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Reati fallimentari

Bancarotta fraudolenta patrimoniale: responsabilità dell'amministratore privo di delega

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 19/06/2018, n.42568

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell'amministratore privo di delega per omesso impedimento dell'evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell'effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di "segnali di allarme" inequivocabili dai quali desumere l'accettazione del rischio - secondo i criteri propri del dolo eventuale - del verificarsi dell'evento illecito e, dall'altro, della volontà - nella forma del dolo indiretto - di non attivarsi per scongiurare detto evento.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14 luglio 2016, la Corte di appello di Catanzaro ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Crotone, che aveva dichiarato la penale responsabilità di E.F., E.S., E.V., Es.Vi., C.G., C.P., C.A., C.M., P.E.G., Ma.Gi., e M.G. per una serie di bancarotte documentali e per distrazione, nonchè per riconoscimento di passività inesistenti, legate alla loro partecipazione, quali amministratori o soci o ex soci, a società facenti parte del "gruppo E.". P. e M.G. erano stati condannati anche per il reato di appropriazione indebita; C.P. solo per quest'ultimo reato. Il Tribunale aveva solo parzialmente avallato il costrutto accusatorio, assolvendo gli imputati per diversi reati, tra i quali l'associazione per delinquere, che la Procura crotonese aveva ipotizzato tra i prevenuti. La Corte distrettuale, adita solo dagli imputati, ha assolto Ma., Es.Vi., Ca., C.A., P. e M.G. da alcune fattispecie, rideterminando la pena nei confronti degli ultimi quattro ( Ma. è uscito dal processo); per il resto ha confermato la sentenza di primo grado. 2. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito il "gruppo E." non era stato costituito formalmente come tale, ma esisteva di fatto per gli stretti collegamenti intercorrenti tra le dodici società di cui si componeva ((OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., nonchè Società (OMISSIS) ((OMISSIS)) s.p.a., in cui erano confluite a seguito di fusione per incorporazione la (OMISSIS) s.r.l., la (OMISSIS) s.r.l., la (OMISSIS) s.r.l., la (OMISSIS) s.r.l. e la E. s.r.l.) e tra i suoi soci o amministratori: tutti parenti, affini e soggetti vicini a E.F., il capostipite. 3. Prescindendo dalle imputazioni per le quali è intervenuta assoluzione, in primo grado o in appello, i reati per i quali è stata pronunciata condanna raggruppati per i fallimenti e/o le società a cui si riferiscono - sono i seguenti. 3.1. Fallimento (OMISSIS) s.r.l.: distrazione - tra il 1997 e il 2003 - dall'attivo fallimentare di somme conseguite a titolo di finanziamento ministeriale ex L. n. 488 del 1992 per Euro 3.731.005,62, di somme ottenute a titolo di rimborso I.V.A. per Euro 1.074.230,59, di cinque miliardi di lire ottenuti dalla (OMISSIS) a titolo di mutuo ipotecario (capo B); esposizione di passività inesistenti per Euro 4.143.533,70, attraverso l'iscrizione in contabilità di versamenti a titolo di finanziamento o aumento di capitale mai avvenuti, ma solo contabilmente documentati attraverso la predisposizione di una serie di versamenti bancari fra società e soci (capo B1); tenuta irregolare delle scritture contabili (capo B2); distrazione di beni mobili, rinvenuti a (OMISSIS) il 20/12/2005 (capo B4); distrazione di due capannoni, attuata mediante stipula di contratti di locazione, a canone inadeguato, poco prima del fallimento, con (OMISSIS) s.r.l., riconducibile a E.S. (capo B5). 3.2. Fallimento (OMISSIS) s.r.l.: distrazione - tra il 1999 e il 2003 - di Euro 2.597.937,91 percepite dalla società come finanziamento ex L. n. 488 del 1992, del rimborso I.V.A. per Euro 588.761,11, di altre somme (di importo molto variabile) appartenenti alla società (capo C); esposizione di passività inesistenti, attuata mediante l'appostamento in contabilità di somme (circa due milioni di euro) per finanziamenti mai effettuati (capo C1); bancarotta documentale (capo C2); distrazione di Euro 67.139,49 attuata mediante la cancellazione dalla contabilità del credito vantato nei confronti di (OMISSIS) s.p.a., distrazione di Euro 206.582,76 attuata mediante la cancellazione dalla contabilità di certificati di deposito (OMISSIS), distrazione di Euro 297.922,61 attuata mediante la cancellazione dalla contabilità del credito vantato verso "altri" (capo C3); distrazione di beni aziendali rinvenuti a (OMISSIS) il 20/12/2005 (capo C5). 3.3. Fallimento (OMISSIS) s.r.l.: distrazione di Euro 103.291,38 e di Euro 58.365,19 (capo E); distrazione di L. 1.690.000.000, trasferiti nella disponibilità di (OMISSIS) s.p.a., utilizzando soldi dati in mutuo dalla (OMISSIS) (capo E1); distrazione di Euro 395.000 ricevuti dalla società (OMISSIS) imputandoli a rimborsi per finanziamenti mai effettuati (capo E2); distrazione di due autovetture (capo E3); distrazione dell'azienda affittandola alla ditta (OMISSIS) in prossimità del fallimento (capo E4); bancarotta documentale (capo E6). 3.4. Fallimento (OMISSIS) s.p.a.: distrazione dell'immobile sito in (OMISSIS) e di un capannone sito a Crotone, del ramo d'azienda sito in (OMISSIS), di tutti i beni mobili e del magazzino, ceduti alla (OMISSIS) s.r.l. ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato (capo F); distrazione di L. 1.690.000.000 (capo F1); bancarotta documentale (capo F2). 3.5. Fallimento (OMISSIS) s.r.l.: distrazione della somma di Euro 2.130.937,49 ricevuta come finanziamento ex L. n. 488 del 1992, di Euro 351.190,69 quali rimborsi I.V.A., di L. 1.300.000.000 ricevute dalla (OMISSIS) come finanziamenti, di somme varie elargite a società del gruppo per prestazione mai rese (Euro 17.662,82 a favore di (OMISSIS); Euro 371.853,60 a favore di (OMISSIS) s.r.l.; L. 50.000.000 a favore della (OMISSIS) s.r.l.), nonchè esposizione di passività inesistenti (quali finanziamenti soci mai effettuati) e bancarotta documentale (capo G); distrazione dell'azienda, affittata nel giorno della dichiarazione di fallimento a (OMISSIS) s.r.l. (capo G2). 3.6. Fallimento di (OMISSIS) s.r.l.: distrazione dell'immobile sito in (OMISSIS), mediante vendita - avvenuta il 29 marzo 2002 - alla (OMISSIS) ad un prezzo inferiore al costo di acquisto e della somma ricavata dalla vendita dell'immobile di cui sopra (Euro 400.000), rimborsata al socio C., che era anche legale rappresentante della società acquirente (capo H); distrazione di Euro 247.899 ottenuti quale rimborso I.V.A., di Euro 38.000 quale rimessa di (OMISSIS) s.p.a., di Euro 5.895 quale rimessa di (OMISSIS) (capo H2); bancarotta documentale (capo H3). 3.7. Fallimento di (OMISSIS) s.r.l.: distrazione del terreno sito a (OMISSIS), venduto pochi giorni prima della fusione in (OMISSIS) s.p.a. a (OMISSIS) s.r.l. (capo I). 3.8. Fallimento della (OMISSIS) s.r.l.: distrazione di un fabbricato e di un lotto di terreno, siti in (OMISSIS), destinando il prezzo della vendita (486.000) a rimborso di familiari dell'amministratore, non più soci (capo L); distrazione della somma di L. 480.000.000 ricevuta da (OMISSIS) per la vendita dell'immobile sito in (OMISSIS), destinandola a rimborso di finanziamenti mai effettuati dai soci (capo L4); distrazione, mediante trasferimento senza causa alla (OMISSIS) s.r.l., della somma di L. 350.000.000 ricavata dalla vendita alla (OMISSIS) s.r.l. del magazzino sito in (OMISSIS) (capo L5); bancarotta documentale (capo L6). 3.9. Fallimento (OMISSIS) s.r.l.: distrazione della somma di L. 160.000.000 (trasferita a (OMISSIS) s.r.l., per consentire all'amministratore di detta società di rimborsarsi un proprio credito), della somma di L. 450.000.000 e della somma L. 300.000.000 trasferite alle società (OMISSIS) s.p.a. ed E. s.r.l. (capo M). 3.10. Fallimento (OMISSIS) s.p.a.: distrazione di L. 5 miliardi ricevuti da (OMISSIS) (e trasferiti alla E. s.r.l.) e di Euro 731.488,12 trasferiti a C.G., nonchè esposizione di attività inesistenti per Euro 684.851,60 (inscritti in contabilità come credito nei confronti di (OMISSIS) s.r.l.), per L. 2.250.000.000 (iscritti in contabilità come acconti), per Euro 1.866.789,66 (iscritti in contabilità come crediti nei confronti di (OMISSIS)), per Euro 4.105.711,00: tutti cancellati dalla contabilità in occasione del condono tombale (capo N); bancarotta documentale (capo N1). 3.11. Fallimento E. s.r.l.: distrazione della somma di L. 2.950.000.000 trasferita senza causa a E.F., della somma di Euro 419.088,00 trasferita senza causa alla (OMISSIS) s.r.l., del credito di Euro 700.000 indebitamente cancellato dalle scritture contabili, nonchè esposizione di attività inesistenti per Euro 1.897.333,94 iscritti come crediti tra i "conti diversi" e poi cancellati dalle scritture in occasione del condono fiscale (capo O); bancarotta documentale (capo P). 3.12. Fallimento di E.F.: distrazione di un capannone, affittato immediatamente prima del fallimento alla (OMISSIS) s.r.l., anch'essa riconducibile alla famiglia E. (capo Q). 3.13. L'ultimo capo di imputazione (capo T) concerne, infine, l'appropriazione indebita della somma di Euro 300.000, appartenente alla (OMISSIS) s.r.l. (amministrata da P.E.G.) e versata, senza causa, a C.P.. La somma era stata corrisposta alla (OMISSIS) s.r.l. dalla (OMISSIS) s.r.l., in esecuzione di un contratto preliminare, e fu girata a C.P. in conto estinzione di un finanziamento che non era mai avvenuto. Il reato contestato è quello di cui all'art. 646 c.p.p., nn. 7 e 11. 4. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione E.F., E.S., C.A., C.P., C.M., E.V., Es.Vi., P.E.G., Ma.Gi., M.G., C.P. e C.G.. 5. L'Avv. F ha proposto ricorso per cassazione nell'interesse di E.F., affidando le proprie doglianze a sei motivi. 5.1. Il primo motivo lamenta carenza di motivazione perchè la Corte di appello non aveva preso in considerazione tutta la documentazione contabile della società, ivi compresa quella rinvenuta dopo la conclusione del giudizio di primo grado; per minimizzare la rilevanza a discarico della documentazione allegata alla consulenza della difesa, come aveva fatto, la Corte avrebbe dovuto acquisire l'intera messe di documenti, ivi compresi quelli di nuova emersione, ex art. 603 c.p.p., comma 2. 5.2. Il secondo motivo - basato su vizio di motivazione - concerne i reati di cui ai capi N) e O) e con esso si contesta che la cancellazione di poste attive e passive sulla base della L. n. 289 del 2002 sul condono fiscale avesse avuto un effetto sostanziale, non essendo rimasta pregiudicata la possibilità, ove i crediti fossero stati esigibili, attivare le opportune iniziative di recupero; inoltre, poichè i rapporti tra soci e società erano regolarmente descritti nelle scritture contabili, non vi era stata bancarotta documentale. Del reato di cui al capo O), E. non poteva rispondere, dal momento che era liquidatore della (OMISSIS), mentre tale reato riguardava le scritture della E. s.r.l., di cui il ricorrente non era amministratore, società che era stata incorporata per fusione nella prima e che non era mai stata dichiarata fallita. La conferma della condanna per il predetto reato era in contraddizione con l'assoluzione dell' E. - in primo grado - dalla bancarotta documentale concernente le scritture della società E. (capo P). 5.3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta che la Corte calabrese - nel confermare la condanna per le bancarotte di cui ai capi M) e O) - sarebbe incorsa in violazione di legge e vizio di motivazione, trattandosi di condotte relative a società mai dichiarate fallite (la (OMISSIS) s.r.l. e la E. s.r.l.). Queste ultime si erano fuse con la (OMISSIS) il 3 settembre 2003, nulla opponendo i creditori, ed il fallimento delle medesime - teoricamente possibile L. Fall., ex artt. 10 e 11 - non era stato dichiarato nel termine di un anno; ciò comportava l'impossibilità di ipotizzare reati fallimentari con riferimento alle società incorporate. In ordine al reato sub M), il ricorrente evidenzia che i finanziamenti restituiti erano effettivi, non integralmente già restituiti e resi necessari dall'attivazione del programma di sviluppo industriale ex L. n. 488 del 1992 e non per aumentare il capitale. 5.4. Il quarto motivo verte sulla bancarotta di cui al capo Q). Con esso si lamenta un'illogicità motivazionale perchè la Corte territoriale aveva ritenuto distrattiva la condotta dell'imputato concernente la locazione di un capannone nell'imminenza del fallimento della ditta individuale E.F., mentre tale capannone era stato facilmente recuperato dalla curatela dopo il fallimento personale del ricorrente. La pronunzia impugnata sarebbe poi contraddittoria, nella parte in cui la Corte di appello aveva assolto C.A. dallo stesso reato. 5.5. Il quinto motivo è relativo alla bancarotta documentale sub N1), di cui E. doveva rispondere quale liquidatore della (OMISSIS) La Corte di Catanzaro sarebbe incorsa in violazione di legge e vizio di motivazione perchè aveva ritenuto la documentazione carente e aveva confermato la condanna nonostante avesse ammesso che gran parte delle scritture erano state distrutte in un incendio e senza valutare quelle trovate nel dicembre 2014. 5.6. Il sesto motivo verte sugli stessi vizi, questa volta concernenti l'aumento per le aggravanti di cui alla L. Fall., art. 219, effettuato senza tenere conto che il fallimento della (OMISSIS) si era chiuso con un attivo di 10 milioni di euro, tanto che sarebbe stata applicabile la circostanza attenuante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 3. Era illegittimo il doppio aumento di pena per le aggravanti ex art. 219 ed ingiustificati il diniego delle circostanze attenuanti generiche e l'entità del trattamento sanzionatorio. 6. L'Avv. Francesco Saverio Fortuna ha proposto ricorso per cassazione anche nell'interesse di E.S.. 6.1. Il primo motivo ha ad oggetto la violazione di legge processuale in relazione all'art. 603 c.p.p. con riguardo all'acquisizione di tutte le scritture contabili della società, giacchè non vi era certezza che la Corte di appello avesse esaminato l'intera documentazione disponibile. Il Tribunale, infatti, aveva più volte respinto le richieste di acquisizione documentale avanzate dalla difesa nel corso del giudizio di primo grado, così ledendo il diritto di difesa ed impedendo la ricostruzione di vicende essenziali per la (OMISSIS) e le società del gruppo. La Corte distrettuale avrebbe dovuto, poi, acquisire la documentazione rinvenuta nel capannone della società (OMISSIS) dopo la sentenza di primo grado ed avrebbe dovuto disporre una perizia contabile. 6.2. Il secondo motivo - con argomentazioni comuni ad E.F. - si fonda su violazione di legge, legata sostanzialmente alla ritenuta sussistenza delle bancarotte contestate all'imputato nonostante le società (OMISSIS) ed E. s.r.l. fossero state incorporate nella (OMISSIS) e solo quest'ultima fosse stata dichiarata fallita. Il termine per dichiarare il fallimento delle società la cui attività fosse cessata era di un anno che doveva decorrere dal primo gennaio 2004, data di entrata in vigore del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 che aveva modificato gli artt. 2456 e 2495 c.c.. 6.3. Col terzo motivo - relativo ai reati di cui ai capi B n. 11), C), C3), O), N) - è dedotta la violazione della L. 27 dicembre 2002 n. 289, art. 14 perchè la Corte di appello basandosi sulla deposizione del teste di polizia giudiziaria G. e pur diversamente opinando il curatore - aveva erroneamente reputato che la cancellazione dei crediti per il condono tombale si risolvesse in un depauperamento della società, mentre l'eliminazione delle poste aveva riverberi solo sul piano fiscale, lasciando inalterati i crediti intragruppo, ove esistenti. 6.4. Il quarto motivo - formulato con riferimento ai reati di cui ai capi B), B1), B5), C1) - denunzia violazione di legge e vizio di motivazione perchè la Corte distrettuale aveva erroneamente ritenuto che i finanziamenti - la cui restituzione ai soci integrerebbe le bancarotte per distrazione contestate - fossero avvenuti tutti in conto aumento di capitale, mentre essi, anche quando appostati in funzione di un futuro aumento di capitale, erano destinati a creare le condizioni necessarie per ottenere il contributo pubblico ex L. n. 488 del 1992. In subordine, il ricorrente contesta la mancata derubricazione in bancarotta preferenziale. 6.5. Con il quinto motivo, E.S. lamenta violazione di legge quanto all'erronea qualificazione giuridica del fatto e violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza circa le bancarotte di cui ai capi B), B1), B5), C1); con riferimento alla ritenuta natura distrattiva dei rimborsi dei finanziamenti e dell'esposizione di passività inesistenti, le condotte corrispondono alla bancarotta da operazioni dolose di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), sicchè, da una parte, la relativa condanna presupponeva l'accertamento della rilevanza causale del fatto rispetto al dissesto nonchè la verifica della finalizzazione della condotta, dall'altra, la condanna era stata pronunziata per un fatto diverso da quello contestato. Quanto, in particolare, ai reati sub C) e C1), E.S. non era ancora amministratore quando le condotte distrattive erano state poste in essere. 6.6. Il sesto motivo verte sulle bancarotte documentali di cui ai capi B2), C2), H3), L6), P) e lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Le bancarotte relative alle società (OMISSIS), (OMISSIS) e E. s.r.l. non sarebbero ipotizzabili per la mancanza della dichiarazione di fallimento. Quelle relative alle società (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbero inconfigurabili perchè l'istruttoria dibattimentale aveva evidenziato che le scritture fornite avevano consentito la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari senza particolare diligenza. Le scritture contabili dovevano essere considerate nel loro complesso, come dedotto nel primo motivo di ricorso. In subordine, il ricorrente sollecitava la riqualificazione in bancarotta documentale semplice ovvero nel reato di cui alla L. Fall., art. 220 quanto al mancato deposito dei bilanci; 6.7. Il settimo motivo si concentra sulla presunta violazione di legge e vizio di motivazione, quanto al riconoscimento della circostanza aggravante del danno di rilevante gravità, da escludersi perchè le procedure concorsuali si erano concluse con la totale soddisfazione dei creditori privilegiati e diverse società presentavano un saldo attivo; il che, anzi, avrebbe dovuto condurre ad applicare la circostanza attenuante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 3. Il motivo censura anche la misura degli aumenti ex art. 81 c.p., comma 2, ritenuti ingiustificati. 6.8. L'ottavo ed ultimo motivo per E.S. riguarda il trattamento sanzionatorio, secondo il ricorrente affetto da vizio di motivazione e violazione di legge, avendo la Corte distrettuale giustificato sia la dosimetria della pena che la negazione delle circostanze attenuanti generiche solo sulla base della notevole gravità dei fatti, senza alcuna specificazione e senza alcuna considerazione della personalità dell'imputato. Deduce il ricorrente che manca l'individuazione del reato più grave da porre a base della continuazione. 7. L'Avv. Fortuna ha proposto ricorso anche nell'interesse di C.A.. 7.1. Il primo motivo riguarda la violazione di legge in relazione all'art. 34 c.p.p. perchè il Giudice dell'udienza preliminare che aveva rinviato a giudizio l'imputato era lo stesso magistrato che ne aveva dichiarato il fallimento personale; la Corte di appello, sul punto, aveva affermato che, quand'anche il Giudice versasse in una situazione di incompatibilità, ciò non incideva sulla sua capacità. A seguire, il ricorrente cita giurisprudenza in tema di incompatibilità del Giudice delegato al fallimento, affermando che, nel caso di specie, il giudice delegato aveva valutato i profili penali della vicenda, dal momento che aveva dichiarato il fallimento personale dopo due anni dal fallimento delle società del gruppo e mentre era in corso l'indagine penale. Il ricorrente si duole altresì dell'incompatibilità del Presidente del Collegio di appello. 7.2. Col secondo motivo il ricorrente C.A. ritorna sulla questione della documentazione e della perizia già oggetto di altri ricorsi. Vi sarebbe vizio di motivazione e violazione di legge perchè la Corte distrettuale non avrebbe valutato gli esiti della consulenza della difesa acquisita in appello ed avrebbe omesso di disporre perizia contabile; 7.3. Con il terzo motivo, che attiene ai capi C) e C1), il ricorso si concentra sulla violazione di legge e la mancanza e l'illogicità motivazionale non avendo, la Corte di appello, ritenuto meritevole di indagine il profilo della partecipazione materiale al fatto e del coefficiente soggettivo da parte del C.A.. La restituzione delle somme versate da quest'ultimo era stata presumibilmente decisa prima della modifica dell'art. 2626 c.c. (che non prevedeva la postergazione del credito del socio rispetto a quello del creditore). La memoria prodotta al Tribunale di Crotone vedeva allegata la documentazione comprovante le somme erogate a titolo di finanziamento. Non ricoprendo la qualifica di amministratore, l'imputato non aveva potuto appropriarsi di denaro della società e le restituzioni non avevano inciso sul capitale. Il ricorrente afferma essere indimostrato un suo contributo causale nelle false appostazioni relative all'esposizione di passività inesistenti ed ipotizza, poi, che le condotte a lui contestate debbano essere ricondotte a quelle di bancarotta L. Fall., ex art. 223, comma 2, n 1) o n. 2), con ciò che ne consegue in termini di elemento soggettivo e di nesso di causalità. Il ricorrente, infine, prospetta la riqualificazione nella fattispecie L. Fall., ex artt. 220 e 226 del reato di cui al capo C1). 7.4. La sentenza sarebbe altresì contrassegnata da violazione di legge quanto alla L. Fall., art. 219. La distrazione di soli 50.000,00 Euro non può integrare l'aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1. 7.5. Con il quinto motivo il ricorrente si lamenta del trattamento sanzionatorio e della negazione delle circostanze attenuanti generiche, profili asseritamente viziati in diritto. Dopo aver richiamato le critiche al ragionamento del Tribunale, il ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia risposto alle doglianze dell'appello sul punto, adottando una motivazione unica per tutti gli imputati, senza personalizzare il trattamento sanzionatorio. 8. Nell'interesse di Es.Vi. ha proposto ricorso sempre l'Avv. Francesco Saverio Fortuna, articolando dieci motivi. 8.1. Con il primo viene lamentata la violazione dell'art. 190 c.p.p. perchè la Corte di appello non avrebbe risposto direttamente alla censura relativa al mancato accoglimento, da parte del Tribunale di Crotone, delle richieste di accesso alla documentazione della procedura fallimentare avanzata dalla difesa il 28 gennaio ed il 30 novembre 2011, nonchè il 15 luglio 2013, la cui consultazione, per disposizioni interne della Cancelleria fallimentare del Tribunale crotonese, era inibita ai soggetti diversi dai creditori. Il Tribunale di Crotone, inoltre, non aveva ammesso altra produzione documentale (la relazione dei curatori nella parte in cui erano confrontate le poste attive e passive) della difesa perchè intempestiva; la Corte di merito si era trovata a valutare una prova documentale solo parzialmente formata. 8.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione di legge processuale in relazione all'art. 603 c.p.p., comma 2, perchè, nonostante l'acquisizione, da parte della Corte territoriale, della documentazione allegata alla memoria del consulente della difesa M.M., i giudici di merito non avrebbero effettuato una valutazione complessiva delle scritture contabili delle società in quanto la Corte non aveva assolto l'obbligo di acquisire l'intera documentazione ritrovata nel capannone (OMISSIS) e di disporre una perizia. 8.3. Con il terzo motivo viene lamentata una violazione di legge, quanto agli artt. 110 e 43 c.p. e L. Fall., artt. 216 e 223, perchè, confermando la condanna per i reati di cui ai capi B) e B1), la Corte di appello, pur avendo escluso che i finanziamenti dell'imputata nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l. fossero fittizi, aveva comunque ritenuto configurata la bancarotta di cui al capo B1) ed aveva erroneamente ritenuto che la loro restituzione fosse illegittima trattandosi di versamenti in conto capitale; i finanziamenti avevano lo scopo di consentire l'attuazione del piano industriale. Mancherebbe il dolo dell'extraneus, non essendo sufficiente la constatazione del rapporto di affinità con l'amministratore, ma essendo necessaria la consapevolezza del pregiudizio per il ceto creditorio. Quanto alla bancarotta sub L), la Corte di appello non aveva riservato cenni al contributo concorsuale dell'imputata ed aveva omesso di considerare che la (OMISSIS) non era fallita perchè incorporata nella (OMISSIS), la cui dichiarazione di fallimento non si estendeva alla società incorporata. Analoghe considerazioni la ricorrente riservava alla condanna per la bancarotta sub O), asserendo altresì che la E. era stata condannata perchè partecipe dell'associazione e che alcun rilievo proveniva dai sindaci. 8.4. Il quarto motivo è incentrato sulla violazione di legge penale con riferimento alla L. Fall., artt. 216 e 223 e art. 521 c.p.p. quanto alla condanna per il reato di cui al capo E) (società (OMISSIS)) perchè la Corte di appello aveva fornito una motivazione ai limiti della carenza grafica e non aveva tenuto conto, nel valutare l'omessa giustificazione circa la mancanza della somma che si assume distratta, delle carenze documentali esistenti. Era un errore ritenere che l'eliminazione contabile dei crediti tra le società del gruppo fosse qualificabile come distrazione. Quanto al reato di cui al capo E1), non era possibile qualificare come distrazione l'acquisto di quote di altra società di capitali. Le condotte predette dovrebbero essere ricondotte nel paradigma Fl. Fall., art. 223, comma, 2, n. 2), dal che discenderebbe una violazione dell'art. 521 c.p.p. e la necessità di dimostrare la finalizzazione delle condotta al dissesto. Il fallimento era dovuto all'improvvisa chiusura delle linee di credito della (OMISSIS) e non ad uno scompenso patrimoniale della società. 8.5. Il quinto motivo lamenta violazione di legge e travisamento della prova con riferimento alla bancarotta sub E2) perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che Es.Vi. non avesse articolato, sul punto, motivi di appello. 8.6. Il sesto motivo si concentra sulla conferma della condanna per la bancarotta documentale di cui al capo E6), ritenuta fondata su una motivazione apparente sia del Tribunale che della Corte di appello, ed è incentrato sia sulle scritture, che mancherebbero, sia sulla loro incidenza ostativa rispetto alle attività ricostruttive della curatela. Inoltre, non è dato sapere se la documentazione trovata nel capannone (OMISSIS) fosse idonea a colmare eventuali lacune. In via gradata, la ricorrente sollecita la derubricazione in bancarotta semplice. 8.7. Il settimo motivo verte su violazione di legge quanto alla L. 27 dicembre 2012, n. 282, art. 14 perchè il Tribunale di Crotone aveva sposato la tesi del maresciallo G. circa la natura distrattiva della cancellazione delle poste attive dalla contabilità mentre sull'acquisto di titoli di Stato il curatore ha riferito di non avere svolto alcun accertamento e comunque il loro modesto importo non poteva aver inciso sul dissesto accertato sei anni dopo. Il fatto doveva ritenersi riconducibile alla bancarotta societaria da operazioni dolose, necessitante di una particolare forma di dolo e dell'efficienza causale. La legge sul condono fiscale è diretta a consentire un risparmio fiscale, ma non la cancellazione effettiva di debiti o crediti. 8.8. L'ottavo motivo riguarda la distrazione dall'attivo patrimoniale della (OMISSIS) della somma incamerata con la vendita di un immobile della (OMISSIS), somma utilizzata per la restituzione dei finanziamenti soci (capo L); con esso si lamenta violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 10 perchè la somma incamerata non era mai entrata nel patrimonio della fallita (OMISSIS), in quanto a vendere era stata la società (OMISSIS) e la vendita, come il rimborso soci, erano avvenuti prima della fusione per incorporazione. Inoltre la ricorrente contesta che alcuna condotta distrattiva possa dirsi commessa in quanto la (OMISSIS) non era stata dichiarata fallita entro un anno dalla fusione. 8.9. Il nono motivo verte sull'apoditticità della motivazione del Tribunale e sull'assenza di motivazione della Corte di appello quanto alla conferma del riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui alla L. Fall., art. 219. La (OMISSIS) aveva concluso la liquidazione con un rilevante saldo attivo il che doveva incidere sull'aggravante del danno di rilevante gravità; quanto alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 2), la parte deduce che le diverse condotte si riferivano alle percezioni di rimborsi. In via gradata la ricorrente chiede qualificarsi il fatto come di speciale tenuità. 8.10. La Corte di appello - e veniamo al decimo motivo di ricorso - avrebbe offerto una motivazione carente ed illogica e sarebbe incorsa in un errore di diritto quanto alla misura della pena ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di merito aveva fondato le proprie valutazioni su presunte condotte mistificatorie dei ricorrenti; in particolare, le circostanze attenuanti generiche erano state negate con formula di stile e la pena, nonostante fosse stata fissata in misura ben superiore al minimo, non era supportata da un'adeguata motivazione. 9. E.V. ha proposto ricorso a mezzo dell'Avv. Luigi Greco. 9.1. Con il primo motivo, la ricorrente si duole della mancanza, manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e del travisamento della prova quanto alla bancarotta della (OMISSIS) s.r.l., in relazione alla quale E.V. rispondeva quale socio che aveva beneficiato della restituzione di un finanziamento (capo E2), perchè la Corte distrettuale aveva motivato per relationem, senza dare un'effettiva risposta ai motivi di appello. L'affermazione di responsabilità si era basata non già sulle dichiarazioni del curatore - che non aveva offerto dati specifici sulla società in discorso - ma sulla deposizione del teste di polizia giudiziaria Maresciallo G.. 9.2. Il secondo motivo verte su violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla conferma della condanna per la bancarotta di cui al capo L), concernente la bancarotta della (OMISSIS) s.r.l. In questo caso a E. è addebitata la restituzione indebita di un finanziamento, da lei effettuato come ex socia. La ricorrente, ad illustrazione del motivo, ha richiamato i motivi di appello ed ha trascritto la motivazione della Corte di appello sul punto, dolendosi dell'apparenza della motivazione, dal momento che si erano travalicati i limiti della motivazione per relationem. 9.3. Il terzo motivo si sofferma sulla bancarotta di cui al capo O) (relativa alla società E. s.r.l. di cui la E. era socia e componente del consiglio di amministrazione), per lamentare vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla sua partecipazione all'illecito nella qualità rivestita. La Corte di appello si era richiamata per relationem alla sentenza del Tribunale riassunta nel ricorso - che si reputa generica, denunziando la differente regola di giudizio applicata per altri coimputati. 9.4. Il quarto motivo (lamentando nullità ex art. 178 c.p.p., lett. C), art. 604 c.p.p., comma 4) verte su violazione di legge processuale relativa all'art. 190 c.p.p. e art. 6 CEDU, rispetto alla reiezione dell'eccezione di nullità formulata dinanzi alla Corte di appello con riferimento all'ordinanza del Tribunale con la quale si erano rigettate le richieste di acquisire e visionare atti della procedura fallimentare, nonostante non vi fossero rischi di scadenza termini di misura cautelare ovvero di prescrizione. I numerosissimi documenti inventariati dal curatore L. ovvero quelli ritrovati presso il capannone della (OMISSIS) s.r.l. a dieci giorni dalla scadenza dei termini per proporre appello avrebbero costituito un valido supporto documentale per affrontare il dibattimento. 9.5. Con il quinto motivo viene lamentata la violazione degli artt. 133 e 62-bis c.p. e un vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, reputando illogica la motivazione data circa la commisurazione della pena e la negazione delle circostanze attenuanti generiche. 10. L'Avv. Giovanni Staglianò ha proposto ricorso nell'interesse di C.A., E.V. e P.E.G. articolando un unico, lungo motivo. Il ricorso muove dalla mancata riapertura dell'istruttoria dibattimentale, con l'audizione dei curatori e l'espletamento di perizia, a seguito dei dati acquisiti attraverso la consulenza di parte delle difese. La Corte di appello aveva deciso sulla base di convinzioni personali e senza valutare correttamente la documentazione. La mancanza della documentazione ha comportato violazione del diritto di difesa e pertanto questa Corte dovrebbe annullare il decreto di rinvio a giudizio, la sentenza di primo grado e quella di appello. Non era possibile sostenere l'esistenza di collegamenti tra le varie società e le varie operazioni, data l'assoluzione per il reato associativo e non potendosi, come invece aveva fatto la Corte di appello, dare rilievo all'appartenenza degli imputati al medesimo nucleo familiare. L'assoluzione per l'associazione per delinquere aveva inciso sulle altre contestazioni, perchè delle bancarotte potevano essere chiamati a rispondere solo gli amministratori e non i soci. La Corte distrettuale aveva taciuto, nonostante le sollecitazioni degli imputati, sul se i conferimenti dei soci fossero stati effettivamente versati oppure se essi fossero simulati, facendo impropriamente riferimento alla provenienza delle somme, mentre il fulcro avrebbe dovuto essere quello dell'effettivo versamento, peraltro avvenuto a mezzo di assegni circolari e bonifici bancari, documentati fin dal primo grado, con documentazione ignorata dai giudici di merito, oltre che con la consulenza prodotta in appello. L'effettività dei versamenti era provata anche dai beni afferenti a ciascuna società con essi acquistati, verificati dalla banca delegata dal Ministero erogante i contributi ex L. 488 ed acquisiti dalle curatele. I finanziamenti costituivano un debito della società verso i soci che doveva essere onorato. L'intera operazione, a dispetto di quanto ritenuto dai giudici di appello, aveva determinato un incremento del 25% del capitale sociale ed un arricchimento delle società, che si erano dotate delle strutture e dei macchinari acquistati con il denaro del finanziamento. Dopo questa parte iniziale, il ricorso si concentra sulle posizioni dei singoli ricorrenti. 10.1. Quanto al C.A. ed ai capi C) e C1) (fallimento (OMISSIS) s.r.l.), di cui è stato ritenuto responsabile, il ricorso puntualizza che egli, a fronte di un finanziamento di 1.379.400.000 euro, aveva avuto in restituzione solo 25.000,00 Euro, come attestato anche dalla Corte di appello. Che le somme utilizzate per i finanziamenti alla società provenissero da prestiti del suocero E.F. e della moglie, la cui provvista derivava dalle restituzioni di somme anticipate ad altre società, non rileva. La società era uscita arricchita dall'operazione, riverberandosi positivamente tale arricchimento sugli interessi dei creditori fallimentari. La Corte di appello aveva omesso di motivare circa la fittizietà dei finanziamenti e l'arricchimento per la società che era derivato all'esito della procedura ex L. n. 488, non valutando adeguatamente la documentazione allegata alla consulenza della difesa. Quanto al reato di cui al capo C), la Corte di appello non aveva motivato circa il coinvolgimento del C.A., ancorchè mero socio della (OMISSIS), nelle restituzioni agli altri soci; quanto alla restituzione dei 50 milioni di lire, essa non aveva potuto incidere sul dissesto della (OMISSIS). La pena era enorme così come era ingiustificata la valutazione negativa della sua personalità nonostante le plurime assoluzioni. Il dolo non sarebbe sussistente perchè egli non aveva alcun interesse a provocare il fallimento, dato che, con quest'ultimo, aveva perso il suo rilevante credito. L'aggravante del danno di rilevante gravità era insussistente trattandosi di una contestazione avente ad oggetto 25.000 euro mentre la mancata contestazione di altri reati lasciava escludere l'aggravante L. Fall., ex art. 219, comma. 2, n. 1). 10.2. Con riferimento ad P.E.G., il ricorso rimarca che la sanzione irrogatagli era eccessivamente severa, a dispetto della condanna per il solo reato di cui all'art. 646 c.p.. Il ricorrente si duole anche della violazione dell'art. 521 c.p.p. perchè, dopo che già il Tribunale aveva rilevato delle differenze tra fatto accertato e fatto contestato, la Corte distrettuale aveva ritenuto il reato commesso a danno di una diversa persona offesa ed in una data differente. Quest'ultima circostanza era rilevante quale vulnus al diritto di difesa perchè vi era stata una postdatazione che aveva inciso sulle aspettative di prescrizione dell'imputato, che avevano inevitabilmente condizionato l'articolazione della linea difensiva. Il ricorrente censura, infine, l'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11), non applicabile quando il reato sia stato commesso, ai danni di una società, dal suo amministratore; l'esclusione di tale aggravante inciderebbe sulla procedibilità del reato, giacchè mancava la querela. 10.3. Per la posizione di E.V., la difesa lamenta che la Corte distrettuale non avesse motivato circa il coinvolgimento della donna nella commissione della distrazione di cui al capo E2), non rivestendo la qualità di amministratrice e non essendovi - come emerso nell'istruttoria - prova dell'operazione. Nella sentenza impugnata, poi, si è affermato che la E. fosse la beneficiaria della distrazione, ad onta della mancata indicazione di tale circostanza nel capo di imputazione. La sentenza era, infine, frutto di una forzatura giuridica perchè le contestazioni sub L) e O) riguardavano le società (OMISSIS) e E. s.r.l., che non erano state dichiarate fallite, problema superato dalla Corte di appello in nome di un disegno criminoso unitario che, con l'assoluzione per il reato associativo, era venuta meno. 11. Nell'interesse di P.E.G. ha proposto ricorso per cassazione anche l'Avv. Mario Nigro. L'unico motivo verte sulla violazione di legge e sul vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte calabrese perchè, nonostante l'assoluzione per il reato di cui alla L. Fall., art. 216 (capo Q) e la conferma della condanna solo per l'appropriazione indebita (capo T), la pena era stata rideterminata erroneamente, scorporando la pena irrogata in aumento per il reato ex art. 646 c.p. e lasciando immutata la pena base, nonostante fosse proprio questo il reato superstite e vi fosse stata assoluzione per il più grave reato di cui al capo Q). 12. Il 26 aprile 2018, l'Avv. Fortuna nell'interesse di E.F., Es.Vi., E.S. e C.A. ha depositato una memoria. La memoria affronta vari aspetti della res iudicanda. Essa si sofferma sulla legittimità delle restituzioni dei finanziamenti erogati dai soci alle società, ribadendo che essi erano stati effettivi, che erano serviti per ottenere finanziamenti pubblici ex L. n. 488 del 1992 e che non erano stati restituiti ai soci in una fase in cui le imprese erano in dissesto, sostenendo la tesi che quest'ultimo non sussistesse e che non già di bancarotta distrattiva si tratti, ma di bancarotta preferenziale ovvero di bancarotta impropria da operazioni dolose. I ricorrenti ritornano, poi, sulla questione della rilevanza a discarico della mancata dichiarazione di fallimento delle società incorporate nella (OMISSIS), rimarcando che, al momento dell'incorporazione, dette società non versavano in una situazione di dissesto. La memoria verte, ancora, sulla contestata natura distrattiva delle operazioni relative al condono fiscale. La memoria affronta altresì il tema delle bancarotte documentali, escludendo che ne possano rispondere gli amministratori della società incorporate nella (OMISSIS) e non fallite e, quanto a quelle fallite, evidenzia che il curatore della (OMISSIS) non aveva segnalato particolari difficoltà ricostruttive, che una parte della documentazione era andata distrutta in un incendio e che i giudici di merito non avevano esaminato la totalità della documentazione contenuta nei faldoni rinvenuti nel capannone (OMISSIS).; in subordine il reato poteva essere riqualificato in bancarotta semplice. In ultimo la memoria lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e l'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. fall., art. 219, comma 1. 13. Anche nell'interesse di E.V., il 24 aprile 2018, è stata presentata una memoria a firma dell'Avv. Elisabetta Manoni. Con detta memoria, in primo luogo, la ricorrente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge, concentrandosi sull'incidenza a discarico della mancata dichiarazione di fallimento delle società (OMISSIS) ed E. s.r.l. incorporate nella (OMISSIS), dell'avvenuta fusione delle incorporate e nella riforma del D.Lgs. n. 6 del 2003 quanto alla natura ed alle conseguenze della fusione; la memoria non manca, richiamando la sentenza Corvetta di questa sezione, di rimarcare la rilevanza sul nesso di causalità tra la condotta ascritta alla E. rispetto alle società incorporate ed il successivo fallimento della incorporante (OMISSIS) e sull'elemento soggettivo della dichiarazione di fallimento e comunque la necessità di un pregiudizio per i creditori, nel caso di specie assente, dato che i creditori non si erano opposti al progetto di fusione e data la dimensione dell'attivo della (OMISSIS), ben superiore rispetto al passivo. In secondo luogo, la memoria lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, fondata sul comportamento processuale dell'imputata. In terzo luogo, la memoria critica il trattamento sanzionatorio, sub specie, del doppio aumento, sia L. Fall., ex art. 219, comma 2, n. 1), sia ex art. 81 c.p., comma 2, ed al quantum dell'aumento per gli aumenti per i reati satellite. 14. L'Avv. Mario Nigro nell'interesse di C.M. ha affidato il ricorso ad un unico motivo. Con esso si lamenta vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale avrebbe formulato - nel confermare la condanna per la bancarotta sub I), relativa alle vicende della (OMISSIS), incorporata nella (OMISSIS) - considerazioni peculiari del reato di cui all'art. 416 c.p., ancorchè, per detta fattispecie, la ricorrente fosse stata assolta dal Tribunale e non vi fosse stata impugnazione del pubblico ministero. Nel ricorso è menzionata altresì la mancata declaratoria di fallimento e l'errata valutazione della sussistenza dell'elemento soggettivo ed oggettivo del reato di bancarotta in capo alla C.M., da valutarsi tenendo conto della sua qualità di estranea al reato. Altra doglianza attiene al trattamento sanzionatorio ed alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, reputati sostanzialmente immotivati. 15. L'Avv. Luigi Greco ha proposto ricorso nell'interesse di Ma.Gi.. 15.1. Il primo motivo - incentrato sui capi E4) ed E6) - verte sulla carenza assoluta ed illogicità della motivazione in quanto l'imputato era stato amministratore della (OMISSIS) s.r.l. per soli 40 giorni prima del fallimento e, quando stipulò il contratto di affitto di azienda con la società (OMISSIS), lo fece nel rispetto di quanto previsto dalla L. n. 488 del 1992, senza sapere del fallimento che sarebbe stato dichiarato di lì a poco, come dimostrato dal silenzio dei testi sul punto. La Corte di appello non aveva dato contezza della sussistenza dell'elemento soggettivo. Quanto alla bancarotta documentale di cui al capo E4), la Corte di appello aveva attribuito apoditticamente all'imputato una condotta positiva di frode rispetto alle scritture contabili. 15.2. Carenza assoluta di motivazione, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto ai reati di cui ai capi F) e F2) (relativi alla società (OMISSIS) s.r.l.) sono alla base del secondo motivo di ricorso. Quanto alla cessione dell'immobile di via (OMISSIS), essa era avvenuta il 21 gennaio 2004, prima che, il 30 gennaio successivo, il Ca. diventasse amministratore della (OMISSIS); la vendita dell'immobile di Crotone non fu sottostimata considerato che si trattava di cespite abusivo e non abitabile; la cessione di ramo di azienda era avvenuta a prezzo congruo giacchè la (OMISSIS) era, alla data dell'ultimo bilancio chiuso prima dell'atto, in forte perdita. In ordine alla bancarotta documentale di cui al capo F2), l'ampiezza temporale della contestazione non tiene conto del fatto che Ca. divenne amministratore solo il 30 gennaio 2004. 15.3. Il terzo motivo è incentrato sul vizio di motivazione della sentenza quanto alle bancarotte di cui ai capi G) e G2), relative al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. La responsabilità del Ca., quale amministratore dal 30 gennaio 2004 della (OMISSIS) s.r.l., sarebbe riferibile solo alla restituzione a C.G. della somma di Euro 866.434,00 avvenuta il 5 ottobre 2004, operazione che era ineccepibile perchè l'imputato non fece altro che attuare la volontà dei soci. Sul punto la motivazione della Corte territoriale sarebbe omessa. Quanto alla bancarotta sub G2), il ricorrente si è riportato alle considerazioni fatte per il capo E4). 15.4. Il quarto motivo verte sull'asserito error iuris in cui la Corte calabrese sarebbe incorsa rispetto agli artt. 133 e 62-bis c.p. oltre che sul vizio di motivazione. Ca. avrebbe subito un trattamento sanzionatorio - anche con riferimento alla negazione delle circostanze attenuanti generiche - eccessivamente sproporzionato rispetto ai reati a lui ascritti, assimilato a quello di coimputati più gravati, data la sua limitata partecipazione ai fatti. 16. M.G. ha impugnato la sentenza a mezzo del difensore di fiducia Avv. Romualdo Truncè. 16.1. Il primo motivo lamenta violazione di legge ed inesistenza della motivazione quanto ai capi F) e G). Quanto alla bancarotta sub F) (relativa alla (OMISSIS) s.r.l.), la Corte di appello aveva omesso di dare riscontro motivazionale alle dettagliate doglianze contenute nei motivi di appello circa la congruità del prezzo delle vendite asseritamente distrattive tra la (OMISSIS) e la società (OMISSIS) s.r.l., di cui M.G. era socio al 50%. Non solo: la Corte di appello avrebbe bypassato la questione della congruità del prezzo, perchè avrebbe individuato il profilo di responsabilità nella restituzione, successiva all'ingresso delle somme nel patrimonio della (OMISSIS), al socio di quest'ultima C., apoditticamente affermando che il ricorrente doveva essere a conoscenza dei predetti propositi delittuosi coltivati nella (OMISSIS) siccome amministratore della s.r.l. (OMISSIS), con cui la prima società aveva intrattenuto rapporti economici esclusivi. 16.2. Il secondo motivo verte sulla bancarotta sub G) (bancarotta (OMISSIS) s.r.l.) e sulla violazione di legge che caratterizzerebbe la sentenza impugnata perchè la restituzione del finanziamento soci - che si assume indebita - era invece legittima, giacchè M.G. aveva effettivamente finanziato la società (OMISSIS) che, per accedere alle agevolazioni ex L. n. 488 del 1992 e non potendo ricorrere al credito bancario perchè di nuova creazione, aveva dovuto attingere alle disponibilità dei soci. La restituzione di finanziamenti ai soci non amministratori - sostiene il ricorrente - integra la bancarotta preferenziale e non quella per distrazione. 16.3. Il terzo motivo riguarda la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, dal momento che aveva adottato una motivazione omnibus relativa a tutti i coimputati, non valorizzando la limitata partecipazione del ricorrente, peraltro assolto, sia in primo che in secondo grado, da molte imputazioni. 17. Nell'interesse di C.G. hanno presentato ricorso gli Avvocati Marcello Gallo e Guido Camera. 17.1. Con il primo motivo viene lamentata la violazione di plurime norme di legge ordinaria e convenzionale per il fatto che fino alla "celebrazione dell'udienza preliminare" la difesa dell'imputato non aveva avuto accesso alla documentazione societaria (in possesso delle curatele fallimentari), con la conseguenza che era stato impedito il dispiegarsi di una compiuta difesa, anche in ordine alla scelta del rito. Viene aggiunto che solo nella fase conclusiva del dibattimento, all'udienza del 26 settembre 2013, il Tribunale aveva riconosciuto "la sussistenza del diritto difensivo ad ottenere dette prove". Senonchè, l'effettiva consegna della documentazione richiesta avvenne - peraltro parzialmente - solo due mesi dopo l'ordinanza del Tribunale (il 6 novembre 2013), in epoca, cioè, successiva al controesame dei testi del Pubblico Ministero, all'esame dell'imputato e del consulente di parte, dr. B., con la conseguenza che fu impedito a quest'ultimo di esporre un compiuto e documentato parere. A ciò si aggiunge il fatto che "buona parte della documentazione inventariata con verbale del 28 aprile 2004 e segg. presso la sede di (OMISSIS) s.p.a." non fu consegnata alla difesa prima della presentazione dell'atto d'appello. Questo fatto, viene detto, aveva comportato, contrariamente all'opinione del giudice d'appello, la nullità della sentenza di primo grado per violazione della regola del "giusto processo". Ne è prova il fatto che la Corte d'appello abbia, poi, contraddittoriamente, disposto la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante l'espletamento di perizia sulla "documentazione rinvenuta dopo il giudizio di primo grado" (documentazione rinvenuta presso il capannone della (OMISSIS) s.r.l., relativa a ben 65 delle 95 voci dell'inventario effettuato nel 2004 dal dr. L.). In relazione al motivo suddetto i difensori dell'imputato hanno poi presentato, in data 24 aprile 2018, memoria difensiva, deducendo di aver chiesto al giudice d'appello l'espletamento di perizia volta a determinare, tra l'altro, "l'esistenza e la correttezza dei finanziamenti realmente corrisposti dai soci" in occasione delle procedure di finanziamento attivate ex L. n. 488 del 1992 e ad accertare se gli importi successivamente ad essi restituiti "fossero identici a quelli dagli stessi prestati a titolo di anticipazione", nonchè di accertare l'incidenza della condotta tenuta dalla (OMISSIS) - in occasione della presentazione di un piano di ristrutturazione del debito presentato all'istituto suddetto dal "gruppo E." a maggio 2003 -" ai fini dello stato di presunta decozione delle società, nonchè delle ragioni dei fallimenti". Lamentano, al riguardo, che la Corte d'appello si sia limitata a disporre una parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, "che è compendiata nella relazione tecnica a firma del dr. M.M., prodotta all'udienza dell'11 febbraio 2016", sebbene alcuni passaggi contenuti nella stessa sentenza d'appello (vengono citati passi della sentenza contenuti nelle pagg. 57 e 65) fossero dimostrativi della necessità di procedere a perizia su tutta la documentazione rinvenuta e non solo su quella che "il poco tempo a disposizione ha concesso alla difesa", perchè solo in tal modo sarebbe stato possibile ricostruire "l'effettiva circolazione dei flussi finanziari che avevano sostenuto l'iniziativa industriale". 17.2. Il secondo motivo verte su un difetto motivazionale e su un errore di diritto della sentenza di appello quanto alla conferma della condanna per i reati di cui ai capi B), B1), C), C1), G), N) perchè la sentenza aveva del tutto omesso di spiegare la ragione per cui, al momento dei rimborsi, ci fosse lesione o pericolo di lesione per gli interessi dei creditori. Il ricorrente ricorda che l'unico creditore era la (OMISSIS) e che, nonostante i controlli svolti in occasione dell'erogazione dei finanziamenti ex L. n. 488 del 1992, l'istituto di credito aveva continuato a concedere fiducia alle aziende del gruppo E., essendo garantito dall'importante patrimonializzazione della società, dalle garanzie personali richieste alle persone fisiche e dagli interessi riscossi dall'istituto di credito. La sentenza impugnata aveva invece ritenuto che ogni depauperamento del patrimonio sociale costituisse distrazione; nel caso di specie non vi era stata concreta incidenza sulla consistenza patrimoniale, sicchè ritenere la responsabilità per bancarotta significherebbe ancorarla al solo dato oggettivo del fallimento. Sul tema dei finanziamenti, la Corte di appello era stata contraddittoria perchè aveva messo in discussione l'effettività degli essi, sia in base alla ritenuta autoreferenzialità della documentazione sopravvenuta sia perchè le ricostruzioni documentali avevano accertato la provvista di detti versamenti sulla base dell'esame dei conti delle società e dei soci, tutti movimentati per identico importo nella stessa giornata. La documentazione, al contrario, non era autoreferenziale perchè proveniente da quella inventariata nel 2004 dal curatore L. e perchè, dalla stessa, si era ricostruito che E.F. aveva, negli anni 1995/96, una disponibilità di 24 miliardi di lire integralmente immesse nelle società attraverso i finanziamenti soci. 17.3. Il terzo motivo attiene all'assoluta carenza di motivazione in relazione alla bancarotta patrimoniale per il reato di cui al capo E2). Nonostante i dettagliati motivi di appello, la Corte di merito non aveva scritto nulla. 17.4. Il quarto motivo lamenta vizio di motivazione in relazione alla condanna per bancarotta patrimoniale di cui ai capi F) e Fl) (relativi alla società (OMISSIS)). La conferma della sentenza quanto alla vendita dell'immobile di via (OMISSIS) ometteva di considerare che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che il valore attribuitogli di 700.000 Euro era frutto di un'errata lettura dell'incarto relativo al piano di ristrutturazione concluso con (OMISSIS), mentre l'immobile aveva un valore di realizzo oscillante tra i 350.000 e 400.000 Euro. Inoltre la Corte distrettuale aveva omesso di considerare che la vendita dell'immobile era stata fatta nella consapevolezza del creditore (OMISSIS), che aveva incentivato l'operazione ed aveva mantenuto la garanzia su di esso. La sentenza sarebbe mal motivata anche quanto al reato sub F1) perchè si limita a richiamare per relationem la motivazione relativa al reato di cui al capo E1) che però non può riguardare C., assolto per quella fattispecie; non solo: la somma di Euro 1.690.000 non era uscita dal patrimonio della (OMISSIS) ma da quello della (OMISSIS) tanto che erano stati condannati per distrazione gli amministratori di quest'ultima. 17.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge perchè non aveva trovato seguito, dinanzi alla Corte distrettuale, la tesi secondo cui non poteva essere confermata la responsabilità quanto alle condotte bancarottiere relative alle società (OMISSIS) e (OMISSIS) (capi H), H2), H3), M) perchè esse non erano mai state dichiarate fallite; era inammissibile un'interpretazione estensiva in malam partem della norma in materia di bancarotta. La società incorporante subentra a titolo universale nei diritti e nelle obbligazioni dell'incorporata e va valutata l'attività gestoria degli amministratori della incorporante in termini di sottovalutazione del rischio della fusione. Il motivo è stato ulteriormente illustrato con memoria del 24 aprile 2018, ove è stato sottolineato che l'incorporazione delle società (OMISSIS) e (OMISSIS) in (OMISSIS) s.p.a. era stata effettiva e che con l'incorporazione le imprese incorporate avevano effettivamente cessato l'attività. E' stato inoltre dedotto, con la medesima memoria, in riferimento alla distrazione di cui al capo H), che il trasferimento materiale della somma ottenuta dalla vendita dell'immobile di proprietà di (OMISSIS) avvenne il 2 settembre 2002, e quindi ben prima della fusione tra le società; con riferimento alla bancarotta documentale, di cui al capo H3, che C. non era più amministratore della (OMISSIS) allorchè fu approvato il bilancio del 2001; con riferimento al capo M), che la responsabilità dell'imputato per l'indebito rimborso del 16 giugno 2000 è stata fatta discendere - illogicamente - dalla sua qualità di segretario dell'adunanza del 30 giugno 2001 di (OMISSIS). 17.6. Il sesto motivo riguarda presunti vizi in diritto e di natura motivazionale quanto alla conferma delle condanne per i reati di bancarotta documentale di cui ai capi C2), F2), G), H3), N). A parte la questione della mancanza della dichiarazione di fallimento quanto alla società (OMISSIS), per le bancarotte relative alla società (OMISSIS) e (OMISSIS) (capi B2 e C2), la Corte distrettuale aveva trascurato di considerare che, al momento del condono tombale, l'imputato si era dimesso dall'organo direttivo; la Corte aveva altresì mancato di dare risposta alle doglianze secondo cui l'adesione al condono non determinava una cancellazione delle registrazioni contabili a monte, salvaguardando la possibilità di ricostruire il patrimonio. Quanto all'elemento soggettivo, i giudici di appello avevano mancato di considerare che, all'epoca delle operazioni di finanziamento e rimborso incriminate, l'allora amministratore C. sapesse già che il legislatore avrebbe previsto la possibilità di rettificare il bilancio a fini di condono. La motivazione era contraddittoria se rapportata alle ripetute affermazioni presenti nella sentenza di appello circa il fatto che la documentazione societaria aveva consentito di ricostruire puntualmente le movimentazioni societarie e finanziarie di ciascuna società, evenienza confermata dalla velocità con cui il curatore aveva effettuato le operazioni di sua competenza. Sul capo F2) non vi sarebbe motivazione ed anche per il capo G) mancherebbe la risposta ai motivi di appello. Una cosa è la mancata approvazione del bilancio altra è la non corretta tenuta delle scritture contabili. 17.7. Il settimo motivo verte sulla violazione dell'art. 521 c.p.p. e si ricollega al motivo sub 2. circa la modifica della contestazione fatta dal Tribunale di Crotone quanto ai finanziamenti ritenuti, contrariamente alla contestazione, effettivamente avvenuti, ma effettuati in conto capitale. Altro profilo di difformità rilevante ex art. 521 c.p.p. riguarderebbe i capi di imputazione in cui C. era imputato nella veste di amministratore di fatto ed è poi stato condannato come concorrente esterno. 17.8. L'ottavo motivo verte sulla mancata assunzione di prova decisiva quanto ad otto relazioni depositate nella Cancelleria della sezione fallimentare di Crotone il 20 novembre 2003 dai curatori fallimentari delle società (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello aveva sbrigativamente liquidato le doglianze circa la mancata acquisizione di documentazione come una scelta istruttoria del Tribunale. La Corte distrettuale aveva errato perchè avrebbe dovuto decidere sull'ammissione della prova secondo i parametri di cui all'art. 190 c.p.p., fornendo adeguata motivazione: nel ricorso si enunciano le ragioni per le quali le relazioni in discorso sarebbero state decisive per risolvere il thema decidendum. 17.9. Il nono motivo vede una censura di violazione di legge quanto agli artt. 133 e 62-bis c.p. e di vizio di motivazione. Era inaccettabile che la Corte di appello avesse valutato in chiave negativa il comportamento processuale degli imputati ritenuto di matrice sostanzialmente mistificatoria quando la documentazione offerta dal C. era stata esaminata ed estratta in copia dal consulente tecnico dell'imputato in contraddittorio con i curatori delle fallite. La motivazione sarebbe illogica nella parte in cui ha ritenuto "superflua la ricorrenza delle circostanze aggravanti ritenute dal Tribunale" mentre per esse il Tribunale aveva operato un aumento di un anno e otto mesi e di dieci mesi. La motivazione era mancante quanto agli aumenti operati per i reati in continuazione ed alle ragioni del riconoscimento della circostanza aggravante del danno di rilevante entità nonostante la concessione di un pegno di 5.100.000 euro escusso da (OMISSIS) nonchè la concessione di una serie di ipoteche e garanzie personali. Con "motivi nuovi" depositati in data 24 aprile 2018 i difensori dell'imputato insistono, ulteriormente illustrando le ragioni del ricorso, sulla errata applicazione della L. Fall., art. 219 (aggravante del danno di rilevante gravità) e sull'immotivato diniego delle attenuanti generiche. Rinnovano le doglianze sulla erronea applicazione della "continuazione fallimentare" di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1. 18. L'Avv. Francesco Verri nell'interesse di C.P., ha articolato tre motivi. 18.1. Con il primo ha dedotto violazione di legge in relazione all'art. 646 c.p. perchè la ritenuta valenza penale della sua condotta sarebbe del tutto inconciliabile con i principi e le norme che regolano il rapporto tra socio e la società, dal momento che C. aveva legittimamente percepito denaro dalla società a titolo di utili, rinvenienti all'incasso della caparra percepita da (OMISSIS) s.r.l. e da altre vantaggiose operazioni. 18.2. Con il secondo, il ricorrente si duole della motivazione apparente fornita dalla Corte di appello su uno specifico motivo di ricorso attinente al diritto del socio alla percezione degli utili anzidetti, motivazione in cui si era limitata a recepire acriticamente il ragionamento del Tribunale. 18.3. Con il terzo motivo, ci si duole di violazione dell'art. 521 c.p.p. e di contraddittorietà della motivazione quanto alla relativa doglianza, già formulata in appello perchè, ad onta della contestata appropriazione indebita ai danni della (OMISSIS) s.r.l., il Tribunale aveva condannato il ricorrente per il medesimo titolo di reato, ma commesso nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. e relativo al differente profilo dell'appropriazione di somme della società da parte del socio di quest'ultima; la contraddittorietà risiederebbe nel fatto che la Corte distrettuale aveva prima affermato che i due fatti avevano connotati parzialmente diversi e poi che il fatto era identico. CONSIDERATO IN DIRITTO 19. I ricorsi, ad eccezione di quello di E.F., sono parzialmente fondati. La complessità e molteplicità delle questioni poste dai ricorrenti, oltre che la loro riproposizione da parte di ciascun interessato, impone una suddivisione della motivazione in sezioni. Pertanto, saranno prima trattate le questioni di carattere generale, comuni a più imputati e/o a più reati, per poi passare, in sezioni separate, alle bancarotte patrimoniali ed a quelle documentali - suddivise per società, fino all'appropriazione indebita di cui al capo T) ed alle questioni concernenti il trattamento sanzionatorio e le spese. A) Questioni di carattere generale. 20. Le censure circa la mancata acquisizione documentale in primo ed in secondo grado. Gli imputati E.F., E.S., C.A., Es.Vi., C.G., E.V. nonchè l'Avv. Staglianò (nella parte iniziale del suo ricorso presentato nell'interesse di C.A., E.V. e P.) hanno formulato doglianze, solo in parte sovrapponibili, che - a volerne operare una catalogazione di massima - attengono al tema del diritto alla prova. In particolare, schematizzando doglianze non sempre strutturate in termini omogenei nè chiari, sembra potersi affermare che i profili su cui questa Corte è stata chiamata a pronunziarsi siano tre. In primo luogo, i ricorrenti lamentano il mancato rilascio di copia degli atti da parte della Cancelleria fallimentare e/o la mancata o ritardata acquisizione, da parte - sembrerebbe - del Giudice dell'udienza preliminare prima e del Tribunale poi, di documentazione contabile relativa alle società fallite, da cui, in ipotesi, conseguirebbe la nullità della sentenza di primo grado. In secondo luogo, i ricorsi lamentano l'esercizio solo parziale dei poteri di rinnovazione istruttoria da parte della Corte di appello, con riferimento alla mancata acquisizione della documentazione scoperta, dopo la pronunzia del Tribunale, presso i capannoni della società (OMISSIS). In terzo luogo, alcuni dei ricorrenti si dolgono del mancato espletamento di una perizia, sempre da parte della Corte territoriale, sulla documentazione contabile. 20.1 Ebbene, i ricorsi presentano profili di inammissibilità in primis per quanto concerne la lesione del diritto alla prova anteriore al giudizio di appello. In primo luogo, quanto alla documentazione di cui si contesta la mancata acquisizione da parte del Giudice dell'udienza preliminare (o comunque dell'autorità procedente in una fase anteriore al dibattimento, che i ricorrenti talvolta non precisano) e del Tribunale, nessuno dei ricorsi è autosufficiente, dal momento che essi non recano l'allegazione delle richieste istruttorie (o dei verbali che le contengono) e dei relativi provvedimenti (nè l'indicazione di dove essi possano essere reperiti nel fascicolo trasmesso alla Corte di cassazione), non potendo ritenersi sufficiente l'indicazione delle date delle une e degli altri, essendo onere della parte quello di verificare se all'interno del fascicolo trasmesso alla Corte di cassazione siano presenti gli atti da valutare, nella specie assenti, e, in mancanza, di allegarli al ricorso. Tale impostazione trova conforto nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui è onere della parte che formuli una censura di carattere processuale l'indicazione specifica della collocazione dell'atto su cui essa si fondi (atto che, nel caso di specie, si identifica con le istanze di acquisizione/produzione di documentazione e con i provvedimenti sul punto) e la verifica che esso faccia parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, atteso che - pur trattandosi di motivo di carattere processuale e, pertanto, pur essendo alla Corte consentito di esaminare il fascicolo del procedimento - l'applicazione di tale principio presuppone in concreto che da parte del ricorrente venga quantomeno indicato l'atto viziato e che esso sia contenuto nel fascicolo (Sez. 2, n. 41142 del 19/09/2013, Rea, Rv. 257336; Sez. 4, n. 31391 del 18/05/2005, Pizzi, Rv. 231746). Nella sentenza Pizzi si è altresì precisato che, se invece questa indicazione non viene fornita e l'esame dell'eccezione richiede, eventualmente, anche l'acquisizione di atti o documenti o notizie di qualsiasi genere che non formano parte del fascicolo trasmesso, deve ritenersi che il motivo sia inammissibile per genericità, perchè non viene consentito alla Corte di cassazione di individuare l'atto affetto dal vizio denunziato. Diversamente verrebbe attribuito al giudice di legittimità un compito di individuazione, ricerca e acquisizione di atti, notizie o documenti estraneo ai limiti istituzionali del giudizio di legittimità (sul medesimo tema, si vedano anche Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244329 e Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, Alcaro, Rv. 265535). Come paventato dalla sentenza Pizzi e come verificatosi nel caso di specie, è poi di plastica evidenza che il mancato assolvimento dell'onere di allegazione abbia un'immediata ricaduta negativa in termini di specificità intrinseca dei ricorsi e di selezione dei temi da vagliare dal momento che produce un'obiettiva incertezza circa l'oggetto stesso delle censure. Se questa è una caratteristica di tutti i ricorsi, giova altresì osservare, quanto a quelli di E.S. e Es.Vi., che essi sono caratterizzati da una non trascurabile ambiguità argomentativa giacchè addirittura non si comprende quale sia l'Autorità a cui le istanze di acquisizione di documentazione siano state formulate (alcune delle date sono anteriori all'inizio del dibattimento di primo grado ovvero non coincidono con date di udienza) e, in particolare, se queste ultime fossero tese all'ottenimento della documentazione dalla Cancelleria fallimentare, alla produzione della documentazione eventualmente ottenuta al Tribunale penale ovvero, ancora, a stimolare quest'ultimo ad acquisire, mediante esercizio di poteri officiosi, i documenti dalla sezione fallimentare. 20.2. In secondo luogo, i ricorsi di E.F., E.S., Es.Vi., E.V. e dell'Avv. Staglianò sono generici anche da un altro punto di vista, giacchè essi omettono di indicare, nel dettaglio, la documentazione di cui si postula la mancata acquisizione - sia in primo grado che in appello - e di precisare la diretta e specifica rilevanza di ciascuna scrittura sul fatto da accertare. Non basta, a questo proposito, che nei ricorsi sia indicata l'idoneità di una specifica categoria di documenti (per esempio, degli estratti-conto bancari) a confutare questo o quell'aspetto della contestazione, giacchè questa impostazione tradisce una sostanziale genericità che in definitiva vede il ricorso confrontarsi non già, come doveroso, con i singoli fatti riconosciuti in sentenza, ma con la categorizzazione degli addebiti presente nelle contestazioni. Spesso, poi, le argomentazioni oscillano tra la critica delle scelte istruttorie del Tribunale e di quelle della Corte di merito in ordine alla mancata acquisizione della copia integrale della documentazione rinvenuta nei capannoni (OMISSIS)., determinando un'ambiguità che del pari non giova all'ammissibilità dei ricorsi. Tali lacune non possono dirsi ripianate dal richiamo, che si rinviene in taluni dei ricorsi, alle doglianze formulate nell'atto di appello, che sarebbe, ove lo si avallasse, un sistema per aggirare il dovere della parte di proporre un ricorso che sia ex se astrattamente idoneo a sostenere le censure formulate e specifico, senza imporre a questa Corte una lettura congiunta tra l'impugnazione di merito e quella di legittimità. 20.3. Anche le doglianze circa le scelte istruttorie delle Corte di appello sono inammissibili. A questo proposito giova rammentare che altro profilo dei ricorsi concerne la mancata acquisizione integrale, da parte della Corte di merito, della documentazione rinvenuta nelle more tra la sentenza di primo grado e la scadenza del termine per proporre appello, trovata in un capannone locato alla società (OMISSIS)., e la invocata violazione dell'art. 603 c.p.p., comma 2, trattandosi di prova sopravvenuta. Al riguardo va ricordato che i giudici di appello (cfr. pag. 23 e 53 e segg. della sentenza impugnata), su richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale delle difese di C.G., C.A., E.V. e Es.Vi., hanno acquisito "la documentazione complessivamente offerta e, con essa, sub specie di memorie tecniche, le consulenze del dott. M.M. prodotte a corredo, ove la documentazione giacente nei capannoni acquistati dalla società (OMISSIS). è stata dallo stesso consulente valutata in rapporto ai capi di accusa ed in tale direzione considerata ai fini decisori". Ad inquadrare, in diritto, la doglianza va altresì ricordato che, nell'ipotesi di cui all'art. 603 c.p.p., comma 2 il giudice di appello deve disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale osservati i soli limiti previsti dall'art. 495 c.p.p., comma 1. Tale richiamo significa che sul Giudice di appello non grava un obbligo incondizionato di rinnovare l'istruttoria per acquisire o raccogliere le prove scoperte dopo il primo giudizio di merito: l'art. 495 richiama, infatti, oltre che l'art. 190-bis c.p.p., la regola generale stabilita dall'art. 190, secondo cui il giudice ammette le prove, escludendo quelle vietate dalla legge o quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti. Ne consegue che, anche nel caso in esame, l'assunzione delle prove nuove deve essere vagliata dal giudice di appello sotto il profilo dell'utilità processuale (Sez. 3, n. 42965 del 10/06/2015, L., Rv. 265200; Sez. 1, n. 1712 del 10/01/1995, Abdel Saved, Rv. 200975). Di fronte all'assenza di automatismi di sorta tra emersione ritardata della prova e sua ammissione in grado di appello, dunque, i ricorsi mostrano tutti i loro limiti, dal momento che l'impostazione che li caratterizza vede asserzioni generiche e vaghe circa la non manifesta irrilevanza di ulteriore documentazione oltre quella offerta insieme alla consulenza M.M.. Ciò impedisce di valutare se la scelta della Corte di merito in tema di rinnovazione istruttoria abbia travalicato i limiti delibativi che il codice individua in capo al Giudice di appello al cospetto di prove sopravvenute. Detto altrimenti, i ricorsi appaiono ancora una volta generici, giacchè, se pure invocano l'art. 603 c.p.p., comma 2, non chiariscono perchè l'attività istruttoria pur compiuta dalla Corte di merito acquisendo la consulenza M.M. offerta dalle difese degli imputati e gli atti alla medesima allegati non abbia esaurito l'approfondimento probatorio necessario per soddisfare il dettato della norma invocata e perchè l'acquisizione "della documentazione complessivamente offerta" - come scrive la Corte di appello - abbia lasciato dei vuoti e quali. Ciò a maggior ragione se si pensa che l'acquisizione del predetto elaborato e della restante documentazione ha avuto un'incidenza sostanziale sul percorso argomentativo della Corte di appello, che ne ha tenuto conto e che, anzi, ha impegnato la maggior parte delle proprie energie motivazionali proprio a confrontarsi con i temi posti dal consulente di parte e dagli atti su cui quest'ultimo ha fondato le proprie osservazioni. 20.4. Considerazioni analoghe valgono per quei ricorsi in cui, alla censura circa la mancata acquisizione della totalità della documentazione suddetta, si è accompagnata quella circa la mancata effettuazione di perizia, profilo egualmente sfornito di considerazioni specifiche a supporto - eccetto, talvolta, la mera trascrizione dei motivi di appello giacchè non è stato chiarito quale dovesse essere il compito dell'esperto, salvo voler ritenere che questi dovesse ricostruire la totalità delle vicende economiche delle dodici società del gruppo. A questo proposito ed a prescindere dal vizio espressamente invocato dai ricorrenti, va peraltro ricordato, che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936) hanno ribadito il principio secondo cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. 21. La bancarotta e le società incorporate nella (OMISSIS). Alcuni ricorrenti (per la precisione C.G., C.M., E.V., Es.Vi., E.S. e E.F.) hanno lamentato con differenti gradi di specificità - di essere stati riconosciuti responsabili di reati fallimentari in relazione a società del c.d. gruppo E. che non sono mai state dichiarate fallite. Il riferimento è alle società (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. ed E. s.r.l. incorporate nella (OMISSIS) ((OMISSIS)) con atto notarile di fusione per incorporazione del 3 settembre 2003, operazione che aveva preceduto di alcuni mesi la dichiarazione di fallimento della (OMISSIS), datata 16 marzo 2004. 21.1. Sia pure in estrema sintesi, rimandando a quanto più dettagliatamente illustrato nel compendio dei motivi di ricorso del "ritenuto in fatto", può affermarsi che le argomentazioni dei ricorrenti mirano a rimarcare come la mancanza di una dichiarazione di fallimento delle società predette impedisca la configurazione dei reati di bancarotta e come, ad integrare le fattispecie, non rilevi la dichiarazione di fallimento della società incorporante. A supporto di tali obiezioni alle scelte dei giudici di merito, i ricorrenti pongono, in primo luogo, il regime applicabile alla fusione de quo; i ricorrenti si sono attardati, invero, sull'applicabilità, all'operazione di fusione per incorporazione in discorso, del regime anteriore alla novella dell'art. 2504-bis c.c. ad opera del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, entrata in vigore il primo gennaio 2004, e sulla natura di successione a titolo universale cui la fusione ante riforma è ricondotta. Altro tema posto dagli impugnanti concerne la mancata dichiarazione di fallimento delle società incorporate nonostante lqa L. Fall., art. 10 lo consentisse, a condizione che ciò fosse avvenuto entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese. 21.2. Quanto al primo argomento, va effettivamente ricordato che le Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 19698 del 17/09/2010, Rv. 614542; in termini Sez. 1, n. 1376 del 26/01/2016, Rv. 638413 - 01, e, quanto alla giurisprudenza penale, Sez. 5, n. 32728 del 11/03/2014, Minotto e altro, Rv. 261966) hanno statuito il principio secondo cui in tema di fusione, l'art. 2504 bis c.c., introdotto dalla riforma del diritto societario dovuta al D.Lgs. n. 6 del 2003, ha natura innovativa e non interpretativa; ne consegue che la concezione formatasi sulla base della nuova normativa - secondo cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, non vale per le fusioni (per unione od incorporazione) anteriori all'entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004), le quali si caratterizzano per il venire meno della società incorporata e per il subentro del soggetto incorporante nei rapporti giuridici attivi e passivi della incorporata. E' altrettanto corretta l'affermazione di quei ricorrenti che hanno rimarcato l'applicabilità della L. Fall., art. 10 - anche nel testo ante D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 - nel caso in cui la cancellazione dal registro delle imprese avvenga per fusione (Sez. 1, n. 2210 del 01/02/2007, Rv. 595076 - 01). 21.3. Ciò che va, invece, smentito, è la conseguenza che le parti intendono far discendere da queste considerazioni in diritto, quanto, in particolare, all'irrilevanza, nella ricostruzione della condotta degli odierni ricorrenti, della dichiarazione di fallimento della società incorporante ed alla conseguente efficacia neutralizzante della fusione rispetto alla responsabilità penale di amministratori e concorrenti estranei cui siano riferibili, riguardo alle società incorporate, condotte rientranti nel paradigma della L. Fall., art. 216, poste in essere prima della fusione. Se, infatti, a norma dell'art. 2504-bís c.c. ante D.Lgs. 6 del 2003, la società incorporante assume i diritti e gli obblighi delle società estinte, ciò importa che le vicende economiche delle società incorporate non vengono sterilizzate dall'operazione di incorporazione, ma proiettano i loro effetti sulla società incorporante, che vede la propria consistenza patrimoniale influenzata dalla "storia" della società incorporata e risente delle condotte depauperative poste in essere dagli amministratori di quest'ultima. Da qui la perdurante rilevanza penale degli atti e dei comportamenti che - incidendo negativamente sul patrimonio dell'incorporata - hanno determinato l'affievolimento della garanzia patrimoniale dei creditori. Conforta detta interpretazione - ed esclude che essa comporti uno scollamento tra reati fallimentari e sentenza dichiarativa di fallimento - la recente giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo cui, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati posti in essere, allorchè abbiano messo in pericolo la soddisfazione del ceto creditorio (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804). Tale "messa a fuoco" - autorevolmente attuata - dei presupposti della bancarotta patrimoniale evidenzia l'obiettiva efficacia "qualificante" della dichiarazione di fallimento rispetto alle condotte distrattive dell'imprenditore, le quali, sempre secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite, integrano il momento perfezionativo del reato, mentre la punibilità delle stesse è subordinata, appunto, alla dichiarazione di fallimento, evento successivo (in caso di bancarotta prefallimentare) ed esterno alla condotta stessa. 21.4. La ricostruzione, operata dalla giurisprudenza civile, dei rapporti tra il vecchio e il nuovo testo dell'art. 2504 bis c.c. non può portare, quindi contrariamente all'assunto dei ricorrenti - alla non perseguibilità dei reati commessi, prima dell'incorporazione, dagli amministratori della società incorporata, ove intervenga il fallimento dell'incorporante (e non anche dell'incorporata). La medesima giurisprudenza ha infatti precisato che le fusioni (per unione o incorporazione) anteriori all'entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004), pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano, tuttavia, dalla successione mortis causa perchè la modificazione dell'organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti e perchè i rapporti (e i relativi diritti e obblighi) facenti capo all'incorporata non si estinguono, ma si trasferiscono all'incorporante. Infatti, la fusione e l'incorporazione costituiscono per la legge ante-riforma - vicende estintive che si caratterizzano per l'istantaneità del loro determinarsi, ma anche per il collegamento delle situazioni giuridiche coinvolte alla nuova realtà nata dalla fusione o dall'incorporazione. 21.5. Muovendo da tali premesse - e dalla qualificazione del fallimento come condizione obiettiva di punibilità si deve affermare, allora, che, coessenziale alla perseguibilità dei reati commessi dall'imprenditore (ovvero, negli organismi collettivi, dai suoi amministratori e dagli altri soggetti indicati nella L. Fall., art. 223), è la dichiarazione di fallimento di una delle società in cui si è dipanata la vicenda imprenditoriale, allorchè questa sia stata caratterizzata da un fenomeno di fusione o di incorporazione. Se ciò è indiscutibile quando il fallimento riguarda la società incorporata, alla stessa conclusione occorre pervenire allorchè il fallimento sia pronunciato nei confronti dell'incorporante, giacchè il fenomeno estintivo, che riguarda l'incorporata, concerne l'ente in sè e non le situazioni giuridiche - attive e passive - che ad essa fanno capo, nè quelle maturate in capo al suo amministratore (compreso il rapporto punitivo potenziale che, in conseguenza dei reati commessi, lega quest'ultimo allo Stato). Tali situazioni, infatti, sono state influenzate, e spesso determinate, dai reati commessi in danno dell'incorporata, sicchè il fallimento dell'incorporante - attualizzando l'offesa all'interesse tutelato dalle norme penali fallimentari - realizza la condizione cui è, per legge, condizionata la punibilità del trasgressore. A tale dato formale si aggiunge, poi, dal punte di vista razionale e ordinamentale, l'esigenza di assicurare la punibilità di condotte che realizzano il paradigma normativo dei reati in questione e di impedire - attraverso operazioni di trasformazione societaria - facili elusioni della normativa fallimentare (particolarmente agevole nei gruppi di società e in quelli caratterizzati da rapporti interpersonali tra i suoi membri), con frustrazione delle finalità sottese alla normativa suddetta e a quella che disciplina l'attività d'impresa. 21.6. La conclusione sopra adottata non è contrastata dal richiamo, operato da tutti i ricorrenti, della L. Fall., art. 10, che - nella formulazione anteriore al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 - consentiva la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore (anche societario) cessato dall'esercizio dell'impresa entro l'anno dalla cessazione (ora, entro l'anno dalla cancellazione dal registro delle imprese), sul presupposto che l'incorporazione costituisce una forma di cessazione dell'attività. Tale norma è posta, infatti, a garanzia e tutela dei creditori sociali, i quali, ove non si ritengano soddisfatti o sufficientemente tutelati dalle procedure di fusione o incorporazione contemplate dal codice civile (ovvero laddove tali procedure non siano state promosse o si siano dipanate in maniera irregolare), possono, entro l'anno dalla fusione o incorporazione, instare per il fallimento dell'impresa estinta, al fine di lucrare la posizione di vantaggio che a loro reca la procedura fallimentare (basti pensare alla inefficacia o revocabilità dei pregressi atti di disposizione, ovvero alla possibilità di provocare - nelle società di persone - il fallimento del socio illimitatamente responsabile). Essa non esclude, però, che, ove al fallimento si giunga dopo l'accertamento della insolvenza dell'incorporante, diventino operanti le norme della legge fallimentare riguardanti i reati di bancarotta, atteso che, per quanto si è detto, la fusione per incorporazione non azzera i rapporti giuridici sorti in capo alla società estinta e ai suoi amministratori, che proseguono in capo al successore. 21.7. Infine, a completamento della disamina concernente la punibilità degli imputati per i fatti di malversazione posti in essere nell'esercizio delle imprese estinte, va ribadito che, contrariamente all'opinione dell'avv. Manoni - che fa leva su un precedente, rimasto isolato, di questa Corte (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493) - non occorre accertare il nesso di causalità tra condotte contestate, poste in essere durante l'esercizio dell'impresa incorporata, e il dissesto o il fallimento della società incorporante, dal momento che la giurisprudenza di questa Corte, precedente e successiva al citato precedente, lo esclude, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento della società amministrata destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804; ex multis, Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269389; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261942). Tale impostazione riverbera i suoi effetti sulla valutazione dell'elemento psicologico, giacchè il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato a dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria nè la volontà di cagionare il fallimento, nè la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, cit.; Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763, Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, cit.), con la rappresentazione "della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice" (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi ed altri, Rv. 263801). E' evidente, pertanto, che, se non è richiesta alcuna forma di rappresentazione e volizione dello stato di dissesto nè del possibile fallimento dell'impresa da parte degli autori dei reati, allorchè l'impresa non abbia subito modificazioni nel corso della sua storia, lo stesso deve dirsi allorchè si sia di fronte ad una successione tra imprese, non essendovi ragioni per derogare ai principi sopra richiamati. In realtà, in questo diverso scenario una sola precisazione si impone: la "pericolosità" delle condotte depauperative e lo stato psicologico dell'agente vanno valutati in relazione alla situazione dell'incorporata nel momento in cui sono state poste in essere le condotte incriminate. Tanto è, nella specie, avvenuto, essendo stato messo in evidenza, per tutte le società incorporate, che le distrazioni hanno raggiunto livelli tali da compromettere la stessa sopravvivenza delle società interessate. In conclusione, deve affermarsi che, anche sulla base della normativa civilistica anteriore alla riforma del 2003 disciplinante il fenomeno della fusione societaria, la dichiarazione di fallimento della società incorporante è idonea, nel concorso delle altre condizioni di legge, a determinare la punibilità della condotte poste in essere dagli amministratori della società incorporata. 22. Bancarotte e condono fiscale. La sentenza impugnata (in particolare, quanto a un quadro generale, cfr. pagg. 21 e 22) ha attribuito un'efficacia sostanziale alle rettifiche operate sulle scritture contabili in forza della L. 27 dicembre 2002, n. 289, ritenendo che esse determinassero, oltre che un'alterazione documentale idonea a sostanziare le contestazioni L. Fall., ex art. 216, comma 1, n. 2), ultima parte, anche un'attività in sè distrattiva. Al riguardo, va rammentato che la L. 27 dicembre 2002, n. 289 (Finanziaria 2003) ha introdotto un complesso di disposizioni volte alla definizione agevolata, da parte dei contribuenti, delle posizioni pendenti col Fisco - già accertate e/o non ancora accertate - e delle eventuali irregolarità compiute; ciò con conseguenze positive per il contribuente sia sulla sua posizione nei confronti dell'amministrazione tributaria, sia quanto alle eventuali ricadute penali delle condotte poste in essere. Nell'ambito di detta disciplina - per quanto interessa in questa sede - è stato previsto (art. 14) che il contribuente possa operare delle rettifiche contabili, sostanzialmente dirette alla regolarizzazione delle scritture, mediante un'operazione di riconduzione a verità delle annotazioni. In altri termini, scopo della regolarizzazione contabile prevista dalla disciplina dell'art. 14 è quello di ristabilire la correttezza e la veridicità della situazione patrimoniale economica e finanziaria oggetto di rappresentazione, sul presupposto che le annotazioni interessate siano state alterate o falsificate per celare l'evasione fiscale. 22.1. Ebbene, la sentenza sottoposta allo scrutinio di questa Corte, come anticipato, ha attribuito un'efficacia sostanziale alle rettifiche da condono realizzate dagli amministratori delle società del cd. gruppo E., ritenendo che esse fossero state dirette ad effettuare un'operazione inversa rispetto a quella legittimata dal legislatore, vale a dire a cancellare/rettificare poste reali, determinando, in questo modo, la distrazione dei beni indicati nelle scritture. La L. 289 era stata utilizzata - scrivono i giudici di merito - per eliminare crediti intragruppo reali originati dal sistema dei prestiti da una società all'altra del gruppo ovvero crediti delle società per prestiti effettuati ai soci, poste contabili effettive che, attraverso tale artificio, venivano non solo eliminate dalla contabilità e dai bilanci, ma consolidavano in capo alle società debitrici ed ai soci il beneficio a scapito della società concedente il prestito e legittimavano la definitiva appropriazione di risorse. Secondo la Corte di appello, poi, quelli che in definitiva erano artifizi contabili rilevavano anche sotto il profilo documentale perchè, alterando in direzione mistificatoria le scritture, ne determinavano un'infedeltà rispetto alla situazione finanziaria e patrimoniale delle società. 22.2. Detta impostazione, oggetto di plurime censure dei ricorrenti, soprattutto con riferimento alle implicazioni distrattive delle rettifiche da condono, deve essere parzialmente smentita. Il Collegio ritiene, infatti, di discostarsi in parte dalle conclusioni della Corte di merito (che sono in linea con quella del Giudice di primo grado) dal momento che alla rettifica da condono ex I. 289 non è corretto attribuire un'efficacia sostanziale, perchè l'eliminazione delle voci dalle scritture non può integrare essa stessa un'attività distrattiva, restando ferma la posta sottostante e, nel caso dei crediti, il credito che la società aveva nei confronti di altra impresa del gruppo ovvero del socio. I libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, invero, "fanno prova contro l'imprenditore" (art. 2709 cod. civ.), ma non anche a suo favore, sicchè non sarebbe stata la semplice "presenza" dei crediti tra le voci dello stato patrimoniale delle società a dotare queste ultime di un'attività; parimenti, non è l'espunzione di quella voce a privare la società di un cespite positivo. In altri termini, l'eliminazione solo contabile dei crediti dalla contabilità delle società del gruppo non era operazione idonea a determinare una fuoriuscita dei medesimi dal patrimonio dell'impresa, restando essi pur sempre azionabili dagli organi fallimentari, ancorchè a valle di un'attività ricostruttiva particolarmente laboriosa, resa necessaria dalle improprie rettifiche poste in essere. Il discorso non è molto diverso quando le rettifiche contabili hanno celato un'attività distrattiva sostanziale effettivamente accertata: è quest'ultimo, infatti, i(momento qualificante della responsabilità penale siccome produttivo di una tangibile depressione della garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori dell'impresa, rispetto alla quale l'alterazione delle scritture che è seguita ha costituito un post factum non generatore di responsabilità penale ex se come condotta distrattiva, conservando, invece, un proprio significato penalmente apprezzabile solo come indicatore dell'attività illecita precedentemente svolta e come alterazione contabile significativa in punto di bancarotta documentale. A tali riflessioni si collega, appunto, quella che al contrario consente di validare il ragionamento della Corte distrettuale - riconoscendone la correttezza in diritto e l'ineccepibilità logica circa l'incidenza negativa delle rettifiche da condono in ordine all'attività di ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari da parte degli organi fallimentari, oggettivamente compromessa dalla necessità di prescindere dal dato documentale disponibile e di risalire all'effettività delle poste contabili. La manipolazione delle scritture effettuata dietro lo schermo del condono fiscale, invero, costituisce senz'altro un'attività mistificatoria, talvolta utilizzata dai ricorrenti rispetto a poste di notevole valore economico, oggettivamente idonea a determinare un'alterazione molto sensibile della realtà economica dell'impresa ed a rendere particolarmente laboriosa l'opera ricostruttiva degli organi fallimentari. La situazione determinata dalle scelte degli organi amministrativi della società, peraltro nell'ambito di una strategia comune a molte delle società del gruppo, ha senz'altro generato la necessità di impiegare, nell'attività ricostruttiva, una particolare diligenza, il che costituisce l'elemento oggettivo e, al tempo stesso, l'oggetto della consapevolezza del soggetto-agente in tema di bancarotta c.d. "generale", come quella contestata (sul tema delle bancarotte documentali, cfr. p. 36). B) Le bancarotte patrimoniali. A seguire verrà sviluppata, società per società, la motivazione quanto alle bancarotte patrimoniali; si rinvia fin d'ora, in relazione alle bancarotte documentali ed al reato di cui al capo T), alle apposite sezioni della sentenza. 23. La complessità dell'imputazione e la ricorrenza di alcune questioni giuridiche legate essenzialmente alla qualificazione e al trattamento dei "finanziamenti" effettuati dai soci alla società nel corso della vita societaria - impongono di svolgere alcune considerazioni preliminari, tenendo conto della disciplina positiva, apprestata dal codice civile, dei "finanziamenti soci", nonchè degli orientamenti della giurisprudenza, sia civile che penale, formatasi sul punto. 23.1. La problematica della qualificazione dei versamenti effettuati a vario titolo dai soci a favore delle società partecipate è stata ripetutamente portata all'attenzione della giurisprudenza, soprattutto di quella civile, la quale, a parte le ipotesi in cui l'erogazione delle somme sia avvenuta chiaramente e pacificamente a titolo di mutuo (con conseguente obbligo, a carico della società, di restituire il tantundem ad una determinata scadenza), ovvero a titolo di conferimento in conto capitale (divenendo, in tal caso, una dotazione della società, rimborsabile al socio solo all'atto dello scioglimento della società o in caso di legittima riduzione del capitale), ha evidenziato che può trattarsi anche di erogazioni che, pur non costituendo veri e propri conferimenti di capitale e non implicando perciò l'acquisizione o l'incremento di quote di partecipazione nella società, sono destinate ad accrescerne il patrimonio, confluendo perciò in apposite riserve con la denominazione di versamenti "in conto capitale" o "in conto copertura perdite di capitale" o altre simili. Questi versamenti non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, perchè possono essere chiesti dai soci in restituzione soltanto per effetto dello scioglimento della società stessa, nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione: sono assimilabili, pertanto, non al capitale di credito ma a quello di rischio (cfr. Cass. civ., 13 agosto 2008, n. 21563; Cass. civ., 30 marzo 2007, n. 7980; Cass. civ., 24 luglio 2007, n. 16393; Cass. 14 dicembre 1998, n. 12539; Cass. 19 marzo 1996, n. 2314; Cass. civ., 3 dicembre 1980, n. 6315). La medesima giurisprudenza ha chiarito che - per stabilire quando si è in presenza di un versamento in conto capitale di rischio e quando, invece, di un versamento a titolo di mutuo (o a questo comunque assimilabile) e come tale rimborsabile alla scadenza - occorre rifarsi alla volontà negoziale delle parti, e quindi al modo in cui essa si è manifestata, desumibile da tutte le circostanze dell'operazione: quindi, non tanto dalla qualificazione della relativa posta nel bilancio d'esercizio approvato con il voto dello stesso socio conferente (cfr. Cass. 14 dicembre 1998, n. 12539, cit.), ma soprattutto dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi (Cass. civ., 30 marzo 2007, n. 7980; Cass. civ., 6 luglio 2001 n. 9209). Ciò che connota - in modo speciale - il cosiddetto "versamento in conto capitale" o "in conto perdite", è "la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali: il fatto, cioè, che il rimborso non costituisce un diritto incondizionato per chi quel versamento abbia eseguito, bensì una mera eventualità, dipendente dalla condizione in cui verrà a trovarsi il patrimonio sociale al momento della liquidazione della società ed alla possibilità che in tale patrimonio residuino valori sufficienti al rimborso dopo l'integrale soddisfacimento dei creditori. Consiste appunto in questo la partecipazione al rischio d'impresa cui è esposto il capitale versato dal socio, la cui posizione efficacemente viene designata nel linguaggio economico-giuridico anglosassone come quella di un residual claimant, proprio per sottolineare la residualità del suo soddisfacimento rispetto ai creditori sociali. Si giustifica per questo l'avvicinamento di siffatti versamenti al vero e proprio conferimento di capitale e vi corrisponde la già ricordata necessità d'iscriverli in bilancio tra le riserve di patrimonio anzichè tra i debiti" (così, Cass. civ., n. 2758 del 23/2/2012, in motivazione). Infine, la medesima giurisprudenza ha rimarcato che la prova del diritto alla restituzione - e delle condizioni cui è subordinata la restituzione nel corso della vita societaria (sul presupposto, quindi, che si tratti di mutuo) - grava sul socio che agisce in restituzione (Cass., civ., n. 25585 del 3/12/2014; Cass. civ., sez. 1, n. 2758 del 23/2/2012), fermo restando che, ai sensi dell'art. 2467 c.c., introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in vigore dall'1/1/2004, ogni "finanziamento", comunque qualificato, che sia effettuato dal socio in una situazione di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento è postergato rispetto alla soddisfazione di tutti gli altri creditori. 23.2. Quanto sopra esposto assume rilevanza in ordine alla qualificazione giuridica delle fattispecie penali, dal momento che viene diversamente punita, dalla legge fallimentare, la restituzione indebita del "capitale sociale" - e delle somme a questo assimilate (vale a dire, di tutte le somme costituenti capitale di rischio) rispetto alla restituzione indebita di ogni altro finanziamento. 23.2.1. Infatti, la L.Fall., art. 223, comma 2, nella versione antecedente alla modifica apportata dal D.Lgs. n. 61 dell'11 aprile 2002, puniva ai sensi dell'art. 216 - a titolo, quindi, di bancarotta distrattiva - l'amministratore della società che aveva commesso alcuno dei fatti previsti, tra l'altro, dall'art. 2623 c.c., n. 2, (a sua volta modificato dal D.Lgs. n. 61 del 2002); vale a dire, l'amministratore che restituiva ai soci, palesemente o sotto forme simulate, i conferimenti in conto capitale, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale (cfr, Cass. pen., sez. 5, n. 11210 del 15/11/1993, rv 196458). Con la modifica apportata dal D.Lgs. n. 61 del 2002 alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, l'illegittima restituzione dei conferimenti (ora prevista dall'art. 2626 c.c., richiamato dall'art. 223 cit.) è divenuta punibile allorchè abbia cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società. Il nuovo testo di legge ha quindi introdotto nella struttura del reato un elemento totalmente nuovo, rappresentato dal nesso causale tra reato societario e dissesto. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la nuova formulazione delle norme che prevedono i delitti di bancarotta fraudolenta impropria da "reato societario" (art. 223, comma 2, n. 1, cit.) ad opera D.Lgs. n. 61 del 2002, artt. 1 e 4 del non ha comportato l'abolizione totale dei reati precedentemente contemplati, ma ha determinato una successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti, commessi prima dell'entrata in vigore del citato decreto, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose (Cass., SU, n. 25887 del 26/3/2003, rv 224605). Ciò che vale per i "conferimenti in conto capitale" effettuati sulla base dell'atto costitutivo della società o di una specifica delibera assembleare vale, stante l'identità di ratio e di disciplina, anche per i "finanziamenti" effettuati durante la vita societaria che - per essere postergati rispetto alla soddisfazione di tutti gli altri creditori - abbiano natura surrogatoria rispetto ai conferimenti in conto capitale, con i quali condividono la qualità e la natura di capitale di rischio. La caratteristica saliente di detti versamenti è, come sopra detto, la loro destinazione all'incremento del patrimonio della società sul quale i creditori possono far conto per la soddisfazione dei loro crediti, cui consegue una maggior partecipazione al rischio d'impresa del socio che li ha eseguiti. A tale conclusione è possibile giungere in applicazione estensiva della L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, pacificamente ammessa in materia penale, resa possibile e coerente col sistema dal fatto che la postergazione - sebbene non comporti una riqualificazione ope legis dei crediti - ne assimila in tutto e per tutto la disciplina ai conferimenti in conto capitale, non incidendo semplicemente sulla loro graduazione. 23.2.2. Quanto alla restituzione dei "finanziamenti" che abbiano le caratteristiche del mutuo o di altro negozio equivalente, la giurisprudenza è consolidata, invece, nel ritenere che essa è pienamente legittima durante l'ordinaria vita societaria e che assume i caratteri della bancarotta preferenziale allorchè avvenga in periodo di dissesto societario, che lasci intravedere l'evoluzione dell'impresa verso il fallimento, giacchè la restituzione (da ritenere, in tal caso, indebita) comporta l'alterazione dell'ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori (Cass., n. 13318 del 14/2/2013, rv 254985; sez. 5, n. 1793 del 10/11/2011, rv 252003; sez. 5, n. 14908 del 7/3/2008, rv 239487). Perplessa, invece, è la stessa giurisprudenza di legittimità allorchè la restituzione del mutuo (o di altro credito avente origine equivalente) avvenga - in periodo di crisi - a favore dello stesso amministratore della società, giacchè, è stato detto, l'amministratore è legato alla società dall'obbligo della fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali anche nei confronti dei terzi, sicchè incorre comunque, in tal caso, nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui alla L. Fall., art. 216 (Sez. 5, n. 34505 del 06/06/2014, Rv. 264277; Sez. 5, n. 25292 del 30/5/2012, rv 253001; Sez. 5, n. 2273 del 6/12/2004, rv 231289). Trattasi di orientamento contrastato da altra e preferibile giurisprudenza, la quale mette in rilievo che è irrilevante, ai fini della qualificazione giuridica della fattispecie, la specifica qualità di amministratore della società, e che tale qualità è censurabile, se del caso, in sede di commisurazione della sanzione (cfr, Sez. 5, n. 5186 del 2/10/2013, rv 260196; sez. 5, n. 28077 del 15/4/2011, rv 250461; sez. 5, n. 46301 del 17/10/2007, rv 238291). A tale orientamento il Collegio intende attenersi, giacchè, nel sistema penale la qualità o la posizione soggettiva dell'agente non rileva per la qualificazione del reato, se non nei casi stabiliti dalla legge (ad es., la qualità di pubblico ufficiale non trasformerebbe l'appropriazione indebita in peculato senza la previsione dell'art. 314 c.p.). Di conseguenza, non può essere, in mancanza di specifica previsione normativa, la qualità di amministratore a trasformare la bancarotta preferenziale in bancarotta patrimoniale. 24. Alla luce di tali criteri vanno esaminate, innanzitutto, le imputazioni concernenti il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.. 24.1. Il primo reato, in ordine logico, contestato a C.G. ed Es.Vi., è quello di cui al capo B1. I due sono stati condannati per aver simulato il versamento nelle casse sociali - a titolo di finanziamento e/o aumento di capitale sociale - di somme assai rilevanti, tra il 1996 e il 2001 e di aver appostato, nella contabilità, i relativi crediti a favore dei finanziatori, incorrendo nel reato di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, (simulazione di passività inesistenti). Va senz'altro osservato che entrambe le sentenze di merito sono gravemente lacunose e contraddittorie in ordine alla dimostrazione della "fittizietà" dei finanziamenti menzionati in detto capo, ammontanti complessivamente a L. 8.023.000.000 (di cui L. 4.548.000.000 imputati a C.G. e L. 3.475.000.000 imputati a Es.Vi.), giacchè entrambe oscillano tra l'affermazione che i versamenti furono effettivi - perchè documentati da contabili bancarie, assegni o bonifici, estratti conto - e l'affermazione che le somme non entrarono mai nelle casse sociali, ovvero vi entrarono, per poi tornare (subito dopo) nelle mani degli apparenti finanziatori. Infatti, alle pag. 141-142 della sentenza di primo grado si dice che la (OMISSIS) versò alla (OMISSIS) s.r.l. - tra la fine del 1996 e gli inizi del 1997 - la somma di L. 2.890.000.000 per l'acquisto di un complesso immobiliare attingendo la relativa provvista dai finanziamenti dei soci C.G. ed Es.Vi., i quali avevano finanziato la società, a quell'epoca, per L. 4.250.000.000 (sono i finanziamenti "fittizi" di cui ai nn. 1-2-3-4 del capo B1); a pag. 143 si dice che nel 1998 "si registravano finanziamenti dei soci a fronte di acquisti di servizi, di mobili ed arredi", senza specificarne l'ammontare; a pag. 145 si dice che la (OMISSIS) corrispose alla (OMISSIS) s.p.a. un acconto di L. 145.000.000, "che traeva la propria fonte, anche in questo caso, da un conferimento di pari valore effettuato dal socio C.G. (è il versamento "fittizio" di cui al n. 5 del capo B1); a pag. 157 si dice che "nel corso dell'esercizio 2003, giova precisare, si rilevavano una serie di rimesse e di versamenti da parte del socio C.G.". E la sentenza di secondo grado ha fatto propria la ricostruzione del primo giudice. Le espressioni contenute in sentenza sono in evidente contrasto con i termini dell'accusa mossa al capo B1), giacchè i finanziamenti di cui si è finora parlato - documentati da assegni, bonifici o contabili bancarie - si direbbero più effettivi che fittizi; comunque, non è spiegato perchè sono ritenuti fittizi (anche qualora si volesse fare riferimento alla circolarità dai movimenti, di cui ai punti successivi). 24.1.1. E' poi vero che, sempre in relazione ai finanziamenti annotati nella contabilità della (OMISSIS), sono state descritte, dal primo giudice, operazioni più complesse, che dimostrerebbero, in modo paradigmatico, la fittizietà dei finanziamenti stessi, mascherata da giroconti tra le società della galassia " E.". a) Si dice, così, che il 20 luglio 2000 C. versò nella cassa della (OMISSIS) ("si registravà) un miliardo di lire, che fornì a detta società la provvista necessaria all'emissione di due assegni bancari (di 400 e 600 milioni di lire) a favore della (OMISSIS) s.p.a., per il pagamento di una nuova fornitura di impianti e macchinari (è il versamento "fittizio" di cui al n. 6 del capo B1). La (OMISSIS) s.p.a., appena ricevuta la somma suddetta, provvide contestualmente a rimborsare per 400 milioni di lire il proprio socio C.G. e a pagare fatture della E. s.r.l. per 600 milioni di lire. La somma di L. 1.000.000.000 era pervenuta a C. proprio dalla (OMISSIS) s.p.a. (pagg. 145-146). 24.1.2. Ebbene, se è questa l'operazione paradigmatica della fittizietà, essa non dimostra che l'annotazione del finanziamento nella contabilità della (OMISSIS) s.r.l. era fittizia (le sentenze danno atto che la somma entrò nelle casse della società, tant'è che servì ad emettere gli assegni sopra specificati; cosa che non sarebbe stato possibile, ove il versamento fosse stato solo annotato nella contabilità sociale), ma che la (OMISSIS) s.p.a. pagò due volte il debito che aveva verso C.: la prima volta corrispondendogli la somma di un miliardo; la seconda volta riversandogli una parte della somma ricevuta dalla (OMISSIS). Il soggetto danneggiato da quest'operazione (e da quelle similari descritte successivamente) non sarebbe stata la (OMISSIS), ma la (OMISSIS) s.p.a. (laddove il debito verso C. fosse stato - come ipotizzato dai giudici di merito - inesistente, o esistente in misura minore), atteso che la stessa sentenza non mette in discussione il debito di (OMISSIS) verso (OMISSIS) s.p.a. e il fatto che, all'esito dell'operazione, diminuì il debito della prima verso la seconda. b) Parimenti, viene stigmatizzata dai giudici l'operazione del 27 ottobre 2000 (pag. 148 della sentenza primo grado). In tale data furono registrati nella contabilità della (OMISSIS) versamenti - effettuati mediante assegni bancari tratti su conti personali accesi presso la (OMISSIS) - di due miliardi da parte di C. e di 1,2 miliardi da parte di Es.Vi. (sono i versamenti "fittizi" di cui ai nn. 7-8 del capo B1). Tale somma (per complessivi 3,2 miliardi) fu utilizzata dalla (OMISSIS) per effettuare pagamenti a favore della (OMISSIS) s.p.a., per analogo importo. Nella stessa giornata in cui la somma era stata accreditata sui conti della (OMISSIS) s.p.a. (il 30 ottobre) furono emessi dalla detta società sei assegni per complessivi Euro 3,2 miliardi a favore di C.G. (per 2 miliardi) e di Es.Vi. (per 1,2 miliardi). Anche in questo caso non verrebbe in considerazione la fittizietà delle annotazioni contabili (vale a dire, l'esposizione di passività inesistenti in danno della (OMISSIS)), ma l'uso che fu fatto della somma da parte della (OMISSIS) s.p.a., atteso che, alla fine, detta società si privò delle somme ad essa pervenute dai finanziatori, mentre la (OMISSIS) vide diminuire la propria esposizione verso la (OMISSIS) s.p.a. (circostanza mai contestata in sentenza). c) Infine, a pag. 151 della sentenza di primo grado si parla del versamento di 830 milioni di lire effettuato da Es.Vi. "sul conto" (da intendere conto corrente bancario) della (OMISSIS) (è il versamento "fittizio" di cui al n. 9 del capo B1) e si dice tale somma confluì, insieme ad altre, nelle casse della (OMISSIS) s.p.a., per essere destinata da detta società a pagamenti a favore della E. s.r.l.; non si spiega, però, perchè si sarebbe di fronte ad un versamento fittizio e all'esposizione di una passività inesistente. Altra falla motivazionale concerne, poi, l'attribuibilità soggettiva del fatto ad Es.Vi., titolare di alcuni dei crediti verso la società in ipotesi inesistenti, dal momento che la bancarotta da esposizione di passività inesistenti che è contestata è reato proprio dell'amministratore, rispetto al quale è ben possibile il concorso dell'extraneus, a condizione però che il suo coinvolgimento sia adeguatamente motivato; cosa che non è avvenuta nel caso di specie. In conclusione, la sentenza va annullata con rinvio nei confronti di entrambi gli imputati chiamati a rispondere del reato sub B1). 24.2. Al capo B) sono contestate a C.G., Es.Vi. ed E.S. varie ipotesi di bancarotta, tra cui la distrazione di L. 2.737.737.520, attuata in un arco temporale molto ampio (dal 18/3/1997 al 2003) mediante il "rimborso", a favore dei soci, di somme entrate nel patrimonio della società apparentemente a titolo di "finanziamento". La problematica sottesa a detta imputazione consiste nello stabilire se i soci avevano diritto alle "restituzioni" suddette, in quale misura e con quale tempistica; problematica da esaminare alla luce di quanto chiarito in precedenza. Infatti, l'insussistenza di un precedente finanziamento avrebbe reso le restituzioni ipso facto illegittime; l'esistenza di precedenti "finanziamenti" (intesi nella misura più lata) poneva il problema della loro qualificazione, giacchè la restituzione del capitale di rischio (come sopra definito, comprensivo sia del capitale sociale che dei versamenti in conto capitale o in conto futuro aumento di capitale e di tutto ciò che era confluito ope legis, per previsione statutaria o per volontà delle parti - tra le riserve) avrebbe reso gli imputati responsabili del reato di cui alla L. Fall., art. 223, comma 1, n. 2, ove allo stesso fosse conseguito il dissesto societario; la restituzione dei "mutui" e delle elargizioni analoghe avrebbe reso gli imputati responsabili di bancarotta preferenziale, ove effettuata in periodo di dissesto. Nessuna indagine in tal senso risulta sviluppata in entrambe le sentenze di merito, giacchè, a parte la negazione della effettività dei finanziamenti (non provata logicamente e talvolta smentita dall'analisi successiva) e la sporadica qualificazione di taluni versamenti presi in considerazione dal giudice di primo grado, per il resto non v'è, nelle sentenze di merito (in realtà, nella sentenza del Tribunale di Crotone, giacchè il giudice d'appello si è riportato integralmente alla ricostruzione del primo), l'indicazione specifica della natura attribuita ai versamenti suddetti, in vista della loro attrazione nella sfera della L. Fall., artt. 216 e 223. Infatti, l'unico riferimento preciso è contenuto a pag. 141 della sentenza di primo grado, ove si parla di un "conferimento in conto capitale" di 1,4 miliardi di lire (deliberato poi all'assemblea del 7/1/1997 e sottoscritto per L. 679.000.000 da ciascuno dei due soci); in tutti gli altri casi si parla, puramente e semplicemente, di "finanziamento", senza indagare sulla volontà del conferente, sulle previsioni dello statuto, sulle ragioni e le circostanze dell'attribuzione, anche in relazione alle previsioni della L. n. 448 del 1992 e alla normativa di applicazione: vale a dire, su tutto ciò che sarebbe stato rilevante per qualificare il versamento e individuare la disciplina ad esso applicabile. Al riguardo, va chiarito che, sebbene la giurisprudenza civile ponga a carico del conferente l'onere di dimostrare la natura del conferimento, allorchè accampi il diritto alla restituzione della somma versata, ad analoga conclusione non è possibile pervenire - sic et simpliciter - in sede penale, ove l'onere probatorio è distribuito in maniera difforme ed incombe sulla pubblica accusa l'onere di dimostrare - sia pure in via indiziaria - l'esistenza dei presupposti, anche soggettivi, della colpevolezza. Va allora ribadito che anche in questo caso si poneva la necessità di accertare la natura dei finanziamenti in questione, verificando se essi, in relazione all'epoca in cui furono effettuati, erano destinati, per volontà del conferente o per accordi con l'accipiens, ovvero per necessità aziendali o per obbligo di legge (in questo caso, anche per effetto delle prescrizioni contenute nella legge 488/92, nei decreti attuativi e nella delibera di finanziamento) ad incrementare il capitale proprio dell'impresa, rimanendo pertanto attratti nella disciplina del capitale sociale, ovvero se si trattava di mutui o negozi equivalenti, che consentivano al finanziatore di ottenere la restituzione del versato nei tempi stabiliti o successivamente concordati. A tal fine non andava trascurato che la postergazione dei crediti non costituisce una novità del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che ha modificato l'art. 2467 c.c. a partire dall'1/1/2004, giacchè essa esisteva ed operava anche in precedenza, come dimostrato dalle numerose sentenze - dianzi richiamate - che ne hanno fatto applicazione prima della legge suddetta. La novità introdotta dal D.Lgs. N. 6 del 2003 consiste, invero, nell'aver previsto la postergazione ope legis dei finanziamenti effettuati in un periodo di squilibrio finanziario dell'impresa; non ha introdotto una disciplina generale e innovativa della postergazione. Infine, andava esaminato l'effetto prodotto dalle (eventualmente) indebite restituzioni (di capitale), in relazione all'epoca in cui erano avvenute, al fine di accertare se avevano cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società (anche se l'imponenza delle restituzioni e la loro reiterazione non avrebbe reso difficile l'accertamento). 24.2.1. Discorso completamente diverso è da fare, invece, per il dirottamento verso la (OMISSIS) s.p.a. del finanziamento di cinque miliardi di lire, ottenuto dalla (OMISSIS) s.r.l. (dalla (OMISSIS)) nel settembre 2001. In questo caso l'insussistenza di ogni ragionevole ipotesi di interazione tra le due società, che giustificasse, in un'ottica imprenditoriale, il trasferimento di tanta ricchezza rende pienamente ragione della conclusione cui sono pervenuti i giudici di merito, atteso che - come logicamente ritenuto da questi ultimi non poteva essere un progetto vago e aleatorio di collaborazione a legittimare il trasferimento della somma suddetta, ottenuta a caro prezzo dalla (OMISSIS) mediante indebitamento bancario. Sul punto, decisivo è, poi, il rilievo della Corte territoriale, per cui il "progetto" accampato dai ricorrenti non ebbe alcun seguito e che si trattava di un progetto bisognevole, per essere portato a compimento, di ben altre risorse, mancanti sia alla (OMISSIS) che alla (OMISSIS) s.p.a., nonchè il fatto che, sfumata l'ipotesi di collaborazione, la somma non fu restituita alla (OMISSIS) s.r.l., ma utilizzata, quanto ad Euro 872.199,21, per compensare un credito di C. verso la (OMISSIS) s.p.a. e per essere destinata, nella parte rimanente, alla E. s.r.l., che, a sua volta, la trasferì a E.F.. Circostanze su cui la difesa di C. (amministratore, all'epoca, della (OMISSIS)) si è ben guardata dall'interloquire. 24.2.1. Quanto ai crediti (per Euro 279.716,63 verso (OMISSIS) s.p.a.; Euro 43.038,07 verso (OMISSIS); Euro 20.658,28 verso (OMISSIS) s.r.l.) espunti dalla contabilità di (OMISSIS) s.r.l. in occasione del condono fiscale del 2002, si rileva che non è la semplice operazione contabile a concretare un atto distrattivo, ma la effettiva destinazione di risorse a scopi diversi da quelli societari. Ciò che andava indagato, pertanto, era l'origine del credito, al fine di accertare se fosse sorto per causa collegata all'ordinata attività d'impresa, ovvero se avesse avuto origine in una attribuzione gratuita di beni aziendali a società "amiche" o collegate, al fine di avvantaggiare queste ultime (con conseguente depauperamento della (OMISSIS)). Questo perchè una semplice annotazione contabile non comporta la "rinuncia" al credito, se non è accompagnata da un atto formale, spendibile in sede contenziosa. Come è stato già rimarcato, i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione "fanno prova contro l'imprenditore" (art. 2709 c.c.), ma non anche a suo favore, sicchè non sarebbe stata la semplice "presenza" del credito tra le voci dello stato patrimoniale della (OMISSIS) a dotare quest'ultima di un'attività; parimenti, non è l'espunzione di quella voce a privare la società di un cespite positivo. In realtà, l'operazione posta in essere con l'annotazione e l'eliminazione dei crediti dalla contabilità rileva - se ingiustificata - ai fini della bancarotta documentale, ovvero come causa di aggravamento del dissesto, come verrà in prosieguo precisato (esattamente come rileva una mancata iscrizione in contabilità di debiti o crediti, che nessuno ha mai pensato di ricondurre alla bancarotta per distrazione). Nella specie, a pag. 154-155 della sentenza di primo grado si parla dei crediti suddetti per dire che, una volta incassato il saldo della terza quota del contributo statale, a settembre del 2002, "si registravano altre operazioni di anticipazione di somme ad altre società" (sono le somme specificate in imputazione al capo B, n. 11)), senza chiarire se le "anticipazioni" suddette avevano causa nell'attività d'impresa, ovvero ne prescindevano. Dalle considerazioni suesposte consegue che la sentenza, quanto al capo B), va annullata con rinvio nei confronti di Es.Vi. ed E.S., per tutte le distrazioni loro rispettivamente riferite, mentre, riguardo la posizione di C.G., la sentenza va annullata con rinvio per tutte le distrazioni a lui addebitate, ad eccezione che per la distrazione di cui al n. 7), per la quale il ricorso va rigettato. 24.3. Rimandando alla sezione della presente motivazione concernente le bancarotte documentali per il capo B2), va infine osservato, per concludere circa le vicende della (OMISSIS), che E.S. è stato condannato anche per le bancarotte patrimoniali di cui ai capi B4) e B5), ma, mentre non vi è alcun riferimento nel ricorso quanto al primo reato, circa il secondo, benchè menzionato nel ricorso, non sono stati sviluppati motivi dotati di una qualche attinenza con la condotta contestata. 25. In ordine al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. sono da svolgere considerazioni analoghe a quelle sviluppate per la (OMISSIS) s.r.l.. 25.1. In questo caso C.G. e C.A. sono stati condannati, in primo luogo, per avere, anch'essi, simulato passività inesistenti, iscrivendo in contabilità finanziamenti fittizi per complessive L. 4.420.400.000 (capo C1). Questo è quanto esposto nella sentenza di primo grado (richiamata da quella d'appello). a) Si dice, a pag. 187, che nel solo anno 1997 i versamenti effettuati - a titolo di aumento del capitale sociale e di finanziamento infruttifero - dai due soci C.G. e C.A. ammontarono a L. 1.031.500.000 (di cui L. 240.500.000 a titolo di "finanziamento") da parte di C. e a L. 921.500.000 (di cui L. 350.500.000 a titolo di "finanziamento") da parte di C.A. (sono i versamenti "fittizi" di cui ai nn. 1 e 2 del capo C1)), per poi aggiungere che "le somme versate, pur avendo una precisa destinazione, venivano restituite ai soci sia direttamente, sia mediante espliciti rimborsi sia per il tramite di altre società riconducibili sempre ai medesimi componenti della famiglia" (pag. 188). In tale affermazione v'è, all'evidenza, la smentita dell'accusa, giacchè v'è l'attestazione che i versamenti furono effettivi, salvo le successive restituzioni (infatti, la sentenza dice anche che nell'immediato le somme entrarono effettivamente nelle casse della (OMISSIS), visto che furono da questa utilizzate - si dice - per l'acquisto di un capannone della (OMISSIS) s.r.l.). b) A pag. 189 si dice che già nella prima assemblea ordinaria del 1998 fu deliberato un conferimento dei soci da destinare a futuro aumento del capitale sociale per L. 2.080.000.000 e che, una volta deliberato tale finanziamento, "si procedeva nell'attività di investimento, utilizzando le somme messe a disposizione dai medesimi soci C.G. e C.A.". c) A pag. 190 si dice, poi, che nel 1998 vi furono, da parte di C. e C.A., finanziamenti in conto futuro aumento del capitale sociale per L. 253.000.000 da parte di C.A. e per L. 841.000.000 da parte di C. e che detti finanziamenti furono "versati" (sono le "fittizietà" di cui ai nn. 3 e 4 del capo C1). Non è dato comprendere, quindi, in cosa consista la "fittizietà" contestata. d) A pag. 193 si dice che nel 2000 la (OMISSIS) fece fronte ad un ingente debito nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. attingendo la provvista, per L. 199.000.000, a versamenti effettuati il 28/12/2000 dal socio C. e, per L. 800.845.000, a versamenti effettuati, nella stessa giornata, dal socio C.A. (sono i versamenti "fittizi" di cui ai nn. 7 e 8 del capo C1). Senonchè, aggiunge la sentenza, la (OMISSIS) s.p.a. girò, nella stessa giornata, le somme percepite da (OMISSIS) a C. per 150 milioni e a C.A. per 850 milioni. Anche in questo caso, però, non verrebbe in questione la fittizietà dell'annotazione, ma l'uso fatto dalla (OMISSIS) s.p.a. delle somme percepite da (OMISSIS), dal momento che quelle somme servirono effettivamente ad estinguere un debito di quest'ultima nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. (così, almeno, si comprende dalla sentenza). Nè ha rilievo il fatto che non sia stata provata - in questo come in altri casi - l'origine della provvista utilizzata da C. e C.A. per effettuare i versamenti sopra specificati, atteso che l'elemento di sospetto - indotto dal "non ricordo" degli interessati - non toglie concretezza al dato oggettivo, costituito dall'ingresso delle somme nella disponibilità di (OMISSIS) s.r.l.. A tanto va aggiunto che nè il Tribunale, nè la Corte d'appello hanno messo in discussione l'effettività delle forniture eseguite da (OMISSIS) s.p.a. a favore sia di (OMISSIS) s.r.l. che di (OMISSIS) s.r.l., il che consente di affermare che l'eliminazione - nella contabilità di dette società di poste passive in dipendenza delle operazioni sopra descritte (versamenti dei soci, pagamento delle forniture, riutilizzo delle somme da parte di (OMISSIS) s.p.a.) corrispose ad operazioni finanziarie aventi giustificazione nella realtà d'impresa, perchè comportò l'abbattimento della esposizione debitoria di (OMISSIS) e (OMISSIS); il che non è compatibile con la fittizietà delle annotazioni relative ai versamenti in contestazione. Di ciò dà atto, inavvertitamente, lo stesso giudice di primo grado, allorchè afferma, a pag. 174 (per la (OMISSIS)), che ai versamenti "corrispondevano dei successivi flussi di denaro nei confronti di altre società, ovvero corrispondevano a somme che provenivano da altre società cui poi venivano successivamente ad essere restituiti sebbene alla luce di altre e successive operazioni economiche"; operazioni, si ribadisce, mai contestate nella loro effettività. E ne prende atto il giudice d'appello, laddove, per contestare l'efficacia dirimente della documentazione prodotta in appello dagli imputati, afferma che "in nessuna delle contestazioni si assume che il versamento non vi sia stato laddove le ricostruzioni documentali hanno accertato la provvista dei suddetti versamenti esaminando i conti correnti sia delle diverse società che dei soci, tutti movimentati per identico importo nella stessa giornata" (pag. 53). In realtà, la problematica vera attiene all'effettività dei crediti vantati da C. e C.A. verso la (OMISSIS) s.p.a. (crediti che sono a base delle elargizioni o delle compensazioni successive); ma si tratta di problematica che attiene all'uso delle risorse di detta società e non già alla regolarità delle annotazioni contabili di (OMISSIS) e (OMISSIS). Con riferimento alla posizione di C.A., va poi ribadito quanto già osservato in relazione al capo B1) riguardo alla mancata giustificazione circa il dolo dell'extraneus cui si riferisce la passività inesistente, che ha lasciato oscuro il ruolo svolto nella vicenda. Ne consegue (quanto al capo C1) che la sentenza va, per le stesse considerazioni già svolte in relazione al capo B1), annullata con rinvio con riferimento a C.G. ed annullata senza rinvio per non aver commesso il fatto quanto a C.A.. 25.2. Al capo C) è stata contestata a C.G., a C.A. e ad E.S. la distrazione di L. 2.211.040.905 (tale è la somma, ridotta all'occorrenza in lire, enunciata in imputazione dal n. 1 al n. 21 e non contestata nell'importo) prelevata indebitamente da C.G. dalle casse sociali dal 1999 al 2003, e di L. 50.000.000, prelevata, altrettanto indebitamente, da C.A. nel 2000. Anche in questo caso alle "distrazioni" si contrappongono "finanziamenti" (comprensivi di conferimenti in capitale, in conto futuro aumento capitale ed altro titolo) effettuati in un arco di tre anni da C.G. per L. 2.245.500.199 e da C.A. per L. 1.976.345.000 (tali le somme indicate al capo C1 e non contestate nell'importo). In relazione a detto reato va distinta la posizione di C. rispetto a quella di C.A.. 25.2.1. Quanto a C., dalla sentenza di primo grado (a cui quella d'appello ha fatto rimando) si evince (pag. 187) che nell'assemblea del 6/10/1997 fu deliberato un aumento di capitale sociale per 1,4 miliardi, sottoscritto per 681.000.000 da C. e per uguale cifra da C.A. (le somme erano già state versate in banca il 25/9/1997). A pag. 189 (ma si veda anche pag. 197) si dice, poi, che nella "prima assemblea órdinaria" del 1998 (quella del 14/2/1998) fu deliberato un conferimento dei soci da destinare a futuro aumento del capitale sociale per L. 2.080.000.000, che avrebbe dovuto essere onorato in parti uguali da C. e C.A. (per L. 1.004.845.000 ciascuno. Piccoli conferimenti erano previsti a carico degli altri due soci Zupo Mario e Greco Maria). In effetti, si aggiunge a pag. 194, il bilancio chiuso al 31/12/2000 evidenziò versamenti effettivi di C. e C.A. a titolo di futuro aumento del capitale (L. 1.132.000.000 versati da C.G. e L. 1.004.000.000 versati da C.A.). Traendo le somme da questa girandola di cifre si comprende che la gran parte delle somme versate da C. nelle casse della (OMISSIS) avevano natura di capitale di rischio, giacchè al capitale sottoscritto nel 1997, per L. 681.000.000, si aggiunse l'obbligazione di impinguare la società di capitale proprio per altri L. 1.004.845.000, per complessive L. 1.685.845.000, sicchè i prelievi da lui effettuati dalle casse della società, a partire dall'8/5/1999, per L. 2.211.040.905, avevano, per la gran parte, tale natura. Questa conclusione non è minimamente scalfita dai motivi di ricorso, ove non si contesta che i conferimenti avessero natura di capitale di rischio, ma si deduce una mancanza di prova in ordine alla potenzialità lesiva delle distrazioni consumate: critica inidonea a scalfire le conclusioni dei giudici di merito, atteso che l'importo delle distrazioni rende da solo evidente non solo il rischio di compromissione dell'interesse dei creditori, ma anche la loro attitudine a cagionare il dissesto della società, come puntualmente avvenuto (gli ultimi tre bilanci si chiusero tutti con perdite significative e le ultime distrazioni furono addirittura consumate quando la società aveva già tentato, inutilmente, una ristrutturazione del debito con la (OMISSIS)). Per C.G., pertanto, il ricorso in relazione al capo C), qualificato L. Fall., ex art. 223, comma 2, n. 1), va rigettato. 25.2.2. Discorso diverso è da fare per C.A., al quale è addebitato un solo rimborso di L. 50.000.0000, operato il 2-2-2000, laddove le sentenze di merito danno atto che C.A. aveva, come C., sottoscritto, o si era impegnato a sottoscrivere, capitale sociale per L. 1.685.845.000, a fronte di finanziamenti effettivi, da lui operati, per L. 1.976.345.000. A ciò si aggiunga che la sentenza di appello è inconferente rispetto alla contestazione, dal momento che concentra la sua attenzione sull'operazione del 12 aprile 2001, che è successiva a quella "incriminata". Nei trecento milioni (circa) di eccedenza è ampiamente compresa, quindi, la somma di 50 milioni a lui restituita nel 2000, che di conseguenza deve ritenersi oggetto di finanziamento del socio nei confronti della società. Sulla base dei principi evidenziati in premessa e della riconducibilità al paradigma della bancarotta preferenziale delle indebite restituzioni dei finanziamenti ai soci, la sentenza, nei confronti di C.A., va annullata senza rinvio per prescrizione, il cui termine massimo - calcolato sulla scorta del reato risultante dalla derubricazione e facendo riferimento al regime successivo alla L. n. 251 del 2005 in quanto più favorevole - è maturato il 5 gennaio 2013, non risultando in atti sospensioni che consentano di dilatare il termine fino alla data odierna. 25.2.3 Il ricorso di E.S. va rigettato. L'imputato è stato amministratore della (OMISSIS) dal 3/10/2002 al fallimento (dichiarato il 5/7/2005) ed è stato condannato per avere, nell'epoca in cui era stato amministratore, indebitamente rimborsato a C.G. la somma di Euro 251.876,23 (sommatoria dei valori indicati al capo C, dal n. 14 al n. 21, comprensiva della somma indicata in lire al n. 14). Vale per lui il discorso sviluppato intorno alla posizione di C., atteso che le ultime restituzioni a favore di quest'ultimo furono da lui disposte quando la società era già ampiamente dissestata e quando le restituzioni andavano sicuramente ad intaccare il capitale sociale ed aggravavano il dissesto della società (se le prime restituzioni potevano essere interpretate - in astratto - come rimborso di capitale di credito, certamente non avevano tale natura quelle disposte in fondo alla vicenda imprenditoriale della (OMISSIS), in prossimità del fallimento). Non può essere seguita, pertanto, l'impostazione del suo difensore, secondo cui si sarebbe di fronte, nella specie, ad una bancarotta preferenziale, dal momento che anche le somme versate in conto futuro aumento capitale sociale sottostanno, per quanto è stato sopra detto, alla disciplina del capitale sociale. Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza civile (Cass. Civ., sez. 1, n. 9209 del 6/7/2001; Sez. 3, 2314 del 19/3/1996), le somme suddette non possono essere restituite al conferente, a meno che il conferimento fosse stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e la delibera in questione non fosse intervenuta entro il termine convenuto dalla parti o fissato dal giudice. Nella specie, non v'è prova nè del fatto che il conferimento in conto futuro aumento di capitale nominale fosse sottoposto a condizione risolutiva, nè del fatto che un termine per deliberare l'aumento di capitale nominale fosse stato stabilito dal giudice e fosse spirato invano. 25.3. Al capo C3) E.S. è stato condannato per il reato di bancarotta per distrazione in relazione a somme cancellate dalla contabilità in forza della L. 289 del 2002 sul condono fiscale. Valgono, per questo capo, le stesse considerazioni già svolte in ordine al reato di cui al capo B, n. 11) e nella parte in cui si è trattato, in termini generali, il tema della portata distrattiva delle cancellazioni da condono. La sentenza va, pertanto, annullata con rinvio affinchè il Giudice di rinvio dia eventualmente conto dell'eventuale natura predatoria, rispetto al patrimonio della (OMISSIS) s.r.l., delle operazioni oggetto delle scritture interessate dalla cancellazione. 25.4. Rimandando alla sezione dedicata alle bancarotte documentali quanto al reato di cui al capo C2), occorre sottolineare che, riguardo al reato di cui al capo C5), E.S. non ha articolato motivi di ricorso. 26. In relazione al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. sono stati condannati: - Es.Vi. (amministratrice fino al 20/8/2005) per la distrazione di titoli di credito per Euro 103.291,39 e di crediti per Euro 58.365,19 (capo E). La medesima Es. è stata condannata per aver distratto la somma di L. 1.690.000.000, ottenuta in mutuo dalla (OMISSIS) e trasferita senza causa nella disponibilità di (OMISSIS) s.p.a. (capo E1); - Es.Vi., C.G. ed E.V. per la distrazione della somma di Euro 395.000, che l'amministratrice ( Es.Vi.) aveva trasferito - senza causa - nella propria disponibilità per Euro 187.000, nella disponibilità di C.G. per Euro 104.000 e nella disponibilità di E.V. per Euro 104.000 (capo E2); - Ca.An., per avere, quale amministratore dal 20/8/2005 al fallimento, distratto l'azienda affittandola alla (OMISSIS) s.r.l. in prossimità del fallimento (capo E4); - Es.Vi. e Ca.An. per avere, nel periodo in cui avevano amministrato la società, tenuto le scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (capo E6). 26.1. Le doglianze di Es.Vi. relative al capo E) sono parzialmente fondate. La somma di Euro 58.364,19 sarebbe stata distratta, invero, perchè eliminata dalla contabilità - ove era iscritta come credito (così è detto in imputazione) - in occasione del condono fiscale del 2002. Di tale somma si parla a pag. 243 e 246 della sentenza di primo grado per dire che era "solo una parte dei L. 240.000.000 versati dai soci ( C. ed E.V. - n.d.e.) nel 1999". Non è dato comprendere, allora, perchè si trattava un "credito" della società" (era, semmai, un debito della società verso i soci), nè il motivo per cui la sua cancellazione dalla contabilità ne avesse comportato la "distrazione" (tenuto conto del fatto che possono essere distratte le poste attive, e non quelle passive). In ogni caso, andava spiegato perchè la correzione contabile avesse comportato l'inesigibilità del credito (se di credito si trattava). La sentenza, pertanto, va in parte qua annullata con rinvio. E' infondata, invece, la censura dell'ulteriore distrazione contestata nello stesso capo E). Nella sentenza di primo grado si spiega (pag. 246) che la somma di L. 200.000.000 era stata impegnata in titoli di Stato alla fine del 1998 (divenuti titoli per Euro 103.291,38, dopo l'entrata in vigore dell'euro). Questi beni non sono stati rinvenuti dal curatore e non ne è stata spiegata la destinazione, sicchè non è affatto illogica la conclusione che siano stati distratti (nell'appello dell'imputata si adombrava solo l'ipotesi che potessero essere stati consegnati alla (OMISSIS) "in occasione della stipula del piano di rilancio della società", senza indicare alcun elemento di prova in tal senso). Per il resto, l'illogicità sta nel pretendere che fosse la Pubblica Accusa a dover inseguire (dove e come?) i titoli suddetti, se l'imputata si sottraeva all'onere di spiegare quale uso aveva fatto degli stessi. 26.2. Le doglianze relative al capo El) sono fondate sicchè la sentenza va annullata con rinvio sul punto. Entrambi i giudici di merito danno atto che la somma di L. 1.690.000.000 fu acquisita in mutuo dalla (OMISSIS) nel settembre 2001 e che, dopo appena sette giorni, fu trasferita alla (OMISSIS) s.p.a.. In effetti, prosegue la sentenza (pag. 68), è stato accertato che al 31/12/2001 la (OMISSIS) annotò nelle proprie scritture contabili l'importo di L. 1.295.000.000 come capitale sociale di (OMISSIS) s.p.a., mentre la differenza (L. 395.000.000) fu riportata come credito in conto futuro aumento di capitale sociale della stessa (OMISSIS). Senonchè, aggiunge la sentenza, la sottoscrizione del capitale sociale di (OMISSIS) (che aveva deliberato un aumento di capitale per L. 1.850.000.000 il 5 luglio 2001) era stata operata da C., in precedenza ( C. aveva sottoscritto l'intero capitale sociale e lo aveva liberato solo per tre decimi, rimanendo debitore di L. 1.295.000.000), sicchè l'operazione aveva avuto, come effetto, la sostituzione di (OMISSIS) a C. nell'obbligazione gravante su quest'ultimo. Posta tale ricostruzione, non può dirsi - con l'automaticità sottesa al ragionamento della Corte d'appello - che la somma di L. 1.690.000.000 sia stata "distratta", giacchè dalla ricostruzione sopra operata si evince che la (OMISSIS) utilizzò la somma presa a mutuo per acquistare azioni di (OMISSIS) s.p.a. (per L. 1,295 miliardi) e per impegnarsi all'acquisto di altre azioni (per L. 395 milioni). Non v'è il minimo dubbio che tale operazione, effettuata in un momento in cui la società era priva di mezzi propri, sicchè dovette imbarcarsi in una costosa operazione di mutuo con la (OMISSIS), presenti aspetti di criticità, ma, perchè la stessa sia rilevante penalmente, occorre la dimostrazione, quantomeno a livello indiziario, che con essa si sia inteso favorire la (OMISSIS) s.p.a. (o C.) in danno della (OMISSIS) s.r.l., o perchè l'operazione era priva di logica imprenditoriale, o perchè la (OMISSIS) non era comunque in grado di sopportare l'onere assunto con la stipula del mutuo: aspetti su cui entrambe le sentenze di merito tacciono del tutto. Tali accertamenti si rendevano necessari anche per procedere alla corretta qualificazione giuridica del fatto, che presenta, allo stato, più i caratteri della "operazione dolosa", a cui sia conseguito il dissesto della società (L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2), che della distrazione (come sottolineato nel ricorso della parte). 26.3. Non hanno fondamento, invece, le critiche che afferiscono al capo E2), giacchè non è affatto vero che non si rinvengano, nelle sentenze di merito, gli elementi della distrazione (unica critica rivolta, genericamente, ai giudici di merito). A pagg. 250 e segg. della sentenza di primo grado (a cui quella d'appello ha fatto rimando) si evince che il 18 maggio 2005 venne sottoscritto un preliminare di cessione d'azienda (da (OMISSIS) ad (OMISSIS)) per Euro 1.400.000. Nel preliminare si dava atto che la (OMISSIS) aveva versato Euro 400.000, come acconto. Questa somma fu subito utilizzata per rimborsare di pretesi crediti C. (Euro 104.000), E.V. (Euro 104.000) ed Es.Vi. (Euro 187.000), sebbene i predetti non vantassero crediti rimborsabili. Dalla medesima sentenza (pag. 241 e segg.) si evince, infatti, che i tre avevano sottoscritto, in parti uguali, l'aumento di capitale sociale a 720 milioni di lire, deliberato il 17 ottobre 1997, al fine di ottenere i soliti finanziamenti ex lege 488/92, sicchè le somme da essi versate alla società erano vincolate al conseguimento dell'oggetto sociale e non potevano essere restituite, se non all'esito della liquidazione. Non a caso, nè nell'atto dall'appello nè in ricorso si fa riferimento a crediti esigibili dei soci, salvo contestare - in contrasto con la chiara dizione del preliminare e con l'accertamento della Guardia di Finanza - che il versamento dell'acconto sia stato effettivo: circostanza su cui nessuna indagine o sovrapposizione ricostruttiva è consentita al giudice di legittimità. Accanto a queste considerazioni giova altresì precisare che il ricorso di Es.Vi. presenta anche profili di inammissibilità, tenuto conto del fatto che i motivi di appello sul punto erano aspecifici, siccome privi di confronto con la sentenza impugnata, con ciò ponendosi in contrasto con quanto di recente affermato da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823. Lo stesso dicasi per il ricorso di E.V., strutturato sull'estrapolazione di singoli brani della deposizione del curatore e del Maresciallo G., ovvero sulla trascrizione di sunti, senza neanche l'indicazione dell'udienza in cui hanno deposto o l'allegazione dei verbali, il che pone il ricorso al di fuori dell'alveo del dedotto travisamento del prova. Giova ricordare, infatti, che esso consiste nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, quando il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nella motivazione; si ricorda altresì che tale vizio, intanto può essere dedotto, in quanto siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate e sempre che il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni, sicchè devono ritenersi inammissibili i motivi - come quello sub iudice - contenenti trascrizioni parziali di singoli brani di prove dichiarative, brani adoperati, nella loro visione atomistica scevra dal necessario inquadramento di insieme, per sostenere le proposte censure motivazionali (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552). Il ricorso di C. va, pertanto, rigettato e quelli di Es.Vi. ed E.V. vanno dichiarati inammissibili. 26.4. Merita accoglimento il ricorso di Ca. in ordine al reato di cui al capo E4, giacchè risultano completamente trascurati gli argomenti addotti dall'imputato a giustificazione del suo operato, specificamente allegati in appello. Egli è stato condannato per avere, in prossimità del fallimento, affittato l'azienda alla (OMISSIS) di T.M.R. per un periodo di nove anni, concordando un canone annuale d'affitto di Euro 6.000, giudicato incongruo dal curatore e dai giudici di merito. Senonchè, l'imputato aveva allegato che l'affitto si era reso necessario per garantire, nell'immediato, la prosecuzione dell'attività ed evitare lo smobilizzo e il deprezzamento dei macchinari, a fronte della crisi di liquidità che aveva investito la società, ma soprattutto il fatto che, intervenuto il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., la curatela, previa approvazione del giudice delegato, aveva proseguito il rapporto di affitto, "rinnovandolo addirittura in ribasso" (pag. 8 dell'appello). Tale circostanza, se accertata, avrebbe dovuto indurre ad una lettura diversa dell'operazione addebitata a Ca., giacchè l'affitto dell'azienda, effettuato prima del fallimento, non comporta distrazione in re ipsa, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma solo allorchè esso non sia giustificato dalle concrete esigenze dell'impresa e dalle condizioni del mercato (in determinate situazioni l'affitto dell'azienda si rende doveroso per salvaguardare valori aziendali) o avvenga a condizioni inequivocabilmente svantaggiose per la fallita. L'assenza di risposta sul punto comporta l'annullamento con rinvio della sentenza. 27. In relazione al fallimento della (OMISSIS) s.p.a. sono stati condannati: - C.G. (amministratore fino al 30/1/2004) e M.G. (quale concorrente esterno), per aver distratto, vendendolo in data 21/1/2004 alla (OMISSIS) s.r.l. (di cui era amministratore M.G.), ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello reale, immobile sito in (OMISSIS) (capo F); - Ca.An. (amministratore dal 21/1/2004 al fallimento) e M.G. (quale concorrente esterno), per aver distratto, vendendoli alla (OMISSIS) s.r.l. ad un prezzo di gran lunga al valore reale, un capannone sito in Crotone (contratto del 19/5/2004) e il ramo d'azienda sita in (OMISSIS), con contratto del 2/4/2004 (capo F); - Ca.An. (quale amministratore pro tempore), per aver distratto i beni strumentali e il magazzino, non rinvenuti dal curatore all'atto dell'inventario fallimentare (capo F). - il solo C. per la distrazione della somma di L. 1.690.000.000, ricevuta a settembre 2001 dalla (OMISSIS) s.r.l. (capo F1); - C. e Ca. per bancarotta documentale (capo F2). 27.1. Le doglianze di C. in ordine alla ritenuta distrazione dell'immobile di (OMISSIS) (Capo F), sono inammissibili, perchè non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata. Il giudice d'appello, come quello di primo grado, ha ritenuto che C. fosse responsabile della distrazione dell'immobile suddetto perchè la vendita del cespite alla (OMISSIS) s.r.l., da lui operata poco prima di dimettersi dalla carica, oltre a provocare il dissesto della società si risolse a tutto vantaggio dello stesso amministratore della (OMISSIS) s.r.l., in quanto il ricavato della vendita fu destinato alla restituzione di somme che C. aveva versato alla società come capitale sociale (pag. 268 della sentenza di I grado; pag. 73 della sentenza d'appello). Poco rileva, quindi, che entrambi i giudicanti abbiano ritenuto "svenduto" il cespite suddetto, dal momento che la ratio decidendi poggia sul carattere illecito delle operazioni liquidatorie poste in essere dall'amministratore, su cui il ricorrente non si è soffermato. Tanto nella scia dell'imputazione, ove è detto che la vendita dei beni alla (OMISSIS) s.r.l. (non solo dell'immobile di Roma, ma anche di tutti gli altri cestiti dell'impresa) rappresentò il mezzo "per svuotare progressivamente (OMISSIS) del suo patrimonio". 27.2. Le doglianze di Ca. in ordine alle ulteriori ipotesi distrattive contestate al capo F) sono infondate. La ratio dell'incriminazione, condivisa dai giudici di merito, risiede nel fatto che la dismissione della totalità dei cespiti aziendali era avvenuta a favore e nell'interesse del socio C.G., a cui fu reso - contrariamente ad ogni norma - il ricavato della vendita, al fine di ripagarlo dei versamenti effettuati in conto capitale, a cui avrebbe avuto diritto solo dopo la liquidazione della società e dopo la soddisfazione di tutti gli altri creditori. Tanto, senza considerare che la sentenza di primo grado chiarisce ampiamente perchè gli immobili furono svenduti: quello di Crotone, infatti, venduto per Euro 340.000 (oltre IVA), era stato riportato, nel piano di ristrutturazione proposto alla (OMISSIS) nel 2003, per Euro 700.000 (pag. 270 della sentenza di primo grado), mentre il ramo d'azienda di Roma, via Propaganda, fu venduto ad un prezzo (Euro 90.000) pressochè corrispondente al solo canone di affitto annuale percepito della società (Euro 84.000) e fu accompagnato dalla rinuncia ai canoni d'affitto maturati, per 49 mila euro (pag. 271). Inutilmente, pertanto, il ricorrente insiste sulla congruità del prezzo di vendita dell'immobile di Crotone e del ramo d'azienda, trattandosi di argomenti già sottoposti alla valutazione del giudice di merito e da questi disattesi con valutazione incensurabile in questa sede, perchè radicata nella concretezza delle risultanze dibattimentali, apprezzate in maniera scevra di illogicità manifeste. Quanto alle rimanenze di magazzino e ai beni strumentali, la sentenza di primo grado (vedi pag. 272) ha fondato la responsabilità di Ca. sul fatto che, al momento della redazione dell'inventario, fu riscontrato un ammanco di beni mobili, che furono poi rinvenuti presso altra società (la (OMISSIS) s.r.l.): argomenti con cui il ricorrente nemmeno si confronta. 27.3. Sono fondate, invece, le censure di M.G., per cui la sentenza nei suoi confronti va annullata con rinvio. La sentenza non contiene alcuna motivazione, invero, sull'elemento soggettivo, pure contestato dal ricorrente, anche con l'allegazione di propria consulenza, del tutto pretermessa dal giudicante. In tutte le operazioni di acquisto indicate al capo F), M.G., quale amministratore di (OMISSIS) s.r.l., ha comprato a prezzi vantaggiosi, si dice, i beni della (OMISSIS), ma per affermare il suo concorso nella bancarotta per distrazione occorre la prova di una fattiva collaborazione con l'intraneus nell'attività di spoliazione, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori e ne mette concretamente a rischio la soddisfazione, pur non esigendosi la conoscenza, da parte sua, dello stato di dissesto della società cui appartiene l'intraneus. Circostanza su cui le sentenze di merito tacciono del tutto, o si esprimono in termini apodittici, non bastando ad integrare la prova necessaria ai fini penali - la "stretta collaborazione" esistente tra le due società. Sul punto, non si nega che la conoscenza dello stato di dissesto - da parte dell'extraneus possa rilevare ai fini probatori, nè va esclusa la rilevanza dello squilibrio delle prestazioni (allorchè la distrazione sia operata attraverso una compravendita), ma per evitare facili aggiramenti dei principi che regolano la circolazione dei beni - deve trattarsi di conoscenza qualificata (dello stato di dissesto) e di squilibrio grave delle prestazioni, che faccia ragionevolmente presumere, all'uomo avveduto, l'esistenza nella controparte di una finalità illecita. Peraltro, nella specie le sentenze hanno derivato il carattere distrattivo delle compravendite dal fatto che queste servirono a ripagare C. dei suoi crediti, e non tanto dal fatto che vi sia stato squilibrio nelle prestazioni. Va spiegato, allora, perchè M.G. avrebbe dovuto sapere che le vendite furono effettuate, dalla (OMISSIS), per dare soddisfazione a C., invece che per sanare, in tutto o in parte, la propria posizione debitoria. 27.4. Sono fondate le critiche di C. riguardanti il reato di cui al capo F1), per cui la sentenza va annullata con rinvio. L'operazione presa in considerazione in detto capo è la stessa esaminata al punto precedente, riguardata, questa volta, dal punto di vista della (OMISSIS) s.p.a. Nè dalla sentenza di primo grado, nè dalla sentenza d'appello, è dato comprendere quale uso sia stato fatto - da parte di (OMISSIS) s.p.a. - della somma di L. 1.690.000.000, versata da (OMISSIS) s.r.l. e imputata, all'atto del versamento, il 14 e 21 settembre 2001 sia nella contabilità della (OMISSIS) che in quella della (OMISSIS) - a futuro aumento di capitale della (OMISSIS) s.p.a. In sentenza (pag. 275) si dice che alla fine dell'esercizio 2001 una parte della somma (per L. 1.295.000.000) venne imputata ad un conto intestato al socio C.G., mentre i restanti 395.000.000 di lire vennero imputati a "soci conto finanziamento", per poi essere, nel 2002, cancellati (questi ultimi) dalla contabilità con la generica dizione di "rinuncia" da parte del socio. Orbene, ciò che conta stabilire non sono le modalità di registrazione della somma, certamente entrata (secondo i giudici di merito) nelle casse sociali, ma l'uso che fu fatto, in concreto, della stessa, giacchè solo il suo impiego per esigenze diverse da quelle proprie dell'impresa può costituire distrazione (aspetto su cui nulla è dato arguire dalle pronunce del Tribunale e della Corte territoriale). Il resto attiene alla regolarità di tenuta delle scritture contabili e deve essere apprezzato sotto il profilo della bancarotta documentale. Non può convenirsi, comunque, con la richiesta del Procuratore Generale d'udienza di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata (ovviamente, limitatamente al punto in questione), ponendosi comunque la necessità di accertare cosa sia stato fatto della somma in questione, oltre le apparenze contabili. 28. In relazione al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. sono stati condannati C.G., M.G. e Ca.An. (capi G-G2). 28.1. Il ricorso di C. merita un accoglimento molto limitato. Questi è stato condannato, al capo G), per avere, quale amministratore della società fino al 30/1/2004, distratto dalla liquidità societaria oltre tre milioni di euro o sotto la veste di "rimborsi" (non dovuti) ai soci (lo stesso C. e la società (OMISSIS) s.p.a.), oppure mediante erogazioni a favore di società del medesimo gruppo ((OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l.) per prestazioni non rese, ovvero mediante la concessione di finanziamenti alla società (OMISSIS) s.r.l. (per L. 450.000.000) non giustificati dalla logica dell'impresa (tale credito venne, poi, indebitamente cancellato dall'attivo patrimoniale in occasione del condono fiscale del 2002). C. è stato altresì condannato per aver riconosciuto passività inesistenti attraverso l'appostamento in contabilità di somme a titolo di versamenti soci, in realtà mai effettuati, e per bancarotta fraudolenta documentale (medesimo capo G). Ebbene, dalla sentenza di primo grado (pagg. 283-284), richiamata da quella d'appello, emerge la conferma, pressochè totale, delle illiceità commesse da C. in danno della società. a) Dalle dette sentenze si evince, innanzitutto, che la società (OMISSIS) s.r.l., amministrata da C. fino al gennaio 2004, si impegnò, nel corso dell'assemblea del 17 maggio 1999, a portare il capitale sociale a L. 4.000.000.000 al fine di ottenere un finanziamento statale ex L. n. 488 del 1992, e che fu lo stesso C. ad assicurare (in prospettiva) l'apporto dei capitali necessari, essendo il principale azionista della società, insieme alla moglie ( E.V.). Peraltro, già qualche giorno prima (il 7 maggio 1999), l'assemblea aveva effettivamente deliberato l'aumento del capitale a 1.600.000.000, sottoscritto in parti uguali da C. e dalla moglie (permaneva, quindi, l'obbligo di effettuare un ulteriore aumento, per altri 2.400.000.000). Si trattava di somme, quindi, inequivocabilmente connotate dalla natura di capitale di rischio, sicchè il loro utilizzo - effettuato subito per l'acquisto di titoli non meglio precisati, per l'importo di 944.500.000, successivamente utilizzate da C. per rimborsarsi di somme corrisposte alla società - avvenne in maniera illecita, così come illecita fu (e così è stata ritenuta dai giudici di merito) l'apprensione - da parte di C. - di 230.000.000 e 240.000.000 di lire avvenuta nel settembre del 1999 (pag. 290), nonchè l'apprensione, alla fine del 1999, della residua parte della prima quota di finanziamento statale e del rimborso IVA di 480.000.000 di lire. La medesima sentenza chiarisce che alla fine dell'anno 2000 C. aveva prelevato dalle casse della società la bella somma di L. 1.822.000.000, sebbene non avesse finanziato la società nemmeno per un centesimo (gli 810 milioni di lire da lui versati avevano tutti natura di capitale di rischio: pag. 291 della sentenza di primo grado e 75 della sentenza d'appello). b) Dalla medesima sentenza si evince che vennero rilasciate, nel giugno del 2001, garanzie fideiussorie alla (OMISSIS) s.p.a. e alla E. s.r.l., senza alcuna giustificazione economica (pag. 292). Il che rappresenta, per consolidata giurisprudenza, una forma di bancarotta patrimoniale. c) Quando, poi, a settembre del 2001, la (OMISSIS) s.r.l. ottenne dalla (OMISSIS) un mutuo di 1,3 miliardi di lire, una parte considerevole di esso (per 450 milioni) fu dirottata verso la (OMISSIS) s.r.l., anche in questo caso senza alcuna giustificazione economica, sebbene la società avesse dovuto impegnare, per ottenere il prestito, l'unico immobile che possedeva e sebbene l'esborso a favore della (OMISSIS) comportasse l'azzeramento delle disponibilità finanziarie della società, visto che il conto bancario aperto finì in rosso (conferma della natura distrattiva dell'operazione è stata logicamente ravvisata nel fatto che il credito venne, poi, inopinatamente cancellato dalla contabilità sociale in occasione del condono fiscale del 2002: pag. 294). d) E con logica ineccepibile è stata ravvisata natura distrattiva nella restituzione alla (OMISSIS) s.p.a., a gennaio 2004, di 90 milioni di lire, atteso che detta società era creditrice di (OMISSIS) s.r.l. solo per capitale sociale, sottoscritto a luglio del 2001 per 1,8 miliardi di lire, e quindi non rimborsabile (se non all'esito della liquidazione e nei limiti delle disponibilità di bilancio). e) Manifestamente illogica e contraddittoria, invece, è la motivazione con cui è stata spiegata dal giudice d'appello - la natura distrattiva dei "versamenti" effettuati, nel settembre 2002, da (OMISSIS) s.r.l. a favore di altre società del gruppo ((OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), per Euro 828.939,73. In questo caso si dice, a pag. 295 della sentenza di primo grado, che il 2 settembre del 2002 (OMISSIS) s.r.l. effettuò pagamenti a favore di (OMISSIS) s.p.a. (per 422.238,65), di (OMISSIS) (per Euro 17.662,82) di (OMISSIS) (per Euro 371.853,60) e di (OMISSIS) (per Euro 17.179,01) utilizzando anticipazioni del socio C.. La provenienza delle somme è chiarita nella nota a piè di pagina, ove si precisa che, "in altri termini le somme che C. versava nella (OMISSIS) s.r.l. per disporre i pagamenti rilevavano (rectius, risultavano) come prelevate lo stesso giorno dal conto della (OMISSIS) s.p.a.". Dal che sembrerebbe che depauperata fosse stata la (OMISSIS) s.p.a.. (e non la (OMISSIS), beneficiaria dei versamenti). A pag. 79 della sentenza d'appello si afferma, invece, per contrastare la versione difensiva, ma senza smentire quanto affermato dal primo giudice, che "gli 828mi1a euro trovano invece provvista dalle stesse società che avevano beneficiato dei pagamenti effettuati sempre il 2 settembre da parte di (OMISSIS)", con ciò affermando che erano state (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ad essere depauperate, perchè la provvista proveniva da queste stesse società, le quali avevano visto azzerare i propri crediti - effettivamente esistenti, secondo la sentenza - verso (OMISSIS) con le proprie stesse disponibilità. Si sarebbe trattato, in tale ottica, di un artificio contabile posto in essere da C. (amministratore di tutte le società interessate) per far risultare pagate fatture emesse dalle quattro società sopra nominate nei confronti di (OMISSIS) s.r.l.. Senonchè, anche in questo caso le distrazioni (o, per meglio dire, le operazioni dolose poste in essere da C.) avrebbero riguardato le società (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), private, in definitiva, delle proprie ragioni di credito verso (OMISSIS) s.r.l., e non già quest'ultima società, a cui vengono riferite dall'accusa (e dai giudici di merito). Si impone, pertanto, rispetto a questa specifiche condotte addebitate a C., l'annullamento con rinvio. 28.2. Il ricorso di Ca.An. è infondato. Questi è stato condannato per avere, quale amministratore della società dal 30/1/2004 al fallimento (dichiarato il 28/9/2005), disposto la "restituzione" a C.G. di Euro 598.966,94 - da questi versati a titolo di aumento capitale sociale - e di aver corrisposto, indebitamente, Euro 239.950 a M.G. (subentrato nella compagine societaria ad agosto del 2003, per aver acquistato l'intera quota di C.G.). E' stato inoltre condannato per bancarotta documentale (Capo G). La ricostruzione delle vicende societarie, operata dai giudici di merito, non è contestata dal ricorrente, il quale si limita a sostenere la "ineccepibilità" del suo operato, avendo semplicemente dato esecuzione alla volontà dei soci (si presume, espressa nel corso di regolari assemblee). Senonchè, il compito dell'amministratore è quello di dare esecuzione alla volontà legittimamente espressa dai soci nel rispetto della normativa che disciplina l'attività d'impresa; non è compreso tra i "compiti" dell'amministratore quello di restituire somme versate dai soci in conto capitale, o in previsione di un aumento di capitale (com'è in concreto avvenuto). Tale condotta, posta in essere pochi mesi prima del fallimento, è stata correttamente ritenuta all'origine del dissesto societario, o causa del suo aggravamento. 28.2.1. Ca. è stato anche condannato per aver affittato l'azienda, in data 26/9/2005, alla (OMISSIS) s.r.l., due giorni prima del fallimento (capo G2). Il contratto aveva durata novennale e prevedeva un canone annuo di Euro 6.000, decisamente inadeguato rispetto al valore dell'azienda (pag. 311). Si trattava, oltretutto, di contratto che impegnava la società per nove anni, sebbene fosse imminente la dichiarazione di fallimento. La motivazione con cui è stato ravvisato il carattere distrattivo dell'operazione non merita nessuna censura, per le ragioni compiutamente esposte nell'esame del primo motivo di ricorso, che riguarda una condotta esattamente corrispondente a quella in commento (posta in essere, nell'altro caso, in danno della (OMISSIS) s.r.l.). Il ricorso va, pertanto, rigettato. 28.3. Il ricorso di M.G. è manifestamente infondato. Questi è stato condannato per aver concorso nel reato proprio dell'intraneus, essendo stato destinatario della somma di Euro 239.950, a lui non dovuta, perchè eccedente i conferimenti da lui pure effettuati nel corso del 2004 (pag. 301 della sentenza di primo grado e 80 della sentenza d'appello). Si tratta di ricostruzione nemmeno contestata dal ricorrente, il quale - trascurando completamente la motivazione delle sentenze di merito - insiste sul fatto che la restituzione, a favore del socio, dei "finanziamenti" è da inquadrare - per la giurisprudenza - nella bancarotta preferenziale, laddove le ragioni della sua condanna stanno altrove: nel fatto, si ripete, che egli ha ricevuto più di quanto corrisposto alla società, sicchè la sua condotta è da inquadrare, pacificamente, nella bancarotta per distrazione, che sussiste in ogni ipotesi di ingiustificato depauperamento del patrimonio societario. 29. In relazione al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. sono stati condannati C.G. (amministratore fino al 27/3/2002) ed E.S. (amministratore fino al 3/9/2003) per avere, in data 29/3/2002, venduto un immobile sociale (quello sito in Roma, via Garigliano) alla (OMISSIS) s.p.a. ad un prezzo inferiore a quello di acquisto e per averne distratto il ricavato (Euro 480.000) a favore di C.G. (capo H). Entrambi sono stati anche condannati per bancarotta fraudolenta documentale (capo H3). Il solo E.S. è stato condannato per la distrazione - fra aprile e giugno 2003 - di somme varie, ammontanti ad Euro 291.794 (capo H2). 29.1. Nessun vizio affligge la sentenza impugnata in ordine ai reati di cui ai capi H) ed H2, giacchè spiega - con puntuale riferimento alle risultanze istruttorie - che la vendita dell'immobile di via Garigliano ha natura distrattiva, atteso che il ricavato dell'operazione venne introitato, senza titolo, da C.G. (circostanza su cui non si confronta nessuno dei due ricorrenti difettando, anzi, nel ricorso di E., qualsivoglia riferimento alla contestazione in discorso) e che la responsabilità di entrambi discende dal ruolo avuto nell'operazione: quanto a C., per aver disposto il bonifico della somma a proprio favore, nonostante fosse cessato, formalmente, dalla carica di amministratore (cosa resa possibile dal fatto che era, all'epoca, amministratore della (OMISSIS) s.p.a.; vale a dire della società acquirente); quanto ad E.S., per aver firmato il contratto. E anche in questo caso i ricorrenti ignorano la puntuale spiegazione fornita dal giudicante, preferendo, il C., evidenziare l'anteriorità del trasferimento (della somma e dell'immobile) all'incorporazione di Divisione1 Immobiliare in (OMISSIS) s.p.a.: circostanza assolutamente ininfluente, ai fini che interessano. Quanto all'ulteriore condotta distrattiva, imputata al solo E.S. al capo H2), la sentenza d'appello ha già rimarcato "l'assenza di specifiche censure rispetto alle argomentazioni della sentenza di primo grado" (pag. 85). Qui va solo rilevato che anche il ricorso omette di prendere in considerazione le ragioni dei giudici di merito, astenendosi da ogni critica ragionata delle motivazioni poste a base della condanna, con conseguente inammissibilità, sul punto, del ricorso. I ricorsi sono, pertanto, inammissibili. 30. In relazione al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. è stata condannata C.M. per la distrazione del terreno sito a (OMISSIS), venduto poco prima della fusione in (OMISSIS) s.p.a. a (OMISSIS) s.r.l. (capo I). Il ricorso dell'imputata è infondato in punto di responsabilità. L'immobile era stato acquistato nel 1992 al prezzo di L. 250.000.000 (Euro 129.114,22), oltre IVA e venne ceduto nel 2003 per Euro 150.000, oltre IVA. L'acquirente versava subito l'IVA, per Euro 30.000, e si impegnava a pagare il prezzo (Euro 150.000) entro il 30 agosto 2005. La sentenza spiega che il piano di fusione era stato elaborato nel 2002, quando il bene era nella disponibilità della (OMISSIS) s.r.l., e che il prezzo da ritenere inadeguato - e le modalità della vendita (che prevedevano un pagamento differito di oltre due anni) avevano comportato un depauperamento della società, la quale, privata di un suo cespite rilevante, era poi confluita nella (OMISSIS) s.p.a. (pag. 362 della sentenza di primo grado e pag. 85-86 della sentenza d'appello). Tale ratio decidendi non è stata per nulla aggredita dalla ricorrente, la quale ha svolto considerazioni - peraltro errate - inerenti l'elemento soggettivo, richiamando giurisprudenza palesemente inconferente (concorso dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore). Nella specie, infatti, C.M. è stata chiamata a rispondere della distrazione quale amministratrice di (OMISSIS) s.r.l., e non già quale concorrente esterno nel reato commesso dal soggetto rivestente una specifica qualifica soggettiva. 31. In relazione al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. è stato condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale E.S., amministratore della società fino alla data dell'incorporazione in (OMISSIS) s.p.a. (3 settembre 2003), per avere: - venduto alla società Immobiliare (OMISSIS) s.r.l., in data 31 marzo 2003, un complesso immobiliare sito in (OMISSIS), destinando il ricavato (Euro 486.000) a rimborso di finanziamenti effettuati da E.V. e Es.Vi., condannate anch'esse come concorrenti esterni (capo L); - distratto la somma di L. 400.000.000 ricevuta da (OMISSIS) s.r.l. per la vendita, avvenuta il 5 agosto 1998, di un immobile sito in (OMISSIS), destinandola a rimborso finanziamento soci, in realtà mai effettuati (capo L4); - distratto la somma di L. 350.000.000 ricavata dalla vendita - avvenuta il 4 marzo 1999 - del magazzino sito in (OMISSIS), trasferendola senza causa alla (OMISSIS) s.r.l. (capo L5); Il medesimo E.S. è stato condannato per bancarotta fraudolenta documentale (capo L6). 31.1 Il ricorso degli imputati è fondato in relazione al reato di cui al capo L). Premesso che agli stessi (in particolare, all'amministratore E.S.) non è contestato di aver venduto l'immobile di loc. Rejna ad un prezzo inferiore al reale, la loro condanna si basa sul fatto che il ricavato della vendita del bene - effettuata nel 2003 - fu destinato a rimborsare i soci o gli ex-soci per finanziamenti effettivi. La conclusione è contrastante con quanto esposto in sentenza e con i principi riguardanti la bancarotta distrattiva. Nella sentenza di primo grado (a cui il giudice d'appello si è completamente affidato) si dice, a pag. 371, che i tre soci ( E.S., E.V. e Esposito Vincenza) avevano, nel 1993, finanziato la società, ciascuno, per la somma di L. 252.300.000. Vale a dire, per oltre 750 milioni di lire complessive. Nel 1995 i finanziamenti di E.S. erano lievitati a L. 300.800.000 e nel 1996 a L. 327.100.000 (pag. 373). Si dice che nel 1997 E.S. finanziò la società per altri 67.300.000 lire. Ciò posto, si aggiunge (pag. 378 e seg.) che la vendita dell'immobile in loc. (OMISSIS) portò nelle casse della società, effettivamente, Euro 197.000 (comprensiva di IVA), perchè l'ulteriore valore dell'immobile fu assorbito dal mutuo gravante sullo stesso, che fu accollato dall'acquirente. La somma disponibile fu utilizzata per rimborsare gli ex-soci E.V. ed E.V. di finanziamenti reali effettuati a favore della società. La ratio dell'incriminazione risiede, secondo il giudicante, nel fatto che dalla compravendita "nessun beneficio immediato" ottenne la società; anzi, la (OMISSIS) subì un "depauperamento del proprio patrimonio, che, con una capienza inferiore, andava a confluire nella succitata (OMISSIS) s.p.a.". Ora, va chiarito che la distrazione sussiste quando la società viene depauperata; non già quando difettano "benefici immediati" (quali?) alle operazioni che pone in essere. Inoltre, che la vendita di un bene, anche se effettuata poco mesi prima dell'incorporazione in altra società, non "depaupera" il venditore, se il ricavato viene utilizzato per gli scopi dell'impresa (collettiva, nella specie), nel rispetto delle previsioni di legge. Nel caso concreto, stante l'effettività dei crediti di E.V. e E.V. (che nè il Tribunale nè la Corte d'appello mettono in discussione), la condotta degli imputati poteva, al massimo, essere inquadrata nella fattispecie della bancarotta preferenziale, ove ne fossero state accertate le condizioni; il che non è avvenuto. La sentenza va annullata senza rinvio sul punto. 31.2. E' inammissibile il ricorso di E.S. per quanto attiene alla condanna per i capi L4 ed L5), giacchè nessuna critica investe la motivazione riguardante i capi suddetti, pure genericamente indicati in ricorso (ma solo per riassumere l'oggetto del procedimento, nella parte che lo riguarda). 32. In relazione al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. l'amministratore E.F. è stato condannato per avere, in data 16/6/200, trasferito alla società (OMISSIS) s.r.l. la somma di L. 160.000.000, senza alcuna causa lecita (la somma veniva poi utilizzata da (OMISSIS) per rimborsare di un proprio credito il socio C.G.). Per tale fatto C. è stato condannato come concorrente esterno nel reato. E.F. è stato anche condannato per aver distratto dall'attivo fallimentare la somma di L. 450 milioni in data 4/4/2001 e di L. 350 milioni in data 12/4/2001 (capo M). Il ricorso di entrambi gli imputati è inammissibile. 32.1. Quello di C. è tale perchè si limita a rilevare l'assenza della dichiarazione di fallimento di (OMISSIS) s.r.l., senza nulla argomentare intorno alla illiceità dell'attribuzione operata a suo favore; attribuzione che i giudici di merito hanno ricondotto ad un previo concerto tra il disponente (l'amministratore della società) e il beneficiario finale ( C., appunto). Priva di consistenza, pertanto, perchè sganciata dal tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, è la deduzione difensiva, che i giudici abbiano fatto discendere la sua responsabilità dalla qualità di segretario dell'adunanza del 30 giugno 2001 di (OMISSIS). 32.2. Il ricorso di E.F. è, sul punto, inammissibile perchè, oltre ad insistere (erroneamente, per quanto si è detto) sull'assenza di una formale dichiarazione di fallimento dell'incorporata, è totalmente assertivo in ordine alla liceità delle attribuzioni, che riconduce alla necessità di rimborsare i soci di anticipazioni fatte alla società. Ribadito, allora, che nessun elemento è stato addotto per contrastare la conclusione dei giudici di merito in ordine alla illiceità del versamento fatto a (OMISSIS) (che non era nè socia nè finanziatrice di (OMISSIS) s.r.l.), va aggiunto che la distrazione delle ulteriori somme indicate in imputazione (per 450 e 300 milioni di lire) non era stata contestata in appello, per cui inammissibili (anche per assoluta genericità) sono le doglianze sollevate, oggi, sul punto. 33. In ordine al fallimento della (OMISSIS) s.p.a. sono stati condannati E.F. (presidente del Consiglio di Amministrazione della società) ed E.S. (quale consigliere), per i reati di cui al capo N): distrazione di cinque miliardi di lire, indebitamente trasferiti alla F. Srl; distrazione di Euro 684.851,60, quale credito iscritto in contabilità nei confronti di (OMISSIS) s.r.l. e cancellato dalla contabilità in occasione del condono fiscale del 2002; bancarotta da reato societario, di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, in relazione all'art. 2621 c.c., per aver cagionato o concorso a cagionare il dissesto societario mediante l'esposizione in bilancio di attività inesistenti per oltre otto milioni euro, cancellati dalla contabilità in occasione del condono fiscale del 2002. I due amministratori suddetti, nonchè C.G. (quale concorrente esterno) sono stati condannati, altresì, per la distrazione di Euro 731.488,12 trasferiti - indebitamente - a C.G., con conseguente privazione delle utilità societarie (il credito venne poi cancellato dalle scritture contabili di (OMISSIS) s.p.a. in adesione al condono tombale del 2002). Il solo E.F. è stato condannato, infine, per la solita bancarotta documentale (capo N1). 33.1. Esaminando singolarmente le condotte ascritte agli imputati al capo N), nessun vizio affligge la motivazione concernente la distrazione della somma di L. 5.000.000.000, trasferita alla E. s.r.l.; somma che la (OMISSIS) s.p.a. aveva ricevuto dalla (OMISSIS) e che venne inspiegabilmente (rimanendo in un'ottica di corretta gestione societaria e imprenditoriale) girata alla E. s.r.l. e da questa a E.F.. Ogni operazione che non ha fondamento nella logica d'impresa integra, invero, un reato fallimentare; quando l'operazione comporta la destinazione di beni a favore di altri soggetti giuridici, senza corrispondente vantaggio per l'impresa disponente, si ha distrazione. 33.2. Quanto alla distrazione di Euro 684.851,60, l'accusa trova origine nelle corresponsione di un "finanziamento" a favore della (OMISSIS) di L. 584.006.054, effettuato in data 7 aprile 2000, e ulteriormente lievitato, fino a raggiungere, nel 2002, la cifra di euro (non più lire) 684.851,60 per effetto di "una serie di prelevamenti dalla banca, l'11 maggio 2001, il 24 maggio 2001, il 2 luglio 2001, il 6 luglio 2001, che trovavano esatta corrispondenza nell'esame della documentazione bancaria" (pag. 413). Tale credito fu successivamente cancellato dalle scritture contabili della SG.G. s.p.a. in occasione del condono fiscale del 2002. Correttamente tale operazione è stata considerata distrattiva, dal momento che "il finanziamento" effettuato a favore della (OMISSIS) s.p.a. non aveva giustificazione economica e fu effettuato, per la maggior parte, quando la società era già in crisi (nel 2000-2001), tant'è che poco dopo dovette affidarsi ad un consulente per tentare una improbabile ristrutturazione del debito. Sebbene entrambi i giudici di merito abbiano posto l'accento sulla condotta finale dell'imprenditore (l'ingiustificata cancellazione del credito dalla contabilità), è evidente che tutta l'operazione di finanziamento è stata considerata distrattiva e che la manipolazione delle scritture contabili è stata valorizzata - da entrambi i giudici di merito - per rimarcare il carattere illecito dell'intera operazione, consistendo in un escamotage volto a coprire la distrazione precedentemente operata. 33.3. Quanto alla distrazione di Euro 731.488,12, va rilevato che, sebbene sia stato impugnato, da tutti gli imputati, il relativo capo di condanna, nessuno di essi - nè nel ricorso proposto tempestivamente, nè nelle memorie successivamente depositate - ha svolto specifiche censure in ordine alla pronuncia d'appello, ove è detto chiaramente, a pag. 90, che, contrariamente all'opinione del consulente di parte, C. non era creditore della (OMISSIS) s.p.a., allorchè venne disposto il trasferimento a suo favore della somma di Euro 731.488,12, di alcuna somma di denaro, dal momento che il suo credito verso la (OMISSIS) s.p.a. era stato oggetto di compensazione con il credito che lo stesso C. aveva nei confronti di (OMISSIS) s.r.l., sicchè il trasferimento della somma indicata in imputazione ebbe inequivocabile natura distrattiva. Correttamente, di tale reato sono stati considerati responsabili gli amministratori pro-tempore ( E.F. e E.S.) e il beneficiario della somma ( C.G.), quale concorrente esterno, dal momento che gli amministratori sono responsabili della conservazione del patrimonio sociale e l'extraneus concorre nel reato degli amministratori quando come nella specie - rende possibile la distrazione. Nessun vizio affligge, pertanto, sul punto la sentenza impugnata. 33.4. Nella sua ultima parte l'imputazione concerne l'esposizione di attività inesistenti. In questo caso è contestato ai due amministratori ( E.F. e E.S.) di aver esposto in contabilità crediti (per Euro 1.162.028,02, per Euro 1.866.789,66 e per Euro 4.105.711) nei confronti di soggetti vari da ritenere "inesistenti" (cioè non reali) e di averli successivamente espunti dalla contabilità "in occasione dell'adesione al cd. condono tombale ex L. n. 289 del 2002". La sommatoria di tali crediti superava - secondo l'imputazione - le soglie di punibilità ("il limiti", è detto in imputazione) previste (all'epoca) dall'art. 2621 c.c.. Sul punto, nulla si dice nella sentenza d'appello, ma va considerato che nemmeno l'appello proposto dagli imputati conteneva censure di sorta, nè maggiore specificità ha il ricorso per cassazione; ricorso che è, sul punto, inammissibile. 34. In ordine al fallimento della E. s.r.l. sono stati condannati E.S. (presidente del Consiglio di Amministrazione fino al 3/9/2003), Es.Vi. ed E.V. (quali consiglieri) per aver distratto la somma di L. 2.950.000.000 trasferendola senza causa alcuna a E.F. (per tale reato è stato condannato anche E.F. come concorrente esterno); per aver distratto la somma di Euro 419.088 trasferendola, senza causa, alla (OMISSIS) s.r.l. e per aver distratto l'ulteriore somma di Euro 700.000, poi cancellata dalle scritture contabili (capo O). E.S. è stato condannato anche per bancarotta documentale (capo P). 34.1. I ricorsi di E.S. e E.F. sono, quanto al reato di cui al capo O), inammissibili, così come erano stati inammissibili gli appelli. I due non hanno mai criticato, con puntualità, la ricostruzione dei giudici di merito, affidandosi sempre a contestazioni generiche e immotivate (il ricorso per cassazione non tocca nemmeno questo capo di condanna). 34.2. I ricorsi di Es.Vi. ed E.V. meritano accoglimento. In questo caso la responsabilità delle due donne è stata fatta discendere dalla loro qualifica di amministratrici - senza delega - della società. Nonostante l'esistenza di un diverso orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cass., n. 4791 del 29/10/2015, rv 265802), ritiene il Collegio che debba seguirsi quello più garantista, perchè conforme al principio di personalità della responsabilità penale, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell'amministratore privo di delega per omesso impedimento dell'evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell'effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di "segnali di allarme" inequivocabili dai quali desumere l'accettazione del rischio - secondo i criteri propri del dolo eventuale - del verificarsi dell'evento illecito e, dall'altro, della volontà - in guisa di dolo indiretto - di non attivarsi per scongiurare detto evento (Cass., n. 14783 del 9/3/2018, rv 272614 Conformi: N. 23000 del 2013 Rv. 256939, N. 29586 del 2014 Rv. 260492, N. 32352 del 2014 Rv. 261938). Se è vero, infatti, che l'assunzione della carica di amministratore comporta l'assunzione di doveri di vigilanza e di controllo, è altrettanto vero che l'inadempimento di questi obblighi non comporta lo sconfinamento automatico nel dolo, rimanendo circoscritto all'ambito della colpa, di per sè incompatibile con la volontarietà dell'evento. La sentenza va pertanto annullata sul punto affinchè venga riesaminata la posizione di Es.Vi. e E.V. alla luce del ruolo concretamente avuto nelle distrazioni di cui al capo O), verificando se abbiano concorso all'assunzione della decisione di trasferire le somme ivi indicate ai soggetti sopra specificati, ovvero se abbiano conservato una volontaria inerzia rispetto ai comportamenti distrattivi dell'amministratore fornito di delega. 35. In relazione al fallimento personale di E.F. vi è stata condanna di quest'ultimo per aver affittato alla (OMISSIS) s.r.l., immediatamente prima del fallimento, un capannone industriale (capo P). Il ricorso è inammissibile in quanto il capo delle sentenza concernente tale condanna non era stato fatto bersaglio di apposito motivo di appello. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso perchè non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa e altro, Rv. 269632, Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577). C). Le bancarotte documentali. 36. Anche quanto alle bancarotte documentali (reati di cui ai capi B2, C2, E6, F2, G, H3, L6, N1, P), appare opportuna una trattazione unitaria, a prescindere dalla riferibilità della condotta a questa o a quella società del c.d. gruppo E., dal momento che, fatte salve considerazioni specifiche di alcune contestazioni, esse comportano la risoluzione di questioni comuni. Tali questioni saranno affrontate di seguito in termini generali, onde evitare inutili ripetizioni in relazione alle singole vicende, in cui l'impostazione generale potrà, se del caso, essere di volta in volta richiamata. 36.1. Giova premettere che si tratta di contestazioni di bancarotta documentale di cui alla seconda parte della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2), perchè l'addebito è che gli imputati abbiano tenuto le scritture e gli altri libri contabili delle varie società in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, con - talvolta - eventuali innesti di specificazioni descrittive e/o la menzione delle anomalie concernenti i bilanci della società. Quanto alla suddetta categoria di bancarotta documentale, cosiddetta "generale", va ricordato che il delitto si configura sia nel caso in cui l'impossibilità di ricostruire il patrimonio ed il volume d'affari dovuta alla tenuta delle scritture sia assoluta, sia quando gli accertamenti da parte degli organi fallimentari siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona e altro, Rv. 265682; Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212). Nè la responsabilità può essere esclusa per il fatto che, nonostante le alterazioni delle scritture, le irregolarità di gestione siano comunque venute alla luce, giacchè l'interesse dei creditori a che l'impresa debitrice presenti scritture veridiche è stato comunque leso (Sez. 5, n. 441 del 12/03/1971, Cavallari, Rv. 118256). Quanto al versante soggettivo, questa forma di bancarotta documentale è reato a dolo generico, che consiste nella consapevolezza, in capo all'agente, che, attraverso la volontaria tenuta della contabilità in maniera incompleta o confusa, possa risultare impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio o dell'andamento degli affari; è esclusa, di contro, l'esigenza che il dolo sia integrato dall'intenzione di impedire detta ricostruzione, in quanto la locuzione "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari" connota la condotta - della quale costituisce una caratteristica - e non la volontà dell'agente, sicchè è da respingere l'idea che essa richieda il dolo specifico (Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez. 5, n. 21075 del 25/03/2004, Lorusso, Rv. 229321). 36.2. Altra considerazione introduttiva riguarda la necessità di depurare le contestazioni di bancarotta documentale dal riferimento, che si rinviene in alcune di esse, ai bilanci societari, dal momento che il Collegio ritiene di dare continuità alla giurisprudenza di questa sezione secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta documentale non può avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di "libri" e le "scritture contabili" prevista dalla norma di cui alla L. Fall. art. 216, comma 1, n. 2, (Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti, Rv. 268503). 36.3. Va, poi, ricordato che le sentenze di merito hanno ripetutamente attribuito un rilievo penale - siccome incidente sulle attività ricostruttive degli organi della procedura fallimentare - alle alterazioni contabili legate all'adozione delle procedure ex L. 289 del 2002 sul condono fiscale. Sull'incidenza di tali condotte in punto di bancarotta documentale si è già detto al p. 22), cui si rinvia. Le riflessioni ivi svolte possono essere qui rievocate, solo per chiarezza espositiva, rammentando che il Collegio ha ritenuto che, mentre le alterazioni contabili non rivestivano, in se, rilievo distrattivo, esse erano invece rilevanti sotto il profilo della difficoltà di ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari che avevano generato e, quindi, in definitiva, in termini di bancarotta documentale L. Fall., ex art. 216, comma 1, n. 2), seconda parte. 37. Venendo al reato di cui al capo B2), del medesimo sono stati riconosciuti responsabili C.G. e E.S., quali amministratori della società (OMISSIS) s.r.l., il primo dal 24 aprile 1996 all'11 ottobre 2002, il secondo da quest'ultima data, fino al fallimento, dichiarato con sentenza del Tribunale di Crotone il 21 giugno 2005. 37.1. Il ricorso di E.S., nella parte concernente il reato di cui al capo B2), è inammissibile. Va rammentato che, nel periodo della sua amministrazione, sono state operate delle importanti rettifiche contabili ex L. 289 del 2002 (capo B), n. 11), di natura artificiosa, dal momento che sono stati contabilmente annullati dei crediti reali nei confronti delle società (OMISSIS), s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., ciò determinando - come chiarito in premessa - un'obiettiva incidenza sulle possibilità di ricostruzione delle vicende economiche della fallita. Ebbene, il motivo di ricorso che concerne detto capo di imputazione è inammissibile in quanto il ricorrente non aveva posto - nei motivi di appello - le medesime questioni che si leggono nel ricorso, giacchè nell'impugnazione di merito l'attenzione era concentrata esclusivamente sull'incidenza della mancata redazione dei bilanci in termini di bancarotta documentale. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso perchè non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni non devolute, con motivi specifici (Sez. U n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, rv. 268822), alla cognizione del Giudice di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa e altro, Rv. 269632, Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577). 37.2. La sentenza va, invece, annullata senza rinvio per non aver commesso il fatto quanto alla posizione di C.G., giacchè le pronunzie di merito non evidenziano specifiche condotte mistificatorie delle scritture contabili, idonee ad impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, riferibili al suo periodo di amministrazione; la sentenza di appello, in particolare, fa riferimento agli "artifizi contabili utilizzati per dissimulare le condotte di appropriazione" che è già, di per sè, argomento vago, ma che, siccome riferito ad una porzione di motivazione in cui sono state rilevate delle importanti falle motivazionali in punto di effettività delle ritenute distrazioni e di falsità delle annotazioni dei finanziamenti/conferimenti (come chiarito nella parte della motivazione concernente i reati di cui ai capi B e B1), perde definitivamente di sostanza argomentativa. 38. Quanto al reato di cui al capo C2), del medesimo sono stati ugualmente riconosciuti responsabili C.G. e E.S., quali amministratori della società (OMISSIS) s.r.l., il primo dal 20 dicembre 1996 al 3 ottobre 2002, il secondo da quest'ultima data, fino al fallimento, dichiarato con sentenza del Tribunale di Crotone il 5 luglio 2005. 38.1. Il ricorso di E.S. è inammissibile per ragioni analoghe a quelle che hanno condotto a sancire l'inammissibilità del ricorso quanto al reato di cui al capo B2): E. era amministratore quando sono state effettuate le rettifiche da condono di cui ai capi C) (n. 14) e C3) ma nel suo appello egli non ha affrontato altro tema che non fosse quello dell'incidenza, rispetto alla contestazione, della mancata redazione dei bilanci. Il ricorso per cassazione patisce, pertanto, un'inammissibilità derivata dalla mancanza di specificità dell'appello. 38.2. Anche per questo reato, il ricorso di C.G. deve invece essere accolto e la sentenza annullata senza rinvio per non aver commesso il fatto; le sentenze di merito non evidenziano, infatti, specifiche condotte di cattiva tenuta delle scritture contabili riferibili al suo periodo di amministrazione e, per il medesimo lasso temporale, non sono state evidenziate rettifiche da condono ex L. n. 289 del 2002, idonee ad alterare sensibilmente la situazione contabile. 39. Del delitto di cui al capo E6) rispondono Es.Vi. e Ma.Gi., la prima quale amministratore della (OMISSIS) s.r.l. fino al 20 agosto 2005, il secondo quale suo successore nella carica, dal 20 agosto 2005 alla data del fallimento, dichiarato dal Tribunale di Crotone il 28 settembre 2005. 39.1. Con riferimento a questo capo, la sentenza va annullata senza rinvio per non aver commesso il fatto, nei confronti di Ma.Gi., in quanto non vi è traccia, in motivazione, dell'accertamento di condotte manipolatorie sulle scritture contabili e della conseguente impossibilità o quantomeno difficoltà nella ricostruzione del movimento degli affari poste in essere nel brevissimo periodo in cui egli è rimasto in carica prima della dichiarazione di fallimento. D'altra parte, la circostanza che egli abbia rivestito la carica per un brevissimo periodo di tempo lascia escludere che ci si trovi di fronte ad un mero vuoto motivazionale, facendo ritenere che l'istruttoria dibattimentale non abbia evidenziato brogli di sorta per il periodo in contestazione. 39.2. Il discorso è diverso quanto ad Es.Vi., il cui ricorso è inammissibile. Va precisato che le sentenze di primo e secondo grado possono essere lette insieme (Sez. 3, n. 44418 del 2013, Argentieri, Rv. 257595) allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Ebbene, da tale lettura combinata delle due pronunzie di merito emerge l'accertamento di incongruenze, già a far data dal 1997, tra la documentazione bancaria e quella contabile (in molteplici occasioni non vi era stata una corrispondenza tra quanto dichiarato come definito e regolato nei rapporti patrimoniali e quello che, invece, risultava dagli atti) il che evidenzia l'inaffidabilità di quest'ultima e la sua inidoneità a rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, se non adoperando una particolare diligenza. Peraltro - contrariamente a quanto oggi si impone a seguito della sentenza delle Sezioni Unite 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, rv. 268822 - l'appello, sul punto, era aspecifico, limitandosi ad affermare che la mancata tenuta dei libri contabili era circoscritta all'anno precedente il fallimento e che non era indirizzata a rendere impossibile la ricostruzione della vita economica dell'impresa. In ordine alla sua richiesta di riqualificazione in bancarotta documentale semplice, deve dirsi che le rilevanti alterazioni contabili ricostruite dalla sentenza di primo grado - ignorate nell'appello dell'imputata - lasciano escludere che la ricorrente non avesse la consapevolezza dell'idoneità delle infedeli scritturazioni a rendere quantomeno sensibilmente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. 40. Della bancarotta documentale di cui al capo F2) sono stati riconosciuti responsabili C.G. e Ma.Gi., il primo nella qualità di amministratore della (OMISSIS) s.p.a. fino al 30 gennaio 2004, il secondo quale amministratore da quest'ultima data a quella del fallimento, dichiarato dal Tribunale di Crotone il 4 maggio 2005. Ebbene i ricorsi dei due imputati vanno accolti e la sentenza deve essere annullata con rinvio, dal momento che, nè nella sentenza di primo grado, nè in quella di appello, vi sono argomentazioni a sostegno della condanna e della sua conferma, ad onta del periodo più o meno prolungato in cui i medesimi hanno rivestito la carica. 41. Il capo G) è strutturato in maniera complessa, accorpando sia contestazioni di bancarotta patrimoniale che documentale. Quanto a quest'ultima, la contestazione deve ritenersi riferita a C.G. per il periodo in cui egli è stato amministratore, fino al 30 gennaio 2004, e ad Ma.Gi., amministratore da quest'ultima data a quella del fallimento, dichiarato il 28 settembre 2005. 41.1. Avuto riguardo alla posizione di C., nella sentenza di primo grado la condanna è fondata sulla mancata corrispondenza tra documentazione bancaria e contabile, con particolare riferimento al corrispettivo della cessione dei brevetti da parte della ditta individuale Gerardo Sacco per un importo di L 1.800.000.000 ed ad una serie di fatture che, pur se registrate in contabilità come pagate, in realtà lo divenivano soltanto in un momento successivo rispetto alla erogazione statale. Nella sentenza di appello sono state poi rievocate le poste oggetto di cancellazione attraverso il meccanismo del condono fiscale, idonee a determinare una sensibile alterazione contabile foriera di consistenti difficoltà ricostruttive. Ebbene, la sentenza impugnata, integrata da quella di merito secondo i principi già ricordati, appare ineccepibile sotto il profilo motivazionale ed immune da violazioni di legge giacchè si tratta di condotte di significativa manipolazione delle scritture contabili, obiettivamente idonee a rendere quantomeno difficoltosa la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società. Il ricorso va, pertanto, in parte qua, rigettato. 41.2. Quanto alla posizione di Ca., deve al contrario rimarcarsi che il ricorrente non ha dedicato, nel ricorso per cassazione, alcuna censura specifica alla sentenza nella parte in cui ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità per la bancarotta documentale della società (OMISSIS), con conseguente inammissibilità, in parte qua, del suo ricorso. Lo stesso dicasi per l'appello, che difetta di censure specifiche sul tema. 42. La contestazione di cui al capo H3) attiene alla bancarotta fraudolenta documentale relativa alla società (OMISSIS) s.r.l., di cui sono stati riconosciuti responsabili C.G. e E.S., il primo quale amministratore fino al 27 marzo 2002, il secondo da quest'ultima data al 3 settembre 2003, data della fusione con (OMISSIS). Ebbene, la pronunzia della Corte di Catanzaro va, sul punto, annullata senza rinvio dal momento che le sentenze di merito hanno fondato la condanna sulla sola alterazione dei bilanci, attività che, come si detto nella premessa della trattazione delle bancarotte documentali (p. 36.2, cui si rinvia), il Collegio ritiene non possa sostanziare il delitto in discorso. 43. E.S. è stato altresì condannato, quale amministratore della (OMISSIS) s.r.l., per la bancarotta documentale di cui al capo L6). Ebbene, il suo ricorso è inammissibile per due ragioni: da una parte, esso è incentrato esclusivamente sulla già esaminata questione della mancanza della dichiarazione di fallimento della società, incorporata il 3 settembre 2003, nella (OMISSIS), questione sulla cui irrilevanza a minare la sentenza impugnata si è già scritto (cfr. p. 21); dall'altra l'inammissibilità è derivata dalla mancanza di uno specifico motivo di appello il che, come già sopra ricordato, rende inammissibile una censura di legittimità che fondi su di un tema non sottoposto alla Corte di merito. Quanto alla invocata derubricazione in bancarotta documentale semplice, si richiamano le considerazioni già svolte a proposito della posizione di Es.Vi. ed al capo E6). 44. La bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo N1) è stata addebitata a E.F., quale legale rappresentante della società (OMISSIS) ((OMISSIS)). Il ricorso dell'imputato è infondato in quanto la lettura congiunta delle sentenze di merito conduce ad affermare che le rettifiche da condono tombale - intervenute ad occultare operazioni dotate di obiettiva natura distrattiva - abbiano avuto un notevole impatto sul quadro fornito dalle scritture contabili, facendo apparire come fittizi dei crediti effettivamente esistenti; a ciò si aggiunga che, nelle suddette scritture, erano state indicate attività inesistenti e che, sul punto, non vi era nè motivo di appello, nè vi è motivo di ricorso. A proposito della condotta in discorso, va anche ricordato - come sottolineato dal Tribunale - che il teste L. aveva affermato che, alla luce di tutti i dati entrati in suo possesso quale curatore della (OMISSIS) s.p.a., i rilievi relativi alla tenuta delle scritture contabili in modo da impedire la semplice ricostruzione dei reali fatti di gestione derivava proprio dal rilevante "peso delle rettifiche da condono" che, in tal modo, andavano a compromettere in modo sensibile la correttezza e la attendibilità delle scritture contabili, con ciò pregiudicando la ricostruzione dello stato economico e finanziario della società. Tale anomalia neutralizzava la formale, corretta tenuta delle scritture, rendendo sostanzialmente non decodificabili le stesse e, quindi, la reale situazione della società in questione. Di fronte a queste argomentazioni, il ricorso si sostanzia in affermazioni apodittiche, concernenti l'incendio di parte della documentazione, ma non idonee a contrastare i dati di fatto accertati dai giudici di merito nè a minare la tenuta della sentenza impugnata. 45. L'ultimo capo di imputazione in tema di bancarotta fraudolenta documentale (il capo P), riguarda la condotta ascritta ad E.S. quale amministratore della E. s.r.l. fino alla fusione per incorporazione con la (OMISSIS). Il ricorso è, sul punto, inammissibile perchè fondato sulla sola, già esaminata, questione della mancanza della dichiarazione di fallimento della società e fa seguito ad un appello nel quale alcun motivo era dedicato a detta fattispecie. D). Il reato di cui al capo T). 46. C.P. ed P.E.G., riconosciuti responsabili dell'appropriazione indebita di cui al capo T), hanno formulato, tra le altre, la medesima doglianza che concerne la nullità della sentenza di primo grado e di quella di appello per violazione dell'art. 521 c.p.p., comma 2. Secondo i ricorrenti, ad onta della contestata appropriazione indebita ai danni della (OMISSIS) s.r.l., il Tribunale li aveva condannati per un reato diverso; vale a dire l'appropriazione indebita commessa nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. da parte del socio di quest'ultima C.P., appropriatosi indebitamente della somma entrata nelle casse della (OMISSIS) a seguito dei rapporti commerciali con la (OMISSIS) s.r.l. 46.1. Ebbene, la doglianza è fondata, dal momento che il capo di imputazione sub T) era stato evidentemente costruito dalla parte pubblica come appropriazione indebita ai danni della società (OMISSIS), che aveva accreditato, mediante bonifico del 17 marzo 2008, la somma di 300.000 Euro sul conto della società (OMISSIS) a titolo di acconto su futura vendita - mai concretizzatasi dei parchi eolici di (OMISSIS) e (OMISSIS), acconto corrisposto a seguito della stipula di un contratto preliminare di compravendita. Lo dimostra il riferimento specifico, nella contestazione, alla provenienza della somma dalla (OMISSIS) s.r.l. e, soprattutto, la circostanza, pure debitamente puntualizzata all'epoca dal pubblico ministero, che la somma era stata sottratta indebitamente a quest'ultima società, nonchè la data del commesso reato, che coincide con quella del bonifico con cui la promissaria acquirente aveva accreditato alla (OMISSIS) l'anticipo. A rafforzare questa conclusione vale sottolineare la circostanza che, secondo la ricostruzione degli esiti istruttori che si legge nella sentenza di primo grado, l'input per le indagini concernenti detto reato è venuto proprio dalla denunzia del legale rappresentante della (OMISSIS), che recriminava circa il trattenimento della somma da parte della (OMISSIS) nonostante l'operazione non fosse andata avanti per causa addebitabile a quest'ultima. 46.2. Ebbene, di fronte a detti dati, ritenere, come hanno fatto il Tribunale prima e la Corte di appello poi, che questa contestazione potesse ritenersi riferita all'impossessamento della somma da parte di C.P. dalle casse della (OMISSIS) e che, quindi, il reato consistesse nell'appropriazione di somme di quest'ultima società da parte del socio, costituisce un'evidente forzatura del principio di necessaria correlazione tra imputazione e sentenza, tanto è vero che, per legittimare questa operazione, la Corte distrettuale ha dovuto operare una postdatazione della data del reato, non più fatto risalire al marzo 2008, ma al 28 gennaio 2009, data del transito della somma a C.P.. A conforto del ragionamento sopra svolto, può richiamarsi il principio di diritto affermato da Sez. 2, n. 47600 del 19/10/2016, Suriano e altri, Rv. 268319 secondo cui sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui l'imputato venga condannato per un reato che in sentenza si afferma commesso in danno di una persona offesa diversa da quella indicata nel capo d'imputazione. 46.3. La conseguenza della constatazione del predetto vizio processuale, che comporterebbe la nullità di entrambe le sentenze di merito secondo il combinato disposto dell'art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p., non è, tuttavia, quella di un annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti al pubblico ministero (sull'iter conseguente alla nullità verificatasi, cfr. Sez. 6, n. 47549 del 10/10/2007, Bartolomei, Rv. 238323), dal momento che è maturata la prescrizione, per cui la sentenza va annullata senza rinvio per essere il reato estinto. Il termine massimo è, infatti, decorso il 17 settembre 2015 (sette anni e sei mesi dal 17 marzo 2008, data del bonifico della (OMISSIS) s.r.l. alla (OMISSIS)) e non risultano sospensioni di portata tale da dilatare il termine fino alla data odierna. Si è data prevalenza alla causa di estinzione rispetto alla nullità ispirandosi alle pronunzie delle Sezioni Unite n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, Rv. 269810 e n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403 secondo cui il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 c.p.p. impone, nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, di dare prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio. I predetti, autorevoli precedenti hanno evidenziato che la funzione dell'art. 129 c.p.p. è quella di condurre ad un immediato proscioglimento quando il reato sia estinto, senza la necessità di attendere i tempi del processo e di subire la presenza di un carico pendente scontando la sottoposizione ad un iter destinato ad un esito annunciato, salva ovviamente la possibilità dell'imputato di rinunziare alla prescrizione sì da consentire l'approfondimento nel merito della vicenda e salva la sussistenza di cause di immediato proscioglimento nel merito, cui attribuire prevalenza ex art. 129 c.p.p., comma 2. D'altra parte, lo scopo della norma - rimarcarono le Sezioni Unite nella sentenza Conti del 2002 - è anche quello di economizzare i tempi del processo, evitando la dispersione inutile di energie giudiziarie e prestando ossequio al canone costituzionale della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., comma 2. 46.4. Va, infine, osservato che il proscioglimento per prescrizione non trova neanche ostacolo nell'evidenza di una causa di proscioglimento diversa dalla prescrizione ex art. 129 c.p.p., comma 2. Al riguardo, occorre ricordare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice - ed anche la Corte di cassazione (Sez. U n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, Rv. 269810) - è legittimato a pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione a farsi appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Ebbene, sulla base della sentenza impugnata e delle indicazioni rinvenibili nei ricorsi, non vi sono elementi che inducano alla "constatazione" suddetta. E). Il trattamento sanzionatorio. 47. L'annullamento, sia pure parziale, della sentenza per tutti gli imputati, ad eccezione che per E.F. e per C.M., comporta che deve essere rimessa al giudice del rinvio anche la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Tanto deve dirsi anche per C.M., sebbene la sentenza abbia avuto conferma in punto di responsabilità per l'unico reato a lei contestato, atteso che la richiesta di attenuanti generiche è stata rigettata in blocco per tutti gli imputati, con argomenti che non si attagliano, però, alla posizione di C.M., imputata di un solo reato e incensurata (la motivazione genericamente resa dalla Corte d'appello fa riferimento, invece, ai plurimi precedenti penali degli imputati, alla pluralità dei reati di bancarotta, alla durata nel tempo delle condotte illecite e alla gravità del danno arrecato alle società). Sul punto del trattamento sanzionatorio va poi chiarito onde evitare la ripetizione di un errore in cui è già caduta la Corte d'appello - che l'affermazione di responsabilità per fatti di bancarotta riguardanti più società determina l'applicazione della disciplina sul reato continuato (art. 81 cpv c.p.), ma che la pena può essere aumentata una sola volta per ogni società interessata da reati di bancarotta, anche se, nell'ambito dello stesso fallimento, siano stati commessi più reati, giacchè la pluralità di fatti "interni" a ciascun fallimento trova già una risposta sanzionatoria nella circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1). Il ricorso di E.F. - infondato sotto ogni profilo - va rigettato anche con riguardo alla pena, determinata tenendo conto del suo ruolo nella gestione delle molteplici società da lui gestite, della gravità dei reati e dei suoi precedenti penali; vale a dire, con riguardo a criteri che costituiscono legittimo riferimento per l'esercizio della potestà sanzionatoria. Ne consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata: Nei confronti di C.G. per i capi B2 e C2 per non aver commesso il fatto e per il capo H3 perchè il fatto non sussiste. Nei confronti di E.S. per i capi H3 e L perchè il fatto non sussiste. Nei confronti di C.A. per il reato di cui al capo C, n. 3 in quanto estinto per prescrizione, e per il capo C1 per non aver commesso il fatto. Nei confronti di Ca.An. per il capo E6 per non aver commesso il fatto. Nei confronti di Es.Vi. per il capo L perchè il fatto non sussiste. Nei confronti di E.V. per il capo L perchè il fatto non sussiste. Nei confronti di P.E.G. e C.P. per il reato di cui al capo T in quanto estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro per nuovo esame: Nei confronti di C.G. per i capi B (ad eccezione della distrazione di cui al n. 7), Bl, Cl, F1, F2 e G (limitatamente alle erogazioni in favore di (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.). Nei confronti di E.S. limitatamente ai capi B e C3. Nei confronti di Es.Vi. limitatamente ai capi B, B1, E (limitatamente alla distrazione di Euro 58.364,19), E1 e O. Nei confronti di E.V. limitatamente al reato di cui al capo O. Nei confronti di Ca.An. per i reati di cui ai capi E4 e F2. Nei confronti di M.G. per il reato di cui al capo F. Nei confronti di C.M. limitatamente al trattamento sanzionatorio. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di M.G.. Rigetta, nel resto, i ricorsi dei predetti imputati. Rigetta altresì il ricorso di E.F., che condanna al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018. Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2018
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