RITENUTO IN FATTO
1. Per quanto qui di interesse, il Tribunale di Roma:
- con sentenza del 12 settembre 2016 (proc n. 22166/16), dichiarava responsabili dei delitti loro rispettivamente ascritti e meglio indicati in dispositivo A.A., A.H.V., B.E., B.M., C.R., D.M.S., F.E.S., G.M.G., G.M., M.C., N.M. , P.C. e T.F.F. condannandoli alle pene (ed al risarcimento dei danni) riportate in sentenza, disponendo la confisca di una serie di beni di loro appartenenza;
- con sentenza del 20 marzo 2019 (proc. n. 7578/19), dichiarava responsabili dei delitti loro rispettivamente ascritti e meglio indicati in dispositivo P.C., M.C., C.R., C.M. ed A.I. condannandoli alle pene (ed al risarcimento dei danni) riportate in sentenza e confiscandone i beni fino alla concorrenza delle somme precisate.
Nel procedimento concluso con la prima sentenza era contestata ai prevenuti la costituzione di un'associazione a delinquere, volta alla commissione di reati di bancarotta (patrimoniale ed impropria), di riciclaggio e di violazioni della normativa fiscale, tutti finalizzati a spogliare (con modalità varie e anche finanziandosi con la stipula di contratti di leasing immobiliare) le società degli amministratori di società decotte che a tale associazione si rivolgevano, di gran parte del loro patrimonio, trasferendo poi le società stesse all'estero al fine di eludere la declaratoria del dissesto nel territorio nazionale.
Al delitto associativo si erano aggiunti i reati-fine costituiti dalla violazione delle norme previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, dai delitti di bancarotta, di riciclaggio, di appropriazione indebita meglio descritti in rubrica, consumati in occasione della spoliazione delle società indicate.
La medesima imputazione associativa veniva ascritta agli ulteriori imputati del procedimento definito con la seconda sentenza citata, con i reati fini afferenti le medesime (già contestate ai coimputati) ed altre operazioni di spoliazione delle società avviate al fallimento.
1.1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza del 17 giugno 2012, oggi impugnata, previa riunione dei procedimenti e in parziale riforma delle ricordate pronunce, proscioglieva i prevenuti dai reati che si erano, nel frattempo, estinti per prescrizione, assolveva alcuni degli imputati da parte delle accuse loro mosse e rideterminava le pene inflitte agli odierni ricorrenti nella misura indicata in dispositivo.
1.2. Gli imputati che hanno proposto ricorso sono i seguenti.
2. Gli Avv.ti T., per P.C., articolano nove motivi di ricorso.
Pambianchi è imputato dei reati di cui ai capi 2, 10, 24, 27, 28 e 31 del proc. n. 7578/19 e del delitto associativo.
2.1. Con il primo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 416,110, c.p. e art. 192 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il delitto associativo.
Era stato smentito il supposto ruolo del prevenuto di collettore dei clienti per conto dell'associazione. Non si era individuata alcuna specifica condotta ma lo si era ritenuto parte dell'associazione, nel ruolo di organizzatore, per la mera contitolarità dello studio professionale.
Si era contraddittoriamente affermato che non vi era la prova del percepimento, da parte sua, di alcun profitto illecito per poi osservare come, invece, si dovesse dedurre l'intraneità del P. nell'associazione dal percepimento di profitti rivenienti da alcune delle operazioni contestate.
La Corte si era limitata a valorizzare il preteso contenuto della chiavetta usb sequestrata al B.. Supporto che, però, costituiva un unico indizio a carico dell'imputato, che non poteva neppure definirsi grave e preciso, configurando solo un mero sospetto o una semplice congettura e non una piena prova della sua responsabilità.
Quanto al preteso profitto che si assume ricavato da P. nella vicenda Conad, i 300.000 erano a lui dovuti a titolo di compenso professionale.
Il teste B. ne aveva attestato l'estraneità della vicenda della cessione dell'immobile di (Omissis). Ne' ve ne era traccia nella pendrive.
Tra i files dello studio A. non era indicato il ricorrente. Non erano emersi contatti fra P. e gli altri presunti associati o il suo coinvolgimento nelle condotte illecite.
Quanto alla complessiva vicenda del Gruppo (Omissis) si erano travisati i contenuti delle tre conversazioni intercettate. In esse, P. non si era mostrato affatto fiero dell'operazione condotta per sottrarre le società al pagamento delle imposte (le si ricordavano da pag. 16 del ricorso), come asserito dalla Corte di merito.
2.2. Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 10 (RG 7578).
Si osserva come la stessa Corte di merito aveva convenuto sul fatto che non potesse ascriversi la responsabilità delle condotte descritte nelle plurime imputazioni impersonalmente allo studio M.- P., senza precisare chi fossero i professionisti che, per esso, avevano concretamente operato, ma che, da tale premessa, non se ne erano tratte le dovute conseguenze in ordine alla responsabilità del P., che era rimasto sempre estraneo ai fatti, limitandosi ad essere uno dei titolari dello studio.
Posto poi che il ricorrente, rispetto ai reati fallimentari, avrebbe potuto ricoprire soltanto la posizione di extraneus, non si erano neppure provati né l'accordo criminoso con il soggetto qualificato, gli amministratori delle società, né il suo contributo causale ai reati ascritti, né l'elemento soggettivo dei medesimi.
Quanto alle operazioni descritte al capo 10 della rubrica (pg. 65 e ss della sentenza), pur attribuendone, la Corte, l'ideazione e la realizzazione a M., si era dedotto il contributo del ricorrente dalla sola compartecipazione allo studio professionale.
L'imprenditore di riferimento delle suddette operazioni, infatti, D.V.M., non aveva riferito di alcuna concreta condotta del P.. Ne' la stessa poteva essere desunta dalla riferibilità della società Minor, coinvolta nella vicenda, allo studio professionale, tanto più che gli stessi dipendenti di questa avevano escluso qualsivoglia interessamento del ricorrente alla società.
Nulla poi poteva dedursi dal documento sequestrato, il preventivo relativo ai compensi richiesti per la ristrutturazione del gruppo, posto che era stato redatto nel 2009 e, quindi, tre anni dopo i fatti contestati.
2.3. Con il terzo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 24 (RG 7578), in relazione al fallimento (Omissis) (pg 75 e ss sentenza).
La Corte territoriale aveva illustrato il solo contributo nella vicenda di una coimputata (la D.S.), limitandosi poi ad affermare che ne doveva rispondere anche il ricorrente posto che si era utilizzata la "collaudata procedura".
Non si era pertanto individuato alcun concreto contributo fornito dal P., contributo che non poteva essere surrogato dalla sua assunta partecipazione all'associazione e dalla mera similitudine delle procedure seguite.
2.4. Con il quarto motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 27, 28 e 31 (RG 7578), riferibili alle società del gruppo G..
Anche in questa vicenda non era stata individuata alcuna concreta condotta tenuta dal P. in riferimento alle operazioni descritte nelle imputazioni. Si era limitato ad incontrare i fratelli G., in un paio di occasioni, in cui ci si era scambiati solo i convenevoli di circostanza.
Quanto alle cambiali e ai proventi delle operazioni che, secondo gli appunti contenuti nella pendrive, sarebbero pervenuti alla società Servizi di Gruppo facente capo allo studio professionale, si era già osservato come questa fosse stata, invece, utilizzata come strumento per veicolare le somme di denaro rivenienti dal gruppo V. a V.P. (coinvolto in quella vicenda), dal cui addebito, però, P. era stato assolto.
Anche in questo caso si era pertanto dedotta la responsabilità del ricorrente dal suo coinvolgimento nelle attività dello studio professionale.
2.5. Con il quinto motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 2 (RG 7578), relativo al fallimento (Omissis).
Lamentano anche la mancata derubricazione delle condotte nella gradata ipotesi della bancarotta preferenziale, con conseguente estinzione del reato per prescrizione.
Questo, infatti, secondo la stessa difesa, era l'unico caso in cui era stato individuato un trasferimento di somme ad una delle società facenti capo al ricorrente.
Non si era risposto però adeguatamente alla censura mossa in appello (circa, appunto, l'invocata derubricazione nell'ipotesi di cui alla L. Fall., art. 216, comma 3) considerando che quelle somme erano state corrisposte a dei creditori della società che, proprio per tale ragione, non si erano poi insinuati nel fallimento, vantando titoli che emergevano dai dati di bilancio, come aveva anche osservato il CT della difesa, Dott. D.M..
2.6. Con il sesto motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, art. 3, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della natura transnazionale dei delitti ascritti al prevenuto ai capi 1, 2, 10, 27 e 31 (RG 7578) ed alla confisca di beni da questa consentita.
Si era speso sul punto uno specifico motivo di appello ma la Corte di merito non aveva argomentato se non in modo del tutto apparente, posto che non si erano raccolti elementi concreti da cui potersi dedurre che una parte essenziale della condotta si fosse svolta all'estero, ove, invece, si erano solo iscritte prima e cancellate poi le società.
Peraltro, non rispondeva neppure al vero che tutte le condotte erano state consumate dopo l'entrata in vigore della L. n. 146 del 2006: il trasferimento all'estero di (Omissis) datava al 2004 e così i trasferimenti delle società di cui ai capi 27 e 31, avvenuti nel corso degli anni 2004/2005.
Doveva poi considerarsi che, quanto al capo 10, le condotte dei cittadini stranieri erano state tutte consumate in Italia.
Tutti gli atti distrattivi erano stati commessi nel territorio nazionale.
2.7. Con il settimo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 114 e 110 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 10 (RG 7578).
In considerazione di tutto quanto sopra rilevato si doveva riconoscere al prevenuto un ruolo del tutto marginale nell'intera vicenda e si sarebbe dovuto applicare l'ipotesi gradata prevista, appunto, dall'art. 114 c.p..
2.8. Con l'ottavo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 81 cpv. 132 e 133 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
Non si era distinto, per quanto attiene al reato contestato al capo 27, ritenuto il più grave, fra la pena base e l'aumento per l'aggravante del danno di rilevante entità. Si era effettuato un identico aumento per tutti gli altri capi, senza precisazione alcuna.
La Corte d'appello, nonostante lo specifico gravame, non aveva emendato tali vizi. Così che era rimasto impossibile discernere, per il capo 27, quale fosse stata la pena base.
Quanto agli aumenti per la continuazione non si era tenuto conto del fatto che alcune contestazioni prevedevano una o entrambe le aggravanti fallimentari.
2.9. Con il nono motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 597 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Non si era sanato il contrasto fra le due pronunce di primo grado in ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (concesse nel RG 22166 e negate nel RG. 7578) in ordine alle posizioni di P. e M..
2.10. Con una successiva memoria, i difensori del P. articolano motivi nuovi in cui argomentano ancora il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità del ricorrente in riferimento al delitto associativo, ed ai reati fine (con particolare riguardo a quelli contestati ai capi 2, 10, 24, 27, 28, e 31).
3. Gli Avv.ti B. L., per M.C., articolano venti motivi di ricorso.
M. era imputato dei fatti descritti ai capi 2, 4, 6, 8, 10, 24, 27, 28 e 31 RG 7578/2029 e del delitto associativo.
3.1. Con il primo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., art. 219 e art. 223, comma 2, n. 2, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 27 (RG 7578), la bancarotta impropria per il cagionamento del fallimento di (Omissis) srl mediante le operazioni dolose ivi indicate.
In nessuno dei passaggi motivazionali delle sentenze di merito si erano illustrati gli elementi essenziali del reato, che si ricordava essere "proprio", contestato, quindi, al M. quale extraneus (non avendo il ricorrente ricoperto alcuna carica nella società, rispetto alla quale aveva assunto il solo ruolo di consulente).
Non erano stati specificati né il contributo che l'imputato avrebbe apportato, in concorso con gli amministratori della società, alla causazione del dissesto, né il nesso causale di tale comportamento con il dissesto stesso e neppure il dolo del concorso nel reato.
Non erano stati richiamati gli atti descritti al capo 26 (che avevano costituito il presupposto del delitto in questione) e non era stato illustrato il concreto contributo fornito dal ricorrente a ciascuno di essi.
Non si era tenuto conto del fatto che, trattandosi di scissioni societarie, permaneva comunque la responsabilità solidale di tutte le società e soprattutto della capogruppo.
Non si era data risposta alle obiezioni mosse con il motivo d'appello.
3.2. Con il secondo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 192 e 513 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata riapertura dell'istruttoria dibattimentale in relazione al medesimo capo 27 ed alla valutazione delle chiamate in correità dei fratelli G..
Non si erano reperiti riscontri esterni ed individualizzanti alla narrazione dei fratelli G. (che avevano riferito di essersi limitati a effettuare tutte le operazioni loro suggerite dal ricorrente).
Ed anzi, non si era neppure tenuto conto del fatto che gli apporti dichiarativi dei fratelli G. costituivano delle chiamate in correità e se ne sarebbe dovuta valutare l'attendibilità intrinseca ed estrinseca.
Era comunque illogico ritenere che degli imprenditori si limitassero a adempiere supinamente alle richieste di un consulente.
3.3. Con il terzo ed il quarto motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., art. 219 e art. 223, comma 2, n. 2, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 6 ed 8 (RG 7578).
I delitti contestati ai capi indicati erano delle condotte di bancarotta impropria, punita ai sensi della L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, e non di bancarotta per distrazione come in sostanza affermato dalla Corte di merito.
Il contributo dichiarativo di V.G. doveva essere considerato una chiamata in correità e non una mera testimonianza e si sarebbero dovuti individuare degli elementi di riscontro, esterni ed individualizzanti, che, invece, non erano stati reperiti. Peraltro, V. aveva riferito che, inizialmente, non era neppure previsto il trasferimento all'estero delle società.
Il ricorrente si era limitato a fornire una consulenza fiscale, in relazione alla possibile istanza di concordato preventivo.
Il trasferimento all'estero era avvenuto su indicazione di un altro coimputato, l' A.. Coimputato che non era collegato con il ricorrente.
Al momento delle operazioni il dissesto non era affatto prevedibile.
3.4. Con il quinto motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219,223 e 10, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per tutti i delitti di bancarotta ascrittigli, non potendo egli prevedere l'avvenuto mutamento giurisprudenziale in riferimento alla interpretazione della norma da ultimo citata.
I trasferimenti delle società all'estero erano avvenuti fra il 2004 ed il 2010. La giurisprudenza di legittimità civile riteneva che si potesse dichiarare il fallimento delle società trasferite all'estero solo entro un anno dal mutamento, fittizio, della sede.
Solo con la sentenza delle Sezioni unite civili n. 8426 del 2010 si era precisato che, anche in caso di cancellazione della società solo fittiziamente trasferita all'estero, se ne poteva dichiarare il fallimento oltre l'anno dalla cancellazione dal registro.
Ed era in base a tale nuovo orientamento che erano stati chiesti i fallimenti delle società indicate nelle imputazioni.
Così che M., al momento delle operazioni, non si sarebbe neppure potuto rappresentare che le società coinvolte avrebbero potuto incorrere nelle dichiarazioni di dissesto.
Occorreva, allora, applicare i principi dettati dall'art. 7 della Convenzione EDU, che impediscono che possa essere considerata di rilievo penale una condotta che non era tale al momento in cui era stata commessa, anche alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale dell'epoca.
Nel caso di specie, la pronuncia delle Sezioni unite aveva totalmente innovato il presupposto della fallibilità delle società in oggetto. E la sentenza dichiarativa del fallimento è parte essenziale del reato di bancarotta perché si inserisce nella struttura stessa del delitto, quantomeno come condizione obiettiva di punibilità.
3.5. Con il sesto motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 5,43 e 47 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'errore di diritto inevitabile.
Le considerazioni sopra argomentate dovevano valere anche sotto il ricordato profilo, essendo, nel caso, il ricorrente, incorso in un errore di diritto che la precedente giurisprudenza civile di legittimità aveva avvalorato.
3.6. Con il settimo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per i delitti ascrittigli al capo 28 e 31 (RG 7578).
Innanzitutto, la prima sentenza dichiarativa era stata revocata e la pronuncia di una nuova sentenza non aveva rilievo ai fini penali, tanto più che, nel capo di imputazione, era citata solo la prima pronuncia.
Si trattava delle società del gruppo G.. Si erano strutturate operazioni nell'arco di almeno sei anni, con interessamento anche di alcuni enti del gruppo M. P..
Che tutto ciò fosse stato ideato dal ricorrente non vi era prova alcuna. Ed era illogico ritenere che un disegno spoliativo si fosse dipanato in un così lungo lasso di tempo.
3.7. Con l'ottavo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 2 (RG 7578) anche in relazione al ruolo di amministratore di fatto attribuito al ricorrente.
Di tale ruolo non v'era emergenza alcuna e lo si era ritenuto solo in base a mere congetture.
A tal proposito si erano valorizzate delle circostanze del tutto neutre e si erano travisate le risultanze emergenti dalla pendrive. Si era insistito sul "sistema M. P." ma non si era raggiunta la prova della spartizione dei proventi delle operazioni.
Il consulente della difesa aveva ricostruito i passaggi che dimostravano il contrario di quanto affermato dall'accusa.
3.8. Con il nono motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 4, 6 ed 8 (RG 7578).
La sentenza di patteggiamento dei fratelli V. dimostrava soltanto l'ascrivibilità ai medesimi delle distrazioni loro contestate.
M., nel caso di specie, si era limitato a fornite la propria consulenza che era stata adeguatamente remunerata.
Che egli fosse stato l'ideatore delle operazioni era smentito dal fatto che il trasferimento delle società all'estero non era previsto fin dall'inizio.
L'assoluzione del P. travolgeva l'intero costrutto accusatorio.
3.9. Con il decimo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., artt. 216,219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 10 e 24 (RG 7578).
Si trattava, al capo 10, della vicenda afferente le società del D.V.. Le dichiarazioni del quale, però, non erano state valutate come una chiamata in correità come, invece, erano.
Quanto alle vicende del capo 24, relativo al fallimento (Omissis), non si era riusciti ad individuare alcun coinvolgimento nella vicenda del ricorrente. Ne era stato implicato il solo C.R. e non vi era prova che questi avesse agito su indicazione dell'imputato.
3.10. Con l'undicesimo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 416 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto associativo.
Non si era tenuto conto del fatto che M. svolgeva una lecita attività professionale di commercialista. Rientrava pertanto nei suoi compiti suggerire le operazioni societarie che solo gli amministratori delle società avevano poi effettuato.
La fase del trasferimento all'estero di queste era stata seguita esclusivamente da A.M. (che si avvaleva di una propria struttura), senza che vi partecipasse M. (e neppure P.) come si era anche ammesso, nella sentenza impugnata, nel caso del gruppo D.M..
La comunione dei mezzi finanziari derivava dalle necessità dello studio associato.
Si era ritenuto l'imputato l'ideatore delle operazioni anche smentendo le dichiarazioni che ne confutavano il ruolo, quali quelle di F. ed A..
Si erano acquisiti atti di indagini preliminari quali le relazioni L. Fall., ex artt. 33 ed i pvc di constatazione della Agenzia delle entrate.
Non si era data risposta ai rilievi mossi con i motivi di appello.
Non si era dichiarato prescritto il reato.
La prescrizione era maturata il 19 ottobre 2020 considerando la cessazione della permanenza alla data di applicazione delle misure di cautela personale (calcolando la sospensione di giorni 215 relativa al diverso processo, più favorevole al ricorrente) o al 6 ottobre 2021 con la sospensione indicata dalla Corte d'appello.
3.11. Con il dodicesimo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 192 e 533 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza e rilevanza del cosiddetto sistema M.- P..
Si erano individuati, sul punto, solo indizi insufficienti ad assurgere al grado di prova e, ciò nonostante, si era fatto largo uso di tale locuzione, per dedurne altri elementi di prova, altrimenti inesistenti.
3.12. Con il tredicesimo motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla commistione fra gli elementi di prova tratti dai due diversi procedimenti.
Noni si erano tenuti distinti i due diversi compendi probatori.
Si erano utilizzate le sentenze di patteggiamento come prova dei fatti e non come mera prova della loro stessa esistenza.
3.13. Con i motivi dal quattordicesimo al diciannovesimo si erano censurati aspetti relativi al trattamento sanzionatorio.
Si era fissata la pena base del reato di cui al capo 27 includendovi l'aumento per l'aggravante del danno rilevante. La Corte aveva mantenuto la stessa pena non facendo riferimento alla circostanza aggravante così violando il disposto dell'art. 597 c.p.p..
La pena base era stata fissata utilizzando i medesimi argomenti per tutti gli imputati, gli aumenti per la continuazione erano stati, per tutti i reati, identici.
Le attenuanti generiche erano state negate con una motivazione complessiva non riferibile al solo reato di cui al capo 27. Doveva considerarsi che l'imputato era incensurato, aveva più di 80 anni ed i fatti sono risalenti nel tempo.
La circostanza aggravante della pluralità di fatti di bancarotta andava applicata anche in caso di fallimenti di diverse società.
Non era stato precisato quale reato debba ritenersi di natura transnazionale e dovevano pertanto revocarsi le confische.
Si era apoditticamente escluso il recupero della pena indicata nell'istanza di patteggiamento.
3.14. Con l'ultimo motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla concessa provvisionale in assenza della prova dell'ammontare del danno.
4. L'Avv. D., per G.M., articola cinque motivi di ricorso.
G.M. era imputato del reato ascrittogli al capo 34 (RG 22166/2016). Dal capo 33 (oggetto di ricorso) del medesimo procedimento era stato prosciolto per prescrizione del reato.
4.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 544 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata risposta ai motivi aggiunti proposti con atto depositato il 15 gennaio 2020.
Nella specie si era chiesto di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale consistente nella produzione di un avviso ex art. 415 bis c.p.p., emesso in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Si trattava di un atto relativo alle condotte commesse dagli amministratori della fallita (Omissis) srl dal quale emergeva che - del tutto pretermessa la posizione del ricorrente sull'evidente presupposto della sua estraneità ai fatti erano stati indagati solo i precedenti amministratori, i fratelli G., ed il successivo, l'odierno coimputato T..
Una questione che la Corte non aveva in alcun modo trattato.
4.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 533 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 34.
Il prevenuto, quale componente del Cda della fallita, non aveva dato il suo contributo ad alcuna condotta illecita, risultando, al contrario, pienamente lecita la scissione deliberata nel dicembre 2003.
La medesima, infatti, comportava la permanente corresponsabilità della cedente srl (Omissis) sul debito fiscale contratto.
La Corte aveva poi riconosciuto che il dissesto era stato determinato non dalla scissione ma dal successivo trasferimento degli immobili, al quale il prevenuto era rimasto del tutto estraneo.
In ogni caso, l'imputato si era limitato a non manifestare il proprio dissenso all'operazione di scissione.
I debiti della fallita, poi, proprio quando l'imputato ne era divenuto l'amministratore, si erano fortemente ridotti, da 8,5 a 1,25 milioni di Euro, a seguito dell'esito positivo dei ricorsi intentati.
4.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 129 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata assoluzione dell'imputato dal delitto ascrittogli al capo 33.
Peer le medesime ragioni sopra argomentate in ordine al capo 34 della rubrica, doveva assolversi con ampia formula il G. dal delitto di cui al capo 33 in relazione al quale era stato solo prosciolto per prescrizione del medesimo.
4.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 597 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento al prevenuto delle circostanze attenuanti generiche (già concesse dal primo giudice in equivalenza alle contestate aggravanti).
La pena base inflitta dal primo giudice era stata pari ad anni 6 di reclusione aumentata di un anno ex art. 81 cpv. c.p.. La Corte d'appello aveva, invece, aumentato la pena base, pari ad anni tre di reclusione, di un ulteriore anno per la ritenuta aggravante (escludendo pertanto sia le attenuanti sia, di conseguenza, il giudizio di comparazione).
4.5. Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 114 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del ruolo minore rivestito dall'imputato nella vicenda relativa al capo 34 della rubrica.
Era infatti evidente come il contributo del prevenuto, se mai vi fosse stato, doveva essere considerato del tutto marginale e perfettamente sostituibile.
5. L'Avv. B., per B.M., articola quattro motivi. B.M. è chiamato a rispondere del delitto di cui al capo 39 (RG n. 22166/2016).
5.1. Con il primo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 39.
Il prevenuto, cognato dei fratelli G., era il prestanome di costoro nella fallita.
Lo stesso G.C. aveva chiarito come B. rivestisse un ruolo meramente operativo, senza che gli fosse attribuito alcun potere di gestione.
Non aveva avuto alcun contatto con lo studio M.- P..
Ne' aveva rivestito cariche di amministratore, ricoprendo solo nel 2009 il ruolo di responsabile del settore operativo.
Al più si sarebbe potuto chiamarlo a rispondere del reato ascrittogli quale concorrente esterno. Ma del suo concorso con gli amministratori della società non era stata raccolta prova alcuna.
La stessa Corte aveva precisato che egli aveva al più partecipato solo ad un segmento della complessiva operazione, non potendosene così prospettare l'esito finale.
5.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed in particolare la reformatio in peius della sentenza di primo grado.
Non si erano riconosciute le circostanze attenuanti generiche quando il primo giudice le aveva concesse, seppure in termini di equivalenza con l'aggravante contestata.
Il motivo di appello era, infatti, solo argomentato al fine di ottenere un diverso esito del giudizio di bilanciamento.
5.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena principale e delle pene accessorie.
Si erano trattate unitariamente tutte le posizioni mentre quella del B., per la sua specificità, imponeva un'argomentazione peculiare.
Priva di concreta argomentazione era la durata delle pene accessorie fallimentari parametrate alla pena principale così applicando l'art. 37 c.p. piuttosto che l'art. 133 c.p..
5.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla liquidazione del danno a favore delle parti civili.
Lo stesso infatti era interamente soddisfatto dalla confisca degli immobili dei fratelli G. operata con la sentenza di patteggiamento.
6. L'Avv. R., per A.A., articola sei motivi di ricorso.
A.A. è anch'ella chiamata a rispondere del solo delitto di cui al capo 39 (RG n. 22166/2016).
6.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 521,522 e 429 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla condanna della prevenuta per il capo 39 della rubrica.
All'imputata, infatti, era stato contestato il concorso nella sola bancarotta fraudolenta documentale e non quello relativo alle condotte distrattive descritte nel medesimo capo di imputazione.
La prevenuta però non aveva mai assunto alcuna carica nella società fallita, la s.r.l. (Omissis). Come aveva anche riconosciuto il PG di udienza.
La Corte di merito aveva, così, riconosciuto che (contrariamente a quanto affermato dal Tribunale) A. non aveva ricoperto alcuna carica. Ciò nonostante, l'aveva ritenuta responsabile del delitto indicato, quale concorrente, per avere predisposto una nota in cui si riferiva dell'intervenuta distruzione delle scritture contabili, un'accusa che, così formulata, mai era stata mossa alla prevenuta.
Sul punto, era stata poi travisata la deposizione del teste Q. (che aveva riferito di altro documento, la lettera in cui l'amministratore di facciata avrebbe precisato al consulente del curatore le date della sua assunzione in carica), documento che il ricorrente allegava in forma integrale.
L'accusa poi era mutata in un elemento essenziale: all'origine l'imputata era indicata come amministratore della fallita, la condanna era poi conseguita al suo ipotizzato concorso, da esterna, nel reato.
6.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., art. 216, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità concorsuale della prevenuta.
La motivazione sull'elemento soggettivo del reato era assertiva perché dedotta dal mero inserimento della prevenuta nel gruppo che organizzava le operazioni distrattive.
Si sarebbe invece dovuto provare il concreto contributo fornito, causalmente rilevante, e la volontaria e consapevole partecipazione alla condotta illecita.
Non era neppure corretta la qualificazione giuridica della complessiva condotta, posto che la stessa configurerebbe piuttosto il delitto di cui all'art. 378 c.p., dal momento che il reato di bancarotta a cui afferiva era già stato consumato.
6.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., art. 219, comma 1, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità.
Danno che non era stato quantificato in riferimento alle conseguenze del delitto consumato ma in base a diversi criteri ed in particolare al complesso delle distrazioni, che era però un dato non attribuibile alla prevenuta, imputata della sola bancarotta documentale.
6.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 69 e 133 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
Il Tribunale aveva riconosciuto alla A. le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti (ritenendo più grave il delitto in allora contestatole al capo 16).
Assolta la prevenuta per tale capo, venute a cadere le aggravanti della pluralità dei fatti di bancarotta e della transnazionalità del reato, si era omesso di considerare il motivo di appello relativo al giudizio di bilanciamento.
La Corte poi aveva negato alla prevenuta le già concesse attenuanti generiche.
Da ultimo, si erano scelti criteri di commisurazione della pena a cui la A. era del tutto estranea (l'entità del danno erariale e la sistematicità delle condotte).
La pena inflitta alla prevenuta era poi identica a quella comminata all'amministratore formale della società, che aveva rivestito ben altro ruolo nella vicenda.
6.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 114 c.p. ed il vizio di motivazione in ordine alla conferma del provvedimento di confisca.
Lo stesso era stato motivato dalla natura transazionale deli delitti per i quali la stessa era stata condannata dimenticando così che l'imputata era stata assolta dal capo 19, che la giustificava.
7. L'Avv. B., per A.H.V., articola cinque motivi di ricorso. Il ricorso riguarda il reato, già dichiarato prescritto, ascritto a A.V. al capo 15 e il reato di cui al capo 16 per il quale era stato assolto (RG 22166/2016).
7.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, art. 11, art. 322 ter c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 11 e 12 bis, ed il vizio di motivazione in ordine alla confisca, per equivalente, confermata dalla Corte d'appello nonostante il proscioglimento del prevenuto per essere il reato di cui al capo 15 estinto per prescrizione.
Era stata confermata dalla Corte la confisca per equivalente, disposta dal Tribunale in riferimento al capo 15 della rubrica e ciò in applicazione del D.Lgs. n. 146 del 2006, art. 11, e, quindi, per la natura transnazionale del delitto.
E ciò nonostante che le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 31617/2015, abbiano precisato che solo la confisca diretta poteva essere confermata in caso di proscioglimento per estinzione del reato, quando il giudice d'appello confermi, ai fini della confisca, il giudizio di responsabilità formulato in primo grado.
Era pertanto preclusa la confisca per equivalente a causa della sua natura sanzionatoria (natura confermata anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3010 del 2009).
Un principio di diritto ribadito anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità (n. 47104/2019).
Ne' poteva trovare applicazione l'art. 578 bis c.p.p. (che consente la confisca per equivalente anche nel caso di prescrizione del reato presupposto), perché introdotto in epoca successiva alla commissione del reato di cui al capo 15, dovendosi considerare la natura sostanziale della norma proprio per la ricordata natura sanzionatoria (Cass. n. 20793/2021).
7.2. Con il secondo ed il terzo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della D.Lgs. n. 146 del 2006, art. 11, art. 322 ter c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 11 e 12 bis, in ordine alla proporzione fra il profitto del reato di cui al capo 15 ed il valore dei beni sottoposti a confisca.
Al prevenuto erano stati confiscati un terreno ed una vettura. Beni di cui non si era stimato il valore.
Nel caso di specie, poi il profitto del reato fiscale non andava parametrato all'ammontare del debito tributario (Cass. n. 32897/2021) ma al patrimonio sottratto alla garanzia dell'esazione.
7.3. Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 578 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla quantificazione del danno patito dall'amministrazione finanziaria.
Questo era stato fissato nell'ammontare dell'imposta evasa ma la giurisprudenza di legittimità aveva precisato che il danno non si identifica con l'importo del tributo evaso, dato che questo poteva essere comunque oggetto di azione di recupero.
La Corte costituzionale aveva precisato come, in caso di proscioglimento per la prescrizione del reato, il giudice è tenuto a valutare se sussiste il danno da reato.
Tutti accertamenti che erano mancati: non si era concretamente quantificato il danno ed il nesso di causalità fra questo e le condotte consumate. Ne' si era valutato se il danno stesso avrebbe potuto essere minore se il creditore, l'Agenzia delle entrate, avesse usato l'ordinaria diligenza nel cautelarsi.
L'importo liquidato era poi del tutto sproporzionato perché, come si è detto, avrebbe dovuto essere parametrato ai beni della società sottratti alla garanzia del debito fiscale.
E nessuna delle contestate condotte aveva comportato la dispersione delle garanzie. Tranne, forse, la sola cessione delle quote indicate al numero 3 del capo di imputazione, che, però, potevano essere valutate non più di 20.000 Euro.
7.5. Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., art. 216 e art. 43 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 16 (rectius: 17 della rubrica), un'ipotesi di bancarotta preferenziale, per il quale la Corte l'aveva solo prosciolto per l'intervenuta prescrizione.
Si era omesso, invece, di considerare che il pagamento di quei crediti era legittimo perché volto alla salvaguardia della continuità aziendale e, ancora, la Corte territoriale aveva compiuto un'inversione dell'onere della prova quando aveva affermato che l'imputato non aveva dimostrato che i creditori soddisfatti non fossero "strategici".
Ne' si era accertato se vi fossero stati creditori concretamente sfavoriti vantando dei privilegi.
8. L'Avv. B., per F.E.S., articola cinque motivi di ricorso.
Il ricorso riguarda i medesimi reati ascritti ad A., il capo 15 reati, già dichiarato prescritto, ed il capo 16, per il quale vi era stata assoluzione (RG 22166/2016).
8.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 e art. 129 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata assoluzione del prevenuto dalle condotte ascrittegli.
Quanto al capo 15 della rubrica, tutte le operazioni contestate non avevano avuto diretta incidenza sulla garanzia patrimoniale costituita dai beni propri o della società a favore dell'erario, non avendo avuto, come si indicava nel dettaglio in ricorso, riflessi economici negativi.
8.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., art. 216 e art. 43 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 16 (rectius: 17 della rubrica), un'ipotesi di bancarotta preferenziale, per il quale la Corte l'aveva solo prosciolto per l'intervenuta prescrizione.
Si era omesso, invece, di considerare che il pagamento di quei crediti era legittimo perché volto alla salvaguardia della continuità aziendale e, ancora, la Corte territoriale aveva compiuto un'inversione dell'onere della prova quando aveva affermato che l'imputato non aveva dimostrato che i creditori soddisfatti non fossero "strategici".
Ne' si era accertato se vi fossero stati creditori concretamente sfavoriti vantando dei privilegi.
8.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, art. 11, art. 322 ter c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 11 e 12 bis, ed il vizio di motivazione in ordine alla confisca disposta nonostante il proscioglimento del prevenuto per essere prescritto il reato presupposto di cui al capo 15.
Era stata disposta la confisca per equivalente per il delitto indicato con riferimento al capo 15 della rubrica, in applicazione del D.Lgs. n. 146 del 2006, art. 11, per la ritenuta natura transnazionale dello stesso.
Le Sezioni unite, con la sentenza n. 31617/2015, avevano, però, precisato però che solo la confisca diretta poteva essere confermata in caso di proscioglimento per estinzione del reato (quando si confermi, seppure solo a tal fine, il giudizio di responsabilità dell'imputato).
Era pertanto preclusa la confisca per equivalente a causa della sua natura sanzionatoria (natura confermata anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3010 del 2009).
Un principio di diritto, quello formulato dalle Sezioni unite nella ricordata pronuncia, ribadito anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità (n. 47104/2019).
Ne' poteva trovare applicazione l'art. 578 bis c.p.p. - che consente la confisca, anche per equivalente, nel caso di prescrizione del reato presupposto perché si tratta di norma introdotta nel codice in data posteriore alla commissione del delitto di cui al capo 15, e di norma di contenuto sostanziale visti i ricordati effetti sanzionatori (Cass. n. 20793/2021).
8.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, art. 11, art. 322 ter c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 11 e 12 bis, in ordine alla proporzione fra il profitto del reato di cui al capo 15 ed il valore dei beni confiscati.
Al prevenuto erano stati confiscati dei beni di cui non si era stimato il valore.
Nel caso di specie, il profitto non andava parametrato all'ammontare del debito tributario (Cass. n. 32897/2021) ma al patrimonio sottratto alla garanzia dell'esazione.
8.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare dell'art. 578 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla quantificazione del danno patito dall'amministrazione finanziaria.
Questo era stato fissato nell'ammontare dell'imposta evasa.
La giurisprudenza di legittimità aveva però precisato che il danno non si identifica nell'importo del tributo evaso posto almeno parte di esso poteva essere oggetto di recupero.
La Corte costituzionale aveva precisato come, in caso di proscioglimento per prescrizione del reato, il giudice è tenuto a valutare se sussista effettivamente il danno da reato.
Tutti accertamenti che erano mancati: non si era concretamente quantificato il danno, né il nesso di causalità fra questo e le condotte consumate. Ne' si era valutato se il danno stesso avrebbe potuto essere minore se il creditore, l'Agenzia delle entrate, avesse usato l'ordinaria diligenza nel cautelarsi.
L'importo liquidato era del tutto sproporzionato. Perché, come si è detto, doveva essere parametrato ai beni della società sottratti alla garanzia del debito fiscale.
E nessuna delle contestate condotte aveva comportato la dispersione delle garanzie. Al più la sola cessione delle quote, indicate al capo 15 sub 3, che avevano però un valore molto modesto, di circa 20.000 Euro.
9. L'imputato C.R. risponde:
- delle condotte di bancarotta patrimoniale documentale di cui al capo 57 (proc. 22166), e di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 2 (proc. 7578) riguardanti il medesimo fallimento della (Omissis) s.r.l.;
- del reato di bancarotta distrattiva cui al capo 14 di cui al fallimento (Omissis) e del reato di bancarotta distrattiva di cui al capo 16 (proc. 22166) in relazione al fallimento della società (Omissis);
- della fattispecie associativa di cui al capo 1) (proc. 22166);
9.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. P., è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ordinanza emessa dalla Corte territoriale in data 17 dicembre 2015.
In data 20 ottobre 2015 la difesa invitava il collegio del Tribunale che celebrava uno dei processi (successivamente riunito in grado di appello con quello recante il n. 22166), ad una richiesta di autorizzazione all'astensione con particolare riferimento al Presidente del collegio dal momento che la pubblica accusa aveva depositato nel corso del processo una sentenza di condanna a carico di R.V. (17252/12 R. Dib.) relativa ad una contestazione associativa del medesimo tenore in cui, seppure la posizione del C. era stata oggetto di separazione, tuttavia il Presidente del collegio nella motivazione aveva sia pure incidentalmente valutato la medesima condotta anche a carico del C..
Il collegio in quella sede, a fronte di un invito all'astensione, si limitava con ordinanza a trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale senza adottare alcuna determinazione e alla trasmissione degli atti non seguiva alcun provvedimento.
La difesa lamenta l'abnormità del provvedimento.
9.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge avuto riguardo alla acquisizione di una perizia relativa ad intercettazioni telefoniche disposta in altro procedimento.
La perizia è stata acquisita senza il consenso delle parti e nei confronti dei soggetti non imputati in quel procedimento, in violazione degli artt. 238 e 511 c.p.p..
In particolare, ai sensi dell'art. 511 c.p.p., la lettura della relazione peritale è disposta solo a seguito dell'esame del perito che non è stato escusso in questo processo.
L'art. 238 c.p.p. stabilisce che i verbali dichiarativi e dunque l'esame del perito possono essere utilizzati contro l'imputato solo se lo stesso vi consenta.
9.3. Con il terzo motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al reato di bancarotta documentale e al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 e le conseguenti statuizioni civili.
In relazione alla contestazione sub 57) risulta che il C. abbia assunto la qualità di amministratore della società dal luglio 2003 al settembre 2004 e gli sia succeduto, quale amministratore di diritto sino alla data del fallimento dichiarata in data 8 febbraio 2013, il T. (per il quale si è proceduto separatamente).
Sulla sua responsabilità la motivazione della Corte è apparente ed illogica essendo la stessa ricavata dalla circostanza che l'imputato ha preso parte ad un'associazione finalizzata a tali condotte di bancarotta.
Quanto poi alle statuizioni civili relative al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 per il quale è stata dichiarata la estinzione per prescrizione, i debiti contratti dalla società fallita verso i creditori Equitalia ed Agenzia delle Entrate sono relativi all'anno 2000, annualità in cui lo stesso non risultava amministratore con la conseguenza che non può essere a lui chiesto il risarcimento dei relativi danni.
9.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo all'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, art. 4.
Richiamando le numerose pronunzie di questa Corte anche delle Sezioni unite che si sono specificamente occupate dei problemi interpretativi legati alla circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, art. 4, il ricorrente evidenzia che per la sussistenza di siffatta circostanza è necessario che il gruppo criminale organizzato che presti il contributo alla commissione del reato all'estero non coincida per nulla con l'associazione a delinquere operante in Italia o con i concorrenti dello stesso, in un rapporto di alterità.
Nel caso di specie la sentenza impugnata non ha fornito alcuna motivazione sul punto.
9.5. Con il quinto motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla penale responsabilità del ricorrente in relazione alla bancarotta patrimoniale distrattiva.
Lamenta la difesa la carenza della motivazione in relazione alla consapevolezza in capo al ricorrente, che svolgeva funzioni varie ed anche mansioni esecutive in relazione ai complessi meccanismi legati alle operazioni fiscali considerate illecite che di per sé richiedevano profonda conoscenza delle controversie interpretative relative.
9.6. Con il sesto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla determinazione degli aumenti a titolo di continuazione.
Lamenta la difesa che la pena base individuata in sede di trattamento sanzionatorio non si è attestata sul minimo edittale e la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni di siffatto discostamento, non considerando peraltro il comportamento processuale, l'età e le condizioni sociali del C..
10. L'imputato C.M. risponde:
- della condotta di bancarotta impropria derivante da operazioni dolose cui al capo 27) del proc. n. 7578 riguardante il fallimento della Società di (Omissis) s.r.l.;
10.1 Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. P., è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'affermazione della penale responsabilità quanto alla condotta ascritta.
Nella ricostruzione accusatoria il ricorrente, nella qualità di componente del consiglio di amministrazione della (Omissis) s.r.l. negli anni 2003/2004 e quale legale rappresentante della società Reale Estate s.r.l. negli anni 2003/2006 avrebbe nel settembre 2003 votato per un progetto di scissione (formalizzato successivamente da altri) a favore della Real Estate ponendo in essere un meccanismo di natura distrattiva.
Nella motivazione della sentenza impugnata non è individuata la efficacia causale della condotta posta in essere dal C. rispetto alla bancarotta; non sono prese in considerazione le caratteristiche di natura civilistica dell'operazione.
A tale ultimo riguardo occorre evidenziare che nella ipotesi di scissione il codice civile prevede una norma a tutela dei creditori in ragione della quale ciascuna società che partecipa all'operazione di scissione è solidalmente responsabile nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico. Conseguentemente la assunzione della responsabilità del C. nelle due società a tutela dei creditori dei soci e della società scissa eliminerebbe in radice qualsivoglia responsabilità in capo allo stesso.
10.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo all'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, art. 4.
Il motivo è lo stesso proposto dal ricorrente C.R. con il quarto motivo.
10.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e al giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti e la contestata aggravante.
Lamenta la difesa che la pena base individuata in sede di trattamento sanzionatorio non si è attestata sul minimo edittale e la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni di siffatto discostamento, non considerando peraltro il comportamento processuale, l'età, le condizioni sociali, il ruolo marginale del C. e il tempus commissi delicti.
Inoltre, nella concessione delle circostanze attenuanti con giudizio di equivalenza piuttosto che di prevalenza sulla contestata aggravante, la motivazione non ha fornito alcuna indicazione concreta sul punto.
11. L'imputato N.M. risponde:
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva cui al capo 11) del proc. 22116 riguardante il fallimento della società (Omissis) s.r.l.;
11.1 Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. P., è stata dedotta violazione di legge avuto riguardo alla acquisizione di una perizia relativa ad intercettazioni telefoniche disposta in altro procedimento.
Si tratta della medesima censura contenuta nel secondo motivo di ricorso presentato nell'interesse di C.R..
11.2 Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge avuto riguardo alla penale responsabilità del ricorrente quanto alla condotta contestata.
Lamenta il ricorrente che la impugnata sentenza non ha fornito una motivazione adeguata quanto alla prova della partecipazione del N. all'operazione e alla sua natura fraudolenta ai danni della società Minor.
Quanto poi alla contestazione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, dichiarato estinto per prescrizione, lo stesso deve considerarsi assorbito per il principio di specialità nel reato di cui al capo 11), non ravvisandosi una ipotesi di concorso formale di norme con la conseguenza che, con riferimento al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, vanno revocate le statuizioni civili.
11.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo all'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, art. 4.
Si tratta della medesima doglianza proposta dal ricorrente C.R. con il quarto motivo e dal ricorrente C.M. con il terzo motivo.
11.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio.
Lamenta la difesa che la pena base individuata in sede di trattamento sanzionatorio non si è attestata sul minimo edittale e la sentenza non ha spiegato le ragioni di siffatto discostamento non considerando peraltro il comportamento processuale, l'età e le condizioni sociali del N..
12. L'imputata G.M.G. risponde:
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 5) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l.;
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 7) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l.;
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 9) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l.;
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 11) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l. (in concorso anche con N.M.);
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 36) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l.;
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 44) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l., esclusa la cessione dell'immobile in (Omissis) (fl. (Omissis)) in favore della Jumbo Real Estate.
12.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. R., è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge avuto riguardo alla penale responsabilità della ricorrente quanto alle condotte contestate.
Nella ricostruzione accusatoria le società, fortemente indebitate verso l'Erario, erano svuotate delle loro attività attraverso le condotte dell' A., marito della ricorrente e, una volta che le stesse erano divenute scatole vuote, era nominato amministratore delle stesse un prestanome; la società era poi trasferita all'estero, ai fini della cancellazione dell'ente dal registro delle imprese italiano per tentare di evitarne il fallimento, sfruttando il disposto L. Fall., ex art. 10.
Sostiene la difesa che, essendo consistita la condotta della ricorrente nella traduzione di atti giuridici compiuti in (Omissis) per la cancellazione della società dal registro delle imprese, condotta dunque successiva agli atti distrattivi, la stessa poteva considerarsi un post factum non punibile erroneamente ricompresa nella struttura del reato, in quanto antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento che costituisce condizione obiettiva di punibilità e non elemento costitutivo del reato.
Sulle specifiche doglianze già proposte nell'atto di appello, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione inconferente, non chiarendo come possano interpretarsi le condotte attribuite alla ricorrente in termini di apporto concorsuale, nonché incoerente ed illogica laddove richiama il riscontrato coinvolgimento della imputata nella fattispecie associativa (pur dichiarata prescritta) per ricavarne la responsabilità in relazione ai reati fallimentari.
Considerando la sentenza dichiarativa di fallimento quale condizione obiettiva di punibilità, se successivamente alle condotte distrattive intervengono ulteriori condotte come quelle di trasferimento della sede legale all'estero, tali attività non risultano dotate di qualsivoglia attitudine lesiva per il ceto creditorio, in ragione del già intervenuto perfezionamento della fattispecie distrattiva.
12.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione delle condotte contestate nella ipotesi di cui all'art. 379 c.p..
Sulla specifica censura la Corte territoriale ha apoditticamente escluso una possibile riqualificazione dei fatti.
Evidenzia la difesa che le condotte realizzate dalla ricorrente, ponendosi come successive ed autonome rispetto alla condotta distrattiva ed essendo finalizzate, attraverso il trasferimento delle società all'estero, ad evitare la dichiarazione di fallimento, possono al più configurarsi quali condotte agevolatrici riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 379 c.p..
12.3. Con il terzo motivo è stata eccepita violazione di legge e vizio di motivazione quanto al riconoscimento della circostanza aggravante, laddove contestata, del danno patrimoniale di rilevante gravità.
La sentenza impugnata soprattutto con riferimento al reato di cui al capo 5) individuato al fine del trattamento sanzionatorio come reato più grave, motiva apoditticamente sulla sussistenza della circostanza richiamando le motivazioni della sentenza di primo grado che aveva operato un richiamo alla entità del passivo fallimentare.
Pur citando la giurisprudenza di questa Corte che costantemente ha affermato che occorre considerare il valore effettivo dei beni sottratti, la sentenza non individua in concreto le circostanze in fatto dimostrative di tale diminuzione patrimoniale pregiudizievole per i creditori.
12.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione al divieto di reformatio in peius.
Pur essendo stata la pena complessivamente ridotta in ragione delle intervenute prescrizioni e di un più ragionevole utilizzo dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., tuttavia la Corte territoriale è incorsa nella violazione del divieto di reformatio in peius dal momento che non ha riconosciuto le già concesse circostanze attenuanti generiche, in assenza di una impugnazione dell'ufficio di Procura.
Nonostante uno specifico motivo di appello al fine di ritenere le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti e non equivalenti rispetto alle contestate aggravanti di cui alla L. Fall., art. 219, la sentenza impugnata non ha operato alcuna comparazione neanche in termini di equivalenza, come già avvenuto in primo grado (Sez. 5, n. 11730 del 27 gennaio 2020).
12.5. Con il quinto motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della circostanza di cui all'art. 114 c.p..
La sentenza impugnata, a fronte di una specifica doglianza sul punto, si è limitata ad una motivazione generica richiamando il concreto apporto dato da ciascuno e i principi di questa Corte sul tema.
Senza il contributo della ricorrente, le condotte descritte si sarebbero comunque realizzate in quanto consumate già al momento del suo intervento.
13. L'imputato D.M.S. risponde:
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 44) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l., ad esclusione della cessione relativa all'appartamento sito nel Comune di (Omissis) (foglio n. (Omissis));
13.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. S., è stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva.
Lamenta la difesa che la Corte territoriale ha respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria, con la laconica motivazione del "non essere necessarie ai fini del decidere", relativa alla escussione testimoniale del colonnello della Guardia di Finanza C.M. o alla acquisizione dei verbali trascrittivi della sua deposizione avvenuta all'udienza dibattimentale del 6 ottobre 2017 in diverso procedimento (processo per bancarotta fraudolenta relativa ad una società facente parte del "Gruppo D.M." conclusosi con una sentenza assolutoria per non avere commesso il fatto).
Siffatta prova, da assumersi in quanto sopravvenuta, risultava decisiva ai fini di escludere anche la configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 146 del 2016, art. 3, circostanza che ha rappresentato il presupposto fondante della intervenuta confisca in relazione al capo 44) contestato al ricorrente.
Il C. avrebbe infatti chiarito che il D.M., a seguito della cessione delle società del suo gruppo, era divenuto completamente estraneo alle vicende patrimoniali delle stesse e quindi anche al trasferimento della sede legale della (Omissis) all'estero, trasferimento dal quale è scaturita la ritenuta condotta transnazionale.
13.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'accertamento della penale responsabilità del ricorrente in relazione alle condotte contestate.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale non ha considerato che le cessioni immobiliari effettuate dal D.M. alla EG Real Estate s.r.l. in ragione di un accordo quadro intercorso nell'ottobre 2008 tra il Gruppo D.M. e il Gruppo L., analogamente alle cessioni di immobili avvenute alla Jumbo Real Estate (per le quali vi è stata una derubricazione in bancarotta preferenziale), erano anche esse collegate all'accordo con il gruppo L. e costituivano la garanzia patrimoniale imposta dal creditore.
Dunque, anche siffatta operazione non è qualificabile quale bancarotta distrattiva quanto piuttosto quale bancarotta preferenziale.
A ciò si aggiunga che la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui esclude che vi sia stata la corresponsione di un corrispettivo a seguito della cessione degli immobili è del tutto apparente e rende dunque la sentenza viziata anche in relazione a siffatto ulteriore profilo.
13.3. Con il terzo motivo di ricorso, è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto al riconoscimento della circostanza aggravante della natura transnazionale del reato contestato e alla conseguente confisca per equivalente dei beni.
Evidenzia la difesa che è da escludersi la configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 146 del 2016, art. 3 con riferimento al D.M..
L'imputato, al quale non è peraltro contestata la condotta associativa di cui al capo 1) e relativa al gruppo P.- M., a seguito della cessione delle società del suo gruppo, è divenuto completamente estraneo alle vicende patrimoniali delle stesse e quindi anche al trasferimento della sede legale della (Omissis) all'estero, dalla quale è scaturita la ritenuta natura transnazionale del reato posto in essere.
Apodittica è l'argomentazione della sentenza impugnata secondo la quale il solo trasferimento in (Omissis) della (Omissis) sarebbe tale da riconoscere al reato la natura transnazionale.
Le alienazioni di immobili che coinvolgono il D.M. sono avvenute tutte in Italia in epoca antecedente al subentro nella società, quale amministratore, del P. e al trasferimento della società in (Omissis); le alienazioni erano finalizzate a ripianare i debiti e una pregressa ingente esposizione debitoria con il gruppo L. attraverso atti di compravendita rogati dal Notaio F..
La richiesta di cancellazione della società, una volta trasferita in (Omissis), al Registro delle Imprese di Roma è peraltro pervenuta successivamente alla dichiarazione di fallimento.
13.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Lamenta la difesa che la quantificazione del trattamento sanzionatorio si fonda su una motivazione generalizzata che pone sullo stesso piano condotte criminose profondamente differenti e non valorizza la circostanza che il D.M., come espressamente riconosciuto in sentenza, è risultato estraneo al sistema " M.- P." e che alcune delle condotte distrattive allo stesso contestate sono state riqualificate quali ipotesi di bancarotta preferenziale.
Lo stesso dicasi in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
13.5. Con il quinto motivo di ricorso è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle disposte confische in relazione alle condotte di bancarotta preferenziale dichiarate estinte per intervenuta prescrizione.
Lamenta il ricorrente che in relazione alle fattispecie per le quali è intervenuta la estinzione per prescrizione non poteva essere confermata la relativa confisca dei beni per equivalente, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio (sez. Un. Lucci).
Se è vero che l'art. 578 bis c.p.p. ha esteso la confiscabilità, a seguito dell'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, anche alle ipotesi di confisca per equivalente, tuttavia, la norma è entrata in vigore in data 06/04/2018 e l'affermata natura sostanziale di tale misura ablativa consente di ritenere che la stessa non si estenda ai fatti commessi anteriormente all'aprile 2018.
Con specifico riferimento alla sola condotta di cui al capo 43) la stessa non risultava aggravata dalla circostanza della transnazionalità e per questo motivo la confisca non era ipotizzabile in radice.
14. L'imputato T.F.F. risponde:
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 36) riguardante il fallimento della società (Omissis) s.r.l.;
14.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto dai difensori di fiducia, avv. P., è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla penale responsabilità del ricorrente della condotta distrattiva contestata.
Lamenta la difesa la lacunosità dell'impianto motivazionale della sentenza impugnata quanto alla descrizione del ruolo svolto dal ricorrente T..
Richiamando la sentenza di primo grado, la Corte territoriale lo ha descritto quale amministratore e legale rappresentante della società (Omissis) s.r.l., acquirente dei cespiti venduti dalla società (Omissis) con pagamenti non tracciabili e non riscontrati o riscontrati solo in parte.
Dall'istruttoria dibattimentale è in realtà emerso che il T. era solo un prestanome della società, in quanto in possesso dei requisiti richiesti, ma all'interno della stessa non svolgeva alcuna attività gestoria, né aveva contatti con lo studio M.- P..
Non risulta dunque nella motivazione della sentenza sufficientemente esplorato il tema del dolo del ricorrente, inteso quale consapevolezza del piano criminoso ideato dagli amministratori di fatto.
L'istruttoria dibattimentale ha escluso che il T. partecipò all'attività di acquisto degli immobili della (Omissis) s.r.l. (testimonianza G.C. del 25 febbraio 2016 e Mar. Q. del 16 novembre 2015) limitandosi a sottoscrivere gli atti rogati dal Notaio.
La sentenza impugnata non ha nemmeno valutato il dedotto travisamento di fatto contenuto nella sentenza di primo grado che ha indicato il T. come colui che in qualità di rappresentante della società ha incassato il corrispettivo, senza considerare che il ricorrente non ha mai intrattenuto alcun rapporto con la (Omissis) s.r.l. e non vi è alcuna prova della sua consapevolezza del carattere distrattivo delle operazioni realizzate dalla società fallita.
14.2. Con il secondo motivo, è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al capo 41) e alla contestazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10.
Il capo 41 relativo all'omesso pagamento dell'imposta Iva mediante utilizzo di un credito IVA inesistente è stato dichiarato estinto per prescrizione.
Lamenta la difesa che il ricorrente doveva essere assolto dalla contestazione: la società IMER era una società inattiva e non poteva avere maturato alcun credito Iva da portare in compensazione con il debito della (Omissis); senza considerare che, come emerge dalla testimonianza di G.G., della "Operazione Imer" si era occupato unicamente il fratello G.C., senza alcun coinvolgimento del T., mero prestanome.
Da qui la difesa trae la conclusione della revoca delle statuizioni civili.
14.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione al divieto di reformatio in peius.
La Corte territoriale è incorsa nella violazione del divieto di reformatio in peius dal momento che non ha riconosciuto le già concesse circostanze attenuanti generiche, in assenza di una impugnazione dell'ufficio di Procura.
Nonostante uno specifico motivo di appello al fine di ritenere le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti e non equivalenti rispetto alle contestate aggravanti di cui alla L. Fall., art. 219 la sentenza impugnata non ha operato alcuna comparazione neanche in termini di equivalenza, come già avvenuto in primo grado.
14.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio.
Lamenta la difesa che la quantificazione del trattamento sanzionatorio si fonda su una motivazione generalizzata che pone sullo stesso piano condotte criminose profondamente differenti e non valorizza la posizione soggettiva del T..
Lo stesso dicasi in relazione all'applicazione della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici che non fissa un limite temporale di durata.
14.5. Con il quinto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle statuizioni civili.
Lamenta la difesa che, quale conseguenza della intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 41), la sentenza impugnata ha confermato le statuizioni civili con riferimento alla condanna al risarcimento del danno nei confronti dell'Agenzia delle Entrate senza tenere conto che nell'atto di appello si era evidenziato che il credito vantato è stato ampiamente soddisfatto a seguito di confisca disposta con la sentenza ex art. 444 c.p.p. con riferimento ai fratelli G. che ha disposto la confisca di immobili del valore complessivo di circa Euro 3.436.000,00, valore superiore rispetto al credito vantato pari ad Euro 2.608.651,07.
Peraltro, proprio con queste motivazioni la sentenza impugnata ha revocato la confisca sui beni del coimputato B..
15. L'imputato B.E. risponde:
- della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 44) riguardante il fallimento della (Omissis) s.r.l., con esclusione della cessione dell'immobile in (Omissis).
15.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. M., è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata conoscenza del processo.
Lamenta la difesa la nullità della notifica del decreto che dispone il giudizio del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma e del decreto di citazione della Corte di appello di Roma nei confronti dell'imputato.
Il decreto che dispone il giudizio era notificato ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, nonostante in data 6 dicembre 2013 l'allora indagato avesse eletto domicilio presso l'abitazione del padre B.F..
Le medesime modalità erano seguite per effettuare la notifica del decreto di citazione a giudizio dinanzi alla Corte di appello.
15.2. Con il secondo motivo di ricorso, è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto al riconoscimento della circostanza aggravante della natura transnazionale del reato contestato e alla conseguente confiscabilità dei beni.
Evidenzia la difesa che è da escludersi la configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 146 del 2016, art. 3.
L'argomentazione circa la esistenza di un gruppo criminale organizzato nel quale dovrebbe essere coinvolto anche il ricorrente è completamente omessa nella sentenza impugnata.
15.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'accertamento della penale responsabilità del ricorrente in relazione alle condotte contestate e qualificate come bancarotta preferenziale.
La sentenza impugnata omette qualsivoglia motivazione quanto alla sussistenza del dolo richiesto per siffatta fattispecie.
15.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Lamenta la difesa che la quantificazione del trattamento sanzionatorio si fonda su una motivazione generalizzata.
Lo stesso dicasi in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
16. L'imputata A.I. risponde:
- della condotta associativa di cui al capo 1) nella qualità di organizzatrice.
16.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. P., è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al rigetto dell'impedimento a comparire dell'imputata nelle udienze del 5 febbraio 2015 e del 29 marzo 2018.
16.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla contestazione associativa di cui al capo 1).
La sentenza impugnata non ha fornito una esauriente risposta alle specifiche doglianze mosse sul punto dalla difesa sin dall'atto di appello laddove si evidenziava che la ricorrente svolgeva, con contratto di lavoro subordinato, funzioni di segretaria presso lo studio M.- P.; conseguentemente le condotte alla stessa ascritte rientravano nelle attività proprie del suo ruolo. Considerando inoltre che alla stessa non risultano contestati reati fine non si ravvisavano in capo alla stessa comportamenti causalmente rilevanti rispetto alla realizzazione dei fini dell'associazione.
16.3 Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della ipotesi di cui all'art. 416 c.p., comma 2 e al ruolo di organizzatrice ricoperto dalla ricorrente.
La sentenza impugnata ha omesso di motivare in relazione alla qualifica di organizzatrice riconosciuta alla ricorrente, nonostante una specifica doglianza contenuta nell'atto di appello.
In particolare, in quella sede si evidenziava che le attività svolte dalla A. (conferme di appuntamenti, comunicazione di estremi di conti correnti, archiviazione di documentazione) non presentava caratteri di essenzialità ed infungibilità necessari per ritenere integrato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, il ruolo di organizzatrice.
La motivazione appare peraltro contraddittoria dal momento che, se da un lato ribadisce la qualifica di organizzatrice in capo alla ricorrente, dall'altro motiva la concessione delle circostanze attenuanti generiche per meglio adeguare la sanzione al ruolo in concreto svolto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, e i motivi di cui si compongono, verranno trattati distintamente nell'ordine già adottato nel "ritenuto in fatto", ad eccezione delle parti, interne a ciascuno di essi, ove risulterà o inevitabile o più agevole la loro discussione unitaria.
Nel contempo, considerando le questioni dedotte, ed in particolare la minuziosa contestazione in fatto riportata nella gran parte dei motivi di tutti i ricorsi, è necessario ricordare alcuni degli ineludibili principi di diritto a cui questa Corte deve, per la propria consolidata giurisprudenza, attenersi.
In particolare, sulla verifica degli elementi circostanziali dei fatti addebitati e sulla valutazione delle prove, occorre ribadire che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo, il sindacato demandato a questa Corte, essere limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
Così che esula dai poteri della Corte di cassazione quello consistente nella riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', invece ed in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944).
Ne deriva che i motivi proposti nei ricorsi non possono tendere ad ottenere una ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
1.1. In estremo sunto, occorre qui ricordare come i giudici del merito avevano ricostruito la complessiva vicenda, sfociata nell'imputazione associativa e nella contestazione dei reati, fiscali e fallimentari soprattutto, agli imputati, odierni ricorrenti.
Alcuni imprenditori laziali, amministratori di società ormai in irrecuperabile difficoltà finanziaria, si erano rivolti allo studio professionale, di commercialisti, P.- M. per essere consigliati su come fosse meglio procedere.
Dallo studio, ed in particolare dal M. (ma si vedrà anche con il concorso dell'altro titolare, P.), veniva loro suggerito sempre lo stesso schema: lasciare che le società si avviassero all'inevitabile dissesto, cercando, però, di garantirsi l'immunità da eventuali responsabilità penali, effettuando una serie di operazioni societarie e di cessione di cespiti, volte alla spoliazione dei residui patrimoni sociali, omettendo, nel contempo, di assolvere ai debiti tributari.
Le operazioni erano così complesse anche per rendere impossibile, o quantomeno assai difficoltosa, la comprensione, da parte degli organi inquirenti e dei funzionari dell'Agenzia delle entrate, degli illeciti, fiscali e fallimentari, che con esse si andavano consumando.
Da ultimo, era previsto il trasferimento delle società all'estero per tentare, anche, di eludere la formale declaratoria di fallimento.
Un "pacchetto", quello descritto, offerto da M. e P., che, in pochi anni, era stato riprodotto (pur con le variabili necessarie ad adattarlo alle varie situazioni concrete) in tutte le vicende oggetto del presente processo.
Quanto ai processi che ne erano derivati, occorre rilevare come la gran parte degli amministratori che si erano rivolti allo studio P.- M. avevano patteggiato la pena - così riconoscendo il fondamento materiale delle ipotesi d'accusa - così che, nel presente procedimento, oltre ai. rimanenti imprenditori, residuano le posizioni dei due principali protagonisti dell'intera vicenda, M. e P., e di alcuni di coloro che, con costoro, avevano collaborato nell'attuazione del ricordato schema offerto ai clienti dello studio M.- P..
2. Il ricorso di P.C..
2.1. Il secondo motivo (del primo, relativo alle doglianze formulate sul delitto associativo si tratterà più avanti, dopo la verifica delle censure sui reati fine) di ricorso - sulla ritenuta responsabilità del P. in ordine al capo 10 dell'imputazione, la bancarotta patrimoniale consumata ai danni della s.r.l. (Omissis) dei D.V. - è interamente versato in fatto e non considera le circostanze evidenziate dai giudici del merito.
Si era, infatti, osservato (pg. 67 e 118 della sentenza impugnata e pg. da 187 a 192 della sentenza di prime cure) che D.V.M. aveva attribuito la ideazione del complesso delle operazioni che avevano causato alla spoliazione della società al M., titolare con P. dell'omonimo studio professionale di commercialisti.
Nella successione degli atti veniva interessata la srl Minor, che si rendeva acquirente del patrimonio immobiliare senza versarne il corrispettivo, società riconducibile allo studio professionale indicato.
Era allora evidente che tale operazione, così direttamente (ed illecitamente) coinvolgente una realtà appartenente all'associazione professionale non potesse essere realizzata se non con il previo assenso di entrambi l'titolari del medesimo (tanto che, né prima né poi, nonostante la palese anomalia economico-amministrativa dell'operazione, nulla aveva eccepito il socio P.).
Peraltro era stato lo stesso P. ad essere contattato dai D.V. - proprio per lo stato di grave difficoltà economica in cui versava la società - e ad averli presentati al M., che non si era fatto certo scrupolo alcuno (anche nei confronti del P.) a dettare loro tutte quelle operazioni di svuotamento e di successivo trasferimento all'estero della società così da occultare le responsabilità dei D.V. stessi e da tentare di eludere anche la stessa dichiarazione di fallimento, seguendo il solito schema tipico dello studio professionale.
Le conversazioni intercettate dimostravano, poi, come lo stesso P. fosse rimasto in contatto con D.V.M. (come lo dimostrava il preventivo, seppure di epoca successiva, sui compensi professionali dello studio) e si interessasse, anche colloquiando con altre persone, delle pratiche che lo riguardavano (pg. 193 della sentenza del Tribunale).
Così che appare evidente come M. abbia "curato" gli interessi dei D.V., con le ricordate illecite operazioni, in pinea sintonia con il proprio socio P..
Da tutto ciò si deduce anche la manifesta infondatezza del settimo motivo di ricorso, speso dal ricorrente, sull'invocata configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 114 c.p., nell'imputazione sub 10, considerando, invece, il sicuro, ed essenziale, contributo fornito dall'imputato nella complessa vicenda.
2.2. Il terzo motivo - sulla responsabilità del P. in ordine al capo 24 della rubrica, la bancarotta patrimoniale consumata ai danni della srl (Omissis) - è interamente versato in fatto e non contrasta adeguatamente la motivazione, non manifestamente illogica, offerta sul punto dai giudici del merito.
Il Tribunale, infatti, alla cui motivazione la Corte d'appello aveva rinviato, aveva osservato (pg. 278 e ss.) come (Omissis) fosse una società di cui M. e P. si erano, in più occasioni, serviti per effettuare operazioni destinate ad occultare (o a rendere più complesso il loro disvelamento) passaggi di denaro
e di beni riconducibili ad imprenditori loro clienti, agendo attraverso il loro sodale C.R., così che tale società doveva considerarsi da loro stessi gestita di fatto.
Ne deriva che la sua, finale, spoliazione era certamente riconducibile alla responsabilità di entrambi, e quindi anche di P..
2.3. Il quarto motivo - speso sulla penale responsabilità del P. in ordine ai reati ascrittigli ai capi 27, 28 e 31, rispettivamente relativi al cagionamento del dissesto della s.r.l. Istituto di (Omissis) ed alle bancarotte patrimoniali della srl (Omissis) e della srl (Omissis) (già (Omissis)) - è interamente versato in fatto.
Tutte le indicate società facevano riferimento agli imprenditori fratelli G. che, appunto, si erano rivolti allo studio P. e M. per risolvere (ma non certo con il rilancio delle società) i problemi delle stesse, entrate in una irreversibile crisi produttiva-finanziaria.
La Corte d'appello ed il Tribunale prendevano certo atto del fatto che i fratelli G. avevano riferito di avere incontrato P. (collega di studio di quel M. che aveva suggerito loro tutte le operazioni illecite e decettive di cui alle imputazioni) solo per scambiarsi dei meri convenevoli, ma rilevavano anche come, di converso, fossero stati altrimenti raccolti a carico degli stessi inequivoci elementi di prova (sentenza d'appello da pag. 77 e del Tribunale da pag. 284).
Si era, infatti, accertato che, sul conto della S.r.l. Edelweiss riconducibile allo studio M. P., era pervenuto un bonifico pari ad Euro 1.300.000 senza che la società vantasse titolo alcuno. Un introito di tale entità (incamerato e non certo restituito), da dimostrare esso stesso il diretto coinvolgimento del P. nella complessa operazione (di spoliazione e di occultamento delle responsabilità) di cui lo stesso era stato uno snodo essenziale.
Ed anche la S.r.l. (Omissis), implicata nelle operazioni dettata dallo studio M. P. ai fratelli G., era riconducibile sempre allo studio P.- M..
Il Tribunale, poi (da pag. 306), aveva ricordato una serie di vicende economiche, facenti capo a Confcommercio (di cui all'epoca P. era presidente), dalle quali era inevitabile dedurre l'interessamento del ricorrente a favore (anche sollevando dubbi nei funzionari dell'associazione di categoria, che avevano deposto su tali vicende) di alcune delle società interessate dalle operazioni, illecite, dei fratelli G., dettate dallo studio, così dimostrandosi, P., ancora una volta, perfettamente a conoscenza del loro dipanarsi.
Si era così formato un quadro di tale spessore da imporre la conferma della penale responsabilità del P. anche in ordine alle condotte relative alle società del gruppo G..
2.4. Il quinto motivo - sulla responsabilità del P. in ordine al capo 2, la bancarotta patrimoniale consumata a danno della S.r.l. (Omissis) - è interamente versato in fatto.
Sul punto, i giudici del merito avevano fornito adeguata, e comunque non manifestamente illogica, motivazione, osservando quanto segue.
A seguito della distrazione di un immobile della predetta società, era pervenuto, sui conti dello studio P.- M., un pagamento di ben 1.950.000, senza essere giustificato da titolo alcuno, neppure dalla liquidazione di presunti compensi professionali.
Si trattava, ancora una volta, di una somma di tale entità da non consentire di ritenere che potesse essere stata incassata dallo studio, oltretutto senza titolo, senza il pieno, previo accordo, fra i due titolari del medesimo, M. e P..
Oltre a ciò, si era accertato che, nella complessa operazione descritta in imputazione, era stata coinvolta anche la società Simer (che aveva prima acquistato e poi rivenduto un immobile, senza versarne prima e senza ricevere poi alcun corrispettivo, e, quindi, agendo come società schermo), riconducibile non allo studio ma al solo P., ed alla sua famiglia (una società anch'essa condotta al fallimento, e trasferita, da ultimo e seguendo il solito schema non attribuibile quindi al solo M., nel Regno Unito).
2.5. Il sesto motivo - sulla natura transnazionale dei delitti di cui ai capi 1, 2, 10, 27 e 31 - è manifestamente infondato oltre che interamente versato in fatto.
La Corte d'appello - risolvendo la dicotomia creata dalle due sentenze di primo grado, una delle quali aveva riconosciuto l'aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4 (con riferimento ai capi in cui era stata contestata) mentre l'altra la sola natura transnazionale degli stessi - aveva ritenuto non fossero emersi gli elementi caratteristici dell'ipotesi aggravata (il concorso nei delitti di un ulteriore gruppo criminale operante all'estero), ma vi fossero tutti gli estremi per confermare la nauta transnazionale degli stessi, alla stregua dei criteri dettati dall'art. 3 della citata legge.
La L. n. 146 del 2006, art. 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'art. 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'art. 3) impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si è visto, era stato dalla Corte di merito escluso.
La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perché erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perché si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle società, ideato fin dall'origine; e ciò anche in relazione al capo 10, oggetto di ulteriore specifica censura nel ricorso P., considerando che la srl (Omissis) risultava essere stata trasferita, da ultimo, in (Omissis)) e parte dei loro effetti sostanziali (le operazioni amministrative, economiche e bancarie) erano avvenuti all'estero.
Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici.
Quanto ai provvedimenti di confisca conseguiti, appunto, alla natura transazionale dei reati, ad oggi le sole residue imputazioni di bancarotta, deve, inoltre osservarsi, così rispondendo ad un'ulteriore obiezione del ricorrente, come il momento della loro consumazione debba essere fissato alla data della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento (la sentenza divenuta definitiva e non certo quella poi revocata, come è avvenuto in alcuni dei casi oggetto del presente giudizio), così che tutti risultano commessi in data posteriore all'entrata in vigore della L. n. 146 del 2006, che aveva legittimato il provvedimento ablatorio.
2.6. In considerazione di quanto si e', per ciascun capo di imputazione, sopra argomentato in ordine alla valutazione degli elementi di prova raccolti a carico del P., risultano manifestamente infondati tutti i motivi dedotti nella memoria successiva che riprendono le censure già articolate nel ricorso originario senza però scalfire il percorso motivazionale seguito dai giudici del merito.
2.7. L'ottavo ed il nono motivo, spesi sul trattamento sanzionatorio, sono fondati esclusivamente in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Queste, infatti, erano state, al P., concesse nel proc n. 22166/2016 e negate nel proc. n. 7578/2019. e negate, infine, dalla Corte d'appello.
Certo è consentito al giudice il riconoscimento delle medesime solo per alcuni dei fatti ascritti all'imputato (di recente: Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020, Finizio, Rv. 279107) - e quindi, nel caso di specie, mantenendo il diniego per i delitti giudicati nel processo 7578/2019 - ma tale scelta decisoria deve essere assistita da specifica motivazione, motivazione che, invece, è del tutto mancata. A tacere del fatto che, se si fosse inteso negarle anche in relazione ai delitti contestati nel processo n. 22166/2016 si sarebbe operata una reformatio in peius in assenza di impugnazione della pubblica accusa.
Sul punto la sentenza va, pertanto, annullata.
La conferma invece, da parte della Corte d'appello, della pena base relativa al capo 27, in essa ricompreso l'aumento per la ritenuta aggravante fallimentare, non mostra manifesti vizi logici, posto che, trattandosi di un unico reato, non vi sono, né sono state illustrate, le ragioni che dovrebbero imporre la necessaria scissione della pena fra l'ipotesi base e l'aumento per l'aggravante così che il calcolo cumulativo non può dirsi effettuato a detrimento dell'imputato.
La doglianza relativa agli aumenti per la continuazione rimane assorbita (ponendosi, nel calcolo della pena, in un momento successivo alla eventuale concessione delle circostanze attenuanti generiche).
2.8. Quanto al delitto associativo, l'annullamento della sentenza in tema di attenuanti generiche determina l'ulteriore decorso del termine di prescrizione, determinando così l'estinzione di tale reato.
Un reato sulla cui sussistenza, peraltro, la motivazione spesa dalla Corte di appello è priva di manifesti vizi logici, considerando il contributo fornito dall'imputato a tutte le operazioni distrattive e dissipative sopra illustrate e la sua posizione di preminenza nell'ambito di quello studio professionale, gestito con l'altro principale protagonista dell'intera vicenda, M.C., che le aveva proposte, organizzate e curate.
Di tutte le altre imputazioni, invece, non è decorso il termine di prescrizione.
3. Il ricorso di M.C..
3.1. Il quinto ed il sesto motivo - in cui si deduce l'imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale determinato dalla sentenza delle Sezioni unite civili n. 8426 del 2010 in tema di fallibilità delle società trasferite all'estero - è manifestamente infondato.
E' infatti vero che, nella pronuncia citata, si era affermato che - il termine di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, previsto dalla L. Fall., art. 10, per consentire la dichiarazione di fallimento - trova un correttivo nella possibile revoca, ad opera del giudice (su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero), della precedente cancellazione, atteso il rilievo solo dichiarativo di tale pubblicità se avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge.
Ma è altrettanto vero che la decisione delle Sezioni unite era perfettamente aderente alla lettera della norma citata - la L. Fall., art. 10, comma 2, come mod. dal D.Lgs. n. 169 del 2007 - che consente, appunto, la riapertura del termine annuale e non costituisce pertanto novità interpretativa alcuna.
E, comunque, mai vi era stato un dubbio interpretativo sul fatto che, nell'anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese (anche a seguito di trasferimento all'estero: vd. La L. Fall., art. 9), ne potesse essere richiesto il fallimento, così che né M., né alcun altro degli odierni imputati, poteva fare concreto e sicuro affidamento sul fatto che, in tale termine, nessuno chiedesse la declaratoria di fallimento delle società indicate in imputazione.
Non vi era pertanto alcun affidamento, di non rilevanza penale (conseguente alla declaratoria dei fallimenti) delle condotte consumate, in capo al M., da dover salvaguardare.
Ne' tantomeno si era verificato un incolpevole errore di diritto sui fatti contestati.
3.2. Il primo, il secondo ed il settimo motivo - spesi sulla responsabilità del ricorrente in ordine ai fatti contestatigli al capo 27, 28 e 31, rispettivamente, la bancarotta impropria della srl Istituto di Vigilanza (Omissis), le bancarotte patrimoniali relative alle srl La (Omissis) e alla srl (Omissis), tutte appartenenti al gruppo G. - sono interamente versati in fatto, a fronte di una motivazione della Corte di merito priva di manifesti vizi logici.
La Corte aveva prima descritto le varie operazioni volte ad occultare ogni possibile responsabilità degli amministratori (che a M. si erano rivolti proprio a tale scopo), ed a operare lo svuotamento delle società ed il loro trasferimento all'estero.
Alle ricordate operazioni avevano partecipato alcune società riconducibili allo studio professionale di cui l'imputato era socio. Nella pendrive sequestrata al B. (ma attribuibile all'imputato) vi era ampia traccia, anche in una cartella significativamente denominata " G." (il cognome degli amministratori divenuti clienti dello studio), sia delle illecite operazioni, sia dei cospicui corrispettivi ricevuti.
I fratelli G. (la cui attendibilità poggia sulla ampia confessione degli addebiti) avevano concordemente riferito (così, vicendevolmente riscontrandosi) di avere fatto riferimento al M. per tutte le operazioni descritte in imputazione. Trovando ulteriore e congruo riscontro nella documentazione a cui si è teste' fatto riferimento.
3.3. Il terzo, il quarto ed il nono motivo - sulla responsabilità del M. in riferimento ai reati descritti ai capi 4, 6 ed 8 della rubrica, le bancarotte patrimoniali consumate ai danni, rispettivamente, della srl (Omissis) della srl (Omissis) e della srl (Omissis), tutte appartenenti al gruppo V. - sono interamente versati in fatto e non tengono adeguato conto della motivazione, priva di manifesti vizi logici, della sentenza impugnata.
La Corte d'appello, infatti, aveva ricordato la successione delle operazioni societarie che avevano condotto alla distrazione dell'intero patrimonio delle predette società con il trasferimento delle quote sociali ad un ente di diritto bulgaro e la nomina come amministratore di un cittadino di quella nazionalità.
Evidenti tracce delle operazioni erano state trovate nella pendrive B. (collaboratore del M.), in una cartella denominata, appunto, " V." (dal cognome degli amministratori del gruppo), e almeno parte dei profitti ricavati erano pervenuti a società facenti capo allo studio professionale del M..
I coimputati V. aveva patteggiato la pena, e Vi.Gi. (la cui attendibilità era dimostrata dal leale comportamento processuale di ammissione dell'addebito) aveva riferito come l'intera catena delle operazioni (finalizzate a condurre al fallimento le società citate, così salvaguardando il resto del gruppo" fosse stata ideata proprio da M.C., trovando, tale dichiarazione d'accusa, congruo riscontro nelle ulteriori acquisizioni documentali di cui si è appena trattato.
Irrilevante era sul punto l'intervenuta assoluzione del P. trovandosi costui in posizione processuale ben diversa, nel caso specifico, da quella del M. (basti pensare alle dichiarazioni del V.).
3.4. L'ottavo motivo - sulla responsabilità del M. in ordine al delitto di cui al capo 2, relativo alla bancarotta patrimoniale consumata ai danni della S.r.l. (Omissis) - è interamente versato in fatto e non tiene adeguato conto della motivazione, priva di manifesti vizi logici, della sentenza impugnata.
La Corte territoriale, infatti, aveva concluso per la responsabilità del prevenuto considerando quanto segue.
Come già rilevato in riferimento a P., buona parte del ricavato della distrazione era pervenuto ad una società riconducibile allo studio professionale di cui erano soci e delle operazioni effettuate si era trovato ampio riferimento nella pendrive del B..
E, come nel caso delle altre società, avviate al fallimento dal M., ne era stato svuotato il patrimonio e, da ultimo, la società era stata trasferita all'estero.
3.5. Il decimo motivo - sulla responsabilità del M. in ordine ai delitti contestatigli ai capi 10 e 24 della rubrica, le bancarotte patrimoniali consumate, rispettivamente, a danno della S.r.l. (Omissis), dei D.V., e della S.r.l. (Omissis), direttamente riconducibile allo studio P.- M. - è interamente versato in fatto e non evidenzia manifesti vizi logici nel percorso argomentativo della sentenza impugnata.
La Corte distrettuale, infatti, aveva ricostruito le vicende (già ricordate in ordine alla posizione del coimputato P.) che avevano condotto al dissesto ed alla distrazione dei beni appartenenti alla seconda, la S.r.l. (Omissis), un diretto strumento in mano ad entrambi i soci dello studio ed utilizzato, in modo spesso strumentale, in plurime vicende dagli stessi curate per conto della loro più vasta clientela.
Quanto, invece, alla S.r.l. (Omissis), D.V.M. aveva indicato proprio nel M. l'ideatore di quelle operazioni che avevano condotto alla distrazione dei beni indicati in imputazione. Trovando adeguato riscontro nell'utilizzo, in un passaggio della complessiva vicenda, della società Minor, riconducibile allo studio professionale e, quindi, anche al M..
3.6. Il dodicesimo ed il tredicesimo motivo sono inammissibili per la loro genericità.
Si lamenta infatti, rispettivamente, una presunta insufficienza del quadro probatorio ed una non consentita commistione fra gli elementi di prova dell'uno e dell'altro giudizio (di primo grado), senza però nulla specificare al riguardo, tenendo presenti poi tutte le considerazioni e gli elementi di prova raccolti ed argomentati nei punti precedenti.
3.7. L'undicesimo motivo - sulla responsabilità del M. in ordine al delitto associativo - è manifestamente infondato.
La Corte d'appello aveva concluso, seguendo un percorso argomentativo scevro di manifeste aporie logiche, per la conferma della condanna di primo grado in ordine al delitto associativo. Del resto, la sistematicità delle condotte, la pluralità dei soggetti interessati, sia alle operazioni svolte nel territorio dello Stato, sia al trasferimento delle società all'estero - attraverso la struttura, a pieno titolo inserita nell'associazione e nelle attività di questa, facente capo al coimputato A.M. - imponevano di considerarla un'associazione criminale, certo ben distinta dallo studio professionale P. M. in quanto tale, ma in esso operante.
M.C. ne era stato individuato, per tutto quanto si è accertato in relazione ai delitti fine del sodalizio, come l'ideatore e l'organizzatore dell'associazione stessa.
Ne' era possibile, come invocato nel motivo di ricorso, ritenere il delitto prescritto prima della pronuncia della sentenza impugnata dovendosi tenere conto del solo processo, e delle relative sospensioni del termine di prescrizione, di prime cure in cui tale reato era stato contestato all'imputato.
Tuttavia, il delitto associativo si è prescritto in epoca successiva, per quanto si osserverà nel prossimo punto.
3.8. Le censure riferite al trattamento sanzionatorio sono argomentate nei motivi di ricorso dal quattordicesimo al diciannovesimo.
Quanto alla commisurazione della pena relativa al reato ritenuto più grave, il capo 27 (n. 7578/2019) della rubrica, si rinvia a quanto già osservato sulla posizione P. circa il difetto di interesse concreto alla scissione del calcolo fra il reato base e l'aumento per la circostanza aggravante e la possibilità per il giudice di fissare una pena che già tenga conto dell'aumento stesso.
E ciò anche considerando che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243) e, nel contempo, rilevando che la pena irrogata, pari ad anni 6 di reclusione, non raggiunge neppure la misura media del delitto di bancarotta privo di aggravanti.
La pena rimane fissata in tale misura da rendere del tutto incongrua quella proposta dall'imputato in sede di istanza di patteggiamento.
La difesa invoca l'applicazione dell'aggravante specifica anche in relazione ai fatti inerenti le diverse società fallite ma tale pretesa è stata costantemente negata dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Sez. 5, n. 31408 del 04/06/2004, Melloni, Rv. 229277).
La sentenza impugnata va, invece, annullata in relazione al diniego delle circostanze attentanti generiche per il medesimo vizio rilevato sulla posizione P.: in uno dei processi di primo grado erano state riconosciute e, sul punto, la Corte d'appello, negandole, nulla, di specifico, aveva motivato.
Da tale annullamento deriva la declaratoria di prescrizione del solo delitto associativo (non essendo, ad oggi, decorso il termine per le residue imputazioni).
3.9. Il ventesimo motivo è inammissibile posto che si è costantemente affermato (da ultimo: Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773) che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento.
4. Il ricorso di G.M..
4.1. Il primo motivo - sulla mancata risposta ai motivi aggiunti formulati con memoria del 15 gennaio 2020 - è inammissibile perché difetta di specificità in quanto non si precisa la decisività della risposta omessa.
Con i motivi aggiunti, infatti, si era chiesta la produzione di un, atto processuale, relativo al medesimo fallimento di cui il prevenuto è chiamato qui a rispondere, in cui lo stesso non risulta menzionato quale indagato o imputato, ma non è dato comprendere, né nel ricorso lo si precisa adeguatamente, per quale ragione la mera non menzione del G. in altro processo debba considerarsi, nel presente, decisiva, sia che le imputazioni, pur riferite al medesimo fallimento, siano diverse (riguardando così altre condotte, al quale potrebbe essere rimasto estraneo), sia nel caso fossero le stesse (posto che l'omissione allora si spiegherebbe con la regola del ne bis in idem).
4.2. Il secondo motivo - sulla responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui al capo 34 della rubrica (n. 22166/2016), la bancarotta impropria consumata ai danni della S.r.l. Istituto di Vigilanza Centrale, appartenente al gruppo G. - è interamente versato in fatto e, sul punto, la Corte di merito aveva speso argomenti privi di manifesti vizi logici.
La Corte, infatti, aveva osservato (pag. 78 e 111) come G. fosse persona di stretta fiducia dei G., così da doversi dedurre che egli, nelle qualità di amministratore delle società del gruppo, avesse, in piena consapevolezza, contribuito a tutte quelle operazioni, dettate dal M., volte a commettere gli illeciti descritti in rubrica.
In particolare, G. forniva il proprio indispensabile contributo all'operazione di scissione della società, che aveva comportato l'assegnazione del patrimonio immobiliare alla S.r.l. Real Estate, così, già con tale operazione, depauperandone il patrimonio e avviandola a quel dissesto che, puntualmente, si era verificato (come, del resto, era fin dall'inizio programmato, secondo lo schema consigliato ai G. da M. e P.).
Quanto all'operazione di scissione, risultano inconferenti (a confutare la sua natura distrattiva) le permanenti garanzie offerte dai patrimoni delle società oggetto dell'operazione societaria perché il dato che deve essere verificato è solo la salvaguardia dell'integrità del patrimonio della società fallita, patrimonio che, invece, nel caso concreto, è stato indubbiamente depauperato, sostituendo ad un cespite immobiliare direttamente posseduto una mera possibilità d'azione civile risarcitoria nei confronti di altra società.
Tutto ciò consente anche di affermare che, quanto al reato fiscale contestato al ricorrente al capo 33 (speculare alla contestazione di bancarotta di cui al capo 34), oggetto del terzo motivo di ricorso, la Corte distrettuale non poteva che, al più, prendere atto, come aveva fatto, dell'avvenuto decorso del termine di prescrizione e non certo assolvere, dal medesimo, il G..
4.3. Il quinto motivo - sulla configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 114 c.p. - è manifestamente infondato.
Si e', infatti, affermato (ex plurimis: Sez. 4, n. 35950 del 25/11/2020, Indelicato, Rv. 280081) che, ai fini del riconoscimento dell'attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, è necessario che il contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di efficacia causale così lieve rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso.
In applicazione di tale principio di diritto, emerge evidente il necessario e sostanziale contributo fornito dal G. che, quale amministratore della società, aveva consentito ed approvato il primo, essenziale, strumento della spoliazione della stessa, l'operazione di scissione del patrimonio immobiliare, così da non potersi ritenere, la sua compartecipazione al fatto, così minima da potere essere considerata trascurabile.
4.4. Il quarto motivo di ricorso - sul diniego delle circostanze attenenti generiche - è fondato perché la Corte territoriale le aveva negate pur se il Tribunale di prime cure (del processo n. 22166/2016) le aveva concesse, così da delinearsi, in assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa, una indubbia reformatio in peius.
La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto.
5. Il ricorso di B.M..
5.1. Il primo motivo - sulla responsabilità del ricorrente in ordine al delitto ascrittogli al capo 39 (proc 22166/2016) dell'imputazione, la bancarotta patrimoniale consumata ai danni della S.r.l. (Omissis) (già S.r.l. (Omissis)), del gruppo G. - è interamente versato in fatto e non considera adeguatamente la motivazione offerta sul punto dalla Corte d'appello.
La Corte, infatti, seguendo un percorso argomentativo privo di manifesti vizi logici, aveva confermato la condanna del prevenuto per tale reato, osservando (pag. 114) che questi aveva attivamente e consapevolmente partecipato alla complessa operazione descritta in imputazione, interponendo la propria ditta individuale (che pertanto a lui solo faceva capo), e così acquistando un ramo di azienda proveniente dalla fallita, senza versarne il corrispettivo, cedendolo poi, senza nulla incassare, ad altra società, sempre indicatagli dai sodali.
Era pertanto evidente la sua consapevolezza di partecipare allo svuotamento di una società a favore di quelle designate dai coimputati (dovendo pertanto rispondere del reato proprio quale concorrente esterno).
Doveva anche considerarsi che B., parente acquisito dei fratelli G., era persona di loro stretta fiducia.
5.2. Il secondo motivo di ricorso, sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, è fondato.
Come nel caso del G., al B. (nel processo n. 22166/2016) erano già state riconosciute le attenuanti in questione, che la Corte territoriale aveva, invece, negato, in assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa.
Ne consegue l'annullamento sul punto della sentenza impugnata (e l'assorbimento del terzo motivo di ricorso inerente la misura della pena).
5.3. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile, per la sua intrinseca genericità, dal momento che l'apodittica affermazione secondo cui la confisca degli immobili dei fratelli G. avrebbe risarcito tutti di danni patiti dalle odierne parti civili risulta sfornita di ogni concreta allegazione.
6. Il ricorso di A.A..
6.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso - spesi sulla responsabilità della prevenuta in ordine al capo 39 della rubrica (n. 22166/2016) - sono fondati, per le ragioni che si diranno e che comportano l'assorbimento delle ulteriori censure (sulla circostanza aggravante fallimentare, sulla misura della pena, sull'ipotesi di cui all'art. 114 c.p. e sulla confisca).
La Corte d'appello, infatti (pag. 83 e 103), osservava che erroneamente la ricorrente era stata ritenuta, dal Tribunale, colpevole del reato proprio ascrittole, posto che la stessa non aveva ricoperto alcuna delle cariche amministrative della società, come era stato documentalmente provato.
E, tuttavia, la medesima, affermava la Corte, doveva rispondere del medesimo reato, quale concorrente esterna, per avere dettato a colui che era divenuto l'amministratore di facciata della società una nota, indirizzata al consulente del curatore, in cui riferiva la mancata conservazione delle scritture contabili, così da sottrarle al controllo degli organi fallimentari.
Solo che la Corte non aveva chiarito quale fosse stato il letterale contenuto della missiva, nonostante il motivo di appello sul punto, che bene, quindi, avrebbe potuto essere quello, invocato dalla difesa (che ne allegava copia al ricorso), del tutto diverso, e consistente nella sola specificazione della durata in carica di tale amministratore, assenza pertanto, fare cenno alcuno alla dispersione del compendio contabile.
La sentenza impugnata va pertanto annullata per il vizio, sopra indicato, di motivazione. Anche considerando il fatto che, seppure, l'imputata avesse inviato una missiva con tale contenuto (di invito all'amministratore prestanome di giustificare il mancato invio del compendio contabile) si dovrebbe pur sempre scandagliare la sua consapevolezza in ordine all'occultamento della contabilità, considerando il fatto che l'imputata era stata assolta o prosciolta da tutte le ulteriori accuse a lei ascritte.
7. I ricorsi di A.H.V. e di F.E.S. possono essere trattati cumulativamente per la sovrapponibilità delle censure in essi argomentati.
I ricorsi sono fondati limitatamente alla confisca, per equivalente, dei loro beni disposta dal Tribunale e confermata dalla Corte distrettuale.
7.1. Costoro, infatti, dichiarati colpevoli dal Tribunale per i delitti loro ascritti ai capi 15, 16 e 17 (n. 22166/2016), erano stati, dalla Corte d'appello, assolti dal delitto sub 16 perché il fatto non sussiste e prosciolti dai reati sub 15 e 17 per intervenuta prescrizione dei medesimi.
Non veniva però revocata la confisca, per equivalente, che si fondava sulla natura transnazionale dei reati estinti (vd. p. 685 e ss. della sentenza di prime cure).
La Corte territoriale aveva così omesso di considerare il principio di diritto fissato da questa Corte, con la sentenza delle Sezioni unite n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435, secondo il quale il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto.
Le Sezioni unite, con la sentenza n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209, avevano anche precisato la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p., introdotta dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 6, comma 4, (che consente di confermare, motivando sul punto, la confisca, anche per equivalente, nel caso di proscioglimento dell'imputato per la prescrizione del reato) ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (e, pertanto ai fatti oggetto del presente processo, tutti anteriori al citato D.Lgs.).
La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto, senza rinvio.
7.2. Il disposto annullamento comporta l'assorbimento dell'ulteriore censura proposta in entrambi i ricorsi sulla proporzione fra il valore dei beni vincolati ed il profitto del reato.
Restano da affrontare (permanendo le statuizioni civili confermate dalla Corte d'appello) le doglianze relative alla quantificazione del danno patito dall'amministrazione finanziaria (il quarto motivo del ricorso A. ed il quinto del ricorso F.) e, per il ricorrente A., alla ritenuta responsabilità del medesimo per il delitto, estinto, contestatogli al capo 16 (rectius 17, nel quinto motivo), e, per il ricorrente F., alla ritenuta responsabilità per i delitti, estinti, di cui ai capi 15 e 16 (rectius 17: nel primo e nel secondo motivo).
7.3. I motivi di ricorso inerenti la quantificazione del danno - nella misura equivalente al debito tributario non assolto piuttosto che alla diminuzione patrimoniale che era conseguita dalla commissione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 - sono manifestamente infondati.
Proprio nella pronuncia di questa Corte citata nei ricorsi (Sez. 3, n. 32897 del 2021 non massimata) si ricorda che "quanto invece al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, secondo Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario".
Il danno, pertanto, ben può coincidere con l'imposta interamente evasa.
E, nel caso di specie, la norma fiscale contestata, come si è detto, è proprio il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11.
7.4. Quanto al capo 15 dell'imputazione - rispetto al quale si è invocata una formula assolutoria piena a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici (pg. 69/70 e 106/107), aveva osservato come il trasferimento dell'attività nel Regno Unito doveva considerarsi fittizia non avendo, la società, affatto lì operato, così da disvelare, l'intera operazione descritta nell'imputazione (gli imputati avevano ceduto le quote a persone di fiducia dello studio P. M.), il solo intento di sottrarre il valore dei beni della società alla garanzia del pagamento dell'imposta.
7.5. Quanto al capo 17 della rubrica - rispetto al quale si è invocata una formula assolutoria piena a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva osservato come non vi fosse prova alcuna che i pagamenti descritti in imputazione, assolti a preferenza di altri, fossero stati indirizzati a persone o enti ritenuti strategici per consentire la continuità aziendale, tanto più che la società, la S.r.l. (Omissis), era stata, dai coimputati, destinata al fallimento e non certo alla prosecuzione, in bonis, dell'attività stessa.
7.6. In conclusione, i ricorsi di A. e F., accolti in relazione alla confisca, vanno rigettati nel resto.
8. Il ricorso di C.R..
8.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Sullo specifico punto già la Corte territoriale aveva correttamente disatteso l'eccezione proposta in quella sede evidenziando che (p. 100):
- dall'esame degli atti del procedimento emergeva che il Presidente del Collegio cui originariamente era stato assegnato il procedimento in fase dibattimentale avesse dichiarato di astenersi (verbale udienza 4 marzo 2015);
- la dichiarazione era stata trasmessa al Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 36 c.p.p. il quale, con provvedimento del 2 marzo 2015, aveva autorizzato l'astensione, assegnando il procedimento al Collegio Uno, presieduto da altro giudice.
8.1.1. Alla luce delle corrette indicazioni di natura procedurale risulta evidente la manifesta infondatezza del motivo.
In ragione della intervenuta astensione, alcuna abnormità si è verificata. E' consolidato l'orientamento secondo cui: "L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo. (Sez. 2, n. 2484 del 21/10/2014, (2015), Rv. 262275).
Nel caso di specie la trasmissione della dichiarazione alla Presidenza non accompagnata da un provvedimento motivato e la mancata risposta sul punto non possono considerarsi atti abnormi non essendosi prodotta alcuna delle situazioni indicate dalla giurisprudenza di questa Corte dal momento che la autorizzata astensione del giudice rende irrilevante qualsivoglia ulteriore doglianza.
8.2 Il secondo motivo è manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza e con la giurisprudenza di questa Corte.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la giurisprudenza di legittimità, (Sez. 5, n. 7615 del 20/09/2016, (2017), Rv. 269474) confermata di recente, ha stabilito che: "Sono legittimamente utilizzabili in giudizio gli elaborati peritali formati in altro procedimento penale, trattandosi di mezzo di prova sottratto al divieto di cui all'art. 238 c.p.p., comma 2-bis, concernente i verbali di dichiarazioni di prove di altro procedimento penale ai quali non può essere ricondotta la perizia." (Sez.5, n. 22586 del 02/02/2022, Rv. 283373).
Anche la sentenza impugnata ha risposto sullo specifico punto evidenziando che la inutilizzabilità eccepita non è riferita alla prova intercettiva in sé e al suo contenuto quanto alla acquisizione della perizia del diverso giudizio, questioni non dirimenti in punto di valutazione della prova.
Va per completezza espositiva evidenziato che nell'ipotesi di specie la questione è risolvibile in radice non trattandosi di perizia disposta in "diverso procedimento".
Si richiama la giurisprudenza di legittimità che ha chiarito che "(..)la nozione di "diverso procedimento" va ancorata ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, considerandosi decisiva, ai fini della individuazione della identità dei procedimenti, l'esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014, Floris, in motiv.; Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, Pavigliariti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; 5 Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834; Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591).
In altri termini, "(..)se la formale unità dei procedimenti, sotto un unico numero di registro generale, non può fungere da schermo per l'utilizzabilità indiscriminata delle intercettazioni, facendo convivere tra di loro procedimenti privi di collegamento reale, allo stesso modo, la separazione formale dei procedimenti può consentire di ritenere, a condizioni esatte, che tra gli stessi possa esistere un collegamento sostanziale ai fini di escludere la diversità oggetto della disciplina limitativa di cui al divieto previsto dall'art. 270 c.p.p. (..)". (Sez. 3, n. 46085 del 28/03/2018, Fersini ed altri, Rv. 275351).
Nel caso in esame, trattandosi di processo cumulativo a carico di più soggetti, per alcuni di essi è stato disposto il giudizio immediato custodiale, per altri l'azione penale è stata esercitata nelle forme tradizionali.
Appare evidente, dunque, che "la diversità del procedimento" è legata ad un'opzione di natura processuale rispetto ad un processo che è formalmente e sostanzialmente unico con tutte le conseguenze che ne derivano.
Sullo specifico punto la sentenza impugnata ha chiarito che:
- il procedimento n. 22166 RG costituisce quello principale, dal quale sono poi stati tratti diversi "stralci" a seguito della individuazione di nuovi indagati, alcuni sottoposti a misure cautelari, con conseguente scelta del giudizio immediato c.d. cautelare;
- l'art. 271 c.p.p., nel prevedere le cause di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, non contempla quella dedotta dai ricorrenti dal momento che la prova non è rappresentata dalle trascrizioni dei dialoghi, ma dalle conversazioni intercettate.
8.3. Manifestamente infondato risulta il terzo motivo.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944).
Anche in tal caso la sentenza impugnata con motivazione in fatto, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede, ha chiarito che:
- dalla documentazione acquisita e dalle indagini svolte è emerso come la società fosse stata amministrata da C.R. dal 14 luglio 2003 al 27 settembre 2004; successivamente da T.M. allorquando la sede era trasferita all'estero, ed è stata dichiarata fallita in data 8 febbraio 2013 con richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica L. Fall., ex art. 7;
- la società in data 14 settembre 2004 cedeva l'unico cespite del suo patrimonio immobiliare alla Edilcom spa, di fatto senza incassare il corrispettivo e in data 28.9.04 deliberava il trasferimento della sede legale in Inghilterra, con contestuale istanza di cancellazione al Registro delle imprese e sostituzione dell'amministratore nominato nella persona di T.M.;
- dall'esame dei bilanci depositati risulta la inoperatività fin dal 2000; risultano inoltre immobilizzazioni materiali per oltre 2.000.000 di Euro, consistenti essenzialmente nell'immobile oggetto di distrazione;
- le scritture contabili sono mancanti dal bilancio relativo all'esercizio 2003 all'esercizio 2010;
- è stato accertato un debito tributario lievitato a 5.000.000 di Euro, con proposta di concordato non accolta dalla Agenzia delle Entrate.
- non vi è prova di passaggio delle scritture contabili dal ricorrente al nuovo amministratore.
La sentenza ancora una volta con motivazione logica ha risposto alle censure nuovamente riproposte in questa sede anche in relazione alla ricostruzione del debito fiscale e al coinvolgimento del ricorrente:
- con specifico riferimento al credito IVA di Euro 492.699,00 rileva la Corte come la mancanza delle scritture contabili per il periodo compreso tra il 31.12.2003 ed il 2010 precluda qualunque ricostruzione attendibile delle vicende societarie;
- la sparizione delle scritture contabili deve ritenersi preordinata, a nulla rilevando che la dichiarazione di fallimento sia intervenuta ad anni di distanza; né è rilevante, come sostenuto dalla Difesa, che la società fosse inoperante fin dal 2000, avendo in realtà svolto appieno il suo ruolo di accumulatore di debiti verso l'erario rimasti impagati ed avendo esaurito la sua funzione con il trasferimento all'estero; del tutto irrilevante è poi la circostanza che i debiti risalissero all'anno 2000, risiedendo il concorso del C. nella alienazione dell'immobile e nella spoliazione del corrispettivo, condotte tutte risalenti al periodo in cui lui era amministratore;
8.4. Manifestamente infondato il quarto motivo.
La Corte d'appello - risolvendo la dicotomia creata dalle due sentenze di primo grado, una delle quali aveva riconosciuto l'aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4 (con riferimento ai capi in cui era stata contestata) mentre l'altra la sola natura transnazionale degli stessi - aveva ritenuto non fossero emersi gli elementi caratteristici dell'ipotesi aggravata (il concorso nei delitti di un ulteriore gruppo criminale operante all'estero), ma vi fossero tutti gli estremi per confermare la natura transnazionale degli stessi, alla stregua dei criteri dettati dall'art. 3 della citata legge.
La L. n. 146 del 2006, art. 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'art. 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'art. 3) impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si è visto, era stato dalla Corte di merito escluso.
La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perché erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perché si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle società, ideato fin dall'origine) e parte dei loro effetti sostanziali (le operazioni amministrative, economiche e bancarie) erano avvenuti all'estero.
Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici.
8.5. Manifestamente infondato nonché generico il quinto motivo non confrontandosi con la sentenza impugnata.
La sentenza impugnata richiama la sentenza di primo grado nella parte in cui illustra la tipologia delle attività fraudolente oggetto del giudizio. Il modello standard "(..)consiste nella pianificazione e realizzazione di operazioni societarie straordinarie che permettono di portare a compimento importanti ristrutturazioni di gruppi economici rilevanti, gravati da una forte esposizione nei confronti dell'Erario, salvaguardando nella parte attiva che, mediante cessione di rami di aziende, ovvero scissioni, fusioni e incorporazioni, viene fatta confluire in nuovi soggetti giuridici così sottratti alle azioni di riscossione del fisco (...)".
Le società originarie, gravate da imponenti debiti tributari e ormai svuotate dei propri valori, erano formalmente, ma anche fittiziamente trasferite all'estero in (Omissis) o in (Omissis): ciò significa che il trasferimento all'estero della società non è qualificabile come l'esercizio di un diritto, ma è un momento essenziale dello schema fraudolento.
8.6. Generico risulta il quarto motivo in relazione al trattamento sanzionatorio essendosi limitato il ricorrente a lamentare l'eccessività della pena concessa senza indicare quali fossero le circostanze da valutare ulteriormente, a fronte della motivazione della sentenza impugnata che ha operato un riferimento alla gravità delle condotte ed all'entità del danno cagionato.
9. Il ricorso di C.M..
9.1. Manifestamente infondato il primo motivo in quanto totalmente versato in fatto.
La difesa si duole, in particolare, che la sentenza impugnata non abbia correttamente motivato in relazione alla causa del dissesto della società fallita e che non abbia tenuto conto della insussistenza del rapporto di causalità tra le condotte attribuite al ricorrente e il dissesto societario, valorizzando la normativa civilistica in tema di scissione societaria.
Le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimità.
La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
In realtà, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la Corte territoriale motiva in modo esaustivo e non contraddittorio sulla specifica censura, argomentando analiticamente sui punti di doglianza.
Con specifico riferimento dunque anche alla bancarotta impropria derivante da operazioni dolose, per la quale, differentemente dalla ipotesi di bancarotta fraudolenta distrattiva, ai fini della configurabilità della penale responsabilità assume indubbia rilevanza il rapporto di causalità tra la condotta del ricorrente e l'intervenuto dissesto, la sentenza risponde allo specifico motivo di censura e dimostra come proprio la condotta posta in essere dal ricorrente è stata causalmente determinante ai fini della realizzazione del dissesto.
La sentenza con motivazione in fatto logica e non contraddittoria ha chiarito che:
- Il ricorrente nella sua qualità di componente del Consiglio di Amministrazione dell'(Omissis) s.r.l., ma anche di legale rappresentante della Real Estate S.r.l. ha svolto un ruolo decisivo nella realizzazione delle operazioni dolose che hanno concorso a determinare il dissesto della società, in particolare contribuendo alla operazione di scissione dell'(Omissis) s.r.l. ed al successivo trasferimento del suo patrimonio immobiliare alle due società neo costituite, una delle quale risultava da lui amministrata.
- La scissione societaria costituiva solo la prima fase della operazione, poi conclusasi con il trasferimento del patrimonio immobiliare che ha completamente svuotato la società madre, determinandone il dissesto.
Risultano inconferenti (a confutare la sua natura distrattiva) le permanenti garanzie offerte dai patrimoni delle società oggetto dell'operazione societaria di scissione perché il dato che deve essere verificato è solo la salvaguardia dell'integrità del patrimonio della società fallita, patrimonio che, invece, nel caso concreto, è stato indubbiamente depauperato, sostituendo ad un cespite immobiliare direttamente posseduto una mera possibilità d'azione civile risarcitoria nei confronti di altra società.
9.2 Manifestamente infondato il secondo motivo relativo alla circostanza aggravante di cui all'art. 146/2006 per le ragioni esposte avuto riguardo al medesimo motivo di ricorso proposto da C.R. e alle quali si rinvia.
9.3. Generico risulta il motivo relativo al trattamento sanzionatorio e alla invocata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.
A fronte di una esaustiva motivazione in fatto con la quale la Corte territoriale ha chiarito le ragioni per le quali ha condiviso il trattamento sanzionatorio operato dal primo giudice e il discostamento dai minimi edittali, quali:
- la gravità delle condotte poste in essere dagli imputati - ciascuno nel ruolo accertato - con specifico riferimento alla entità del danno determinatosi per l'Erario in conseguenza delle condotte penalmente rilevanti;
- la sistematicità con cui gli imputati hanno attuato il programma criminoso concordato con un gravissimo depauperamento per le casse dello Stato, con conseguenze pesanti per la intera collettività;
- l'incisività del "sistema M." sul tessuto economico della società, alterando gli ordinari rapporti tra soggetti economici e compromettendo le logiche di mercato;
il giudice di secondo grado ha concesso al ricorrente, al solo fine di adeguare la pena al ruolo in concreto svolto, le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti.
Non sono stati offerti, tuttavia, in concreto elementi dalla difesa che potessero comportare un trattamento sanzionatorio più favorevole.
10. Il ricorso di N.M. .
10.1 Il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
Trattasi del medesimo motivo proposto dal C.R. relativo alla inutilizzabilità della perizia trascrittiva di diverso procedimento e in relazione al quale sono già in precedenza indicate le ragioni della manifesta infondatezza alle quali si rinvia (par. 8.2).
10.2 Il secondo motivo risulta anch'esso manifestamente infondato.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944).
Il motivo ripropone la medesima doglianza contenuta nell'atto di appello e puntualmente disattesa dalla Corte territoriale la quale con motivazione in fatto, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede ha chiarito che:
- In data 29 settembre 2007 A. stipula un contratto preliminare con la società MINOR, rappresentata da N.M. e rientrante nell'orbita dello studio M.- P., per un milione di Euro;
- In data 12 novembre 2008 il contratto definitivo è concluso per un corrispettivo pari ad un milione di Euro, mai realmente corrisposto, apparentemente versato attraverso un giro di fatture false emesse dalla Soc. Minor ed utilizzate da S.S.;
La consapevole partecipazione del N. alla operazione risulta provata alla luce della posizione qualificata dallo stesso ricoperta nella società Minor e della inesistenza delle operazioni sottostanti alla emissione/utilizzazione di fatture.
10.2.1. La ulteriore censura articolata nel medesimo motivo di ricorso non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale è pienamente configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, alla luce della diversità del soggetto-autore degli illeciti (nel primo caso, tutti i contribuenti, nel secondo, soltanto gli imprenditori falliti) e del differente elemento psicologico tra i reati (rispettivamente, dolo specifico e dolo generico) (Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Rv. 270810; Sez. 5, n. 22143 del 14/03/2022, Rv.283257).
10.3 Il terzo motivo risulta manifestamente infondato.
Anche in questo caso, si tratta del medesimo motivo proposto nell'interesse di C.R. e M. rigettato nei precedenti paragrafi e alle cui motivazioni si rinvia (par. 8.4).
10.4. Generico risulta il motivo relativo al trattamento sanzionatorio e alla invocata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.
A fronte di una esaustiva motivazione in fatto con la quale la Corte territoriale ha chiarito le ragioni per le quali ha condiviso il trattamento sanzionatorio operato dal primo giudice e il discostamento dai minimi edittali, quali:
- la gravità delle condotte poste in essere dagli imputati - ciascuno nel ruolo accertato - con specifico riferimento alla entità del danno determinatosi per l'Erario in conseguenza delle condotte penalmente rilevanti;
- la sistematicità con cui gli imputati hanno attuato il programma criminoso concordato con un gravissimo depauperamento per le casse dello Stato, con conseguenze pesanti per la intera collettività;
- l'incisività del "sistema M." sul tessuto economico della società, alterando gli ordinari rapporti tra soggetti economici e compromettendo le logiche di mercato;
non sono stati offerti, tuttavia, in concreto elementi dalla difesa che potessero comportare un trattamento sanzionatorio più favorevole.
11. Il ricorso di G.M.G..
Il motivo risulta fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
11.1. Il primo motivo è infondato.
Quanto alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento si richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la consumazione dei reati di bancarotta coincide con la pronuncia della sentenza di fallimento, ancorché la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto detta sentenza ha natura di elemento costitutivo del reato. (Sez. 5, n. 40477 del 18/05/2018, Rv. 273800).
La sentenza in motivazione precisa che: "(..) Quanto alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato, piuttosto che come condizione obiettiva di punibilità, va detto, per quanto di rilievo in questa sede, che il Collegio aderisce all'orientamento secondo cui, in tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento è un elemento costitutivo del reato e non una condizione oggettiva di punibilità; pertanto, il reato si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito.(Sez. 5, sentenza 09/12/2014, dep. 23/04/2015, Caprara ed altri, Rv. 263244; Sez. 5, sentenza n. 48739 del 14/10/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, sentenza n. 26548 del 19/03/2014, Nauner, RV. 260477; Sez. 1, sentenza n. 1825 del 06/11/2006, Iacobucci, Rv. 235793; Sez. 1, sentenza n. 4859 del 27/10/1994, dep. 17/01/1995, Ferrari, Rv. 200019)(..)".
Questo collegio condivide siffatto orientamento pur consapevole dell'esistenza di un diverso orientamento giurisprudenziale che ha affermato, invece, che la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, costituisce condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l'area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali alle condotte del debitore - di per sé offensive degli interessi dei creditori in quanto espongono a pericolo la garanzia di soddisfacimento delle loro ragioni - segue la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, sentenza n. 53184 del 12/10/2017, Fontana, Rv. 271590; Sez. 5, sentenza n. 4400 del 06/10/2017, dep. 30/01/2018, Cragnotti ed altri, Rv. 272256; Sez. 5, sentenza n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269388).
11.1.1 La sentenza impugnata ha operato buon governo della giurisprudenza condivisa da questo Collegio, considerando le condotte poste in essere dalla ricorrente in termini di apporto concorsuale al reato di bancarotta fraudolenta essendo state realizzate prima della sentenza dichiarativa di fallimento.
11.1.2. Alla luce di tali argomentazioni, può evidenziarsi come le ulteriori doglianze contenute nel motivo di ricorso siano versate in fatto e si traducano in una inammissibile e non consentita rilettura delle motivazioni della sentenza sul punto.
11.2 Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto versato in fatto.
La sentenza ha, con motivazione immune da vizi logici, correttamente ritenuto inammissibile la riqualificazione della condotta ascritta ai sensi dell'art. 379 c.p. del quale difettano i presupposti essendo stato riconosciuto a carico della G. il ruolo di concorrente nei reati fine e di organizzatrice all'interno della fattispecie associativa.
11.3. Il terzo motivo di ricorso risulta generico.
La sentenza impugnata, a fronte del motivo contenuto nell'atto di appello, ha chiarito che l'entità del passivo fallimentare non rileva ai fini del riconoscimento dell'aggravante in questione, sul punto la giurisprudenza di questa Corte ed in particolare Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017, Rv 271274; n. 49642 del 02/10/2009, Rv 245822).
Ha, quindi, correttamente argomentato che, in relazione all'aggravante, occorre considerare il valore dei beni che sono stati sottratti all'esecuzione concorsuale, piuttosto che il pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell'attivo ed indipendentemente dalla relazione con l'importo globale del passivo (nuovamente richiamando la giurisprudenza di questa Corte in precedenza citata).
Ha quindi concluso che, in applicazione dei principi da questa Corte, la circostanza dovesse essere "(..)ritenuta sussistente nei casi in cui è contestata nel presente procedimento(..)".
La doglianza del motivo nella parte in cui denunzia una mancata risposta allo specifico motivo di appello in ragione della "risposta cumulativa" offerta non si confronta con il contenuto della motivazione della sentenza impugnata dal momento che la Corte territoriale ha implicitamente rinviato alla motivazione contenuta in relazione alle singole condotte contestate dalla quale emerge con chiarezza il significativo valore dei beni complessivamente sottratti alla esecuzione concorsuale attraverso le attività distrattive realizzate.
Ne' sul punto la difesa ha nel ricorso evidenziato gli elementi concretamente riferibili alla ricorrente e non valutati dalla sentenza ai fini della esclusione della contestata aggravante.
11.4. Fondato relativo il quarto motivo relativo al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il Tribunale aveva riconosciuto la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti (pag. 634).
La Corte di appello, pur avendo confermato la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219 e, poi, ha negato la possibilità di riconoscere le attenuanti generiche (pag. 122), già e riconosciute dal Tribunale e ha determinato la pena finale senza tenerne conto.
In assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa, risulta realizzata una indubbia reformatio in peius.
La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
11.5 Il quinto motivo - sulla configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 114 c.p. - è manifestamente infondato.
Si e', infatti, affermato (ex plurimis: Sez. 4, n. 35950 del 25/11/2020, Indelicato, Rv. 280081) che, ai fini del riconoscimento dell'attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, è necessario che il contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di efficacia causale così lieve rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso.
In applicazione di tale principio di diritto, emerge evidente il necessario e sostanziale contributo fornito dalla ricorrente nelle plurime condotte distrattive in cui risulta concorrente attraverso la decisiva attività di traduzione degli atti al fine di realizzare compiutamente il programma criminoso di trasferimento delle società all'estero, così da non potersi ritenere, la sua compartecipazione al fatto, così minima da potere essere considerata trascurabile.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la sentenza impugnata ha con motivazione in fatto logica e non contraddittoria ha evidenziato che l'attività della imputata non si è limitata a tradurre i certificati necessari per i trasferimenti in (Omissis) delle singole società ma si è tradotta in un rilevante ruolo di collegamento con i prestanome soprattutto stranieri, ma anche italiani.
Il motivo risulta fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
12.1. Il primo motivo risulta infondato.
La impugnata sentenza (pag.108), a fronte di una richiesta di rinnovazione istruttoria, ha correttamente qualificato la stessa ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 1 escludendo che potesse essere valutata quale richiesta di prova nuova sopravvenuta al giudizio di primo grado (il teste C. è risultato ufficiale di polizia giudiziaria attivo nella indagine durante la sua durata); quindi, con motivazione priva di vizi logici, ha espresso un giudizio di non indispensabilità della deposizione del teste C. ai fini della decisione (in ragione della esaustività e completezza della testimonianza Q. e della genericità della consulenza di parte).
Va al riguardo richiamato l'orientamento di questa Corte al riguardo che ha chiarito che: "Nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata". (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230).
12.2. Manifestamente infondato il secondo motivo quanto alla responsabilità del ricorrente per la condotta contestata (capo 44).
Si tratta di doglianze interamente versate in fatto, a fronte di una motivazione della Corte di merito priva di manifesti vizi logici.
La sentenza impugnata ha evidenziato la ricostruzione operata dalla Guardia di Finanza circa le operazioni che hanno determinato lo svuotamento del patrimonio immobiliare della (Omissis) S.r.l., attraverso la cessione degli immobili, di fatto senza corrispettivo o a fronte di un corrispettivo molto inferiore al pattuito a favore di altre società facenti capo al medesimo gruppo e segnatamente la Centro Rimorchi S.r.l. (già Jumbo Real Estate S.r.l.) e la EG Real Estate S.r.l., e dunque in favore del D.M..
La testimonianza di Q. è risultata riscontrata dalla produzione documentale della Pubblica accusa.
La sentenza impugnata ha fornito adeguata motivazione, anche in tal caso priva di vizi logici, alla prospettazione difensiva.
Ha, infatti, riqualificato le cessioni di cui ai capi 42 e 43 nonché una delle cessioni di cui al capo 44 quali ipotesi di bancarotta preferenziale (con conseguente estinzione dei reati per intervenuta prescrizione), riconoscendo un collegamento con le esposizioni debitorie del D.M. con il gruppo L..
Ha poi specificato che le altre cessioni effettuate in favore di EG REAL ESTATE S.r.l., ovvero in favore del D.M. personalmente, non risultano collegate con la "vicenda L.": siffatte cessioni (avvenute in assenza di corrispettivo e poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento) non possono che avere natura distrattiva, non avendo individuato la difesa i possibili collegamenti tra le la nomina del P. ed il trasferimento in (Omissis) della società poi dichiarata fallita e il rapporto contrattuale esistente tra il gruppo D.M. ed il gruppo L..
12.3 Il terzo motivo risulta manifestamente infondato oltre che interamente versato in fatto.
La L. n. 146 del 2006, art. 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'art. 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'art. 3) impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si è visto, era stato dalla Corte di merito escluso.
La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perché erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perché si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle società, ideato fin dall'origine.
Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici.
Quanto ai provvedimenti di confisca conseguiti, appunto, alla natura transazionale dei reati, ad oggi le sole residue imputazioni di bancarotta, deve, inoltre osservarsi come il momento della loro consumazione debba essere fissato alla data della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento (la sentenza divenuta definitiva e non certo quella poi revocata, come è avvenuto in alcuni dei casi oggetto del presente giudizio), così che tutti risultano commessi in data posteriore all'entrata in vigore della L. n. 146 del 2006, che aveva legittimato il provvedimento ablatorio.
12.4 Fondati risultano il quarto e il quinto motivo nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
12.4.1. Quanto alla censura relativa al trattamento sanzionatorio la sentenza impugnata nel determinare la pena ha valorizzato:
- la entità del danno determinatosi per l'Erario in conseguenza delle condotte penalmente rilevanti;
- la sistematicità con cui gli imputati hanno attuato il programma criminoso concordato con gravissimo depauperamento per le casse dello Stato, con conseguenze pesanti per la intera collettività;
- le modalità con cui il "sistema M." ha pesantemente inciso sullo stesso tessuto economico della società, alterando gli ordinari rapporti tra soggetti economici e compromettendo le logiche di mercato.
Con riferimento alla posizione di D.M., tuttavia, la sentenza:
- ha espressamente evidenziato che le condotte allo stesso contestate non erano collegate al Sistema M. (pag. 86);
- a fronte delle originarie plurime contestazioni di bancarotta distrattiva, ha riqualificato due delle stesse e parzialmente la terza in condotte di bancarotta preferenziale (dichiarate estinte per intervenuta prescrizione), confermando la impugnata sentenza solo in relazione alle residue cessioni contestate al capo 44 qualificate come condotte distrattive.
- ha concesso a due coimputati le circostanze attenuanti generiche "per commisurare la pena alla gravità del fatto".
A fronte delle specifiche censure contenute nell'atto di appello quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione carente e contraddittoria in relazione alle specifiche circostanze richiamate, non valutando gli elementi richiamati che dovevano essere considerati in relazione alla specifica posizione del D.M..
Sul punto (quantificazione della pena e concessione delle circostanze attenuanti generiche) la sentenza va annullata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
12.4.2 Con riferimento al quinto motivo e alla conferma della confisca disposta in primo grado, va ribadito che il D.M. è stato prosciolto dai reati sub 42 e 43, nonché per una singola cessione di cui al capo sub 44 per intervenuta prescrizione dei medesimi, a seguito della riqualificazione in bancarotta preferenziale.
Non è stata però revocata la confisca, per equivalente, che si fondava sulla natura transnazionale dei reati estinti (p. 685 e ss. della sentenza di primo grado).
La Corte territoriale aveva così omesso di considerare il principio di diritto fissato da questa Corte, con la sentenza delle Sezioni unite n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435, secondo il quale il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto.
Le Sezioni unite, con la sentenza n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209, avevano anche precisato la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p., introdotta dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 6, comma 4, (che consente di confermare, motivando sul punto, la confisca, anche per equivalente, nel caso di proscioglimento dell'imputato per la prescrizione del reato) ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (e, pertanto ai fatti oggetto del presente processo, tutti anteriori al citato D.Lgs.).
Con riferimento alla posizione del D.M., dunque la confisca per equivalente è stata correttamente disposta solo in relazione alle residue condotte di cui al capo 44), ma non in relazione alle residue imputazioni (per il capo 43 la confisca era sin dall'origine illegittimamente disposta attesa l'assenza della contestazione dell'aggravante in esame).
La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame in relazione alla delimitazione della confisca per equivalente alla sola contestazione di cui al capo 44) per cui è intervenuta condanna con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
13. Il ricorso di T.F.F..
Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
13.1. Il primo motivo risulta manifestamente infondato nonché interamente versato in fatto.
La sentenza impugnata con motivazione priva di vizi logici ha confutato la versione difensiva secondo la quale l'imputato, legale rappresentante della società (Omissis) S.r.l., ma "testa di legno" rispetto ai fratelli G., non avrebbe avuto alcuna consapevolezza del ruolo svolto nella distrazione in danno dei creditori della società (Omissis) S.r.l. realizzata attraverso la cessione senza corrispettivo dei cespiti alla società dallo stesso amministrata.
La Corte territoriale ha infatti chiarito con motivazione in fatto che, pur potendosi considerare l'imputato un mero prestanome, il mancato pagamento relativo alle acquisizioni contestate non poteva realizzarsi senza il suo apporto causale.
Ha quindi richiamato, quanto all'elemento soggettivo del reato, le motivazioni della sentenza del Tribunale: il T. era stato per molti anni, in quanto funzionario di banca, colui che aveva seguito le società della famiglia G. definendole come società che "facevano faticare la banca"; la conoscenza delle vicende societarie dei fratelli G. risulta inequivoco indice rivelatore della consapevolezza della condotta distrattiva allo stesso imputata a titolo di concorso.
13.2 Manifestamente infondato nonché versato in fatto anche il secondo motivo.
In relazione al capo 41 della rubrica (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10) - rispetto al quale si è invocata una formula assolutoria piena a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici, ha osservato come l'imputato sapesse che la società Imer era sostanzialmente inattiva e non poteva aver maturato alcun credito IVA da portare in compensazione rispetto al debito fiscale della società incorporante; peraltro si è nel precedente paragrafo (par.13.1)richiamata la sentenza impugnata che con motivazione priva di vizi logici aveva chiarito le ragioni per le quali il T. fosse perfettamente consapevole dell'esposizione debitoria e della situazione economica delle società della famiglia G..
13.3. Fondato il terzo motivo relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il Tribunale aveva riconosciuto la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti (pag. 634).
La Corte di appello, pur avendo confermato la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219 e, poi, ha negato la possibilità di riconoscere le attenuanti generiche (pag. 122), già riconosciute dal Tribunale e ha determinato la pena finale senza tenerne conto.
In assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa, risulta realizzata una indubbia reformatio in peius.
La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
13.4 L'annullamento con rinvio in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche assorbe e involge il quarto motivo relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio sia con riferimento alla pena principale che alla pena accessoria.
13.5. Il quinto motivo risulta infondato.
L'apodittica affermazione secondo cui la confisca degli immobili dei fratelli G. avrebbe risarcito tutti di danni patiti dalle odierne parti civili risulta sfornita di ogni concreta allegazione, a fronte di una adeguata motivazione della sentenza impugnata in ordine alla conferma delle statuizioni disposte in primo grado per il risarcimento del danno (pag. 127). Ne' la circostanza che sia stata revocata la confisca disposta nei confronti dell'imputato B. (pag. 131 della sentenza di appello) assume un diretto rilievo sulla condanna al risarcimento dei danni; infine, le modalità con le quali più soggetti siano tenuti a risarcire lo stesso danno possono essere individuate in sede di esecuzione della sentenza.
14. Il ricorso di B.E..
Il ricorso risulta fondato nei limiti e per le ragioni che seguono.
14.1. Il primo motivo risulta infondato.
14.1.1. Dall'esame degli atti emerge che il B.:
- eleggeva domicilio presso l'abitazione del padre, in (Omissis), in data 6 dicembre 2013; dunque, successivamente alla notifica dell'avviso ex art. 415bis c.p.p. e alla citazione per l'udienza preliminare;
- il Tribunale rivelava la irregolarità della notifica del decreto che dispone il giudizio presso il domicilio sopra indicato all'udienza del 4 marzo 2015, disponendone la rinnovazione ex art. 161 c.p.p., comma 4; nonostante all'udienza successiva la notifica ex art. 161 c.p.p., comma 4 fosse stata ritualmente eseguita presso lo studio dell'avv.to M., in data 5 marzo 2015, alla successiva udienza del 7 maggio 2015 il Tribunale ha nuovamente ritenuto irregolare la notifica al B., disponendone la rinnovazione con nuovo accesso presso il domicilio dichiarato - ritualmente eseguito, con esito negativo in data 18 maggio 2015 - e successiva nuova notifica ex art. 161 c.p.p., comma 4 presso lo studio dell'avv.to M..
L'assenza è stata correttamente dichiarata.
14.1.2. Quanto all'effettiva conoscenza del processo, va evidenziato che il ricorrente ha nominato un difensore di fiducia.
La nomina di un difensore di fiducia costituisce indice di effettiva conoscenza del processo che legittima il giudizio in assenza, salva l'allegazione, da parte del condannato, di circostanze di fatto che consentano di ritenere che egli non abbia avuto conoscenza della celebrazione del processo e che questa non sia dipesa da colpevole disinteresse per la vicenda processuale (Sez. 4, n. 13236 del 23/03/2022 Rv. 283019).
14.2 Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il motivo si risolve in una rilettura in fatto delle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata prive di contraddizioni o vizi logici.
La L. n. 146 del 2006, art. 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'art. 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'art. 3) impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si è visto, era stato dalla Corte di merito escluso.
La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perché erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perché si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle società, ideato fin dall'origine).
Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici.
14.3. Manifestamente infondato nonché versato in fatto anche il terzo motivo.
In relazione alla cessione di cui al capo 44 della rubrica riqualificata quale bancarotta preferenziale - rispetto alla quale si è invocata una formula assolutoria piena per carenza dell'elemento soggettivo a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici, ha valorizzato il ruolo svolto dal B. e le intere vicende che hanno interessato il gruppo D.M., osservando peraltro che lo stesso aveva preso parte a cessioni senza corrispettivo rivelatrici di una necessaria consapevolezza della natura fraudolenta delle stesse.
14.4. Fondato il quarto motivo relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio.
Con riferimento alla posizione di D.M. e conseguentemente al B., la sentenza:
- ha espressamente evidenziato che le condotte allo stesso contestate non erano collegate al Sistema M. (pag. 86);
- a fronte delle plurime condotte distrattive del capo 44), ha parzialmente riqualificato la contestazione in bancarotta preferenziale (dichiarando estinta per intervenuta prescrizione la condotta relativa ad una delle cessioni), confermando la impugnata sentenza solo in relazione alle residue cessioni contestate e qualificate come condotte distrattive.
- ha concesso a due coimputati le circostanze attenuanti generiche "per commisurare la pena alla gravità del fatto".
A fronte delle specifiche censure contenute nell'atto di appello quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione carente e contraddittoria in relazione alle specifiche circostanze richiamate, non valutando gli elementi richiamati che dovevano essere considerati in relazione alla specifica posizione del B..
Sul punto (quantificazione della pena e concessione delle circostanze attenuanti generiche) la sentenza va annullata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
15. Il ricorso di A.I..
Il ricorso risulta nel complesso non manifestamente infondato con il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata a seguito della intervenuta prescrizione del reato associativo ascritto alla ricorrente.
15.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Le sentenze di primo e secondo grado hanno ritenuto che le certificazioni mediche depositate relative una ad un ricovero della A. e l'altra ad una malattia della figlia minore dell'imputata non possono essere valutate quale legittimo impedimento dell'imputata a comparire in udienza.
Condivisibili sono le argomentazioni secondo le quali:
- la prima certificazione risulta rilasciata da una clinica privata; fa riferimento ad un "riferito episodio lipotimico" e prescrive l'esecuzione di esami ECG e ematochimici che lo stesso sanitario descrive come "di routine"; non vi è dunque alcuna documentata evidenza di un assoluto impedimento a comparire, tenuto conto che l'episodio lipotimico e meramente "riferito" e non documentato e che nessuna specifica patologia risulta accertata.
-la seconda certificazione riguarda la figlia minore della A.; in ragione della patologia documentata (generico episodio febbrile) non emerge la assoluta ed inderogabile necessità della presenza dell'imputata accanto alla minore, non sussistendo peraltro documentazione o di eventuali impedimenti dell'altro genitore a prestare assistenza alla piccola.
La sentenza opera corretta applicazione del consolidato orientamento di questa Corte in tema di legittimo impedimento a comparire in base al quale: "L'impedimento a comparire dell'imputato, oltre che grave ed assoluto, deve possedere il carattere della attualità in relazione all'udienza, tale da risultare non altrimenti superabile l'impossibilità a presenziare". (Sez. 5, n. 37440 del 20/07/2021, Rv. 281949).
15.2 Il secondo motivo risulta manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata che richiama altresì gli esiti intercettizi della sentenza di primo grado.
La sentenza, con motivazione non contraddittoria né manifestamente illogica ha descritto il ruolo della ricorrente: A.I. era la segretaria di M., che, per un certo periodo, ha svolto la medesima attività anche per P.; il materiale derivante dalle intercettazioni telefoniche che rivela contatti tra la A. e A.A., tra la A. ed il C., tra la A. e V.; il sequestro di documentazione presso la sua abitazione comprendente la copia dei documenti di identità dei prestanomi, consente di escludere il ruolo di semplice dipendente dello studio professionale, come invece sostenuto nel ricorso.
La sentenza opera buon governo delle indicazioni di questa Corte che ha ritenuto che in tema di associazione per delinquere, la esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell'associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, Rv. 279589).
15.3 Il terzo motivo risulta non manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, e ancor prima quella del giudice di primo grado, ha ritenuto di qualificare la posizione ricoperta dalla A. nell'organizzazione in ragione della diretta gestione svolta dalla stessa della attività sui conti correnti delle varie società.
Le sentenze di merito individuano, con motivazione logica e non contraddittoria non censurabile in questa sede, nelle conversazioni telefoniche "una discreta autonomia" decisionale accompagnata dalla necessaria consapevolezza delle finalità perseguite dalla associazione e dei mezzi utilizzati per il loro perseguimento.
Nel delineare la figura dell'organizzatore all'interno della contestata associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati fallimentari e tributari, realizzata attraverso uno specifico modus procedendi e facente capo allo studio dei due commercialisti P. e M. (cd. Sistema M.), l'attività svolta continuativamente presso lo studio professionale dalla segretaria A. in funzione di raccordo e collegamento dei vari soggetti coinvolti, sia pure in esecuzione di direttive di terzi, è riconducibile a siffatto modello legale descritto dall'art. 416 c.p., comma 1.
15.3.1. La non manifesta infondatezza del terzo motivo, considerata la concessione delle circostanze attenuanti generiche, attesa la decorrenza alla data odierna del termine di prescrizione, determina l'estinzione di tale reato.
La sentenza impugnata va dunque in relazione alla ricorrente annullata senza rinvio.
16. Dei precedenti ricorrenti, a carico dei soli P. e M. viene posta la rifusione delle spese del presente grado di giudizio a favore dell'Agenzia delle entrate (posto che questi solo ha citato nelle sue conclusioni); nonché a carico del solo D.M. alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile fallimento (Omissis) s.r.l., (citato nelle sue conclusioni).
Li si condannano nella misura, ritenuta equa, di cui al dispositivo. Senza rinviare la liquidazione al definitivo posto che l'annullamento riguarda il solo trattamento sanzionatorio, al quale la parte civile non risulta avere interesse.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo 1 nei confronti di P.C. e M.C. per essere il reato estinto per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata nei confronti dei medesimi P. e M. limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.I. per essere il reato di cui al capo 1 a lei ascritto estinto per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.A. e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.H.V. e F.S. limitatamente alla confisca per equivalente e rigetta nel resto i ricorsi.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti nei confronti di D.M.S. limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla confisca e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma; rigetta nel resto il ricorso.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio nei confronti di G.M.G., T.F.F., B.E., B.M., G.M. e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma; rigetta nel resto i ricorsi dei predetti.
Dichiara inammissibili i ricorsi di C.R., C.M., e N.M. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna D.M.S. alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile fallimento (Omissis) s.r.l., che liquida in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
Condanna P.C., M.C., C.R., alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile Agenzia delle entrate, che liquida in Euro 7.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2023