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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: sulla configurabilità del concorso dell'amministratore privo di delega

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. I, 09/03/2018, n.14783

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell'amministratore privo di delega per omesso impedimento dell'evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell'effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l'accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell'evento illecito e, dall'altro, della volontà – in guisa di dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La (OMISSIS) s.p.a. (di seguito indicata come "(OMISSIS)") venne dichiarata fallita dal Tribunale di Milano con sentenza emessa il 21 febbraio 2008. All'epoca dei fatti di seguito indicati il consiglio di amministrazione della società era, per quanto qui interessa, composto da: L.A., presidente e consigliere delegato; R.F., anche capo dell'ufficio pianificazione e controllo; M.G., anche area manager per il centro Italia; O.A., anche capo dell'ufficio servizi nazionali di controllo. 2. Per quanto qui ancora interessa, con sentenza n. 45672 del 1 ottobre 2015 questa Corte - Sezione quinta penale: a) confermò la sentenza emessa il 5 febbraio 2014 dalla Corte di appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Milano il 6 novembre 2011, ebbe ad accertare che tali persone furono in via concorrente responsabili della commissione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (i fatti indicati nella sentenza di primo grado siccome rientranti nell'ambito di applicabilità della L. Fall., art. 223, comma 2, vennero dal giudice di appello ritenuti assorbiti nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale); b) annullò la menzionata sentenza di appello, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, nella parte in cui ebbe a ritenere sorretti da dolo i comportamenti dei quattro imputati determinativi del dissesto di (OMISSIS) per effetto delle operazioni consistite in un articolato sistema di frode per anni posto in essere in danno di Hewlett Packard s.r.l. (di seguito indicata come "HP"), costituente il maggiore committente dei servizi svolti da (OMISSIS) (L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2)); c) premesso che L. non aveva appellato la sentenza di primo grado nella parte in cui venne ritenuto responsabile della commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di somme di danaro complessivamente pari quanto meno ad Euro 617.000 (nel capo di imputazione indicate come complessivamente pari ad Euro 617.394,24), annullò, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, la sentenza di appello nella parte in cui ebbe a ritenere anche R., M. ed O. concorrenti nella commissione del delitto in questione. 2.1 La sentenza di annullamento, quanto al delitto consistito in operazioni dolose determinative dell'insolvenza della società: rigettò i ricorsi nella parte in cui essi miravano ad escludere che i fatti qualificabili in termini di plurime truffe ai danni di HP integravano le operazioni di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2); ritenne incensurabile l'accertamento giudiziale relativo alla sussistenza nel caso concreto dell'elemento oggettivo di tale delitto, dal momento che l'incremento patrimoniale di breve periodo derivato dai fatti di truffa non escluse gli effetti di depauperamento del patrimonio sociale nel medio periodo e che la sentenza di appello aveva, con argomentazione immune da vizi logici, evidenziato che l'attività illecita posta in essere nei confronti di HP creò scompensi di consistenza tale da provocare il dissesto di (OMISSIS), con il crollo del risultato di esercizio dal 2005 al 2006, l'aggravio pari a due milioni di Euro all'anno nei costi per il personale rivelatosi superfluo, la distruzione dell'avviamento e della reputazione della società, sì da condurla al fallimento; inoltre, la conclusione del giudice di merito relativa alla derivazione causale del dissesto dal meccanismo truffaldino non era inficiata dall'intervenuta transazione fra (OMISSIS) e HP, inidonea a neutralizzare i fattori che determinarono il dissesto della società. La motivazione della sentenza di appello venne invece censurata quanto alla ritenuta prevedibilità da parte degli amministratori di (OMISSIS) del dissesto della società quale effetto della condotta illecita determinante nell'immediato un incremento patrimoniale; come tale refluente sull'elemento soggettivo del reato. In particolare, l'affermazione del giudice di appello, secondo cui l'espulsione di (OMISSIS) dal mercato quale conseguenza della condotta truffaldina era presente agli imputati che confidavano che tale condotta non sarebbe stata scoperta, non risultava correlata a specifiche argomentazioni e a corrispondenti elementi di prova di consistenza tale da poter affermare che costoro avessero previsto l'accertamento delle condotte truffaldine da parte di HP ovvero di terzi e, dunque, previsto il dissesto come effetto di tali operazioni dolose, anche perchè all'accertamento di tali condotte antidoverose non erano preposte amministrazioni pubbliche di controllo. 2.2 Premesso, poi, che la sentenza di appello era da confermare quanto all'accertamento di esistenza dei, contestati, fatti determinanti distrazione dal patrimonio di (OMISSIS) di almeno Euro 617.000, la relativa motivazione era invece realmente inidonea a rappresentare le ragioni alla base della decisione di condanna di R., M. ed O. per concorso nella commissione del delitto di cui alla L. Fall., art. 223, comma 1, art. 216, comma 1, n. 1), in quanto: il rilievo secondo cui tali persone "dovevano conoscere" i conti della società fallita in ragione della loro collocazione nel consiglio di amministrazione della società sembrava evocare (con riguardo alle posizioni di M. e di O.) un concorso ex art. 40 c.p. (rispetto al quale non erano verificati i presupposti della responsabilità per omesso impedimento); i riferimenti alla conoscenza diretta degli ammanchi e alla partecipazione ad un complessivo disegno di spoliazione del patrimonio sociale sembravano invece delineare un concorso fondato sulla conoscenza del fatturato illecito della società e del conseguente spazio per condotte distrattive; tale modo di argomentare instaurava una relazione fra la partecipazione al reato di truffa ai danni di HP e quella ai fatti distrattivi che, in assenza di indicazione dei dati dimostrativi di tale relazione, risultava inidoneo a costituire congrua argomentazione alla statuizione di condanna; sotto altro profilo, non era poi stato chiarito il rapporto fra fatti distrattivi ed i ruoli di tali persone nel consiglio di amministrazione della società e, in più in generale, nel concreto funzionamento della stessa, dal momento che la sentenza di appello attribuiva a tutti gli imputati un ruolo operativo, mentre nella sentenza di primo grado era evidenziato che solo R. ed O. facevano parte (unitamente a L.) del comitato di gestione della società (articolazione interna di cui sfuggivano le caratteristiche in seno all'assetto organizzativo della società); non erano dunque ricostruite in termini univoci la posizione dei ricorrenti e le relative attribuzioni (necessarie per individuare eventuali posizioni di garanzia) e, comunque, la natura e la portata dell'operatività" a ciascuno riconosciuta; non era però, prima ancora, stato ricostruito il rapporto fra fatti distrattivi ed attribuzioni esercitate dal consiglio di amministrazione e dai suoi componenti e, dunque, non era chiaro se i fatti distrattivi fossero riconducibili al concreto esercizio delle attribuzioni del consiglio di amministrazione ovvero si collocassero fuori di queste e, in tale ipotesi, in quali termini si configurava il concorso di tali tre persone. 3. Con sentenza deliberata il 24 febbraio 2016 la Corte di appello di Milano confermò la sentenza di condanna di primo grado, con le integrazioni (di avvenuta estinzione per prescrizione dei plurimi delitti di truffa aggravata commessi ai danni di HP, nonchè di avvenuta determinazione della pena a ciascun imputato inflitta) risultanti dalla sentenza di appello resa dalla stessa Corte il 5 febbraio 2014. 3.1 In risposta al motivo di annullamento relativo alla prevedibilità da parte degli amministratori di (OMISSIS) del dissesto della società quale effetto delle condotte illecite poste in essere ai danni di HP, determinanti nell'immediato un incremento patrimoniale, come tale refluente sull'elemento soggettivo del reato di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), la sentenza, dopo avere integralmente riprodotto la parte della sentenza di primo grado dedicata alla ricostruzione delle plurime condotte truffaldine commesse ai danni di HP e rimarcato come in tale ricostruzione il Tribunale di Milano avesse fatto buon governo delle regole di valutazione della prova, ha affermato che: i quattro imputati furono concordi nell'imporre le pratiche truffaldine al personale dipendente; in particolare M. ed O., per le aree territoriali di cui erano rispettivamente responsabili, ebbero ad imporre tali pratiche ai prestatori d'opera di cui erano superiori gerarchici diretti; dal contenuto della querela presentata dalla testimone Z. il 19 febbraio 2007 risultava "che l'Audit della persona offesa" e gli accertamenti da tale testimone effettuati avevano evidenziato significative anomalie negli interventi eseguiti da ò (OMISSIS) (i clienti da questa indicati non esistevano); il curatore del fallimento di (OMISSIS) aveva evidenziato che, negli anni compresi fra il 2003 ed il 2005, gli introiti derivanti dal cliente HP ebbero un incidenza pari al 40% nel fatturato di (OMISSIS), mentre dopo che nel corso dell'anno 2006 era emersa la frode, il fatturato di (OMISSIS) diminuì di Euro 2.358.860, in linea con la contestuale diminuzione dei ricavi della stessa società; in buona sostanza, essendo le sorti di (OMISSIS) indissolubilmente legate al fatturato nei confronti di HP, il venire meno dei ricavi derivanti dal maggior cliente "aveva" comportato perdite di gestione di consistenza tale da rendere inevitabile il fallimento della società; gli appellanti avevano di ciò piena consapevolezza e sapevano anche, "per la diffusione di quelle pratiche truffaldine, per il fatto che tutto il personale ne era edotto, dovendo prestare collaborazione all'attuazione delle stesse, per l'impossibilità che la persona offesa non ne venisse a conoscenza, che il fallimento non solo era prevedibile ma sarebbe certamente seguito"; per la configurabilità del reato previsto dalla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), l'onere probatorio dell'accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura "dolosa" dell'operazione alla quale segue il dissesto, nonchè dell'astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare; gli imputati sono dunque responsabili della commissione del delitto in questione. 3.2 Quanto al concorso di R., M. ed O. nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di somme di danaro complessivamente pari ad almeno 617.000 (derivanti da: spese mai sostenute per la ristrutturazione dell'immobile destinato a sede sociale di (OMISSIS); rimborsi di spese non effettuate o per importi superiori a quelle effettuate; pagamenti relativi a fatture per prestazioni in tutto ovvero in parte mai effettuate; spese utilizzate per la costruzione di casa di abitazione di L. in (OMISSIS)), la sentenza, dopo avere trascritto la motivazione sul punto contenuta nella sentenza di primo grado, condivide le considerazioni svolte dalla motivazione di tale sentenza ed afferma inoltre che: il comportamento commissivo di R. quanto all'indebito rimborso in suo favore di complessivi Euro 54.180,86 risulta provato dal contenuto della relazione del consulente G., nonchè dalla prova dichiarativa assunta; M. ed O., quali componenti il consiglio di amministrazione di (OMISSIS) con funzioni non operative, sono invece concorrenti con L. nella bancarotta per distrazione per non avere impedito le distrazioni di danaro sociale "in violazione dell'obbligo" di non impedirle di cui all'art. 2381 c.c., comma 5, art. 2392 c.c., commi 1 e 2, art. 2394 c.c., comma 1, (art. 40 c.p., comma 2), riguardando molti degli episodi distrattivi (è il caso delle ingentissime spese per la ristrutturazione della sede sociale) la competenza del consiglio di amministrazione di cui tali persone erano componenti; costoro, d'altra parte, non avevano neppure bisogno di segnali d'allarme da cui desumere i fatti distrattivi, peraltro presenti (mancando addirittura la prova del versamento da parte di L. del danaro di ammontare pari alla propria sottoscrizione di parte del capitale in aumento), dal momento che essi "facevano parte del programma spoliativo del patrimonio della fallita"; non vi è dunque alcuna contraddizione interna sul punto nella sentenza di primo grado. 4. Tutti gli imputati hanno presentato ricorso per la cassazione di tale sentenza. In particolare: il ricorso di L. (atto sottoscritto dal difensore d fiducia, avvocato Marco Boretti) contiene un motivo di impugnazione; il ricorso di R. (atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avvocato Andrea Mifsud) si sostanzia in cinque motivi di censura alla sentenza emessa in sede di rinvio; il ricorso di M. (atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avvocato Federico Bonoli) affida a tre motivi le critiche rivolte alla sentenza; il ricorso di O. (atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avvocato Marcello Lugano) racchiude in sè quattro motivi di impugnazione. Il ricorrente L. ha depositato memoria (sempre sottoscritta dall'avvocato Marco Boretti) contenente due motivi aggiunti. 5. Con diversi accenti ed argomenti la sentenza è criticata dai ricorrenti (motivo unico di ricorso di L.; primo motivo del ricorso di R.; primo motivo del ricorso di M.; prima parte del primo motivo del ricorso di O.) innanzitutto per non essersi conformata alla indicazione della sentenza di legittimità che, nel presupposto della non sicura emersione delle condotte illecite determinanti nel breve periodo arricchimento della società (il caso di specie, esula dalle ipotesi, relative al sistematico inadempimento delle obbligazioni previdenziali ovvero tributarie, in cui l'emersione del dissesto è imprevedibile solo nel quando, non anche nell'an, non essendo l'attività di (OMISSIS) assoggettata a necessario controllo di amministrazioni ovvero enti pubblici), ebbe a sollecitare, in funzione dell'accertamento dell'elemento soggettivo proprio del reato di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), adeguata motivazione, alla luce del contenuto degli elementi di prova acquisiti al processo, in ordine alla prevedibilità dell'accertamento delle condotte truffaldine. 6. R. (con il terzo motivo di ricorso), M. (con il secondo motivo di ricorso) ed O. (con la seconda parte del primo motivo) censurano, poi, sia pure con diversità di accenti ed argomenti, la sentenza per non avere risolto, se non apparentemente, la contraddizione, censurata dalla sentenza dispositiva del rinvio, relativa al loro concorso nel commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. 6.1 In particolare R. sottolinea che: l'unica distrazione a lui direttamente imputata è il rimborso ingiustificato di complessivi Euro 54.180,86, mentre le distrazioni oggetto di contestazione sono quanto meno pari a complessivi Euro 617.000; non sono stati specificati ruolo ed attribuzioni di esso ricorrente in seno al consiglio di amministrazione, da cui desumere posizioni di garanzia rilevanti in funzione dell'applicazione dell'art. 40 c.p., comma 2. 6.2 M. ed O. affermano che la loro responsabilità, da inadempimento all'obbligazione di fonte legale connessa all'incarico di componenti il consiglio di amministrazione, è stata fatta discendere solo dalla conoscenza del meccanismo truffaldino. 6.3 I tre ricorrenti, in buona sostanza, deducono che la sentenza emessa a definizione del giudizio di rinvio conterrebbe lo stesso vizio caratterizzante la sentenza di appello del 5 febbraio 2014 poi annullata da questa Corte. 7. Il 3 marzo 2018 è pervenuta memoria con cui la curatela del fallimento di (OMISSIS) ha espressamente dichiarato di revocare la propria costituzione di parte civile nei soli confronti degli imputati L. e R. sul rilievo che con gli stessi sono state stipulate transazioni relative tanto all'azione risarcitoria dalla stessa curatela esercitata nei Confronti di ciascuna di tali persone, quanto alla regolamentazione delle spese processuali derivate, per ciascun imputato, dall'esercizio della stessa azione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le censure da tutti i ricorrenti dedotte quanto alla motivazione della sentenza impugnata relativa alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta impropria sono sostanzialmente fondate. Come detto, Cass. Sez. 5 n. 45672 del 1 ottobre 2015: ritenne incensurabile l'accertamento giudiziale relativo alla sussistenza nel caso concreto dell'elemento oggettivo del delitto di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), dal momento che l'incremento patrimoniale di breve periodo derivato dai fatti di truffa ai danni di HP non escluse gli effetti di depauperamento del patrimonio sociale nel medio periodo e che la sentenza di appello aveva, con argomentazione immune da vizi logici, evidenziato che l'attività illecita posta in essere nei confronti di HP creò scompensi di consistenza tale da provocare il dissesto di (OMISSIS), con il crollo del risultato di esercizio dal 2005 al 2006, l'aggravio pari a due milioni di Euro all'anno nei costi per il personale rivelatosi superfluo, la distruzione dell'avviamento e della reputazione della società, sì da condurla al fallimento; con la precisazione che tale conclusione non era smentita dai fatti di gestione della società riferibili agli amministratori che sostituirono gli imputati, con la prosecuzione dei rapporti fra (OMISSIS) e HP, e dalla transazione intervenuta, prima del fallimento, fra tali società, inidonea a neutralizzare i fattori che determinarono il dissesto della società Il motivo dell'annullamento della sentenza di appello riguardò l'elemento psicologico del reato, delineando la L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 5, n. 38728 del 3 aprile 2014, Rampino, Rv. 262207; Cass. Sez. 5, n. 17690 del 18 febbraio 2010, Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a., Rv. 247315), un'eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, con la conseguenza che l'onere probatorio dell'accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell'amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società, nonchè dell'astratta prevedibilità dell'evento di dissesto quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare. In particolare, quando le operazioni dolose non determinano nel breve periodo depauperamento del patrimonio sociale (come nei casi di sistematico inadempimento di obbligazioni tributarie e previdenziali) ovvero, come nel peculiare caso di specie, determinano un incremento, derivato da illecito, dello stesso patrimonio nel breve periodo, rilevante, in funzione della sussistenza dell'elemento psicologico del reato, è il momento della prevedibilità del dissesto nel medio periodo in ragione della crescita esponenziale del debito conseguente alla scoperta degli illeciti, come effetto della condotta antidoverosa nel prevedibile caso di accertamento dei reati commessi, determinante attivazione di iniziative risarcitorie ovvero (in senso lato) sanzionatorie destinate a sfociare nel depauperamento e, quindi, del dissesto della società. Al giudice di rinvio venne quindi richiesto di verificare, sulla base degli elementi di prova acquisiti al processo, la "riconoscibilità in capo ai ricorrenti della prevedibilità dell'accertamento delle condotte truffaldine e, dunque, della prevedibilità del dissesto come effetto di tali operazioni dolose" (così, il punto 3.4.2. della motivazione). Premessa l'irrilevanza, in funzione della specifica motivazione sollecitata al giudice di rinvio, della sottolineatura, da parte della sentenza impugnata, di quanto dal curatore affermato in ordine all'incidenza dei fatti illeciti nel dissesto di (OMISSIS) (sull'elemento oggettivo del delitto in questione si è, come detto, formato giudicato), la motivazione della sentenza impugnata sul punto, per come sopra sintetizzata, è caratterizzata dal medesimo argomentare censurato dalla sentenza di annullamento, in quanto, nell'ambito di rapporti contrattuali fra (OMISSIS) e HP in corso da anni e di pratiche truffaldine relative a tali rapporti del pari in corso da molto tempo (sul punto, la sentenza impugnata non indica, neppure approssimativamente, quando tali pratiche siano iniziate e quando le stesse siano progressivamente aumentate sino a raggiungere quel grado di accertata pervasività dell'agire in danno di HP, trascura di precisare, in funzione della riconoscibilità soggettiva da parte dei ricorrenti della prevedibilità dell'accertamento di tali condotte illecite da parte di HP, con conseguente prevedibilità del dissesto come effetto di iniziative risarcitorie ovvero sanzionatorie (in senso lato, come nel caso di volontaria diminuzione da parte di HP dei rapporti negoziali con (OMISSIS)), il periodo in cui gli odierni ricorrenti avrebbero acquisito sicura consapevolezza della scoperta dell'illecito da parte di HP; non essendo sufficiente, al riguardo l'affermazione secondo cui gli odierni ricorrenti "sapevano altresì, per la diffusione di quelle pratiche truffaldine, per il fatto che tutto il personale ne era edotto, dovendo prestare collaborazione all'attuazione delle stesse, per l'impossibilità che la persona offesa non ne venisse a conoscenza, che il fallimento non solo era prevedibile ma sarebbe certamente seguito". La motivazione della sentenza relativa al capo di accusa per il delitto di bancarotta impropria (L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2)) si pone dunque in contrasto col precetto di cui all'art. 627 c.p.p., comma 3; con conseguente annullamento della sentenza e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che dovrà in concreto uniformarsi al seguente principio di diritto: "Nel caso di fallimento di società di capitali derivato anche da operazioni dolose, protrattesi nel tempo, in danno di soggetto diverso da una pubblica amministrazione ovvero di un ente pubblico, determinanti nel breve periodo un arricchimento del patrimonio sociale, il delitto di bancarotta fraudolenta impropria è configurabile, sotto il profilo soggettivo, quando il dissesto della società come effetto di tali condotte illecite divenga astrattamente prevedibile da parte degli amministratori per effetto della loro concreta previsione dell'accertamento delle pregresse attività illecite da parte del soggetto immediatamente danneggiato da tali attività". 2. Del pari fondate sono le censure mosse dai ricorrenti M. ed O. alla parte di sentenza recante accertamento del loro concorso con L. nella commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di complessivi Euro 617.394,24. Le critiche dedotte dal ricorrente R. alla stessa parte di sentenza sono invece solo in parte fondate. Dal contenuto della sentenza di primo grado risulta con alquanta chiarezza che R., M. ed O. erano all'epoca dei fatti dirigenti di azienda di (OMISSIS) e componenti il consiglio di amministrazione di tale società. E', come detto, divenuto definitivo l'accertamento della responsabilità di L. (all'epoca dei fatti presidente del consiglio di amministrazione di (OMISSIS) con deleghe di gestione) quanto al delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di complessivi Euro 617.394,24 (pari al danaro sociale utilizzato, secondo il capo di imputazione, per: spese mai sostenute per la ristrutturazione dell'immobile destinato a sede sociale di (OMISSIS); rimborsi di spese non effettuate o per importi superiori a quelle effettuate; pagamenti relativi a fatture per prestazioni in tutto ovvero in parte mai eseguite; spese utilizzate per la costruzione di casa di abitazione di L. in (OMISSIS)). Quanto al concorso in tale delitto di R., M. ed O., la sentenza di annullamento (punto 5.2 della motivazione) impose, in buona sostanza, al giudice di rinvio: di chiarire il rapporto fra fatti determinanti distrazione di tale complessiva somma di danaro ed i ruoli di tali persone nel consiglio di amministrazione della società e, in più in generale, nel concreto funzionamento della stessa; di ricostruire in termini univoci la posizione delle stesse persone e le relative attribuzioni (necessarie per individuare eventuali posizioni di garanzia) e, comunque, la natura e la portata dell'operatività" a ciascuno riconosciuta; di ricostruire il rapporto fra fatti distrattivi ed attribuzioni esercitate dal consiglio di amministrazione e dai suoi componenti, non essendo chiaro se i fatti distrattivi fossero riconducibili al concreto esercizio delle attribuzioni del consiglio di amministrazione ovvero si collocassero fuori di queste e, ricorrendo tale ultima ipotesi, in quali termini si configurasse il concorso di tali tre persone nel reato commesso da L.. 2.1. La sentenza in questa sede impugnata risolve solo in parte, quanto alla affermata responsabilità di R., la contraddizione riscontrata nella motivazione della sentenza annullata, limitandosi a specificare che, alla luce del contenuto degli elementi di prova specificamente menzionati, a costui (OMISSIS) pagò indebitamente complessivi Euro 54.180,86, pari a spese da lui mai sostenute, sulla base di richieste di rimborso manifestamente incongrue; con la conseguenza che R. concorse con L. nella commissione di tali illecite distrazioni. Il ricorrente R. non contesta specificamente la correttezza del predetto accertamento; che, pertanto, merita conferma. Non un rigo della motivazione è però utilizzato per spiegare per quale motivo tale imputato concorra anche nella commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazioni di danaro sociale pari a complessivi Euro 563.214,38 (pari alla differenza fra distrazioni complessive accertate e distrazione illecita riferibile anche a R.). In particolare, la sentenza, omettendo, ancora una volta, la ricostruzione in fatto delle relazioni fra fatti distrattivi e concreto funzionamento del consiglio di amministrazione della società alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie contenute nello statuto sociale, non spiega se la responsabilità di tale persona per tali ulteriori distrazioni sia conseguenza dell'attività da lei svolta, quale amministratore privo di deleghe, nel consiglio di amministrazione di (OMISSIS) secondo i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità (che la sentenza impugnata mostra di ben conoscere) in tema di responsabilità, ex art. 40 c.p., comma 2, per delitti di bancarotta prefallimentare imputabili ai componenti di consigli di amministrazione di società di capitali privi di deleghe gestorie. 2.2 La sentenza medesima conferma, infine, la decisione di primo grado nella parte in cui ritenne M. ed O., componenti del consiglio di amministrazione di (OMISSIS) senza deleghe nella gestione della società, concorrenti con L. nella commissione del delitto in questione, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, risolvendo la contraddizione interna alla sentenza di appello annullata. La decisione omette però di ricostruire in concreto le relazioni intercorse fra fatti distrattivi e concreto funzionamento del consiglio di amministrazione della società alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie rispettivamente recate dallo statuto sociale e, eventualmente, da successive deliberazioni di organizzazione della gestione sociale adottate dall'assemblea ovvero dal consiglio di amministrazione (secondo le norme, rispettivamente recate dall'art. 2328, u.c., dall'art. 2364 c.c., comma 1, n. 5), e dall'art. 2381 c.c., commi 2 e 3); in tal guisa non adempiendo alla specifica indicazione sul punto contenuta nella sentenza di annullamento. In particolare, dopo avere affermato, mediante riproduzione integrale di parte della sentenza di primo grado sul punto, la propria volontà di prestare ossequio ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità, ex art. 40 c.p., comma 2, di amministratori senza deleghe di gestione, la sentenza si limita ad affermare che: "molti degli episodi distrattivi riguardavano certamente la competenza del Consiglio di Amministrazione, del quale facevano parte... O. e M.: è il caso delle ingentissime spese per la ristrutturazione della sede sociale"; omettendo ogni motivazione relativa agli elementi di fatto da cui trarre tale asserzione e, soprattutto, non indicando se e quando il consiglio di amministrazione di (OMISSIS) ovvero O. e M. siano stati informati dei fatti costituenti distrazioni diverse dall'unico investimento, come sopra menzionato. Aggiunge la sentenza che M. ed O. "non avevano bisogno dei segnali di allarme, pure certamente presenti nel caso di specie (mancava perfino la prova dell'effettivo esborso del L. con riferimento a parte del capitale sottoscritto) perchè costoro facevano parte del programma spoliativo del patrimonio della fallita, adeguatamente dimostrato nelle pagine che precedono, laddove la tematica dei segnali di allarme è stata elaborata con riferimento ai consiglieri senza delega non concorrenti con l'amministratore delegato, come invece è stato dimostrato nella fattispecie che ne occupa". La parte di motivazione da ultimo riportata, ad un tempo: contraddice con ogni evidenza quanto il giudice di rinvio intendeva dimostrare mediante l'apparente ossequio ai sopra citati principi di diritto (id est, la responsabilità di tali imputati ex art. 40 c.p., comma 2); indica quale segnale di allarme dell'esistenza di distrazioni un fatto (l'inadempimento del socio L. all'obbligazione verso (OMISSIS) di versamento di danaro pari alla parte di capitale da lui sottoscritta in conseguenza di deliberazione assembleare recante operazione straordinaria sul capitale) in assoluto non rivelatore di alcuna distrazione; reitera ancora una volta il vizio di motivazione caratterizzante la sentenza di appello censurato al punto 5.2 della sentenza di annullamento, laddove i riferimenti alla partecipazione ad un complessivo disegno di spoliazione del patrimonio sociale "sembrano delineare un concorso fondato sul dato della conoscenza del fatturato illecito della società e del conseguente spazio per condotte distrattive", in tal guisa instaurando una relazione fra la partecipazione dei ricorrenti ai fatti di truffa e quella ai fatti distrattivi, come tale inidonea a sostenere un'affermazione di responsabilità in assenza di elementi di prova dimostranti che i fatti di distrazione fossero legati ai fatti di truffa da un nesso di interdipendenza quanto a danaro distratto ed autori delle distrazioni. In definitiva, riguardo alla affermazione della responsabilità concorrente dei ricorrenti R., M. ed O. anche nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazioni di complessivi Euro 617.394,24, la sentenza impugnata: a) ha con congrua motivazione accertato che R. concorse con L. nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di complessivi Euro 54.180,86; b) ha omesso, per tale imputato di uniformarsi a quanto indicato nel punto 5.2 della motivazione della sentenza di annullamento di questa Corte, nella parte riferibile alla ricostruzione in fatto delle relazioni fra fatti distrattivi anche di ulteriori Euro 563.214,38 e concreto funzionamento del consiglio di amministrazione della società, sì da delineare un'attendibile affermazione della responsabilità di tale persona ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2; con conseguenti vizio di mancanza di motivazione sul punto, nonchè violazione, sotto questo profilo, del precetto contenuto nell'art. 627 c.p.p., comma 3; c) nell'affermare che la responsabilità di M. ed O. nel concorso in distrazioni per complessivi Euro 617.394,24 si colloca nell'ambito di applicabilità dell'art. 40 c.p., comma 2, ha, da un lato, omesso la ricostruzione in fatto delle relazioni fra fatti distrattivi e concreto funzionamento del consiglio di amministrazione della società, alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie rispettivamente recate dallo statuto sociale e, eventualmente, da successive deliberazioni di organizzazione della gestione sociale adottate dall'assemblea ovvero dal consiglio di amministrazione di (OMISSIS) (con conseguente violazione, sotto questo profilo, della norma recata dall'art. 627 c.p.p., comma 3), e, dall'altro, ha omesso di fare applicazione al caso concreto dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità per reati fallimentari di amministratori privi di deleghe gestorie (con conseguente mancanza sostanziale di motivazione sul punto); d) inoltre, in violazione, ancora una volta, della citata disposizione del codice di rito relativa alla motivazione della sentenza resa nel giudizio di rinvio, ha, in contraddizione con l'affermazione sub c), affermato che la responsabilità delle stesse persone nelle distrazioni deriva, in buona sostanza, da una relazione fra la loro partecipazione ai fatti di truffa e quella ai fatti distrattivi, come tale inidonea a sostenere un'affermazione di responsabilità, sul punto, in assenza di elementi di prova dimostranti che i fatti di distrazione fossero legati ai fatti di truffa da un nesso di interdipendenza quanto a danaro distratto ed autori delle distrazioni. La sentenza impugnata è dunque: da confermare quanto all'accertamento del concorso di R. nella bancarotta per distrazione di Euro 54.180,86; da annullare con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano solo per le ragioni indicate sub b), c) e d). Nel riesaminare la questione della responsabilità dei ricorrenti M. ed O., il giudice di rinvio dovrà innanzitutto risolvere la contraddizione sopra riscontrata. 2.3 In funzione dell'accertamento della responsabilità dei tre ricorrenti quanto al concorso nel delitto in questione (il solo R., limitatamente alla distrazione di complessivi Euro 563.214,38) ai sensi dell'art. 40 c.p.p., comma 2, (salvo che in sede rinvio non si accerti per M. ed O. la sussistenza della sopra indicata relazione fra fatti di truffa e fatti distrattivi), non può in questa sede che darsi continuità ai principi di interpretazione contenuti nelle sentenze di legittimità specificamente citate nella sentenza impugnata (sentenze della Corte: Sez. 5, n. 23838 del 4 maggio 2007, Amato, Rv. 237251; Sez. 5, n. 9736 del 10 febbraio 2009, Caciop po, Rv. 243023; Sez. 5, n. 36595 del 16 aprile 2009, Bossio, Rv. 245138; Sez. 5, n. 21581 del 28 aprile 2009, Mare, Rv. 243889; Sez. 5, n. 42519 dell'8 giugno 2012, Bonvino, RV. 253765), riaffermati anche da Sez. 5, n. 32352 del 7 marzo 2014, Tanzi, Rv. 261938, secondo cui, ai fini della configurabilità del concorso dell'amministratore privo di deleghe in bancarotta patrimoniale per omesso impedimento dell'evento, è necessaria la prova della sua concreta conoscenza del fatto pregiudizievole per la società o, quanto meno, di "segnali di allarme" inequivocabili di esistenza del fatto, dai quali è desumibile l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento illecito, nonchè della volontaria omissione di attivarsi per scongiurarlo. Tale interpretazione deriva dagli obblighi di agire informati nella gestione di società per azioni (quale quella di cui si discute) che l'ultimo comma dell'art. 2381 cod. civ. impone in via generale a tutti gli amministratori, prevedendo, altresì, il diritto di ciascuno di essi di richiedere agli organi delegati che, in consiglio, siano fornite informazioni relative alla gestione della società. Dall'inadempimento di tale obbligo generale dell'agire informati (di cui è espressione particolare la disciplina relativa ai conflitti di interesse degli amministratori di cui all'art. 2391 c.c.), l'art. 2392 c.c., commi 1 e 2, fa derivare la responsabilità (avente natura contrattuale) per danno al patrimonio sociale, quanto meno per colpa, degli amministratori privi di deleghe gestorie per le condotte dannose poste in essere dagli altri amministratori (investiti di deleghe gestorie) solo quando i primi non abbiano impedito fatti pregiudizievoli di questi ultimi in virtù della conoscenza (o della possibilità di conoscenza, per il loro dovere di agire informati) di elementi di tale significatività da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze, secondo, in buona sostanza, la diligenza dal professionista esigibile ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, (in questo senso, cfr., di recente, Cass. civ. 31 agosto 2016, n. 17441). Nella consapevolezza di tale assetto normativo, mutato per effetto della riforma del diritto sostanziale delle società di capitali e cooperative recata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, applicabile ai fatti successivi al 1 gennaio 2004, la giurisprudenza di legittimità ha, come detto, delineato la possibile responsabilità penale (di natura dolosa) per fatti di bancarotta patrimoniale degli amministratori di società per azioni, privi di deleghe gestorie, nell'ambito di applicazione dell'art. 40 c.p., comma 2, nel senso che la responsabilità per omesso impedimento dell'evento illecito si qualifica anche per il solo dolo eventuale, a condizione che sussistano, e siano stati in concreto percepiti da tali soggetti, segnali "perspicui e peculiari" dell'evento illecito caratterizzati da un elevato grado di anormalità. Ovviamente, la responsabilità in questione per fatti distrattivi non può essere affermata (come invece fa la sentenza impugnata) solo perchè gli stessi amministratori abbiano in tesi concorso nella commissione di altri fatti illeciti (nella specie costituiti dalle operazioni dolose di cui al precedente punto 1.). Il giudice di rinvio dovrà dunque uniformarsi in concreto al principio secondo cui, ai fini della affermazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, degli amministratori senza deleghe gestorie, a titolo di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione commesso da presidente del consiglio di amministrazione delegato, è necessaria, previa specifica ricostruzione delle relazioni fra fatti distrattivi e concreto funzionamento del consiglio di amministrazione della società, alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie rispettivamente recate dallo statuto sociale e, eventualmente, da successive deliberazioni di organizzazione della gestione sociale adottate dall'assemblea ovvero dal consiglio di amministrazione, la prova: che gli stessi amministratori siano stati informati delle distrazioni ovvero che delle stesse abbiano comunque avuto conoscenza; oppure che vi sia stata la presenza di segnali peculiari di distrazione aventi carattere di anormalità di questi sintomi per tali amministratori, dai quali è dato desumere la consapevole accettazione del rischio dell'evento illecito, in base allo statuto e secondo i principi affermati in relazione al dolo eventuale da Cass. S.U., n. 38343 del 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261106. Solo la prova della conoscenza del fatto illecito, ovvero della concreta conoscibilità dello stesso anche mediante l'attivazione del potere informativo di cui all'art. 2381, ultimo comma, cod. civ. in presenza di segnali specifici di distrazione, comporta l'obbligo giuridico degli amministratori privi di deleghe gestorie di intervenire per impedire il verificarsi dell'evento: la volontaria, da dolo indiretto, mancata attivazione di tali soggetti in presenza di tali circostanze determina l'affermazione della penale responsabilità avendo la loro omissione contribuito a cagionare l'evento dannoso. 3. Alla luce del contenuto della memoria depositata dalla curatela del fallimento di (OMISSIS) e della discussione svolta dal relativo difensore con procura risulta che, dopo l'emissione della sentenza impugnata, tale parte stipulò con L. e R. transazioni relative ai diritti di credito da risarcimento del danno dalla commissione di fatti costituenti reato nei confronti di tali persone, fatti valere mediante la costituzione di parte civile. Tale evento determina fra tali parti private la cessazione della materia del contendere rispetto a tali diritti, avendo trovato composizione fuori dal processo gli interessi patrimoniali coinvolti dalle azioni civili. La cessazione della materia del contendere non è espressamente prevista quale forma di definizione del processo dal vigente codice di procedura civile: essa è stata affermata, in via pretoria, dalla giurisprudenza civile della Corte (a partire da Cass. civ. 19 gennaio 1954, n. 92) ed è adoperata, sino a divenire "diritto vivente" (secondo la definizione coniata dalla Corte costituzionale per definire l'interpretazione consolidata di norme giuridiche da parte della giurisprudenza, soprattutto di legittimità), come formula terminativa di processi ai quali non si attagliano pienamente le figure della rinuncia agli atti o all'azione. Tale formula terminativa del processo civile è stata utilizzata (ancorchè impropriamente) dal legislatore per la pronuncia su istanza ex art. 2409 c.c., relativa a procedimento pendente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003 nel caso in cui le modifiche di disciplina legale introdotte con il citato decreto abbiano comportato la sanatoria delle irregolarità denunciate (art. 223 novies disp. trans. c.c., comma 2, introdotto dal citato Decreto n. 6 del 2003, art. 9, comma 2, lett. b)); L'espressione in discorso, in particolare e per quanto qui interessa, è stata utilizzata nel caso in cui le parti abbiano stipulato, dopo l'inizio del processo, transazione relativa ai diritti fatti valere nel processo medesimo (cfr. Cass. civ. 6 giugno 1998, n. 5594; Cass. civ. 18 maggio 1998, n. 4963; Cass. civ. 27 febbraio 1998, n. 2197). Il concetto in questione è, ovviamente, utilizzabile anche quando l'azione civile sia stata esercitata nel processo penale, non mutando la relativa disciplina sostanziale per l'applicazione alla stessa delle regole proprie del processo penale. La sopravvenuta cessazione della materia del contendere fra la curatela del fallimento di (OMISSIS) da un lato e L. e R. dall'altro, quanto alle pretese a contenuto risarcitorio nei confronti di costoro fatte valere dalla prima nel presente processo penale, determina l'inefficacia dei capi relativi alle statuizioni civili (comprese quelle relative alle spese di partecipazione al processo della curatela) nei confronti di tali imputati, contenuti nella sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 6 novembre 2011. Tale affermazione non vale, ovviamente, nei rapporti patrimoniali fra curatela del fallimento di (OMISSIS) e gli imputati M. ed O.. 4. L'accoglimento (parziale, per quanto riguarda R.) dei motivi di ricorso determina l'assorbimento: a) delle questioni relative al trattamento sanzionatorio, tutte suscettibili di rivalutazione a definizione dell'ulteriore giudizio di rinvio relativo all'affermazione di responsabilità: al) dei quattro imputati quanto al concorso nella commissione nel delitto di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2); a2) degli imputati M., O. e R. (quest'ultimo per la parte eccedente la distrazione di complessivi Euro 54.180,86) quanto al concorso di costoro con L. nella commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione della complessiva somma di Euro 617.394,24 (L. Fall., art. 223, comma 1, art. 216, comma 1, n. 1)); b) della conseguente questione, sollevata dal solo L. nel secondo motivo aggiunto per il caso di condanna anche per il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose, relativa all'applicabilità dell'indulto concesso con legge n. 241 del 2006 (e, sul punto specifico, non è in questa sede inopportuno segnalare incidentalmente il principio di diritto affermato da Cass. Sez. 5, n. 13910 del 8 febbraio 2017, Santoro, Rv. 269389, relativo alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come condizione obiettiva di punibilità dei reati di bancarotta prefallimentare; con conseguente refluenza di tale qualificazione anche ai fini, per quanto qui interessa, dei termini di efficacia dell'indulto); c) delle questioni relative alle statuizioni civili (comprese quelle relative alla individuazione delle dedotte transazioni fra (OMISSIS) e HP, alle conseguenze delle transazioni fra curatela del fallimento di (OMISSIS) e L. e R., e quelle relative alle spese processuali) nei confronti dei soli imputati M. ed O.. 5. Per effetto delle statuizioni contenute nella sentenza di questa Corte n. 45672 del 1 ottobre 2015 e di quella, riguardante il solo imputato R., contenuta nella presente sentenza, sono passati in cosa giudicata i seguenti accertamenti: a) L., R., M. ed O. sono responsabili di concorso nella commissione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (con la precisazione sul punto contenuta nella sentenza in questa sede impugnata); b) i fatti qualificabili in termini di plurime truffe ai danni di HP costituiscono operazioni di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), e sussiste, nel caso concreto, l'elemento oggettivo di tale delitto (in particolare, la derivazione causale del dissesto dal meccanismo truffaldino non è inficiata dall'intervenuta transazione fra (OMISSIS) e HP, inidonea a neutralizzare i fattori che determinarono il dissesto di (OMISSIS)); c) L. è responsabile della commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione dal patrimonio di (OMISSIS) della complessiva somma di Euro 617.394,24; d) R. è responsabile della commissione, in concorso con L., del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione della complessiva somma di Euro 54.180,86. E' infine cessata la materia del contendere fra il curatore del fallimento di (OMISSIS), L. e R., quanto ai crediti dal primo fatti valere con le azioni risarcitorie promosse contro tali imputati in questo processo. 6. In conclusione, per quanto evidenziato nei precedenti punti 1. e 2., la sentenza impugnata è da annullare con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che dovrà accertare: a) la sussistenza nei quattro ricorrenti dell'elemento psicologico del delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose in termini di astratta prevedibilità del dissesto di (OMISSIS) quale conseguenza della prosecuzione delle, accertate, attività truffaldine di (OMISSIS) ai danni di HP, nonostante la concreta previsione dell'accertamento da parte della stessa HP delle plurime truffe ai suoi danni in precedenza commesse da (OMISSIS); b) se il concorso di M. ed O. nella commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione dal patrimonio di (OMISSIS) di complessivi Euro 617.394,24 sia da affermare per inadempimento di costoro all'obbligo (di fonte legale e contrattuale) derivante dalla appartenenza al consiglio di amministrazione di (OMISSIS) senza essere destinatari di deleghe gestorie, di impedire le distrazioni (art. 40 c.p., comma 2); c) se anche il concorso di R. nella commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione dal patrimonio di (OMISSIS) di complessivi Euro 563.213,38 (pari alla differenza fra Euro 617.394,24, complessivamente distratti da L., ed Euro 54.180,86, complessivamente distratti da R., in concorso con L., per effetto della percezione di indebiti rimborsi) sia da affermare per inadempimento di costui all'obbligo indicato nel precedente punto b). Nell'accertamento sub a), il giudice di rinvio dovrà in concreto uniformarsi al seguente principio di diritto: "Nel caso di fallimento di società di capitali derivato anche da operazioni dolose, protrattesi nel tempo, in danno di soggetto diverso da una pubblica amministrazione o da un ente pubblico, determinanti nel breve periodo un arricchimento del patrimonio sociale, il delitto di bancarotta fraudolenta impropria è configurabile, sotto il profilo soggettivo, quando il dissesto della società come effetto di tali condotte illecite divenga astrattamente prevedibile da parte degli amministratori per effetto della loro concreta previsione dell'accertamento delle pregresse attività illecite da parte del soggetto immediatamente danneggiato da tali attività". Nell'accertamento sub b) il giudice di rinvio, ove non riscontri che la partecipazione di M. ed O. alle distrazioni derivò da stretta interdipendenza, quanto a risorse di danaro distratte ed autori delle distrazioni, fra partecipazione alle operazioni costituenti truffa e concorso nei fatti di distrazione secondo quanto riscontrato nel precedente punto 2.2, dovrà in concreto uniformarsi al seguente principio di diritto: "Ai fini della affermazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, degli amministratori senza deleghe gestorie a titolo di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione commesso dal presidente del consiglio di amministrazione delegato è necessaria, previa specifica ricostruzione delle relazioni fra fatti distrattivi e concreto funzionamento del consiglio di amministrazione della società, alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie rispettivamente recate dallo statuto sociale e, eventualmente, da successive deliberazioni di organizzazione della gestione sociale adottate dall'assemblea ovvero dal consiglio di amministrazione, la prova: che gli stessi amministratori siano stati informati delle distrazioni ovvero che delle stesse abbiano comunque avuto conoscenza; oppure che vi sia stata la presenza di segnali peculiari di distrazione aventi carattere di anormalità di questi sintomi per tali amministratori, dai quali è dato desumere la consapevole accettazione del rischio dell'evento illecito, in base allo statuto e secondo i, principi affermati in relazione al dolo eventuale da Cass. S.U., n. 38343 del 24 aprile 2014, Espenhahn. Solo la prova della conoscenza del fatto illecito, ovvero della concreta conoscibilità dello stesso anche mediante l'attivazione del potere informativo di cui all'art. 2381 c.c., u.c., in presenza di segnali specifici di distrazione, comporta l'obbligo giuridico degli amministratori privi di deleghe gestorie di intervenire per impedire il verificarsi dell'evento illecito: la volontaria, da dolo indiretto, mancata attivazione di tali soggetti in presenza di tali circostanze determina l'affermazione della penale responsabilità avendo la loro omissione contribuito a cagionare l'evento dannoso". Nell'accertamento sub c), riguardante la persona di R., il giudice del rinvio dovrà uniformarsi al principio come sopra enunciato sub b). La liquidazione delle spese processuali anticipate dalla curatela del fallimento di (OMISSIS) nel presente grado di giudizio nei confronti di M. ed O. è rimessa al giudice di rinvio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei riguardi di tutti i ricorrenti relativamente al delitto di bancarotta da operazioni dolose. Annulla la sentenza impugnata nei riguardi di M.G. e O.A. e, limitatamente alle somme diverse da quella di Euro 54.180,86, nei riguardi di R.F., relativamente al delitto di bancarotta per distrazione. Rinvia per nuovo giudizio sui predetti capi ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Così deciso in Roma, il 9 marzo 2018. Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2018
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