RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna di M.M., nella sua qualità di amministratore delle "(OMISSIS) spa" e "(OMISSIS) srl"; entrambe fallite nel corso del 2009, per plurimi fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale relativi alla distrazione di una delle due aziende e di merci, nonchè per aver aggravato il dissesto della seconda delle società menzionate, procedendo ad effettuare nuovi acquisti di merce e assunzioni di personale quando la fallita era oramai priva di risorse. Di contro la Corte territoriale ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado in punto di commisurazione della pena avendo ridimensionato la stima dell'ammontare della merce distratta.
2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato, a mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo - sviluppato attraverso ulteriori quattro sottomotivi - deduce anzitutto violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo 1), asseritamentonsumata attraverso l'operazione di affitto di azienda conclusa tra la (OMISSIS) e la Niuko Leather entrambe amministrate dall'imputato - senza che venisse versato il corrispettivo pattuito.
2.1.1 In proposito viene eccepito che il contratto venne sottoscritto dal liquidatore della fallita e che fu proprio quest'ultimo a non pretendere il pagamento del corrispettivo. Pertanto al M. sarebbe stato imputato un fatto commesso da altri sulla base del presupposto che egli fosse il dominus di entrambe le società contraenti e dunque il registra dell'intera operazione, senza però considerare l'inequivoco dato formale relativo al ruolo rivestito a quella data dal liquidatore.
2.1.2 Vengono inoltre denunziati errata applicazione di legge penale e vizi di motivazione con riferimento all'interpretazione dell'operazione fornita dai giudici del merito, i cui scopi, contrariamente a quanto ritenuto, non erano quelli di sottrarre, in pregiudizio dei creditori parte del patrimonio di una società oramai insolvente, bensì di evitare che la (OMISSIS) patisse ulteriori perdite, nonchè di valorizzare il complesso aziendale a vantaggio proprio del ceto creditorio. Sicchè non potrebbe ricorrersi come invece avrebbe fatto la Corte territoriale - ad un'interpretazione datata della legge fallimentare in punto di locazione ed al principio giurisprudenziale ormai risalente per il quale configura distrazione l'affitto d'azienda stipulato per finalità estranee all'azienda stessa e in previsione del fallimento, perchè il contratto stipulato dal liquidatore reca una serie di clausole dalle quali emerge la funzionalità del negozio a soddisfare piuttosto che a frustrare gli interessi creditori. Difetterebbe pertanto la prova delle finalità distrattive dell'operazione e la verifica del concreto pregiudizio per i creditori, considerato peraltro che tutti i beni sociali furono poi successivamente venduti per effetto della procedura come riferito dal curatore in udienza.
2.1.3 Ulteriori vizi di motivazione vengono eccepiti in riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo del reato. Ed invero solo apparentemente si sarebbe provata la consapevolezza dell'imputato di compiere atti pregiudizievoli nei confronti dei creditori, anche sotto la forma, ritenuta in sentenza, del dolo eventuale e cioè della rappresentazione della situazione di pericolo; al contrario di dolo non potrebbe parlarsi proprio perchè il contratto di affitto venne stipulato da altro soggetto diverso dall'imputato.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce inosservanza od erronea applicazione di legge penale, nonchè vizi di motivazione in merito alle distrazioni di merce contestate ai capi 2) e 3) della rubrica.
2.2.1 In tal senso si rileva come la Corte territoriale abbia ritenuto contraddittoriamente integrati i reati in oggetto, tanto riferendosi a un compendio di prove testimoniali e documentali concordanti, quanto ricorrendo alla presunzione del mancato rinvenimento di beni e valori della società. Presunzione che nel caso di specie non avrebbe tuttavia dovuto operare, posto che il patrimonio del magazzino della (OMISSIS) venne ricostruito dal curatore fallimentare esclusivamente attingendo a dati contabili, in assenza cioè di indagini relative alla consistenza del complesso aziendale alla data del fallimento. A questo si aggiunge che il presunto riscontro fornito, prima, dalle perizie estimative compiute in sede di concordato preventivo e, poi, in sede fallimentare, non sarebbe probante, posto che tali relazioni conterrebbero valutazioni sommarie e risalenti, scarsamente indicative dell'effettivo valore delle merci di cui si assume l'avvenuta distrazione.
2.2.2 Dati contabili e relazioni tecniche non sarebbe allora sufficienti a ricostruire l'entità e il valore delle giacenze e di riflesso l'entità e il valore degli ammanchi di magazzino. Inoltre la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che alla data della declaratoria di fallimento la merce rinvenuta era in stato di obiettivo deterioramento per effetto di stoccaggio non imputabile al M. e che dunque aveva un prezzo sensibilmente inferiore a quello contabile. Anche in relazione alle merci della (OMISSIS) srl si evidenzia poi come dalle stesse dichiarazioni del curatore valorizzate dai giudici del merito emergerebbe l'impossibilità di quantificarne il valore.
2.2.3 Ancora la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le dichiarazioni di alcuni testimoni, non univoche in ordine al depauperamento del patrimonio aziendale, mentre per altro verso risulterebbe illogico affidarsi a riferimenti contabili nella ricostruzione del patrimonio per poi affermare che le distrazioni contestate sono rimaste indeterminate nel loro esatto ammontare. In definitiva la prova della distrazione non potrebbe consistere nella differenza tra il costo di acquisto dei beni e il loro valore finale, perchè il valore delle merci potrebbe essersi ridotto in maniera significativa per cause diverse dalla distrazione di beni.
Il M. avrebbe inoltre fornito spiegazioni plausibili in sede di interrogatorio con riguardo alla restituzione a prezzo ribassato di alcune merci della (OMISSIS) al fornitore, restituzione funzionale al pagamento degli stipendi e inquadrabile al più come operazione imprudente ex art. 217 L. Fall.. Infine si deduce omessa motivazione anche in ordine all'elemento psicologico dei reati contestati.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione in relazione al reato di aggravamento colposo del dissesto della (OMISSIS) srl. In particolare si censura l'omessa motivazione sul rapporto causale esistente tra le operazioni contestate e il dissesto, anche in considerazione del tempo trascorso tra le stesse e il fallimento.
Difetterebbe poi la prova del danno arrecato e della consapevolezza dell'imputato di assumersene il rischio.
2.4 Infine con il quarto motivo si deducono violazione di legge e vizi di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio. In tal senso si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e della diminuente di cui alla L. Fall., art. 219, comma 3, nonostante la riconosciuta minor gravità dei fatti distrattivi di cui ai capi 2) e 3) della rubrica, nonchè il difetto di motivazione sulla censurata commisurazione della pena accessoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere in parte rigettato ed in parte dichiarato inammissibile.
2. Inammissibili sono in particolare le doglianze avanzate con il primo motivo.
2.1 Anche volendo prescindere dalla intrinseca ed evidente contraddittorietà che caratterizza le argomentazioni difensive - tese per un verso a sostenere l'estraneità del M. alla stipulazione del contratto d'affitto dell'azienda e per l'altro a rivendicare come l'imputato abbia agito al fine di garantire gli interessi dei creditori della fallita -) le censure del ricorrente si rivelano comunque generiche, costituendo la riedizione di quelle già confutate dalla sentenza impugnata con motivazione con la quale il ricorrente non si è effettivamente confrontato. Infatti la Corte territoriale ha smentito l'assunto dell'estraneità del M. al fatto contestato - affermando la non decisività della circostanza per cui il contratto d'affitto venne formalmente sottoscritto dalla liquidatrice - valorizzando le in tal senso univoche dichiarazioni testimoniali del presidente del collegio sindacale della (OMISSIS) ( B.), di una dipendente della stessa azienda ( L.P.), nonchè della stessa liquidatrice. Tale compendio probatorio è stato sostanzialmente ignorato dal ricorso, che si è limitato in maniera assertiva a negare che l'imputato abbia assunto l'amministrazione di fatto tanto della fallita, quanto della affittuaria, ovvero ha eccepito in maniera altrettanto generica l'omessa considerazione di alcuni passaggi della deposizione del menzionato presidente del collegio sindacale, nonchè della deposizione e della relazione del curatore della fallita. Di tali deposizioni, però, il ricorrente si è limitato a riportare solo alcuni brani selezionati - continuando comunque ad ignorare quelli evocati dalla sentenza -, dei quali, peraltro, ha solo enunciato l'idoneità a disarticolare il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte, senza articolare le ragioni di tale affermazione, che dunque si rivela del tutto aspecifica. Peraltro proprio i brani delle dichiarazioni del curatore riportati nel ricorso costituiscono valido riscontro alle dichiarazioni della teste L.P., mentre gli altri non solo non risultano decisivi a sostegno della tesi difensiva, ma nemmeno rilevanti (che la liquidatrice, ad esempio, svolgesse effettivamente il suo mandato non costituisce smentita alle sue affermazioni relative alla dinamica che aveva portato alla stipulazione del contratto, nè impedisce l'attribuibilità al M. della qualifica di amministratore di fatto della fallita, posto che quest'ultimo per essere tale non deve sostituirsi in toto a quello di diritto o al liquidatore).
2.3 Quanto alle finalità della operazione ed al suo corretto inquadramento giuridico, va ricordato che secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito, in cui si concreta l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, nè la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali. In tal senso, pertanto, anche il contratto di affitto di azienda può connotarsi in modo da integrare una bancarotta per distrazione e ciò tanto nel caso in cui l'affitto venga stipulato con canoni incongrui o simulati (Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830), quanto in quello cui la stipula avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008, Scirè e altri, Rv. 242614; Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998, Martinel, Rv. 209947; Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993, Locatelli ed altri, Rv. 196456). Non solo, è stato altresì precisato che integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale la cessione di un ramo d'azienda che renda non più possibile l'utile perseguimento dell'oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società (Sez. 5, n. 10778 del 10 gennaio 2012, Petruzziello, Rv. 252008).
2.4 Alla luce dei principi illustrati deve ritenersi che la Corte territoriale abbia correttamente qualificato come distrattiva l'operazione di affitto dell'azienda effettuata nelle condizioni date, mentre manifestamente infondate ed a tratti generiche si rivelano le obiezioni svolte sul punto con il ricorso.
2.4.1 Innanzi tutto irrilevante, come detto, è l'eccepita regolarità formale del negozio stipulato, mentre inconferente si rivela anche il rinvio alle modifiche normative che hanno interessato gli artt. 80 e 80-bis L. Fall.. La prima disposizione, infatti, per quanto d'interesse, continua a prevedere la sopravvivenza degli effetti della locazione oltre il fallimento, consentendo però al curatore di recedervi, così evidenziando il potenziale pregiudizio per i creditori derivante dalla conclusione del suddetto contratto. Quanto al secondo articolo evocato, il ricorrente dimentica che lo stesso - il quale prevedeva come il fallimento non fosse causa automatica di scioglimento del contratto d'affitto d'azienda, pur prevedendo parimenti la facoltà di recesso - è stato significativamente abrogato dal D.Lgs. n. 169 del 2007 solo un anno dopo la sua introduzione e dunque ben prima della stipulazione del contratto oggetto dell'imputazione.
2.4.2 La genericità e manifesta infondatezza delle censure difensive si appalesa poi nella misura in cui le stesse dimostrano di non aver tenuto in considerazione le circostanze che caratterizzano la fattispecie concreta in riferimento alle quali la Corte territoriale ha operato la criticata qualificazione: il coinvolgimento del M. nella gestione di entrambe le società; la protratta morosità dell'affittuaria (valutata non tanto ex se, quanto in connessione alla precedente circostanza); il trasferimento dell'unico plesso aziendale nella disponibilità della fallita con conseguente condanna di quest'ultima all'inattività. In tale ottica ininfluente è la circostanza che dal contratto fosse stato escluso il magazzino di (OMISSIS), il cui possibile destino era a quel punto solo quello di essere venduto (e ciò a tacere del fatto che la sentenza - incontestata sul punto - ha precisato come le giacenze della società vennero "parcheggiate" sul piazzale del suo capannone per agevolare l'attività di Niuko). E parimenti irrilevante è l'obiezione relativa alla stipulazione di una clausola di recesso in caso di mancato pagamento anche di una sola rata dell'affitto, posto che tale facoltà non è stata esercitata. Destituita di fondamento alcuno è, dunque, la pretesa del ricorrente di avvalorare la tesi per cui il contratto d'affitto sia stato stipulato al fine di tutelare gli interessi dei creditori della fallita, invece manifestamente esposti a pericolo da quella che altro non è stata se non che una ordinaria operazione di spin-off, nel tentativo di sottrarre le attività della fallita alla procedura concorsuale e garantire all'imputato di produrre ricavi senza che questi potessero essere destinati alla medesima procedura.
2.4.3 Manifestamente infondate sono infine le ulteriori obiezioni del ricorrente in merito al recupero del credito della fallita da parte del curatore e più in generale in ordine alla mancata causazione di un danno ai creditori, posto che,come ripetutamente chiarito da questa Corte, quello di bancarotta fraudolenta è reato di pericolo la cui configurabilità è insensibile all'esito della vicenda concorsuale e per la cui configurabilità non deve prodursi alcun evento di danno.
2.5 Quanto all'elemento soggettivo del reato le censure del ricorrente sono parimenti manifestamente infondate. La bancarotta fraudolenta per distrazione ha infatti natura di reato di pericolo a dolo generico. In relazione a tale reato non ha allora incidenza nè la finalità perseguita in via contingente dal soggetto - e pertanto sono per l'appunto manifestamente infondate le numerose censure del ricorrente tese a valorizzare tale profilo -, nè si richiede uno specifico intento di arrecare un pregiudizio economico ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilità di danno che possa derivare alle ragioni creditorie. Tuttavia, nel dichiarare provata l'accettazione del rischio da parte del M. che una simile operazione potesse esaurirsi in pregiudizio dei creditori, la sentenza - pur evocando impropriamente la figura del dolo eventuale ha implicitamente riconosciuto la previa rappresentazione da parte di quest'ultimo della possibilità di tale pregiudizio, con ciò ritenendo sussistente il dolo della bancarotta patrimoniale nella sua effettiva configurazione, ancorchè non correttamente denominato, atteso che la possibilità di danno non deve costituire oggetto di volizione, come invece la materiale azione distrattiva, ma soltanto e per l'appunto di rappresentazione.
3. Il secondo motivo è infondato ed a tratti inammissibile.
3.1 Al riguardo occorre ripercorrere analiticamente l'iter logico seguito dalla Corte territoriale nel ritenere integrati i fatti di bancarotta di cui ai capi 2) e 3) della rubrica. Questo si snoda essenzialmente lungo due direttrici. La prima concerne la prova degli ammanchi di merce di magazzino oggetto di distrazione, fondata sulla testimonianza del curatore, sulle perizie estimative compiute, sulle dichiarazioni dei testi escussi e in particolare quella del B., che tra l'altro riferisce de relato di una risposta velatamente confessoria fornita dallo stesso imputato sulla sorte finale dei beni societari. La seconda attiene invece alla imputazione di tali ammanchi alla persona dell'imputato, dichiarata attraverso la presunzione in forza della quale il mancato rinvenimento di beni e valori costituisce prova della loro dolosa distrazione da parte degli amministratori. Tra il primo e il secondo snodo non sussiste allora alcuna contraddizione, contrariamente a quanto deduce il ricorrente con argomento suggestivo, ma infondato. Il "concordante coacervo di prove" cui si riferisce la Corte territoriale certifica invece soltanto l'esistenza di un apprezzabile depauperamento patrimoniale, lasciando inevasa la questione della personale responsabilità dell'imputato, correttamente affermata, invece, sulla base della ricordata presunzione.
3.2 Deve infatti ribadirsi come la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita possa essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore (sia egli di fatto o di diritto), della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, Ranon, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, Zanettin, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411), principio che la costante elaborazione giurisprudenziale di legittimità ancora alla peculiarità della normativa concorsuale. In tal senso va quindi ricordato che l'imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell'adempimento delle obbligazioni dell'impresa sul patrimonio di quest'ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell'integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l'elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l'evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. Non di meno l'art. 87, comma 3 L. Fall.. (anche prima della sua riforma) assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell'interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale. Immediata è la conclusione che le condotte descritte all'art. 216. comma 1, n. 1 (tra loro sostanzialmente equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell'interpello. Osservazioni che giustificano l‘(apparente) inversione dell'onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione al proposito (o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione). Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l'artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta e altri, in motivazione).
3.3 In relazione alla distrazione delle merci della (OMISSIS), è poi manifestamente infondata e generica la doglianza che aggredisce la valenza probatoria delle dichiarazioni del curatore e delle perizie estimative, sulla base dell'assunto che da esse sole discenderebbe la prova della responsabilità dell'imputato. L'assunto non solo è erroneo, fondandosi la condanna - come detto - anche su altre testimonianze significative che il ricorrente insiste nel voler ignorare, ma oppone alla concordanza di tali evidenze argomenti meramente assertivi, come sono quelli per cui le perizie sarebbero datate e scarsamente probanti.
3.4 Infondate, sempre con riferimento ai fatti di cui al capo 2), sono invece le obiezioni relative all'impossibilità di accertare l'effettivo valore della merce distratta. Circostanza sulla quale la Corte ha invero convenuto, recependo le analoghe doglianze svolte con il gravame di merito, tanto da ridurre la pena irrogata in prime cure. Ciò però non compromette la tenuta del ragionamento probatorio svolto in sentenza relativamente alla sussistenza della ritenuta distrazione, posto che i giudici dell'appello hanno giustificato le proprie conclusioni in merito alla sua effettiva consumazione - e già si è detto di come la motivazione sul punto sia stata confutata in maniera non sufficientemente specifica dal ricorrente - non essendo per contro dirimente che non sia stato possibile stabilire il suo esatto ammontare.
3.5 Generica è invece la censura relativa alla distrazione delle merci della (OMISSIS) srl. Essa infatti non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sostituzione della merce acquisita dalla fallita con altra di assai minor valore, valorizzando brani di dichiarazioni testimoniali del tutto inconferenti e di cui non viene dimostrata la effettiva decisività.
Parimenti inammissibile è la rivalutazione di altre prove dichiarative, di cui, nuovamente, il ricorso evoca soltanto rapsodici frammenti, tanto più che la censura in questione non era stata dedotta con i motivi di appello. Manifestamente infondata è poi la censura difensiva che riposa sull'errato presupposto che, una volta immessa nelle sue funzioni la liquidatrice, il M. dovrebbe ritenersi estraneo alle sorti dei beni che si assumono distratti, presupposto, che come si è già illustrato, la sentenza ha ampiamente confutato dimostrando la successiva ingerenza dell'imputato nella gestione delle società.
3.5 Inammissibili sono anche le restanti doglianze sviluppate con il secondo motivo. Sostanzialmente generica ed assertiva è la censura che prospetta in forma congetturale spiegazioni alternative in ordine al decremento di valore subito dal costo della merce tra l'acquisto e la vendita finale, così come quella che fa leva su alcune presunte dichiarazioni del M. in sede di interrogatorio - non allegate e di cui non vengono riportati nemmeno gli estremi processuali - le quali giustificherebbero la restituzione di alcune merci della (OMISSIS) ai fornitore perchè viziate e, al contempo, la vendita di altre a prezzo ribassato per provvedere al pagamento dei dipendenti.
Inammissibile è infine la doglianza relativa all'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, profilo non già effettivamente devoluto al giudice dell'appello con il gravame di merito, che in proposito era del tutto generico e inidoneo ad onerare la Corte territoriale di una specifica confutazione.
4. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono parimenti inammissibili. In particolare il terzo si rivela generico nella misura in cui si limita a contestare assertivamente la mancanza di nesso causale tra le operazioni compiute e l'aggravamento del dissesto, nonchè il difetto di prova dell'elemento psicologico del reato, senza tuttavia confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che valorizza le circostanze di fatto in cui gli esborsi in questione furono effettuati - in un periodo di grave insolvenza della società che li rendeva estremamente rischiosi ed imprudenti - per dedurne la sicura consapevolezza da parte del M. che il passivo si sarebbe aggravato. Mentre manifestamente infondato è da ritenersi il motivo sul trattamento sanzionatorio, da una parte perchè la sentenza motiva in ordine al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche, e dall'altra perchè la pena irrogata è già stata ridotta dal giudice d'appello al minimo edittale in considerazione della minore gravità dei fatti distrattivi contestati. Quanto alla configurabilità dell'attenuante di cui all'art. 219 L. Fall. si tratta di questione non già devoluta al giudice dell'appello con il gravame di merito e sulla quale, dunque, questi non aveva alcun onere di motivare.
5. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in relazione ai fatti contestati ai capi 1), 3) e 4) e rigettato nel resto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso quanto ai reati di cui ai capi 1, 3 e 4 e lo rigetta nel resto, condannando il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2018