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Bancarotta fraudolenta: sussiste in caso di locazione di beni aziendali senza versamento dei canoni

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 15/06/2018, n.49489

Integra gli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta per distrazione la stipula, in epoca precedente la dichiarazione di fallimento, di un contratto di locazione di beni aziendali dell'impresa fallita senza che i relativi canoni siano versati nelle casse aziendali.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, emessa dalla Corte di appello di Ancona, in data 12 febbraio 2015, è stata confermata la condanna emessa dal Tribunale di Fermo, nei confronti di F.P., in relazione al reato di bancarotta per distrazione, alla pena di anni due di reclusione, oltre alle pene accessorie, concesse all'imputato, le circostanze attenuanti generiche. 1.1. La distrazione, come ricostruite le vicende dai giudici di merito, riguarda prelievi di somme di danaro e canoni di locazione relativi all'opificio, locato a terzi, dal marzo 2008, percepiti in epoca anteriore al fallimento e non reperiti, in relazione alla ditta individuale (OMISSIS), dichiarata fallita il 21 novembre 2008. 2. Avverso l'indicata sentenza, di cui si chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando due motivi, di seguito enunciati, nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione e contraddittorietà della stessa. Si assume che la destinazione delle somme di danaro ad esigenze personali del F., ha riguardato piccole somme, distratte in un ampio contesto temporale, di circa tre anni precedente al fallimento, comunque equivalenti alla spesa mensile di circa 900,00 Euro, destinata a soddisfare esigenze di necessario mantenimento del nucleo familiare, come ricostruito dal consulente di parte. Il ricorrente deduce che la motivazione dei giudici di merito, che fonda sull'assenza della prova dello stato di necessità e sulla intangibilità del patrimonio della ditta individuale, rispetto alle esigenze dei creditori per le quali rappresenta garanzia, non prende in considerazione, invece, l'incidenza della situazione economica del nucleo familiare sull'esistenza dell'elemento soggettivo del reato. 2.2. Con il secondo motivo si deduce che vi sarebbe errore di diritto circa l'applicazione dell'art. 216 L. Fall., ricadendo al più, la condotta accertata in sede di merito, in quella punita dall'art. 217 citata Legge, tenuto conto della destinazione delle somme mensili a spese, non eccessive, del nucleo familiare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile. 2. La Corte territoriale, invero, ha fatto buon governo dei principi di diritto affermati da questa Corte territoriale, in tema di fallimento della ditta individuale, del vincolo di indisponibilità del patrimonio dell'imprenditore, di cui all'art. 2740 c.c.. La condotta descritta dai giudici di merito, infatti, è caratterizzata dalla violazione del vincolo legale che limita, ex art. 2740 c.c., la libertà di disposizione dei beni, destinati, dall'imprenditore, a fini diversi da quelli propri dell'azienda, sottraendoli ai creditori. L'elemento oggettivo è realizzato, nella specie, in quanto risulta accertato l'ingiustificato distacco di beni o attività, con il conseguente depauperamento patrimoniale che, nel caso in esame, si è risolto in un danno per la massa dei creditori. Ciò, peraltro, tenuto conto che l'ablazione è attività astrattamente legittima e lecita, solo ove miri alla realizzazione delle finalità dell'impresa. Corretto è, dunque, il ragionamento seguito in sede di merito, secondo il quale in tema di bancarotta, la prova della responsabilità, dal punto di vista oggettivo, si desume anche soltanto dalla dimostrazione di prelievi apparentemente ingiustificati dalle casse della fallenda. Infatti, una volta accertato che l'imprenditore ha avuto nella sua disponibilità determinati beni, nel caso in cui questi non renda conto del loro mancato reperimento, o, comunque, non possa giustificarne la destinazione ad effettive necessità dell'impresa, si deve dedurre che gli stessi siano stati dolosamente distratti. Ciò in quanto sussiste, in capo al fallito, l'obbligo di fornire dimostrazione della destinazione dei beni acquisiti al suo patrimonio (Sez. 5, n. 48520 del 06/10/2011, Zambon, Rv. 251537; Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008 - dep. 2009, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400 del 15/12/2004 - dep. 2005, Sabino, Rv. 231411; Sez. 5, n. 9430 del 17/05/1996, Gennari, Rv. 205921). 2.1. Inoltre integra senz'altro gli estremi del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'avvenuta stipula di un contratto di locazione, riguardante beni dell'ente dichiarato fallito (nella specie opificio industriale), trattandosi di contratto stipulato in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, senza che, peraltro, i canoni risultino versati nelle casse aziendali (Sez. 5, n. 7201 del 27/02/2006, Hotel Alli Due Buoi Rossi, Rv. 233634). 2.1.1. Risulta, peraltro, nella specie non verificato, in punto di merito, l'assunto difensivo secondo il quale emergerebbe una causa di giustificazione della condotta distrattiva, avendo, anche nel ricorso, specificato la destinazione di somme e canoni, ad esigenze ordinarie del nucleo familiare, senza nemmeno dedurre lo stato di bisogno. Del resto l'elemento soggettivo, nella fattispecie in esame, sussiste senz'altro, tenuto conto della mancata destinazione ad effettive necessità dell'impresa delle somme indicate nell'imputazione, da reputarsi, dunque, dolosamente distratte. 2.2. Il secondo motivo è, del pari, manifestamente infondato, tenuto conto che alcun errore di diritto si rinviene nell'operata qualificazione giuridica della condotta, correttamente fatta rientrare, nella motivazione dei giudici di merito, nella previsione di cui all'art. 216 L. Fall., per le ragioni sopra ampiamente esposte. Peraltro il motivo devoluto in sede di legittimità, è perfettamente sovrapponibile a quello prospettato con il gravame, rispetto al quale la Corte territoriale ha offerto una motivazione, congrua, non contraddittoria, senza incorrere in alcuna violazione di legge. 3. Il ricorrente, per quanto sin qui esposto, va condannato al pagamento delle spese del procedimento nonchè, non ricorrendo ipotesi di esonero, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro duemila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 15 giugno 2018. Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018
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