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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce condizione obiettiva di punibilità

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 02/10/2018, n.2899

In tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione, la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, poiché si pone come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente.(In motivazione la Corte ha precisato che la natura di reato di pericolo concreto della bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione non è in contrasto con la qualifica della dichiarazione di fallimento come condizione obiettiva di punibilità).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 28 febbraio 2017, la Corte di appello di Catanzaro ha riformato quoad poenam - con la concessione delle circostanze attenuanti generiche - la sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza nei confronti di S.P., riconosciuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di beni strumentali e di un immobile, di proprietà della s.r.l. (OMISSIS), di cui era legale rappresentante e che era stata dichiarata fallita il (OMISSIS). 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, articolando due motivi di ricorso. 2.1. Il primo motivo è diretto a censurare la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte di appello, a fronte del motivo di gravame concernente la capienza del valore del bene immobile di proprietà e dei crediti verso clienti della società fallita rispetto alle aspettative dei creditori, aveva fornito una giustificazione definita nel ricorso illogica ed illegittima, oltre che contraria ai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità. La bancarotta - continua il ricorrente - è un reato di pericolo concreto, sicchè sono penalmente irrilevanti tutte le ipotesi in cui, pur essendo state distratte risorse anche rilevanti, la società disponga di un patrimonio idoneo a fronteggiare le istanze dei creditori. Il riferimento alla rilevanza della questione solo ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, che si legge in sentenza confonde la questione posta con l'entità della deminutio patrimonii. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta i medesimi vizi, questa volta in ordine alle argomentazioni della Corte di appello riguardo alla dedotta rilevanza a discarico, anche per la bancarotta distrattiva per cui era intervenuta conferma della condanna, delle assoluzioni per gli altri reati. Nel porre la doglianza, il ricorrente ha ampiamente riportato il motivo di appello, dolendosi della risposta della Corte distrettuale circa le - negate - implicazioni scagionanti che avrebbero avuto la tenuta formalmente corretta della documentazione, la sua consegna al curatore, il non aver celato le prove di un aumento di capitale e le vicende successive alla dichiarazione di fallimento, quando il creditore istante Deutsche Bank aveva transatto il debito nei confronti di quest'ultima. 3. Il 14 settembre 2018, il ricorrente ha depositato motivi aggiunti, in cui ha lamentato l'illogicità motivazionale e l'illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso di poter riqualificare la fattispecie ascritta all'imputato nel reato di cui alla L. Fall., art. 217, aveva definito "non gravemente rilevante" il danno cagionato al fine di concedere le circostanze attenuanti generiche in equivalenza con l'aggravante ritenuta ed al tempo stesso aveva reputato che l'attività distrattiva avesse comportato "un notevole impegno sul patrimonio sociale". Il ricorrente lamenta poi, l'omessa risposta alle questioni poste in appello quanto alla condotta fattiva tenuta dal S. per tacitare la banca creditrice e nel consegnare l'intera documentazione e circa la capienza del patrimonio, l'esiguità del debito e le anomale modalità distrattive. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Il primo motivo di ricorso - quello in cui il ricorrente postula la rilevanza pro reo della sproporzione in positivo della massa attiva rispetto a quella passiva - è infondato. 2.1. Esso patisce, in primo luogo, un difetto di allegazione, dal momento che prospetta la rilevanza di una situazione che non documenta (se non con un generico riferimento ad una relazione del curatore) e che non risulta dalla sentenza impugnata, dalla quale neanche può evincersi quale fosse lo stato della procedura fallimentare al momento della pronunzia della Corte distrettuale e se quelli indicati dal ricorrente siano dati definitivi. 2.2. A prescindere da questo limite dell'impugnativa, deve osservarsi che il ragionamento che il ricorrente svolge fonda su basi teoriche estranee all'attuale elaborazione giurisprudenziale, pur predicando l'adesione ad un certo orientamento di questa sezione. Invero, secondo la giurisprudenza più recente, il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare vede la condotta perfezionarsi quando l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, mentre la dichiarazione di fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804; Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, Sebastianutti e altro, Rv. 273189, in motivazione; Sez. 5, n. 53184 del 12/10/2017, Fontana, Rv. 271590; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269389; Sez. 5, n. 4400 del 06/10/2017, dep. 2018, Cragnotti e altri, Rv. 272256; Sez. 5, Sez. 5, n. 992 del 17/05/2016, dep. 2018, Bonofiglio, Rv. 271920), non collegata eziologicamente con la condotta dell'agente ed estranea al coefficiente soggettivo che anima quest'ultimo; l'agente deve solo prefigurarsi la probabile idoneità della sua condotta ad incidere negativamente sulla consistenza della garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori, senza prevedere nè volere il dissesto e men che meno il fallimento (oltre alle sentenze Passarelli e Santoro, cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi ed altri, Rv. 261942; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262741). Qualora, prima della soglia temporale di rilevanza penale costituita dalla dichiarazione di fallimento, la depressione della garanzia patrimoniale sia stata ripianata a mezzo di un'attività integralmente ripristinatoria, la valenza penale della condotta non si concretizza, come può evincersi dalle pronunzie che si sono occupate del tema della cd. bancarotta riparata (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Liparoti, Rv. 271922; Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015, dep. 2016, Budola, Rv. 266025; Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015, Mollica, Rv. 265903; Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347). In termini coerenti con i principi sopra evidenziati, può altresì affermarsi che, al contrario, una volta che tale condizione obiettiva di punibilità si sia correttamente verificata (una volta, quindi, che la sentenza dichiarativa di fallimento sia stata validamente pronunziata), il disvalore della condotta è cristallizzato e le sorti dell'autore del fatto restano insensibili alle vicende successive della procedura fallimentare. Questa esegesi e la ratio che la sostiene trovano riscontro anche in altre pronunzie di questa Corte, che hanno classificato come vicende del tutto neutre, siccome intervenute dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, la chiusura della procedura per esito positivo del concordato (Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, Sebastianutti, Rv. 273189; Sez. 5, n. 7468 del 27/01/2011, Cozzolino e altro, Rv. 249609), per mancanza di passivo (Sez. 5, n. 52622 del 05/10/2016, Sposito e altro, Rv. 268746) ovvero, ancora, la restituzione del bene distratto al curatore (Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014, dep. 2015, Caprara e altri, Rv. 263243). Come osservato anche da Sez. 5, n. 53184, Fontana sopra citata, non smentiscono questo assetto interpretativo i precedenti di questa Corte, taluno dei quali menzionato dal ricorrente, che qualificano la bancarotta fraudolenta prefallimentare come reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437; Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella e altro, Rv. 270763; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562). Per quanto interessa ai fini della decisione del ricorso sub iudice, in particolare, giova rimarcare che le pronunzie suddette focalizzano pur sempre l'attenzione sulla valenza depauperativa dell'attività dell'agente nel momento in cui viene posta in essere la condotta (utilizzando criteri ex ante) e fino alla dichiarazione di fallimento, non affermando che l'evoluzione positiva della procedura concorsuale possa avere un'incidenza in bonam partem rispetto alla posizione del bancarottiere (in particolare, Sez. 5, n. 50081, Zazzini, cit.). Si tratta, infatti, di pronunzie che - postulando la necessità che il pericolo sia concreto e non astratto hanno solo individuato un criterio selettivo nel novero delle condotte poste in essere dall'imprenditore, atto a discriminare le operazioni del tutto lecite, ancorchè foriere di un pericolo minimo per la garanzia patrimoniale, ed eventualmente anche rientranti nel fisiologico rischio di impresa, da quelle dotate di una valenza depauperativa ingiustificata; nelle pronunzie sul tema, tuttavia, il ragionamento sulla concretezza non è stato spinto fino a ritenere che la repressione penale debba recedere, una volta dichiarato il fallimento, di fronte ad evoluzioni positive della procedura fallimentare. D'altra parte - si aggiunge - è la stessa connotazione del reato come di pericolo e non di danno che rende indifferente l'evoluzione della procedura concorsuale dopo che il fallimento sia stato dichiarato. Giova, infine, osservare che proprio nella sentenza Sgaramella citata dal ricorrente si rinvengono delle riflessioni utili ad agevolare l'interprete nella delibazione circa la pericolosità concreta della condotta distrattiva e la consapevolezza dell'imprenditore di tale pericolosità: si tratta di indici dotati di immediata evidenza dimostrativa (al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della "fraudolenza" del fatto, enucleati a titolo esemplificativo, tra cui le "cointeressenze dell'imprenditore o dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi" ovvero la ""distanza" (e, segnatamente," l'"irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale". 2.3. Calando queste riflessioni nel caso di specie, giova osservare che, anche a voler trascurare la mancanza di allegazione della parte circa le vicende della procedura fallimentare, le condotte ascritte all'imputato, per come ricostruite nelle sentenze di merito, sono caratterizzate da plurimi indici di fraudolenza tra quelli indicati, sia pur a titolo esemplificativo, dalla sentenza Sgaramella e da un'indubbia idoneità depressiva della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.. La Corte di appello - e prima di essa, il Tribunale di Cosenza - ha infatti logicamente valorizzato contra reum che la locazione dell'immobile era stata effettuata nel marzo 2007 senza la registrazione del contratto e senza che vi fosse prova del pagamento del canone, così come senza corrispettivo era stata la vendita dei beni strumentali e delle giacenze di magazzino per 245.469,64 Euro oltre I.V.A. L'una e l'altra effettuate in un periodo in cui la società era in difficoltà finanziaria e destinataria di due procedure esecutive immobiliari ed a favore di una società - la Leader in service s.r.l. - di cui era legale rappresentante una ex dipendente e collaboratrice in altre società dell'imputato, che possedeva anche il 50 % delle quote societarie, mentre l'altro 50 % era della sorella del S.. Si legge, altresì, nelle sentenze di merito che la Leader in service svolgeva la stessa attività, era riferibile allo stesso amministratore della fallita ed aveva acquistato, anni prima, parte dell'immobile poi condotto in locazione per la somma di 1.380.000, pagati in contanti e quietanzati nell'atto notarile. Al di là delle caratteristiche decettive dell'attività oggetto di contestazione, va poi considerato che le operazioni descritte nel capo di imputazione hanno avuto un'obiettiva incidenza negativa sulla garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori, facendola obiettivamente diminuire, sottraendo risorse dalla società senza un'effettiva contropartita ovvero distraendo la contropartita stessa (si pensi al contratto di locazione). Tale effetto negativo rispetto alle ragioni del ceto creditorio può essere ricondotto non solo alla sottrazione di beni o denaro alla società, ma altresì - può dirsi implicitamente ritenuto dalla Corte distrettuale - alla compromissione delle possibilità di prosecuzione dell'attività imprenditoriale che la sottrazione ha comportato, avendo privato la fallita dell'immobile dove veniva svolta l'attività dell'impresa, dei beni strumentali e delle giacenze di magazzino; in altri termini le condotte accertate, al di là delle perdita economica che hanno cagionato alla (OMISSIS), hanno compromesso qualsiasi possibilità di prosecuzione dell'attività della società poi fallita, pregiudicando totalmente la prospettiva di un ripianamento della situazione debitoria e ponendosi, quindi, al di fuori di qualsiasi, corretta logica imprenditoriale. E' evidente, pertanto, che la condotta contestata è stata concretamente pericolosa per la garanzia patrimoniale, situazione di pericolo che, secondo quanto si comprende dalle sentenze di merito - senza che vi sia specifica contestazione del ricorrente sul punto - è rimasta ferma almeno fino alla soglia costituita dalla sentenza dichiarativa di fallimento, che ha sancito la definitiva rilevanza penale delle attività censurate. 3. Il secondo motivo di ricorso è, in primo luogo, manifestamente infondato dal momento che contesta un'osservazione priva di fratture logiche della Corte di appello, vale a dire l'irrilevanza, in bonam partem, dell'assoluzione per altri reati rispetto alle condotte distrattive di cui l'imputato è stato riconosciuto responsabile, sulla cui essenza, invece, il ricorso non si sofferma, non contestando il nucleo centrale della sentenza di appello in punto di responsabilità e limitandosi a pretendere, come sopra osservato, di sterilizzare la responsabilità penale sulla scorta delle asserite evoluzioni della procedura fallimentare. Così facendo, il ricorso si presenta anche aspecifico, in quanto aggredisce una specifica proposizione, trascurando di affrontare il ragionamento probatorio centrale della sentenza impugnata ed omettendo di chiarire quali fossero le implicazioni logiche della pronunzia assolutoria rispetto alle condotte distrattive. Il ricorso, inoltre, riproduce testualmente ampi tratti dell'atto di appello il che è ulteriore indice dell'aspecificità delle doglianze. Così facendo, il ricorrente ha adottato un'impostazione non in linea con i principi che regolano il ricorso per cassazione, di recente ribaditi da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. 4. I motivi nuovi in gran parte hanno riproposto la tesi del primo motivo del ricorso principale, di cui già si è detto. Quanto all'invocata riqualificazione del reato in quello di cui alla L. Fall., art. 217, per avere l'imputato commesso condotte semplicemente imprudenti, la doglianza è manifestamente infondata; essa, infatti, trascura il - già esaminato - tratto qualificante del ragionamento posto a base della sentenza impugnata, vale a dire la valutazione di fraudolenza dell'operazione, che colloca la condotta ben al di là dei confini della mera imprudenza, in presenza della quale il legislatore attribuisce una rilevanza penale "attenuata" a condotte che a differenza di quelle di cui si discute - sono pur sempre dirette a perseguire gli interessi dell'impresa. 5. Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2019
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