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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: la mancata riscossione di un credito può integrare il reato

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 15/11/2018, n.57153

Integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, comma 1, legge fall. la mancata riscossione di un credito, poiché oggetto delle condotte di depauperamento è il patrimonio in senso lato, comprensivo delle ragioni di credito che devono concorrere alla formazione dell'attivo patrimoniale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO Con sentenza in data 12/12/2017, il Tribunale di Pesaro ha applicato ex art. 444 cod. proc. pen. la pena concordata tra le parti nei confronti di R.G. imputato - in relazione a (OMISSIS), dichiarata fallita in data 08/05/2014 dei seguenti reati: bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver sottratto o comunque dissipato la somma di circa 10 milioni di Euro ricevuta da altra società (capo a); bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver dissipato il patrimonio della fallita omettendo deliberatamente di riscuotere o comunque di avviare le procedure anche giudiziarie dirette alla riscossione del credito pari a circa 100 mila Euro vantato nei confronti di altra società (capo b); bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver dissipato il patrimonio della fallita omettendo deliberatamente di riscuotere o comunque di avviare le procedure anche giudiziarie dirette alla riscossione del credito pari a circa 81 mila Euro vantato nei confronti di altra società (capo c); causazione del fallimento con dolo (capo d). Avverso l'indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.G., attraverso i difensori avv. Ginesi Roberto e avv. Coli Francesco, denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, - erronea qualificazione dei fatti sub b) e c): per dissipazione deve intendersi la cosciente e volontaria dispersione patrimoniale, intesa come sperpero e dilapidazione dei beni societari, mentre l'omessa riscossione dei due crediti di cui alle imputazioni non aveva consistenza patrimoniale talmente rilevante da integrare il reato di pericolo concreto e la contestata omissione non è idonea a determinare un'effettiva diminuzione del patrimonio, mancando un effettivo depauperamento dell'impresa. La stessa formulazione dell'imputazione sub d) - ove la rinuncia a riscuotere una parte di un credito viene inquadrata quale causazione del fallimento con dolo - dimostra il vizio della qualificazione giuridica dei fatti. Con requisitoria scritta del 29/10/2018, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. Gaeta Piero ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non merita accoglimento. Le censure investono ora la sussunzione dei fatti sub b) e c) nella figura della dissipazione, ora, più in radice, la stessa rilevanza penale della mancata riscossione. Quanto a quest'ultimo profilo, la censura è infondata, alla luce del principio di diritto - affermato proprio in riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di bancarotta con riferimento alla mancata riscossione di una parte di un credito - in forza del quale, in materia di bancarotta fraudolenta, il depauperamento, apprezzabile ai fini della configurazione del reato di cui alla L. Fall., art. 216, va inteso come riferito ad una nozione giuridica di patrimonio in senso lato, comprensivo cioè non solo dei beni materiali ma anche di entità immateriali, fra cui rientrano anche le ragioni di credito che avrebbero dovuto concorrere alla formazione dell'attivo del compendio patrimoniale (Sez. 5, n. 32469 del 16/04/2013, Nassetti, Rv. 256252), tanto più che oggetto della bancarotta fraudolenta patrimoniale può anche essere un bene futuro, purchè non si riduca a mera aspettativa (ex plurimis, Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, Pompeo, Rv. 165675). Il rilievo che nella fattispecie di bancarotta fraudolenta le condotte di distruzione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione sono alternativamente previste dalla norma (sicchè non integra violazione del principio di correlazione tra sentenza e contestazione - quando quest'ultima contenga la descrizione, sia pur sommaria, del comportamento dell'imputato - la diversa qualificazione attribuita dal giudice rispetto all'imputazione: Sez. 5, n. 9027 del 06/07/2000, Oggioni, Rv. 217528; Sez. 5, n. 37920 del 05/07/2010, Gironi, Rv. 248505) esclude che le ulteriori censure possano inficiare la sentenza di applicazione della pena: peraltro, venendo comunque in rilievo il depauperamento del patrimonio destinato a fungere da garanzia per i creditori, la qualificazione della condotta sub specie di dissipazione ovvero di distrazione è necessariamente connessa alla fattispecie concreta, sicchè le doglianze non attengono all'erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero all'erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, all'erronea qualificazione giuridica del fatto o alla sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta), ma all'erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l'aspetto del vizio di motivazione (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoè, Rv. 268404) ma preclusa in questa sede. Rilievo, quest'ultimo, a fortiori riferibile alle ulteriori doglianze relative alla riconoscibilità del pericolo concreto, laddove privo di consistenza è il riferimento al capo d), che attiene ad una diversa fattispecie concreta. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15 novembre 2018. Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2018
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