc. pen. e che sono, comunque, prive di riscontri. Gli elementi indicati risultano insufficienti al fine della ravvisabilità di un esercizio continuativo, significativo e non episodico ed occasionale dei poteri inerenti alla qualifica o alla funzione di amministratore. 2.6. Con il sesto motivo, è stato dedotto vizio di motivazione quanto alla configurabilità della bancarotta fraudolenta documentale. La responsabilità del ricorrente si è fondata su di una automatica estensione di colpevolezza alla sua persona, una volta riconosciuta la sua qualifica di amministratore di fatto e sulla valorizzazione di un suo eventuale interesse alla sottrazione della documentazione contabile senza ravvisare alcuna condotta che potesse configurare la fattispecie contestata. 3. In sede di memorie di replica alle conclusioni scritte del Sostituto procuratore generale, la difesa ha altresì eccepito la estinzione per intervenuta prescrizione delle condotte contestate. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è nel suo complesso infondato. 1. Il primo motivo è infondato. L'art. 597 comma quarto cod. proc. pen. stabilisce che, se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita. La difficoltà interpretativa della disposizione è da individuare nell'estrema varietà e peculiarità dei casi concreti rispetto alla sinteticità della norma. 1.1. Appare opportuno richiamare, ai soli fini della decisione, l'elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni unite sul punto. Una prima pronunzia ha chiarito che, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l'effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597 comma quarto cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado. (Sez. U n. 40910 del 27/09/2005, Morales, Rv. 232066). Dunque, l'art.597 comma quarto cod. proc. pen. individua, quali elementi autonomi, pur nell'ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l'aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione: conseguentemente non si può elevare la pena comminata per detti singoli elementi (circostanze e reati concorrenti anche se unificati per la continuazione), pur risultando diminuita quella complessiva a seguito dell'accoglimento dell'appello proposto con riferimento non alle circostanze o al concorso di reati, ma per altri motivi. Una pronunzia successiva ha stabilito che il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di "reformatio in peius", confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660). La pronuncia chiarisce che "...la innegabile autonomia e discrezionalità del giudizio di comparazione non sempre conduce ad attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato (sicché una "alterazione" dei termini di comparazione non comporta necessariamente una "alterazione" altresì del giudizio precedentemente espresso)...". Una ulteriore pronunzia delle Sezioni Unite ha poi chiarito che non viola il divieto di "reformatio in peius" previsto dall'art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell'impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest'ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall'identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. U. n.16208 del 27/03/2014, C. Rv. 258653). La pronuncia è rilevante ai fini della presente decisione atteso che valorizza un elemento non secondario e cioè che se muta uno dei termini (vale a dire, una o più delle regiudicande cumulate o il relativo "bagaglio" circostanziale) oppure l'ordine di quella sequenza (la regiudicanda-satellite diviene la più grave o muta la qualificazione giuridica di quella più grave), si assiste ad "...una "novazione" di carattere strutturale, non permettendo più di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente giudizio, giacché, ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza priva di qualsiasi logica giustificazione...". 1.2. Dunque, con specifico riferimento al caso in esame, va ritenuto che, allorquando il giudice di appello intervenga sulla pena attraverso l'esclusione della recidiva e modifichi gli elementi circostanziali sui quali ha operato la regola dell'art. 63 comma quarto cod. proc. pen., la disposizione di cui all'art. 597 cod. proc. pen. non può essere interpretata nel senso suggerito dalla difesa e, cioè, che sulla pena base occorre operare il medesimo aumento (pari a mesi sei di reclusione) corrispondente alla "porzione" di pena aumentata cumulativamente ai sensi dell'art. 63 comma quarto cod. pen. sul già disposto aumento di pena della circostanza aggravante ad effetto speciale più grave. Se è vero che il divieto di reformatio in peius non riguarda unicamente l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che hanno concorso a determinarla, questo non si verifica in casi, come quello di specie, in cui l'esclusione dell'aggravante della recidiva muta la struttura del concorso di circostanze ad effetto speciale, con conseguente necessità di rideterminazione dell'aumento per le residue circostanze aggravanti contestate, analogamente, del resto, a quanto avviene nel caso in cui, ai fini dell'applicazione del disposto di cui all'art. 81, comma 2, cod. pen., l'eliminazione del reato più grave comporta una diversità di struttura del reato continuato. L'art. 63, quarto comma, cod. pen. prevede un meccanismo di contenimento della pena, basato sul principio del cumulo giuridico, in virtù del quale, nel caso di concorso omogeneo tra più circostanze aggravanti autonome o a effetto speciale, il giudice deve applicare soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma può discrezionalmente aumentare la pena così determinata fino a un massimo di un terzo. Nel caso in cui venga meno il concorso di più circostanze ad effetto speciale, l'effetto "mitigativo" previsto dalla disposizione non ha più ragione di essere e necessariamente il giudice deve confrontarsi con la nuova struttura di reato e con la rivalutazione in termini sanzionatori degli aumenti circostanziali. La giurisprudenza di questa Corte, del resto, attraverso una corretta applicazione dei principi fissati dalle Sezioni Unite in precedenza citate, ha ritenuto che: - nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, non viola il divieto di "reformatio in peius" la decisione del giudice di appello che, avendo mutato tutti i componenti del computo della pena per il reato ascritto (mediante la riduzione della pena base, l'esclusione della recidiva e l'effettuazione del bilanciamento, in precedenza omesso, tra le attenuanti generiche e la residua aggravante) operi, per le già concesse attenuanti generiche, una riduzione minore, sia in termini assoluti, sia in termini di rapporto proporzionale, rispetto a quella effettuata, in ordine a tale componente, dal primo giudice (Sez. 5, n. 209 del 06/10/2022, dep. 2023, Cundari, Rv. 284311); - non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice di appello che, in accoglimento dell'impugnazione dell'imputato, nel concorso di due aggravanti ad effetto speciale, avendo escluso quella più grave, applichi, per la residua, un aumento sulla pena base per il reato più grave, pur se non determinato in misura inferiore in primo grado, irrogando una sanzione complessivamente inferiore a quella inflitta con la sentenza di condanna (Sez.2 n. 7966 del 09/01/2024, Beninato, Rv. 286001 secondo cui all'esito dell'esclusione dell'aggravante ad effetto speciale, non trova applicazione il meccanismo di contenimento previsto dall'art. 63, comma quarto, cod. pen.). 2. Il secondo motivo è inedito. Quanto al fatto più grave, lasciato immutato rispetto a quanto indicato nella sentenza di primo grado non risulta che la violazione di legge lamentata con la censura in esame fosse stata indicata nei motivi di appello, con conseguente sua inammissibilità ex art. 606, comma terzo, cod. proc. pen. Né la doglianza può ricondursi, come suggerito dal ricorrente, ad una ipotesi di pena "illegale", come tale rilevabile anche di ufficio. In tema di continuazione fallimentare, infatti, questa Corte ha ravvisato una ipotesi di illegalità della pena con riferimento ad un caso del tutto diverso da quello in esame: la pena era stata determinata facendo applicazione dell'istituto della continuazione in luogo dell'aggravante della ed. continuazione fallimentare, comportando la sottrazione delle attenuanti generiche, pur riconosciute, al giudizio di comparazione con l'aggravante della continuazione fallimentare (Sez. 5, n. 26412 del 26/04/2022, Farruggia, Rv. 283526). 3. Il terzo motivo di ricorso, relativo alla confisca, è infondato. Le argomentazioni a sostegno sono strettamente connesse alle doglianze relative alle condotte contestate e, dunque, per una maggiore coerenza espositiva saranno oggetto di successiva esposizione. 4. Il quarto motivo è manifestamente infondato. La questione di natura processuale era già stata proposta dinanzi alla Corte di appello, la quale correttamente ha in primo luogo richiamato i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui, in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali, la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile (S.U. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 276754). Quanto poi alla seconda delle censure contenute nel medesimo motivo e relativa alla mancata adozione di un provvedimento formale dal quale risultasse l'indicazione degli atti utilizzabili ai fini della decisione, la stessa appare manifestamente infondata non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte che ha avuto modo di chiarire che la violazione dell'obbligo di dare lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, ovvero di indicare quelli utilizzabili ai fini della decisione, non determina, in assenza di specifiche previsioni sanzionatorie, alcuna nullità o inutilizzabilità degli stessi, posto che essa non è inquadrabile tra le cause generali di nullità previste dall'art. 178 cod. proc. pen. e che gli artt. 191 e 526 cod. proc. pen. sanzionano con l'inutilizzabilità l'illegittima acquisizione della prova e, dunque, i vizi di un'attività che logicamente e cronologicamente si distingue e precede quella della lettura o dell'indicazione. (Sez. 5, n. 40374 del 14/09/2022, Antonacci, Rv. 283657). 5. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata e con le indicazioni della giurisprudenza di questa Corte. Il motivo ripropone una rivalutazione nel merito delle risultanze istruttorie analizzate dalla sentenza impugnata non considerando che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (S.U. n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944). Al riguardo la sentenza impugnata, con motivazione in fatto né manifestamente illogica, né contraddittoria (p.13), ha individuato plurimi ed inequivoci indici fattuali rivelatori della qualifica di amministratore di fatto dell'imputato e non soltanto quelli richiamati e "rivalutati" nel motivo di ricorso. La sentenza ha, infatti, valorizzato la disponibilità presso l'abitazione dell'imputato di documentazione: - relativa alla società, quale ad esempio le buste paga dei dipendenti; - procura speciale per il contenzioso dinanzi alla Direzione Provinciale del lavoro; - corrispondenza con un legale per un contenzioso della società e corrispondenza con più banche con cui la società intratteneva rapporti; - documentazione fiscale relativa ad alcuni anni di imposta. Proprio il rinvenimento della documentazione suindicata non è conciliabile con l'impostazione difensiva, secondo la quale le sentenze di merito hanno impropriamente sovrapposto la figura dell'amministratore di fatto con quella realmente svolta da Un.Gi. per conto della società di rappresentante di commercio. La sentenza impugnata, nel descrivere le molteplici attività svolte dall'imputato al di là del suo lavoro di rappresentante di commercio, ha correttamente tenuto in conto i principi affermati da questa Corte, secondo i quali: - in tema di bancarotta fraudolenta la qualifica di amministratore di fatto di una società non può trarsi solo dal conferimento di una procura generale "ad negotia", ma richiede l'individuazione di prove significative e concludenti dello svolgimento delle funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività imprenditoriale, anche a mezzo dell'attivazione dei poteri conferiti con la procura stessa (Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021 -2022- Capece, Rv. 282775). - in tema di bancarotta, la qualifica di amministratore di fatto di una società non richiede l'esercizio di tutti i poteri tipici dell'organo di gestione, essendo necessaria e sufficiente una significativa e continua attività gestoria o cogestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, anche solo in specifici settori, pur se non interessati dalle condotte illecite, tale da fornire indici sintomatici dell'organico inserimento del soggetto, quale "intraneus", nell'assetto societario (Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023, dep.2024, Commodaro, Rv. 285881). 6. Il sesto motivo sulla bancarotta documentale risulta generico in quanto non si confronta con le rilevanti ulteriori indicazioni contenute in sentenza sul concorso del ricorrente. Le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimità. La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507). La sentenza ha operato buon governo dei principi fissati da questa Corte con orientamento consolidato secondo cui, in tema di reati fallimentari, l'amministratore "di fatto" della società fallita è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011, Rv. 250844; fattispecie in tema di bancarotta fraudolenta documentale). La sentenza impugnata, con motivazione in fatto immune da vizi, ha (p.17) valorizzato le circostanze fattuali non adeguatamente confutate dal ricorrente, secondo le quali è ravvisabile il suo concorso anche nella bancarotta fraudolenta documentale. 7. Il rigetto dei motivi relativi alle condotte contestate di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale consente, da un punto di vista della successione logica degli argomenti, di affrontare il motivo relativo alla confisca dello stabilimento. La sentenza di primo grado (p.12) aveva disposto siffatta misura evidenziando: - il collegamento tra le somme di danaro rappresentate dai proventi delle distrazioni di significativo ammontare pari a circa mezzo milione di Euro confluite nel patrimonio della società Caseificio del Campidano; - la coincidenza temporale tra le distrazioni e la realizzazione dell'edificio; - la mancanza in capo al Caseificio di altre fonti di reddito lecite sufficienti per la realizzazione dello stabilimento medesimo; - l'interesse dell'imputato ad implementare il valore della società Caseificio del Campidano, riconducibile alla sua famiglia. 7.1. Pur ravvisandosi un'impropria statuizione - quanto alla indicazione nel dispositivo della intervenuta definitività della confisca a fronte della impugnazione delle condotte contestate e delle quali la confisca è diretta derivazione- al tempo stesso la decisione impugnata sul punto non può qualificarsi come "abnorme." Può, invero, alla luce della infondatezza delle censure relative alla penale responsabilità delle condotte di bancarotta, riconoscersi la legittimità della confisca in quanto direttamente collegata alla distrazione dei proventi della società fallita. Peraltro, secondo le Sezioni unite di questa Corte l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (S.U. n. 8825 del 27/10/2016, dep.2017, Galtelli, Rv. 268822). 8. Infine la deduzione difensiva in ordine alla estinzione delle condotte contestate per prescrizione è manifestamente infondata. Il riconoscimento a carico del ricorrente della circostanza aggravante ad effetto speciale, di cui all'art. 219, comma 1, L.Fall., di avere cagionato un danno di rilevante gravità comporta ai fini prescrizionali il raddoppio della metà della pena edittale massima con la conseguenza che, considerando quale dies a quo la data della sentenza dichiarativa di fallimento 17 novembre 2010, vanno considerati quali termini prescrizionali da aggiungere: quindici anni quale termine ordinario, in assenza di atti interruttivi; diciotto anni e nove mesi quale termine massimo "prorogato" (anni 3 e mesi 9 per l'aumento di un quarto). Dunque, in ragione degli atti interruttivi delle varie fasi processuali, il termine prescrizionale è da individuarsi nella data del 16 agosto 2029. 9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma in data 10 luglio 2024. Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024.
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