RITENUTO IN FATTO
1.1. Con la sentenza resa in data 13 luglio 2015, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della decisione assunta in data 30 giugno 2008 dal Tribunale di Verona, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Be.Iv., B.M., P.S., R.P., A.M. e A.A. in relazione al delitto di associazione per delinquere nonchè in relazione ai plurimi delitti di truffa che ne costituivano i reati fine, perchè estinti per prescrizione e, confermato il giudizio di responsabilità in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestata a tutti gli imputati, nonchè per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, contestata ai soli A.A., A.M., B.M., BE.Iv. e R.P., ha rideterminato la pena loro rispettivamente inflitta nella misura di: 1) anni 6 e mesi 3 di reclusione nei confronti di BE.Iv.; 2) di anni 6 di reclusione per B.M.; 3) anni 6 di reclusione per P.S.; 4) anni 3 e mesi 6 per R.P.; 5) anni 3 di reclusione per A.M.; 6) anni 2 di reclusione per A.A..
1.2. Il giudice del gravame ha ritenuto che dal complesso delle risultanze istruttorie rappresentato dagli esiti delle captazioni telefoniche compiute sulle utenze in uso alle numerose persone coinvolte nella vicenda; dalle dichiarazioni rese da coimputati e da persone informate dei fatti, dapprima al Curatore fallimentare e alla polizia giudiziaria e poi ripetute in dibattimento; dalle dichiarazioni rese al cospetto del Tribunale dal curatore fallimentare e dal consulente tecnico del pubblico ministero, siccome sostenute dagli accertamenti cristallizzati nelle rispettive relazioni versate in atti; dai documenti prodotti - non emergesse l'evidenza di ragioni che consentissero di pronunciare nei confronti degli imputati l'assoluzione nel merito in relazione ai delitti di truffa e di associazione per delinquere, commessi in data anteriore al (OMISSIS) - dei quali, quindi, andava dichiarata l'estinzione per prescrizione -, atteso che gli elementi di fatto raccolti deponevano per l'esistenza di un sodalizio, costituito tra gli imputati e dedito alla realizzazione seriale di truffe in danno di imprese (molte austriache) inserite nel mercato del legno e degli accessori per l'edilizia e l'impiantistica, operante tramite lo schermo legale della ditta individuale A.A.. Ha, invece, ritenuto raggiunta la prova che i prevenuti, soci di un ente imprenditoriale di fatto pur operante sotto l'insegna della predetta ditta individuale, dichiarati falliti unitamente alla società di fatto dal Tribunale di Verona in data 4 settembre 2001 e 21 novembre 2003, avessero utilizzato la società di fatto e il nome della ditta A.A., ben conosciuta nel settore del commercio del legname e dei mobili, per fare incetta di merci, acquisite senza corrispondere il dovuto ai fornitori, stoccandole in depositi dei quali il gruppo aveva disponibilità per poi dirottarle a beneficio di società riconducibili ad alcuni degli imputati (la MCB Srl, la Timber Pool Srl e la Mondialfruit Srl) che le pagavano alla A. nella misura della metà del loro valore, il cui importo veniva poi ridistribuito tra i sodali; che, del pari, avessero disperso le garanzie patrimoniali dei creditori della società di fatto, distraendo i beni immobili (il complesso immobiliare di (OMISSIS)) e i beni mobili (attrezzature per la lavorazione del legno, nonchè autovetture in leasing), mediante operazioni di vendita sostanzialmente prive di corrispettivo in favore delle società riconducibili agli imputati medesimi, ovvero mediante l'occultamento di essi; che, allo scopo di consolidare il profitto dell'attività delittuosa perpetrata e, così, di non consentire ai loro creditori ed a quelli della società di fatto di realizzare le loro pretese, avessero sottratto o distrutto il compendio documentale dell'impresa dichiarata fallita.
2. Nell'interesse dell'imputato BE.Iv. propongono ricorso per cassazione, con distinti atti di impugnativa, l'Avvocato Lucio Monaco e l'Avvocato Adalberto Neri.
2.1. Il ricorso dell'Avvocato Monaco è affidato a quattro motivi.
1. Il primo motivo eccepisce il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione. Si deduce che non si sarebbe dovuta pronunciare l'estinzione per prescrizione del delitto di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di truffe e dei detti reati fine, poichè il dato del concorso dell'imputato in tali delitti era provato solo attraverso le dichiarazioni del coimputato G., inutilizzabili - e tali reputate, in parte, dalla stessa Corte di appello - perchè non ripetute al dibattimento. In ogni caso non potevano essere utilizzate neppure quelle rese al curatore del fallimento e al consulente tecnico del pubblico ministero, e da questi riportate, non potendosi far luogo al disposto di cui all'art. 195 c.p.p. ed ostandovi l'art. 62 c.p.p..
2. Il secondo motivo eccepisce il vizio di violazione di legge ed il vizio di motivazione. Si deduce che le fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta fraudolenta documentale non sarebbero configurabili, posto che la società occulta dichiarata fallita che ne costituiva il presupposto era inesistente, essendoci incompatibilità logico-giuridica tra l'attività economica perseguita dalla società occulta e il programma criminale oggetto dell'associazione per delinquere. Nondimeno era da ritenersi non perspicuo il riferimento del giudice censurato alla preclusione esistente per il giudice penale in ordine al sindacato circa i presupposti di esistenza di una società commerciale dichiarata fallita, atteso che la pronuncia giurisdizionale che accerta l'insolvenza dell'ente imprenditoriale fa stato nel processo penale soltanto a far data dalla sua definitività: situazione che non ricorrerebbe nel caso allo scrutinio. Il giudicato civilistico, peraltro, non sarebbe tale da estendersi alle condotte dei soci in relazione alle ipotizzate distrazioni, tale accertamento essendo di competenza esclusiva del giudice penale.
3. Il terzo motivo denuncia il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare prove decisive riguardanti il concorso dell'imputato nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della società occulta.
3.1. Con riguardo alla bancarotta fraudolenta patrimoniale contestata si sviluppano le seguenti considerazioni.
3.1.1. Quanto alle condotte distrattive di merci varie si evidenzia che l'operazione di vendita sottocosto di legname del valore di 1.200.000.000 di Lire intercorsa tra la ditta individuale A.A. e la MCB Srl. di BE.Iv. per il tramite della Timber Pool Srl. poggerebbe su evidenze probatorie inconsistenti, rinvenibili in opinabili valutazioni del consulente tecnico del pubblico ministero - che al dibattimento aveva riferito di omissioni, discrasie e irregolarità nella registrazione delle fatture relative a transazioni commerciali riscontrate nelle contabilità della ditta individuale A., della Timber Pool e della MCB - prive, tuttavia, di decisività rispetto al dato, rimasto non dimostrato, del mancato incasso da parte della Timber Pool degli assegni emessi dalla MCB. Si osserva, altresì, che l'operazione ipotizzata sarebbe priva di logica, perchè la MCB non aveva alcuna necessità di schermare tramite la Timber Pool l'acquisto di legname dalla ditta individuale A., visto cha da questa, negli anni (OMISSIS), aveva acquistato legname per oltre 500.000.000 di Lire. Aggiunge che era da disconoscere la stessa valenza distrattiva dell'operazione in parola, posto che il legname sottratto al patrimonio della società occulta era provento di truffe perpetrate ai danni di fornitori esteri e che, con riguardo ad altre tipologie di beni, la Corte non aveva motivato in ordine al concorso nella distrazione del BE., del quale poteva dirsi, al più, che avesse ricevuto presso il proprio capannone di (OMISSIS) soltanto legname.
3.1.2. Anche la valenza distrattiva della cessione del complesso immobiliare di (OMISSIS) di proprietà dei coniugi A. - b. in favore della MCB (che a sua volta l'avrebbe ceduto alla Mondialfruit Srl.) sarebbe frutto di un travisamento della prova, posto che il prezzo di 275.000.000 di Lire pattuito come corrispettivo - indicato nell'atto di compravendita come interamente versato - era stato pagato in ragione di 48.000.000 di Lire in contanti e, nella parte residua, mediante accollo da parte dell'acquirente dei debiti che la ditta individuale A. aveva nei riguardi di istituti bancari e rispetto ai quali i coniugi A. avevano assunto la qualità di garanti. Nondimeno non vi era prova che i coniugi medesimi avessero conferito il detto bene alla società occulta.
3.1.3 La sentenza impugnata sarebbe caratterizzata da omessa motivazione sulla deduzione difensiva - formulata con la memoria versata agli atti del giudizio di appello in data 8 giugno 2015 - con la quale si evidenziava che, avendo il consulente tecnico del pubblico ministero riferito che dal settembre 2000 presso il capannone della ditta A. non si trovavano più beni strumentali "indispensabili" per la lavorazione del legno - che in ipotesi dovrebbero identificarsi con quelli menzionati nel capo di imputazione - perchè restituiti in quanto non pagati, la Corte di appello avrebbe dovuto spiegare quali altri beni strumentali, già presenti nel capannone di (OMISSIS), erano stati trovati nella disponibilità della Mondialfruit: diversamente l'accusa di distrazione mossa all'imputato era destituita di logico fondamento.
3.1.4. Quanto alle autovetture - a parte l'insussistenza del fatto in relazione al veicolo Jaguard perchè restituito alla società di leasing - si rileva l'erroneità in diritto e l'apoditticità della motivazione, poichè, non essendo le stesse intestate o in uso all'imputato, non vi era prova che egli avesse partecipato alla loro distrazione; ad opinare diversamente, come fatto dalla Corte territoriale, si avallerebbe una responsabilità di posizione. I medesimi rilievi sono svolti quanto ai proventi finanziari.
3.2. Con riguardo alla bancarotta documentale per sottrazione e distruzione delle scritture contabili, si rileva che, coincidendo la società occulta costituita tra gli imputati con la società criminale, rispondente al loro progetto di realizzare una serie indeterminata di truffe, la contestata sottrazione o distruzione di scritture contabili non poteva essere riconosciuta, non avendo i soci in nessun modo istituito i libri e le scritture contabili, posto che non avevano alcuna ragione di lasciar traccia del loro agire illecito. Nondimeno non poteva essere loro richiesto, in spregio al principio del "nemo se detegere tenetur", di autoaccusarsi mediante la documentazione del loro operato, tanto più che non vi era alcun interesse di terzi da tutelare non avendo la società occulta svolto parallelamente alcuna attività lecita.
4. Il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che, invece, il ricorrente avrebbe meritato in ragione del suo ruolo di mero finanziatore della società occulta non direttamente coinvolto nella perpetrazione delle truffe. In proposito si contesta il rilievo assegnato dal giudice censurato alla mancanza di collaborazione processuale da parte dell'imputato e al precedente specifico che ne contrassegnava il certificato penale, come anche il difetto di ragionevolezza della impugnata statuizione ove raffrontata al più benevolo trattamento riservato ai coimputati.
2.2. Il ricorso dell'Avvocato Adalberto Neri sviluppa quattro motivi.
2.2.1. Il primo motivo denuncia vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 27 Cost. e vizio di motivazione, essendo incorsa la Corte territoriale in un error iuris, laddove aveva confuso il profilo della responsabilità civile con quello della responsabilità penale e, comunque, in una evidente distonia argomentativa, laddove aveva riconosciuto il BE. responsabile di tutte le condotte di distrazione contestate, ancorchè ne avesse escluso il ruolo di capo e promotore dell'associazione per delinquere ravvisata. Essendo, infatti, egli un semplice compartecipe del sodalizio criminale ed identificandosi, questo, con la società occulta costituita tra gli imputati, non poteva, dunque, essere considerato amministratore della società di fatto dichiarata fallita, con la conseguenza che gli potevano essere imputati esclusivamente gli atti eventualmente depauperativi del patrimonio sociale nei quali vi era la prova che fosse coinvolto: pena, altrimenti, la violazione del principio di personalità della responsabilità penale.
2.2.2. Il secondo motivo eccepisce l'inutilizzabilità, in relazione all'art. 62 c.p.p., delle dichiarazioni del coimputato G., essendosene fatto uso processuale per il tramite sia delle dichiarazioni de relato del curatore fallimentare, sia della relazione ex art. 33 L. Fall., le cui valutazioni circa il ruolo del BE. in entrambi i sodalizi - quello imprenditoriale e quello criminale - erano meramente riproduttive di quelle espresse dal G. nelle informazioni rese al curatore medesimo.
2.2.3. Il terzo motivo deduce il vizio di motivazione quanto alla fittizietà delle forniture di legname effettuate dalla Timber Pool alla MCB e dei relativi pagamenti, non potendosi disconoscere che questi fossero effettivamente avvenuti solo perchè non vi era corrispondenza tra la data delle relative fatture, contabilizzate solo nelle scritture della MCB, e gli assegni emessi da questa a favore della prima, essendo tipico della pratica commerciale il pagamento rateizzato della merce e, comunque, non potendosi inferire dalla sola inerzia della società emittente nella contabilizzazione delle fatture l'inesistenza delle transazioni.
2.2.4. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 2251 e 2808 c.c. e il vizio argomentativo, la motivazione della sentenza impugnata essendo caratterizzata da un duplice profilo di fallacia quanto alla ritenuta valenza distrattiva della cessione in favore della MCB del complesso immobiliare intestato ai coniugi A. - b. ubicato in (OMISSIS). Nulla autorizzerebbe, infatti, a tale conclusione, non essendovi in atti la prova che i cespiti che concorrevano a costituirlo - tra cui una casa di abitazione - fossero stati conferiti nel patrimonio aziendale della ditta individuale A.A.; in secondo luogo, fondandosi l'assunto dei giudizi di merito su un evidente errore logico, espressivo, al tempo stesso, di un errore di diritto, non potendo costituire oggetto di distrazione un bene che, in ogni caso, non avrebbe potuto soddisfare le pretese dei creditori della società occulta perchè destinato a soddisfare, in via privilegiata, i creditori della ditta assistiti da garanzia ipotecaria.
3. Nell'interesse dell'imputato B.M. propone ricorso per cassazione l'Avvocato Massimo Dal Ben con atto del 24 novembre 2015, cui ha fatto seguito un atto integrativo del 25 febbraio 2016.
Il ricorso principale è affidato ad un solo motivo, con il quale si denuncia il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione, evidenziandosi, con argomenti, invero, del tutto sovrapponibili a quelli spesi nelle impugnative nell'interesse del BE., come vi sia incompatibilità logico-giuridica tra la società di fatto - altrimenti detta società occulta tra gli imputati -, riconosciuta dal giudice civile e, come tale, dichiarata fallita, e l'associazione per delinquere ritenuta dal giudice penale, costituita tra i soci di tale organismo imprenditoriale, che l'avrebbero piegato al perseguimento di illeciti profitti conseguiti mediante la realizzazione seriale di delitti di truffa. Nondimeno si rileva che la Corte territoriale, utilizzando l'"escamotage" della insindacabilità degli accertamenti del giudice civile si sarebbe sottratta al compito suo proprio di verificare la ricorrenza in fatto delle singole condotte distrattive da parte dell'imputato.
Con i motivi aggiunti, replicando testualmente le deduzioni difensive sviluppate nell'interesse di BE.Iv. nel secondo motivo dell'atto di impugnativa a firma dell'Avv. Monaco, si ampliano i temi di contestazione articolati nel ricorso principale.
4. Nell'interesse dell'imputato P.S. propone ricorso per cassazione l'Avvocato Passarin, che affida l'impugnativa a sei motivi.
4.1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 216 e 223 L. Fall., dell'art. 2639 c.c. e dell'art. 40c.p., comma 2 e art. 110 c.p., non essendovi prova in atti nè del contributo causale apportato dall'imputato agli atti di distrazione contestati, nè, quantomeno, della sua consapevole inerzia a fronte delle altrui condotte di spoliazione del patrimonio aziendale. Pertanto, della motivazione posta a corredo della statuizione di condanna per il delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale si contesta l'inaccettabile automatismo con il quale la Corte territoriale avrebbe desunto la responsabilità dell'imputato per tutte le contestate condotte depauperatorie dalla posizione di amministratore di fatto della società occulta fallita riconosciuta in capo al ricorrente.
4.2. Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione da omessa risposta alle precise deduzioni difensive sviluppate nell'atto di gravame - in riferimento all'attribuibilità al P. delle singole distrazioni contestate -, avendo la Corte territoriale fatto imponente uso della tecnica della motivazione per relationem e giustificando tale scelta con la ritenuta genericità delle doglianze medesime.
4.3. Il terzo motivo eccepisce il vizio di violazione della legge processuale, in relazione all'art. 192 c.p.p., sul rilievo che la condanna pronunciata nei confronti del P. poggiava sulle dichiarazioni predibattimentali, rese dal coimputato G. al curatore fallimentare e trasfuse nella relazione ex art. 33 L. Fall., ancorchè queste fossero di per sè inutilizzabili e sebbene, peraltro, il propalante, nell'esame dibattimentale, le avesse ritrattate proprio con riferimento al P.. Nondimeno le dichiarazioni del coimputato, in quanto integranti una chiamata in correità, avrebbero dovuto essere vagliate alla stregua dei criteri di cui all'art. 192 c.p.p., comma 3, siccome interpretati dalla Corte di legittimità.
4.4. Il quarto motivo eccepisce la violazione dell'art. 546 c.p.p., non avendo il giudice censurato indicato i risultati del procedimento probatorio esperito, utilizzati a sostegno delle statuizioni di condanna pronunciate nei confronti del P..
4.5. Il quinto motivo deduce il vizio di illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione del P. all'associazione per delinquere, ancorchè rispetto alla corrispondente imputazione vi fosse stato il proscioglimento dell'imputato per estinzione del reato per prescrizione. Tanto si contesta sul rilievo che, benchè le posizioni del P. e del G. fossero appaiate dal punto di vista operativo, il giudice censurato aveva utilizzato un diverso metro per l'uno e per l'altro, valorizzando, in chiave liberatoria per il G. ed in chiave condannatoria per il P., le medesime evidenze probatorie.
4.6. Il sesto motivo eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 546 c.p.p., poichè la Corte di appello di Venezia aveva omesso di indicare il numero della sentenza oggetto d'appello così venendo meno all'obbligo della precisa individuazione del provvedimento impugnato.
5. Nell'interesse dell'imputato R.P. propone ricorso per cassazione l'Avvocato Paolo Costantino, che affida l'impugnativa ad un solo motivo articolato in più profili di censura.
5.1. Deduce il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione:
a) all'incompatibilità logico-giuridica esistente tra la società occulta e la società criminale, avuto riguardo soprattutto alla circostanza che la sentenza dichiarativa del fallimento della prima non era ancora divenuta irrevocabile;
b) all'inconfigurabilità del ruolo di partecipe dell'associazione per delinquere in capo al ricorrente, attesa la funzione marginale ed esecutiva dispiegata nell'ambito della società occulta della quale era un mero dipendente;
c) all'apparenza della motivazione posta a corredo del diniego di sospensione del processo penale ai sensi dell'art. 479 c.p.p.;
d) all'inadeguatezza dell'argomentazione spesa dal giudice censurato a sostegno del rigetto della richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti, il ruolo gregario e surrogabile del R. integrando elemento suscettibile di suggerire un più benevolo trattamento sanzionatorio.
6. Nell'interesse degli imputati A.A. e A.M. propone ricorso l'Avvocato Michele Masella sottoscrivendo un comune atto di impugnativa, affidato a tre motivi.
6.1. Il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta, evidenziandosi l'incompatibilità tra la società occulta e l'associazione per delinquere e censurandosi la ritenuta insussistenza dei poteri di sindacato da parte del giudice penale in ordine ai presupposti fattuali sottesi alla riconoscibilità della realtà imprenditoriale di fatto suscettiva di costituire, al tempo stesso, il sostrato della fenomenologia criminale associativa contestata.
6.2. Il secondo motivo denuncia l'omessa motivazione da parte della Corte di appello di Venezia in ordine alla richiesta di declaratoria di improcedibilità del delitto di bancarotta fraudolenta contestata agli imputati A., derivante, ad avviso dell'impugnante, dal rigetto da parte del Tribunale di Verona della istanza di fallimento della Ditta individuale A. presentata dal Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale e dal mancato reclamo del detto provvedimento. Nondimeno il delitto di cui agli artt. 216 e 223 L. Fall., era da considerarsi, comunque, improcedibile non essendo passata in giudicato la sentenza di fallimento della società di fatto e non avendo inteso la Corte territoriale accordare la richiesta sospensione del processo penale, rendendo sul punto una motivazione del tutto tautologica.
6.3. Il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione da omessa considerazione della richiesta di patteggiamento con una misura della pena pari ad anni tre di reclusione per ciascun imputato. Al riguardo si rileva che la Corte territoriale, pur avendo irrogato ad A.A. una pena corrispondente a quella richiesta con l'istanza di patteggiamento, nulla aveva argomentato in ordine al diniego dell'ammissione a tale rito alternativo; con riguardo all' A.M. si evidenzia che la stessa Corte, in aggiunta al silenzio in ordine alla mancata ammissione al rito richiesto, aveva escluso la concessione all'imputato delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, così da allineare la pena irrogata a quella richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p..
7. Con memoria depositata in data 24 maggio 2014, l'Avvocato Michele Massella, nell'interesse di A.A. e di A.M., ha ulteriormente illustrato le deduzioni sviluppate nel ricorso, insistendo, in particolare, sul dato che A.A. ed A.M. non erano stati dichiarati falliti in proprio quali titolari della ditta individuale A.: donde l'impossibilità di configurare nei loro confronti il delitto di bancarotta fraudolenta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso articolati nei distinti atti di impugnativa evidenziano questioni comuni scrutinabili unitariamente, affrontando prima quelle di natura processuale e poi quelle di natura sostanziale.
2. Il thema della utilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato G.E.M. è affrontato nei ricorsi proposti nell'interesse di BE.Iv. e P.S. ed assume rilievo nell'ottica impugnatoria costituendo le stesse - ad avviso dei ricorrenti - le sole fonti da cui trarre elementi a sostegno della ritenuta partecipazione dei ricorrenti nel delitto di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di numerosissime truffe perpetrate in danno di fornitori di legname e di articoli per l'edilizia e l'impiantistica.
Sulla eccezione di inutilizzabilità delle propalazioni in parola, rese sia nelle indagini preliminari che nella fase preprocedimentale al curatore del fallimento, che le aveva riportate senza alcuna valutazione critica nella relazione ex art. 33 L. Fall., acquisita al fascicolo del dibattimento, la Corte di appello ha deciso nel senso che le precedenti dichiarazioni rese dall'imputato nella fase delle indagini preliminari, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e, conseguentemente, acquisite al fascicolo per il dibattimento, potevano essere utilizzate, con riguardo alla responsabilità dei coimputati, ai soli fini della valutazione della credibilità del dichiarante, non avendo i coimputati prestato il loro consenso all'utilizzazione probatoria piena: donde nei confronti di questi ultimi erano utilizzabili solo le dichiarazioni rese dal G. nell'esame dibattimentale.
Quanto alle dichiarazioni rese dal G. al curatore fallimentare e al consulente tecnico del pubblico ministero e trasfuse nel dibattimento attraverso l'esame di questi ultimi, la Corte territoriale ha ritenuto che l'escussione dibattimentale della fonte diretta consentisse di ritenere superata l'eccezione di inutilizzabilità di quelle de relato.
Sul punto osserva il Collegio che le deduzioni articolate dai ricorrenti quanto alla utilizzazione processuale delle dichiarazioni rese al G. al curatore fallimentare non tengono conto del principio di diritto secondo cui: "Il divieto di testimonianza previsto dall'art. 62 c.p.p., opera solo in relazione alle dichiarazioni rese nel corso del procedimento all'autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e al difensore nell'ambito dell'attività investigativa e, pertanto, restano escluse da tale divieto le dichiarazioni, anche se a contenuto confessorio, rese dall'imputato o dall'indagato ad un soggetto non rivestente alcuna di tali qualifiche (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Rv. 225469; Sez. 5, n. 30895 del 09/03/2016, D'Elia, Rv. 267699). Nondimeno omettono di considerare che è parimenti enunciazione nomofilattica largamente condivisa quella secondo la quale: "E' inutilizzabile, quale prova a carico dell'imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie resegli da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell'art. 33 L. Fall., quando l'imputato o il suo difensore abbiano chiesto l'esame del predetto coimputato e questi vi si sia per libera scelta sottratto, sussistendo in tal caso la violazione dell'art. 526 c.p.p." (Sez. 5, n. 24781 del 08/03/2017, Corrieri e altro, Rv. 270599; Sez. 5, n. 13060 del 08/02/2017, Meluzio, Rv. 270596; Sez. 5, n. 3885 del 09/12/2014 - dep. 27/01/2015, Tusa, Rv. 262230): situazione che, di certo, non ricorre nel caso al vaglio, posto che risulta dagli atti processuali che il coimputato G. è comparso al dibattimento ed ha accettato di sottoporsi all'esame richiesto dal pubblico ministero e al controesame dei difensori del BE. e del P..
Deve, inoltre, sottolinearsi che nella giurisprudenza di questa Corte è consolidata l'affermazione secondo la quale: "Nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 - dep. 20/02/2017, La Gumina e altro, Rv. 269218). Poichè a tale onere i ricorrenti non hanno adempiuto, non avendo indicato con la necessaria chiarezza e precisione le ragioni per le quali le ulteriori evidenze testimoniali e documentali valorizzate dai giudici di merito per sostenere il loro coinvolgimento nella costituzione di un sodalizio diretto a commettere una lunga serie di truffe, erano del tutto prive di valenza dimostrativa del postulato accusatorio, l'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato è inammissibile.
3. Le doglianze che denunciano il mancato rispetto del criterio dettato dall'art. 192 c.p.p., comma 3, quanto alla valutazione delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal coimputato G., o sono declinate con la stessa genericità già riconosciuta dalla Corte territoriale, allorchè aveva osservato - con peculiare riferimento all'atto di appello del BE. - che le deduzioni sviluppate nel gravame, quanto all'attendibilità del coimputato e all'assenza di elementi di riscontro, non si confrontavano direttamente con la motivazione della sentenza impugnata, ovvero pretendono - con peculiare riferimento a quelle sviluppate dal P. nel terzo e nel quinto motivo di ricorso, peraltro senza neppure rispettare il principio di autosufficienza del ricorso - dal giudice di legittimità un non consentito sindacato sul significato concreto delle dichiarazioni e dei relativi elementi di riscontro: un tale esame, infatti, invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sè stessi e nel loro reciproco collegamento (Sez. 6, n. 33875 del 12/05/2015, Beruschi e altri, Rv. 264577).
In difetto, dunque, di decisive allegazioni idonee a dimostrare l'eventuale travisamento della prova e in mancanza di specifiche argomentazioni suscettibili di mettere in crisi la complessiva tenuta logica della motivazione posta a corredo della sentenza impugnata - che, pur richiamandosi in parte alla sentenza di primo grado, ha dato atto di come le dichiarazioni del G. trovassero riscontro nella documentazione fornita dallo stesso coimputato nonchè in quella sequestrata dalla polizia giudiziaria o acquisita di iniziativa dal curatore fallimentare, come anche nel contenuto di alcune testimonianze - il rilievo censorio che investe il profilo della valutazione delle dichiarazioni del G. si appalesa privo di pregio.
4. Manifestamente infondate sono le eccezioni di nullità della sentenza impugnata sollevate ai sensi dell'art. 546 c.p., nell'interesse del P. - con i motivi quarto e sesto di ricorso - in riferimento alla mancata indicazione del numero della sentenza fatta oggetto di gravame e della specifica enunciazione dei risultati probatori. Va, in questa sede, ribadito il principio di diritto secondo il quale, stante la tassatività della previsione di cui all'art. 546 c.p.p., comma 3, non determina nullità della sentenza l'eventuale omissione riguardante elementi diversi da quelli specificamente passati in rassegna dalla norma: vale a dire la motivazione della sentenza, componenti essenziali del dispositivo e la sottoscrizione del giudice. (Sez. 4, n. 4098 del 5/11/2008 - dep.2009, Bodelmonte Cosuccia, Rv. 242828).
5. Destituite di giuridico fondamento sono le censure, sviluppate nei ricorsi di BE., B., R., A.A. e A.M., relative alla compatibilità logico-giuridica tra la società di fatto, costituita tra gli imputati, dichiarata fallita dal Tribunale di Verona in data 4 febbraio 2001 e definita occulta, perchè operante sotto le mentite spoglie della ditta individuale " A.A.", e il sodalizio criminale posto in essere tra gli stessi allo scopo di commettere un numero indeterminato di truffe.
5.1. Deve al riguardo, in primo luogo, farsi richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, mai più messa in discussione dopo il "dictum" delle Sezioni Unite n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398 (ribadita da ultimo da Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Ioghà e altro, Rv. 269454), secondo la quale il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta R.D. 16 marzo 1942, n. 267, ex artt. 216 e ss., non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore. In motivazione il supremo Collegio ha precisato che la sentenza di fallimento costituisce il presupposto formale perchè possano essere prese in considerazione le condotte dell'imprenditore ante procedura e che nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, sicchè "in quanto atto della giurisdizione richiamato dalla fattispecie penale, la sentenza dichiarativa di fallimento è insindacabile in sede penale" e "vincola il giudice penale (purchè esistente e non revocata) come elemento della fattispecie criminosa, e non quale decisione di una questione pregiudiziale implicata dalla fattispecie".
Peraltro, l'accertamento compiuto dal giudice fallimentare - che è in linea con il principio di diritto secondo il quale: "Anche la società di fatto e la società occulta, quali fattispecie nelle quali viene prospettata l'esistenza di soggetti che nella veste di soci non apparenti devono condividere con l'imprenditore individuale la responsabilità verso i creditori, possono essere dichiarate fallite ai sensi dell'art. 147 L. Fall., tale disposizione rendendo operativo nella sede fallimentare il principio della responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, stabilito dagli artt. 2291 e 2297 c.c." (Cass. civ., Sez. 1, n. 2975 del 10/02/2006, Rv. 586810 - 01) è nell'attualità coperto dal giudicato, essendo la sentenza dichiarativa di fallimento della società di fatto divenuta irrevocabile, avendo questa Corte con la sentenza Sez. 1^ civile n. 9990 del 19 aprile 2016, dichiarato inammissibile il ricorso presentato da BE.Iv. contro il Fallimento della società di fatto costituita tra A.A. e A.M., R.P., B.M. e BE.Iv. e dei soci illimitatamente responsabili; nonchè inefficace il ricorso incidentale presentato da A.A., A.M., R.P., contro B.M., BE.Iv., il Fallimento della società di fatto costituita tra A.A. e A.M., R.P., B.M. e BE.Iv. e dei soci illimitatamente responsabili.
Donde devono ritenersi assorbite sia le doglianze - articolate dai ricorrenti R. ed A. - che censurano il mancato accoglimento da parte dei giudici di merito della richiesta di sospensione del processo penale in attesa della definizione del processo instaurato contro la dichiarazione di fallimento, sia quelle che deducono l'inconfigurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta nei confronti di A.A. e A.M. per non essere stato dichiarato il fallimento della ditta individuale A., posto che la dichiarazione di fallimento che rileva ai fini della contestazione mossa agli imputati è quella che riguarda la società di fatto costituita tra A.A. e A.M., R.P., B.M. e BE.Iv. e i soci illimitatamente responsabili.
5.2. Al fine di smentire la tesi della pretesa non sovrapponibilità tra una società commerciale e una società criminale, in quanto l'una protesa alla realizzazione di profitti leciti e l'altra alla realizzazione di profitti illeciti mediante la commissione di reati, va qui richiamata la lezione ermeneutica impartita da questa Corte, che ha riconosciuto la possibilità di ravvisare il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di truffa nella predisposizione da parte dei coimputati di un programma criminoso diretto alla commissione di numero indeterminato di delitti contro il patrimonio e alla consecutiva distrazione dei beni di un'impresa commerciale, nel cui nome gli associati abbiano compiuto l'attività contrattuale servita per realizzare i reati fine avuti di mira dal sodalizio (Sez. 5, n. 31149 del 05/05/2009, Occioni e altro, Rv. 244486; Sez. 5, n. 78 del 21/11/2003 - dep. 08/01/2004, Perrone e altri, Rv. 227372). In tal senso si è precisato che per tale configurabilità è sufficiente la strumentalizzazione di un organismo imprenditoriale, pur dedito a finalità lecita, senza che rilevi l'apposita creazione o la preesistenza della stessa alla ideazione criminosa; d'altra parte, la giurisprudenza di legittimità ammette che possano essere oggetto di distrazione anche quei beni acquisiti a seguito di attività criminale (Sez. 5, n. 8373 del 27/09/2013 - dep. 21/02/2014, Mancinelli, Rv. 259041; Sez. 5, n. 23318 del 17/03/2004, Spartà ed altri, Rv. 228863).
A torto dunque si imputa, dai ricorrenti BE., B., R., A.A. e A.M., ai giudici di merito di avere costruito la ravvisabilità dei delitti di cui all'art. 416 c.p., art. 640 c.p. e art. 216 L. Fall., sulla sola coincidenza del vincolo associativo criminoso con il vincolo societario. Sotto questo specifico profilo, infatti, la sentenza impugnata, richiamandosi in parte - quanto alla descrizione delle peculiarità delle fattispecie concrete contestate - agli accertamenti cristallizzati nella sentenza di primo grado, con argomentare corretto e persuasivo, ha spiegato le ragioni per le quali era dato affermare che la società di fatto costituita tra gli imputati - tutti collegati tra loro per effetto di una ragnatela di interessenze - avesse utilizzato, nel corso del (OMISSIS), la ditta individuale A., attratta nell'orbita di influenza di BE.Iv. - il quale, mediante un apporto di liquidità, le aveva consentito di riacquistare una tal quale affidabilità commerciale -, come il mero strumento per operare sul mercato con un'apparenza regolare, dietro la quale eseguire i comportamenti esclusivamente truffaldini, affiancando in ciò ulteriori soggetti (tra questi P., estraneo alla società dichiarata fallita, e dominus del gruppo Zucchetti) per collocare sul mercato i beni provento dell'attività delittuosa e per regolarizzare dal punto di vista fiscale le transazioni aventi ad oggetto gli stessi.
V'è, peraltro, da osservare che le fattispecie delittuose che vengono in rilievo divergono profondamente anche sul piano delle condotte materiali: l'iter criminoso dell'associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di truffe, di cui agli artt. 416 e 640 c.p., si esaurisce con l'acquisizione dei beni al patrimonio dell'impresa decotta senza il pagamento del corrispettivo, mentre la distrazione degli stessi beni, suscettibile di integrare la bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216 L. Fall., comma 1, n. 1, è successiva e si ricollega ad una nuova ed autonoma azione, con la conseguenza che i due reati possono concorrere (Sez. 5, n. 8373 del 27/09/2013 - dep. 21/02/2014, Mancinelli, Rv. 259041). Sicchè, prive di efficace incidenza sono le deduzioni difensive sul punto.
5.3. Del tutto generiche sono, altresì, le deduzioni articolate dalla difesa del R. dirette a contestare il ruolo di compartecipe nell'associazione per delinquere riconosciutogli da entrambi i giudici di merito - i quali hanno evidenziato che il R. era colui che si occupava, in stretto contatto con il B., del trasporto e della logistica dei beni acquisiti attraverso le truffe e provvedeva a dirottarle anche verso i depositi delle società facenti capo a BE., con il quale era pure in contatto avendo interesse in alcune di esse -: di modo che se ne deve dichiarare l'inammissibilità.
6. Manifestamente infondate sono le ragioni di censura che contrastano il provvedimento impugnato nella parte in cui ha riconosciuto la responsabilità di BE., di B., di R. e di P., per il delitto di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale (per quest'ultima fattispecie salvo che per il P.): il BE., il B. e il R., perchè soci illimitatamente responsabili della società di fatto dichiarata fallita, il P. quale amministratore di fatto della stessa.
6.1. E' tradizionale insegnamento di questa Corte, infatti, che, in caso di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, ciascun socio risponde dei fatti di bancarotta fraudolenta commessi sia sui beni propri che su quelli della società (Sez. 5, n. 9575 del 12/03/1987, Vincenzetti, Rv. 176626). La responsabilità per reati fallimentari, nell'ipotesi di società di persone, ancorchè di fatto, dichiarata fallita, può essere ricollegata, invero, a due diverse situazioni: la prima che il soggetto sia socio illimitatamente responsabile, venendo così a possedere, con lo "status" di fallito, la necessaria qualifica soggettiva; la seconda che l'imputato sia amministratore di fatto della società dichiarata fallita, a prescindere dallo "status" di fallito, bastando a conferirgli la soggettività attiva l'essere stato preposto, in maniera significativa e continuativa, pur in assenza di un'investitura formale, all'amministrazione ed al controllo di una società commerciale, come previsto dall'art. 2639 c.c.. Nel primo caso la responsabilità del socio trova fondamento nel capo 1^, titolo 6^ L. Fall., che disciplina i reati commessi dal fallito (artt. 216-222); nel secondo caso, nel capo 2^ dello stesso titolo, che disciplina i reati commessi da persone diverse dal fallito (artt. 223-235), tramite disposizioni di cui anche l'amministratore di diritto è diretto destinatario: in tal senso si è pronunciata la giurisprudenza di questa Corte allorchè ha affermato che: "L'amministratore di fatto di una società in nome collettivo può essere chiamato a rispondere del delitto di bancarotta fraudolenta quale diretto destinatario dell'art. 223 L. Fall., che riguarda tutte le società dichiarate fallite, comprese quelle personali, indipendentemente dalla dichiarazione personale di fallimento, che può intervenire ai sensi dell'art. 147 L. Fall., capoverso" (Sez. 5, n. 44103 del 28/09/2011, Melis, Rv. 251126; Sez. 5, n. 43036 del 13/10/2009, Gennari, Rv. 245435; Sez. 5, n. 12496 del 11/10/1994, De Negri, Rv. 200437).
6.2. Va, altresì, ribadito che, secondo l'insegnamento impartito da questa Corte regolatrice, in tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare -, il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016 - dep. 22/02/2017, Faruolo, Rv. 269101). In ogni caso, discende dallo statuto disciplinare del concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p., il principio secondo il quale concorrono alla consumazione del delitto tutti coloro che abbiano, con la loro attività, apportato un concreto contributo causale alla messa in pericolo delle ragioni dei creditori, agendo con la consapevolezza della possibilità del prodursi del detto risultato. Tanto rammentato, occorre riconoscere che il motivo articolato dalla difesa del P., che, senza contestare specificamente il riconoscimento in capo a questi della qualifica soggettiva indicata, disconosce la riconducibilità automatica al ricorrente delle condotte distrattive contestate, è inammissibile, posto che il giudice di appello (pag. 104 della sentenza impugnata) ha dato atto che, a fronte delle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado - nella quale si era segnalato che gran parte delle forniture acquistate illecitamente dalla società di fatto dichiarata fallita erano state destinate a società del gruppo Zucchetti, di cui P. era "dominus", e che una significativa provvista di denaro era stata versata su un conto corrente intestato alla sua convivente, in quanto egli era già stato dichiarato fallito - non era stato svolto alcun rilievo critico: con la conseguenza che l'atto di appello sul punto era del tutto generico.
6.3. Si deve precisare, in proposito - anche per rispondere alla censura articolata dalla difesa del P. nel secondo motivo di ricorso -, che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014 - dep. 04/09/2015, B e altri, Rv. 264879). L'applicazione del principio evocato è, infatti, del tutto pertinente laddove, come nel caso di specie, la sentenza di appello, al cospetto di motivi che si siano limitati a riproporre questioni già articolatamente esaminate e risolte dal primo giudice, rinvii per "relationem" alla sentenza di Tribunale, poichè, in un'ipotesi del genere, l'onere deduttivo del ricorrente non può ritenersi assolto dolendosi di una tale fisiologica evenienza processuale, che diventa patologica solo allorquando la conforme valutazione dissimuli la totale mancanza di motivazione su questioni specifiche all'epoca eccepite in sede di appello e che vanno chiaramente allegate. Di talchè, in assenza della specifica indicazione da parte del ricorrente delle deduzioni difensive cui la Corte territoriale avrebbe risposto nel modo descritto, avendole ritenute generiche, la sentenza impugnata non presta il fianco a rilevi di sorta.
7. Deducono vizi non consentiti al cospetto del giudice di legittimità o doglianze manifestamente infondate i motivi di ricorso sviluppati dai difensori di BE.Iv. in ordine alle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
7.1. In ordine alla ritenuta distrazione delle merci - provento dei delitti di truffa commessi dal BE. e dai sodali per il tramite della società di fatto operante sotto l'insegna della ditta individuale A. - operata mediante la vendita sottocosto del legname avente un valore di 1.200.000.000 di Lire alla MCB Srl., società riconducibile al BE., per il tramite della Timber Pool Srl., va preliminarmente ribadito - riprendendo quanto in precedenza accennato - che: "In tema di reati fallimentari, la provenienza illecita dei beni non esclude il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, giacchè per beni del fallito ex art. 216 L. Fall., si intendono tutti quelli che fanno parte della sfera di disponibilità del patrimonio, indipendentemente dalla proprietà e dal modo del loro acquisto, e, quindi, vi rientrano anche i beni ottenuti con sistemi illeciti quali la truffa, in quanto l'iter criminoso di quest'ultima si esaurisce con l'acquisizione dei beni al patrimonio dell'imprenditore decotto, mentre la sottrazione bancarottiera degli stessi beni a quest'ultimo è successiva e si ricollega ad una nuova ed autonoma azione, con la conseguenza che i due reati possono concorrere" (Sez. 5, n. 8373 del 27/09/2013 - dep. 21/02/2014, Mancinelli, Rv. 259041; Sez. 5, n. 45332 del 09/10/2009, Rapisarda, Rv. 245156; Sez. 5, n. 44159 del 20/11/2008, Bausone ed altri, Rv. 241692; Sez. 5, n. 42635 del 04/10/2004, Collodo e altri, Rv. 229908; Sez. 5, n. 12068 del 08/10/1991, Geraci, Rv. 188680).
7.2. I rilievi censori che contestano, sotto il profilo della manifesta illogicità o della contraddittorietà evidente, i passaggi della motivazione della sentenza impugnata che affermano la natura distrattiva della predetta operazione di vendita sottocosto di legname - posto che, diversamente da quanto opinato negli atti di impugnativa, solo a tale categoria di merci si riferisce il capo di imputazione A.1. (merci indicate nei capi da lett. B a lett. J.6) - dalla società operante dietro lo schermo della ditta A. - della quale BE. è stato riconosciuto socio illimitatamente responsabile - alla MCB Srl. - pure riconducibile sostanzialmente alla sua persona - sollecitano, invero, il giudice di legittimità a compiere una irrituale rivalutazione delle prove. La Corte territoriale ha, in effetti, spiegato, con argomentazioni ampie e plausibili, le ragioni della ritenuta fittizietà delle transazioni integranti la predetta operazione, facendo proprie le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico della pubblica accusa, il quale, incrociando i documenti contabili (le fatture) e i dati registrati nelle scritture delle tre imprese coinvolte nella vendita del legname con i rilievi tratti dagli accertamenti bancari effettuati sui movimenti dei conti correnti degli enti, era pervenuto al convincimento che, in realtà, il legname provento delle truffe, del valore di oltre un miliardo di Lire, non era mai stato venduto dalla ditta A. (la quale, oltretutto, in corrispettivo avrebbe ricevuto denaro in contanti senza rilasciare alcuna quietanza) alla Timber Pool e da questa rivenduto alla MCB, ma che tale triangolazione era stata posta in essere al solo scopo di non effettuarne il pagamento, rendendo non tracciabili i flussi monetari dalla MCB, effettiva acquirente, alla società di fatto/ditta A., reale venditrice.
Deve, altresì, rilevarsi che le deduzioni che attingono il profilo del possibile pagamento rateale delle forniture di legname si risolvono in un argomento del tutto suggestivo, facendo riferimento alla prassi commerciale che predilige tale modalità di pagamento, ma che è del tutto disancorata dalla realtà descritta nella sentenza impugnata. In ragioni, quindi, del loro carattere meramente congetturale vanno disattese e dichiarate inammissibili per genericità
7.2. Manifestamente infondate sono le censure che contestano la natura distrattiva dell'operazione di vendita in favore della MCB Srl. del complesso immobiliare di (OMISSIS) di proprietà di A.A., quale legale rappresentante della omonima ditta individuale.
E' privo di pregio il rilievo secondo il quale la casa di abitazione facente parte del detto complesso non sarebbe stata conferita dai coniugi A. nel patrimonio della ditta individuale, posto che nell'impresa individuale non esiste una barriera tra il capitale dell'impresa e le risorse economiche personali dell'imprenditore, con la conseguenza che quest'ultimo è illimitatamente responsabile nei confronti dei terzi creditori e risponde con tutto il suo patrimonio personale dei debiti contratti, ai sensi dell'art. 2740 c.c..
Sono, pure, inammissibili le deduzioni secondo le quali per l'acquisto del complesso di (OMISSIS) sarebbe stata versata la sola somma di 48.000.000 di Lire a fronte del valore del bene di oltre 200.000.000 di Lire, essendosi la MCB accollata i debiti ipotecari gravanti sullo stesso, poichè alla più che plausibile ragione che di tale accollo non si sarebbe dato atto nell'atto pubblico di compravendita, la difesa del BE. oppone argomenti puramente assertivi e privi di qualsiasi principio di prova contraria.
Del tutto generiche sono le deduzioni che escludono la possibilità che i beni immobili ubicati in (OMISSIS) potessero costituire oggetto di distrazione, in quanto non avrebbero potuto soddisfare le pretese dei creditori della società occulta perchè destinati a soddisfare, in via privilegiata, i creditori della ditta assistiti da garanzia ipotecaria. Le argomentazioni così sviluppate avrebbero centrato il bersaglio ove si fosse dimostrato che le garanzie ipotecarie iscritte a favore di istituti bancari coprissero l'intero valore dei beni: poichè, però, a tanto non si è provveduto da parte di chi vi avrebbe avuto interesse, le stesse devono essere dichiarate irricevibili.
7.3. Inammissibili sono i rilievi che denunciano l'omessa motivazione in ordine alle censure riguardanti la consistenza e il tipo dei beni strumentali indispensabili per la lavorazione del legno ceduti, in assenza di corrispettivo, insieme al capannone ubicato in (OMISSIS), alla MCB, che, a sua volta, li aveva trasferiti alla Mondialfruit, posto che la Corte territoriale ha dato atto, con motivazione insindacabile in questa sede, che si trattava degli stessi macchinari rinvenuti nella disponibilità della Mondialfruit.
7.4. Manifestamente infondate sono le censure che prospettano la violazione del principio di responsabilità penale in relazione alla condanna pronunciata nei confronti del BE. per le autovetture detenute dalla società fallita in forza di contratti di leasing, mai rinvenute dagli organi fallimentari o rinvenute solo dopo la dichiarazione di fallimento, così come eventuali fondi di cassa, trovando applicazione nel caso che ci occupa il principio di diritto secondo il quale incombe sull'imprenditore dichiarato fallito - è tale è il BE. per le ragioni dianzi indicate l'onere della prova in ordine alla destinazione impressa ai beni aziendali o al loro ricavato, in caso di mancato rinvenimento (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015 - dep. 29/02/2016, Aucello, Rv. 267710).
8. Priva di pregio è la doglianza con la quale si contesta la configurabilità, nel caso scrutinato, della sottrazione o distruzione di scritture contabili, quali condotte integratrici della ipotizzata bancarotta fraudolenta documentale, sul rilievo che le stesse non avrebbero potuto essere realizzate per inesistenza del relativo oggetto materiale, non avendo i soci della compagine di fatto istituito i libri e le scritture contabili proprio per non lasciare traccia dell'agire illecito posto in essere attraverso lo strumento imprenditoriale. Nè può invocarsi, nel caso di specie, il rilievo scriminante o scusante del principio del "nemo se detegere tenetur", che impedisce di autoaccusarsi mediante la documentazione dell'operato illecito.
8.1. Sul punto occorre, in primo luogo, ribadire che non giova distinguere tra mancata consegna, sottrazione, distruzione e omessa tenuta ab initio della documentazione contabile, giacchè, ai fini del reato di bancarotta documentale di cui all'art. 216 L. Fall., una volta accertato in capo all'imprenditore lo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (scopo regolarmente contestato ed accertato in capo al BE.), la omessa istituzione o tenuta ab origine e la distruzione o l'occultamento ovvero la sottrazione della documentazione e delle scritture contabili devono ritenersi equivalenti, sicchè può anche non rilevare che non si sia accertato quale delle ipotesi si sia verificata in concreto, quando sia certa, comunque, la sussistenza di qualcuna esse (nel caso di specie le fatture attive e passive relative alle merci acquistate) (Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904, nella quale si è precisato espressamente che: "L'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consiste nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta"; Sez. 5, n. 47923 del 23/09/2014, De Santis, Rv. 261040; Sez. 5, n. 8369 del 27/09/2013 - dep. 21/02/2014, Azzarello, Rv. 259038).
8.2. Quanto al secondo profilo della doglianza, va riaffermato il principio di diritto secondo il quale: "Il delitto di bancarotta fraudolenta documentale è configurabile anche quando le violazioni o le irregolarità contabili sono state commesse per occultare altri fatti costituenti reato, non potendosi invocare al riguardo l'effetto scriminante del diritto di difesa" (Sez. 5, n. 18962 del 07/03/2012, Fattori e altri, Rv. 252524). Di modo che deve riconoscersi che: "E' configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta documentale nella condotta di un amministratore di società dichiarata fallita che non consegna la documentazione contabile al curatore per evitare che la stessa sia utilizzata in suo pregiudizio in un processo penale già in corso, posto che il principio del "nemo tenetur se detegere" comporta la non assoggettabilità ad atti di costrizione tendenti a provocare un'autoincriminazione, ma non anche la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva" (Sez. 5, n. 9746 del 12/12/2014 - dep. 05/03/2015, P.M. in proc. Fedrizzi, Rv. 262941); in effetti, salvo specifiche previsioni di legge di segno contrario, il principio processuale indicato non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale (Sez. 3, n. 53137 del 22/09/2017, Cecchini, Rv. 271827). Poichè a tali parametri ermeneutici la Corte territoriale si è attenuta, nel respingere la analoga deduzione articolata al suo cospetto, il motivo sul tema va respinto come inammissibile.
9. Manifestamente infondate e, comunque, inammissibili per genericità sono le censure alla sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio prospettate da BE., R. e dagli A..
9.1. Giova rammentare, con riguardo al tema della concessione delle attenuanti generiche, che, secondo l'orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, posto che la ragion d'essere della previsione normativa di cui all'art. 62-bis c.p., è quella di consentire un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza del detto adeguamento esige che, quando se ne affermi l'esistenza, il giudice debba corredare la decisione di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; mentre, quando l'esclude, è sufficiente che, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi plausibili ragioni a sostegno del rigetto della detta richiesta (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826). In ossequio alla "ratio" indicata si è, pertanto, stabilito che non si impone al giudice di merito di valutare ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell'ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (Sez. 4, n. 8052 del 06/04/1990, Spiteri, Rv. 184544).
I rilievi censori, formulati nella materia de qua, dai ricorrenti tutti, dunque, non si confrontano, nel loro complesso, con la consolidata linea interpretativa di questa Corte secondo cui la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva in considerazione di talune emergenze attinenti alla gravità dei fatti o alla personalità del colpevole, da lui ritenute prevalenti o di dominante rilievo alla stregua dei criteri indicati dalla norma di cui all'art. 133 c.p. (Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252; Sez. 2, n. 7842 del 28/05/1992, Pavlovic ed altro, Rv. 191064; Sez. 6, n. 10273 del 20/05/1989, Mancusi, Rv. 181825).
9.2. Quanto alla questione della compatibilità dell'esercizio dello ius defendendi con il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sollevata dalla difesa del BE., con riferimento alla valorizzazione da parte dei giudici di merito della mancata prestazione di collaborazione processuale da parte dell'imputato, vanno richiamati gli arresti di questa Corte di legittimità, che, con una pluralità di accenti, hanno precisato che la condotta processuale dell'imputato che mantenga un atteggiamento "non collaborativo" può giustificare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, posto che, se l'esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili dichiarazioni false rese a propria difesa dall'imputato, ciò non equivale affatto a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo e altri, Rv. 270339). In ogni caso, quand'anche si volesse accogliere l'opzione interpretativa secondo la quale il diniego delle circostanze attenuanti generiche non può fondarsi esclusivamente sulla valutazione negativa della mancanza di collaborazione da parte dell'imputato, che costituisce espressione di scelte difensive non valutabili, in quanto riconducibili all'esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, n. 44630 del 17/10/2013, Faga, Rv. 256963), deve darsi atto che, nel caso al vaglio, la Corte di merito ha dato atto di elementi ulteriori e dotati di perspicua significatività in relazione alla delibazione da compiersi - in particolare del fatto che il BE. era il soggetto che aveva direttamente ricevuto un profitto patrimoniale dagli atti distrattivi contestati -, pervenendo a risultati giuridicamente corretti.
9.3. Quanto poi alla censura di illogicità per disparità di trattamento, cui si fa riferimento nel ricorso di BE., va considerato che la risposta che il giudice garantisce, in punto di individuazione della gravità della condotta e corrispondente determinazione della sanzione, ex art. 133 c.p., è naturalmente tarata sulle connotazioni oggettive e soggettive del singolo comportamento accertato, con la ovvia conseguenza della impossibilità di dedurre in sede di legittimità una "critica da confronto e da valutazione comparativa" rispetto ad altre posizioni individuali, anche se di correi (in tesi, più favorevolmente trattate), salvo il caso in cui il giudizio di merito sul punto - sul diverso trattamento del caso che si prospetta come "identico" - sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880). Evenienza, questa, non verificatasi nella presente vicenda, in cui la Corte di appello ha opportunamente spiegato, come sopra detto, la non ricorrenza delle ragioni di mitigazione della pena.
9.4. Il rilievo censorio formulato dagli imputati R. e A.M. in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza, non tiene conto del principio di diritto affermato da questa Corte, nella sua più autorevole espressione, secondo cui: "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931). Non può dirsi, infatti, affetta da evidente illogicità la motivazione resa sul punto dal giudice di appello, posto che la statuizione impugnata trova adeguata giustificazione nel ruolo operativo svolto da entrambi gli imputati anche nella commissione delle truffe e, quindi, nella attività illecita che ha portato alla accumulazione del profitto poi oggetto di distrazione.
9.5. Non coglie nel segno, infine, il motivo articolato nell'interesse di A.M. e A.A. con il quale si denuncia il vizio di motivazione da omessa considerazione della richiesta di patteggiamento con una misura della pena pari ad anni tre di reclusione per ciascun imputato. Va, in proposito, evidenziato che dal verbale dell'udienza conclusiva del giudizio di primo grado risulta che il difensore degli A. e di R. aveva chiesto che agli imputati fosse applicata, ai sensi dell'art. 444 c.p., una pena pari ad anni 1 e mesi 6 di reclusione e che il Tribunale, in sentenza (pag. 135), ritenendo motivato il dissenso all'accoglimento della richiesta espresso dal pubblico ministero, aveva ritenuto la pena indicata del tutto inadeguata alla gravità dei fatti. Donde, la Corte territoriale, omettendo di dar seguito alla detta richiesta reiterata in appello, si è conformata al principio di diritto secondo il quale: "Il giudice non è tenuto all'esito del dibattimento ad enunciare specificamente le ragioni per le quali ritiene giustificato il dissenso del P.M. sulla richiesta predibattimentale di applicazione della pena, sussistendo un obbligo di specifica motivazione solo quando, al contrario, ritenga tale dissenso ingiustificato applicando la sanzione" (Sez. 5, n. 2782 del 21/10/2014 - dep. 21/01/2015, Noale e altro, Rv. 262680; Sez. 3, n. 12002 del 15/02/2011, Monti Beni, Rv. 249679).
10. Per le ragioni indicate tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati singolarmente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese di procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018