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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: la mancata dimostrazione della destinazione di beni per esigenze societarie prova il reato

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 10/12/2018, n.6548

In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni risultanti dagli ultimi documenti attendibili, anche risalenti nel tempo (nella specie, anteriori di tre anni rispetto alla dichiarazione di fallimento), redatti prima di interrompere l'esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 novembre 2017 la Corte d'Appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato l'accertamento della penale responsabilità di V.D. e D.A. per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, commessi in qualità di amministratori della "(OMISSIS)" s.r.l. - dichiarata fallita in data 18.10.2011 - riducendo la pena di quest'ultimo a tre anni di reclusione. 2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati D.A. e V.D., affidandolo ai seguenti motivi. 1.1. Con il primo motivo è stato dedotto vizio di motivazione con riferimento alla mancata declaratoria di assoluzione. Lamentano i ricorrenti che, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la Corte territoriale ha erroneamente invertito l'onere della prova in ordine alla distrazione senza considerare che, sulla scorta delle risultanze probatorie, le ipotesi criminose non erano state provate. Contestano i ricorrenti l'asserita distrazione delle somma di Euro 100.774,4 - risultante quale saldo attivo di cassa dell'esercizio 2008 - la cui esistenza non può essere provata sulla base di una documentazione contabile incompleta, non potendosi comunque escludere che quella somma fosse stata impiegata per far fronte a delle passività. Evidenziano che non è configurabile la contestata distrazione atteso che, in presenza di una documentazione solo parziale, la somma contabilizzata in attivo avrebbe potuto essere successivamente contabilizzata in passivo nelle scritture sottratte. Peraltro, lo stesso curatore aveva ritenuto inverosimile la presenza della somma sopra indicata in cassa. Tale importo, anche se desunto dalla situazione contabile al 31.12.2008, non era stato possibile verificarlo per mancanza dei documenti contabili del periodo successivo. Con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale, i ricorrenti lamentano la mancanza di prova dell'elemento soggettivo. Evidenziano che la società era sprovvista del commercialista nel periodo in cui non furono consegnate le scritture contabili, che uno degli amministratori si era disinteressato per un certo periodo delle questioni contabili per problemi di salute e successivamente non riuscì a recuperare la parziale documentazione contabile (molto probabilmente andò distrutta, giacendo in un veicolo incendiatosi accidentalmente). Peraltro, la stessa Curatrice aveva rilevato una mera irregolarità nella tenuta della contabilità, come tale riconducibile alla fattispecie della bancarotta documentale semplice. 1.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione con riferimento alla mancata assoluzione di V.D. per impedimento gestionale. Lamenta il ricorrente V.D. che il giudice d'appello lo ha condannato nonostante fosse stata fornita la prova del suo grave stato di salute, che lo aveva portato ad un trapianto cardiaco e che gli aveva impedito di curarsi della gestione aziendale. 1.3. Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo è stato dedotto vizio di motivazione con riferimento alla mancata riduzione della pena, previa declaratoria di insussistenza dell'aggravante di cui alla L.Fall., art. 219, comma 1 e 2, nonchè vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, ai sensi della L.Fall., art. 219, comma 3, n. 1. Lamentano i ricorrenti che l'ammontare del danno non è stato provato, non potendosi lo stesso desumere dalle scritture contabili. 1.4. Con il sesto motivo è stato dedotto vizio di motivazione con riferimento alla mancata riduzione della pena mediante applicazione del minimo edittale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo è infondato. Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che ove l'atto distrattivo consista nell'occultamento di beni sociali, la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni che in epoca anteriore o prossima al fallimento erano nella disponibilità della società dichiarata fallita, può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015 - dep. 29/02/2016, Aucello, Rv. 267710; Cass., sez. 5", 17/04/2013, n. 22894, rv. 255385; Cass., sez. 5", 08/03/2013, n. 23749). L'imposizione di un onere della prova nei termini sopra illustrati a carico dell'amministratore si giustifica a tutela del ceto creditorio perchè è l'amministratore responsabile della gestione dei beni sociali e risponde nei confronti dei creditori della conservazione della garanzia dei loro crediti, con la conseguenza che solo lo stesso può chiarire, proprio in quanto artefice della gestione, quale destinazione effettiva hanno avuto i beni sociali. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del principio di diritto sopra enunciato, a nulla rilevando la circostanza che i dati contabili utilizzati si riferissero ad una situazione contabile precedente di circa tre anni la dichiarazione di fallimento (intervenuta nell'ottobre 2011). La mancata o irregolare tenuta della contabilità a partire da un certo esercizio sociale in poi (nel caso di specie 2008), in totale spregio degli obblighi di legge, non può certo costituire una circostanza di cui gli amministratori inadempienti possano trarre vantaggio, dovendo gli stessi comunque giustificare quale destinazione abbiano avuto i beni sociali - la cui esistenza risulti dagli ultimi documenti contabili redatti dalla società in modo attendibile - non rinvenuti dal curatore al momento della dichiarazione di fallimento. Ne consegue che il già enunciato principio di questa Corte, che fonda la prova della distrazione di beni sociali sulla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della destinazione di tali beni al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, deve valere non solo per quei cespiti che in epoca prossima al fallimento (è riscontrato che) fossero nella disponibilità della società dichiarata fallita, ma anche per quelli che parimenti risultassero nella disponibilità della medesima sulla scorta degli ultimi documenti contabili attendibili redatti in esercizi anche distanti rispetto al fallimento, prima che gli amministratori venissero meno all'obbligo di tenuta dei libri contabili, o in modo integrale o comunque con una gestione della contabilità con modalità tali da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Nel caso di specie, i ricorrenti, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, non solo non hanno documentato la destinazione della somma risultante dalla cassa sociale prima che venissero meno ad ogni obbligo di tenuta delle scritture contabili, ma non hanno assolto ad un seppur minimo onere di allegazione in ordine alla destinazione dei cospicui importi prelevati, limitandosi a sostenere che non poteva escludersi che quelle somme di denaro fossero state impiegate nel periodo successivo per il pagamento di debiti sociali. Va, peraltro, osservato che l'affermazione di parte ricorrente, secondo cui l'appostazione contabile, relativa alla presenza in cassa della somma di Euro 100.774,49, sarebbe stata inverosimile, si configura come una inammissibile censura di merito in quanto finalizzata a prospettare una diversa ricostruzione del fatto. Tale assunto non si confronta neppure minimamente con le precise argomentazioni dei giudici di merito, secondo cui la consistenza della cassa era comprovata dalle fatture attive che risultavano pagate, dall'accertamento di ricavi maturati nel tempo e dai prelevamenti da istituti bancari fatti proprio per implementare la cassa. Anche con riferimento alla contestata bancarotta documentale, i ricorrenti, nel contestare la carenza dell'elemento soggettivo, non si confrontano parimenti con la sentenza impugnata in ordine all'assoluta inverosimiglianza della giustificazione del mancato rinvenimento della contabilità a causa della distruzione della stessa intervenuta in occasione dell'incendio accidentale dell'autovettura in cui era temporaneamente custodita. Sul punto, è stato acutamente osservato dai giudici di merito che la presenza della documentazione contabile nell'autovettura non era stata neppure indicata in sede di denuncia e tale fatto non fu mai comunicato al curatore, ma emerse solo nel corso del dibattimento. La sussistenza dell'elemento soggettivo è stata, invece, congruamente motivata nella sentenza impugnata con argomentazioni articolate ed i immuni da vizi logici, evidenziandosi che la sottrazione della contabilità aveva avuto la finalità di coprire la distrazione poi accertata, tanto che si era sostenuto che proprio la mancanza delle scritture non aveva consentito di dimostrare l'illegittima destinazione della somma non rinvenuta. 2. Il secondo motivo è inammissibile. L'affermazione del ricorrente V. secondo cui sarebbe stata fornita nel procedimento la prova del suo grave stato di salute (che gli aveva impedito di prendersi cura della gestione aziendale), si configura parimenti come censura in fatto, essendo tale circostanza stata perentoriamente esclusa dalla Corte di merito, nè, del resto, il prevenuto ha dedotto l'eventuale travisamento della prova, anche nella forma della mancata valutazione di circostanze decisive, con conseguente palese inammissibilità di tale doglianza. 3. I motivi dal terzo al sesto sono inammissibili per genericità. I ricorrenti non indicano con chiarezza le ragioni per cui si dolgono della mancata riduzione della pena in sede di appello (che, peraltro, per il D. c'è stata), invocano l'insussistenza dell'aggravante del danno di rilevante gravità, che, in realtà, come evidenziato dalla sentenza impugnata, non è stata mai contestata (limitandosi l'imputazione all'aggravante dei più fatti di bancarotta) e lamentano il mancato riconoscimento dell'attenuante del danno di speciale tenuità con l'affermazione apodittica che nessun danno sarebbe stato dimostrato. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2018. Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019
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