RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 aprile 2023, la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Udine che aveva ritenuto Ce.Ru., Ve.St. e Ia.Lu. colpevoli dei delitti di bancarotta loro rispettivamente ascritti, riconoscendo a tutti le circostanze attenuanti generiche e del danno risarcito giudicate prevalenti alle contestate aggravanti (la pluralità dei fatti di bancarotta ed il danno patrimoniale rilevante che ne era derivato), fissando così la pena inflitta a ciascuno in anni 1 e mesi 4 di reclusione, con la sospensione condizionale della pena principale e delle pene accessorie.
Le condotte contestate, in relazione al fallimento di Srl Tecnogeo, dichiarato il 4 febbraio 2011, erano le seguenti:
- al capo A, ascritto a Ce.Ru. (socio della fallita e legale rappresentante delle società beneficiate) e Ia.Lu. (consulente della società fallita di cui aveva tenuto le scritture contabili), il delitto di bancarotta documentale per avere sottratto o distrutto, in parte, i libri e le scritture contabili (i libri delle assemblee, il libro giornale, il libro degli inventari) della fallita, e comunque tenendole in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della stessa;
- al capo C, ascritto a Ce.Ru. (socio della beneficiata e poi suo amministratore) e Ve.St. (convivente del Ce.Ru. e legale rappresentante della società beneficiata), il delitto di bancarotta patrimoniale, per avere ceduto in affitto il ramo d'azienda produttivo della fallita (attivo negli appalti di lavori pubblici) alla società di nuova costituzione Srl Tecno.Geo per il canone irrisorio di euro 6.000 annui;
- al capo D, ascritto al solo Ce.Ru., ancora il delitto di bancarotta patrimoniale per avere distratto l'ulteriore ramo d'azienda della fallita, che ricomprendeva i beni immobili e titoli e depositi, cedendolo, con gli artifici descritti in imputazione (la fallita lo aveva conferito alla nuova società, da cui, con successiva modifica statutaria, era stata estromessa), alla neocostituita Sas Ce.Ru. E C., di cui era socio accomandatario, per un sostanziale corrispettivo di soli euro 5.000, pur avendo lo stesso un valore di circa un milione di euro.
2. Propongono ricorso tutti gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1. L'Avv. Luca Zanfagnini, per Ce.Ru., articola due motivi.
2.1.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del prevenuto per le condotte di bancarotta distrattiva ascrittegli ai capi C e D dell'imputazione.
La Corte d'appello aveva ritenuto che i soci della fallita, a fronte della necessità di estromettere dalla compagine sociale Ce.Mi (fratello dell'imputato) e dovendo porre rimedio alle condotte appropriative di costui, si fosse deciso di trasformare la fallita in una bad company e di trasferire l'attivo ad una società di nuova costituzione.
Ed invece, nel 2009, la Srl Tecnogeo godeva di ottima salute economica e finanziaria (come attestato dai testi Co. e Ba. e dal consulente di parte prof. Ba.Gu.). Situazione che la condotta di Ce.Mi non aveva intaccato.
L'imputato - ed il padre, Ce.Gi - avevano concepito ed attuato le operazioni descritte ai capi C e D al solo legittimo scopo (trattandosi di scelta imprenditoriale) di liquidare la Tecnogeo e di proseguire l'attività con una società che facesse capo al solo imputato.
Ciò anche al fine di evitare che Ce.Mi potesse vantare diritti ereditari alla scomparsa del padre Ce.Gi (sulle quote da questi detenute nella fallita e quindi sull'attività della famiglia).
Si erano così trasferiti i rami d'azienda alla Srl Tecno.Geo di nuova costituzione, amministrata da Ve.St. e di proprietà del solo Ce.Ru., ed il ramo Invest anch'esso a Sas appartenente a quest'ultimo. Avviando alla liquidazione la vecchia Tecnogeo Srl.
Per le medesime finalità liquidatone era stato istituito, il 10 agosto 2009, il trust, un istituto pienamente legittimo (Cass. n. 10105/2024), al fine di liquidare l'attivo e di pagare il passivo.
Trust che aveva tenuto una regolare contabilità e che, ricevuti dei pagamenti per circa un milione di euro, aveva provveduto ad estinguere i debiti della fallita per la somma complessiva di euro 800.000 euro.
Del resto lo stesso Tribunale civile di Udine, con la precedente sentenza del 31 marzo 2009, aveva riconosciuto come la vecchia Srl Tecnogeo non versasse in stato di insolvenza.
Il successivo fallimento era stato dichiarato, nel 2011, su istanza di un creditore che era stato poi estromesso dallo stato passivo.
Tutti argomenti - circa l'assenza di una situazione di insolvenza sia all'epoca delle operazioni sia al momento della declaratoria di fallimento - con i quali la Corte d'appello non si era confrontata.
Una situazione complessiva che escludeva anche la sussistenza del dolo, pur generico, richiesto nell'ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
2.1.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione al ritenuto delitto di bancarotta documentale.
La mancata tenuta delle scritture contabili indicate in imputazione non aveva connessione alcuna con le operazioni che si assumevano avere depauperato il patrimonio della fallita, come, invece, aveva erroneamente affermato la Corte territoriale. Anche considerando che le predette erano avvenute a mezzo di atti notarili.
Il curatore poi aveva affermato di essere riuscito a ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari della fallita, servendosi della documentazione giunta in suo possesso.
La sussistenza del necessario dolo specifico era poi esclusa alla luce di quanto considerato nel primo motivo. Né in ipotesi poteva ritenersi configurato il dolo generico previsto per l'altra ipotesi di bancarotta documentale in considerazione dei fini perseguiti dall'imputato e dal padre.
Al più poteva rinvenirsi un profilo di colpa, così da diversi riqualificare la condotta nell'ipotesi di bancarotta semplice, nel frattempo prescritta.
2.2. Ancora l'Avv. Luca Zanfagnini, per Ve.St., deduce, con l'unico motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità della prevenuta in ordine al delitto contestatole al capo C.
La Corte non aveva considerato il fatto che il contratto di affitto del ramo d'azienda della fallita alla neocostituita Tecno.Geo Srl aveva subito il differimento della sua efficacia ad una data in cui l'imputata non ne era più la legale rappresentante.
Non si era poi evidenziato elemento concreto alcuno da cui potersi desumere, in capo alla ricorrente, il dolo richiesto dal reato, la volontà di recare danno ai creditori della fallita.
Né poteva valere il criterio del "non poteva non sapere".
Al momento della stipula dell'affitto del ramo produttivo la fallita aveva conservato il ramo finanziario che le avrebbe certamente permesso di saldare i propri debiti.
Si ricordava poi come il fallimento non avrebbe dovuto essere dichiarato posto che l'istanza era stata avanzata da creditore poi non ammesso al passivo.
2.3. L'Avv. Maurizio Conti, per Ia.Lu., deduce, con l'unico motivo, la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 219, ult. comma, legge fall., non avendo la Corte riconosciuto l'attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità.
La Corte l'aveva negata affermando che il danno provocato dalla condotta di bancarotta documentale, l'unico addebito ascritto alla ricorrente, conseguiva alla difficoltà che il curatore aveva trovato nel ricostruire il patrimonio della fallita.
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Paola Mastroberardino, ha inviato requisitoria scritta con la quale ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
4. L'Avv. Zanfagnini per la ricorrente Ve.St. ha inviato memoria con la quale ha insistito sui motivi di ricorso e ha eccepito l'intervenuto decorso, in epoca successiva alla pronuncia impugnata, del termine di prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell'interesse degli imputati non meritano accoglimento.
1. I motivi di ricorso formulati dal difensore di Ce.Ru. e da Ve.St. in riferimento alla loro dichiarata responsabilità per i delitti loro rispettivamente ascritti sono infondati, ed ai limiti della ammissibilità, perché versati in fatto e perché non affrontano le argomentazioni spese dalla Corte territoriale sulle censure che la difesa aveva già proposto in appello e ripropone ora, sostanzialmente invariate, negli odierni ricorsi.
In realtà lo stesso nucleo centrale del ragionamento difensivo muove da un insuperato equivoco: il fatto che lo "svuotamento" della fallita (prima del ramo produttivo, poi di quello finanziario, sempre, programmaticamente, senza adeguato corrispettivo) sia dipeso dall'intento di liquidare, senza ulteriori esborsi economici (oltre alle somme di cui il congiunto si era appropriato), il fratello dell'imputato Ce.Mi (che si era rivelato essere un infedele amministratore della società di famiglia) non lo rende, per tale ragione, una "legittima scelta imprenditoriale, ma resta quel che è realmente stata (e che così è stata voluta), la distrazione dalla società fallita dell'intero suo patrimonio.
Ed ancora: lo stato di insolvenza, pur non dichiarato dalla sentenza civile del 2009, era stato però accertato con la successiva sentenza del 2011, ed i giudici del merito e questa Corte, in sede penale, non possono che prenderne atto (si è detto, infatti, che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n.267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato d'insolvenza dell'impresa, poiché, diversamente, si determinerebbe una impropria forma di impugnazione di una sentenza civile in sede penale: Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, Sebastianutti, Rv. 273188), risultando del tutto irrilevante il fatto che il creditore istante non sia stato ammesso al passivo, come la difesa assume essere accaduto nell'odierno caso concreto.
Quel che, quando sia contestato il delitto di bancarotta patrimoniale, non è, allora, lo stato di effettiva insolvenza della società (al cui accertamento provvedono i giudici civili) e neppure l'individuazione del movente delle condotte (se consumate al fine di danneggiare i creditori o uno dei soci, e, peraltro, di conseguenza, anche i creditori stessi), ma se siano rinvenibili quegli "indici di fraudolenza" che ne dimostrino, per un verso, l'oggettivo depauperamento del patrimonio della fallita, e, per altro verso, la consapevolezza degli imputati di pervenire a tale esito (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763).
Così che si è anche precisato che:
- in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, anche l'esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l'apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori, ove siano rinvenibili "indici di fraudolenza" della distrazione (Sez. 5, n. 37109 del 23/06/2022, Giorgetti, Rv. 283582);
- in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l'epoca del depauperamento può assumere rilevanza ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell'agente presenti elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando il depauperamento consegua ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un'alternativa ipotesi qualificatoria (Sez. 5, n. 45230 del 16/09/2021, Morabito, Rv. 282284);
- in tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di "distrazione" si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l'impresa versi in stato di insolvenza (Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550).
Principi di diritto da cui si deduce l'inconferenza dell'argomento della buona salute economica della società al momento delle condotte distrattive, posto che erano state proprio le stesse a determinarne, facendo mancare alla società ogni componente patrimoniale attivo (prima il ramo produttivo e poi quello finanziario), il successivo dissesto (ancorché lo stesso possa essere stato, in ipotesi, di dimensioni contenute ma sia stato, comunque, dichiarato).
Né può dubitarsi della configurabilità, nell'odierno caso concreto, dell'elemento soggettivo del reato perché ma del tutto volute erano state le operazioni che avevano condotto alla distrazione dell'intero patrimonio; ed anzi
tale svuotamento era stato proprio l'intento quantomeno di Ce.Ru., proprio al fine di estromettere (anche in futuro, ereditando dal padre le quote della fallita) il fratello Ce.Mi dall'attività economica familiare già affidata all'odierna fallita e volutamente "distratta" a favore delle nuove realtà all'uopo costituite: la Tecno.Geo Srl (con evidente sovrapposizione e confusione del nome all'evidente fine di subentrare anche nell'avviamento) e la Sas Ce.Ru. E C.
E' allora evidente come sia la cessione in affitto del ramo produttivo (del valore di almeno 450.000 euro) per soli 6.000 euro annui, sia il distacco dal patrimonio della fallita (con le operazioni descritte in imputazioni e ripetute dai giudici del merito) del ramo finanziario (del valore di circa un milione di euro) per un sostanziale corrispettivo di soli 5.000 costituiscano delle condotte che hanno oggettivamente depauperato il patrimonio della fallita, nella assoluta consapevolezza degli imputati (per la prima anche della Ve.St., che aveva sottoscritto il contratto di affitto, per conto della società beneficiata, a valori così macroscopicamente incongrui da disvelare per se stesso l'intento distrattivo che l'aveva determinato, risultando, di contro, irrilevante il rinvio della sua efficacia a fronte della già assunta obbligazione), che, anzi, avevano avuto proprio di mira, come si è detto, l'effettuato, totale, svuotamento della società (a danno del congiunto ma anche dei suoi creditori).
2. A fronte di tale inequivoca ricostruzione diviene irrilevante anche l'utilizzo del trust di cui è cenno in imputazione e che costituisce anche un'argomentazione difensiva riferita sia al coinvolgimento del medesimo nella distrazione del ramo finanziario sia ai rapporti dello stesso con la fallita (avendo, si assume, agito come ente liquidatorio).
Certo la costituzione di un trust risponde ad una scelta lecita dell'imprenditore, o eventualmente di una società, che intenda separare una parte del proprio patrimonio per dedicarla al conseguimento di fini particolari e specifici.
Né risulta vietato l'invocato trust liquidatorio (pur dovendosi verificare che non nasconda l'intento di sottrarre i beni conferiti alla precedente, più ampia, garanzia patrimoniale) visto che si è affermato (Cass. civile sez. 3, n. 3128 del 10/02/2020, S./A., Rv. 657143) che, in tema di "trust" istituito a fini liquidatori, l'atto mediante il quale i beni sono attribuiti al "trustee" è lecito pur se necessita di un vaglio, particolarmente penetrante, da parte del giudice di merito, condotto esaminando l'operazione complessiva in relazione alla causa concreta del programma negoziale e alla meritevolezza degli interessi perseguiti nel rispetto dei limiti posti dalla legge fallimentare e dal sistema delle revocatone.
Resta però che un mezzo pur lecito, come il trust liquidatorio, ben può essere utilizzato per raggiungere un esito illecito, come, da quanto sopra osservato,
risulta essere complessivamente avvenuto nella, voluta e predeterminata, sottrazione alla fallita, del ramo d'azienda finanziario a valori del tutto incongrui.
Quanto invece all'attività del trust, in tema di liquidazione del patrimonio e dei debiti/crediti della fallita, si sono dedotte circostanze di fatto prive di concreto riscontro e che comunque non elidono (e non compensano), la ricordata condotta distrattiva, né sono atte a confutare il dolo intenzionale delle parti, anch'esso già illustrato, ma al più avrebbero potuto incidere sulla contrazione del concreto passivo (con eventuali riverberi sul trattamento sanzionatorio che tuttavia è già, per tutti gli imputati, ai minimi assoluti).
3. Quanto alla bancarotta fraudolenta documentale (sulla cui sussistenza il solo Ce.Ru., e non la Ia.Lu., che si è doluta del solo trattamento sanzionatorio, ha formulato doglianze), l'elemento oggettivo del reato deriva dalla pacifica sottrazione di parte delle scritture contabili (rinvenute solo in sede di perquisizione domiciliare presso la Ia.Lu.) e dalla conseguente consapevolezza di sottrarre almeno quella parte delle medesime alla verifica del curatore; a ciò si era aggiunta anche quanto ulteriormente contestato ed accertato: la sostanziale illeggibilità di alcune delle scritture e dei libri contabili acquisiti.
Sottrazioni e scritturazioni che denunciavano esse stesse l'evidente intento di non consentire una attendibile ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari ad evidente danno dei creditori (concretandosi così anche quel dolo specifico che deve accompagnare la condotta di occultamento delle scritture).
E che imponevano anche di escludere l'invocata ipotesi di derubricazione della condotta nella gradata fattispecie della bancarotta semplice punibile a titolo di sola colpa.
4. Quanto all'unico motivo del ricorso Ia.Lu., sul mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, anch'esso manca di affrontare la specifica confutazione dell'analogo motivo di appello.
La Corte territoriale aveva infatti considerato che la condotta contestata a titolo di bancarotta fraudolenta documentale aveva impedito di adeguatamente ricostruire il patrimonio della fallita, non potendosi pertanto ritenere di particolare tenuità il danno provocato ai suoi creditori, facendo così congrua applicazione del principio di diritto già formulato da questa Corte secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall'art. 219, comma terzo, legge fall., deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all'incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori (Sez. 5, n. 7888 del 03/12/2018, dep. 2019, Bovini, Rv. 275345).
5. Da ultimo, e facendo riferimento al termine di prescrizione dei contestati reati (il cui decorso è stato eccepito dalle difese in udienza e che comunque riveste rilievo considerando la non inammissibilità dei motivi di ricorso) deve osservarsi come, in relazione a tutte le condotte ascritte, era stata contestata l'aggravante di cui all'art. 219, comma 1, legge fall.
Aggravante ritenuta - perché inclusa nel giudizio di comparazione delle circostanze eterogenee, seppure di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle "aggravanti" contestate (ex plurimis, da ultimo Sez. 4, n. 38618 del 05/10/2021, Ferrara, Rv. 282057: ai fini della prescrizione del reato occorre tenere conto delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, anche ove le stesse siano considerate subvalenti nel giudizio di bilanciamento con le concorrenti circostanze attenuanti, perché l'art. 157, comma 3, cod. pen. esclude espressamente che il giudizio di cui all'art. 69 cod. pen. abbia incidenza sulla determinazione della pena massima del reato) che erano, appunto, quelle della pluralità dei fatti di bancarotta (rimasta in capo al solo Ce.Ru.) e, appunto, per il danno rilevante - dal Tribunale e che non era stata fatta oggetto di alcun motivo di appello (e neppure di ricorso).
Resta pertanto fermo il suo riconoscimento che comporta, trattandosi di aggravante ad effetto speciale, l'allungamento del termine di prescrizione dei reati, che, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., è pari ad anni 18 e mesi 9, un termine non ancora, ad oggi, trascorso.
6. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma l'11 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2024.