RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 ottobre 2016 la Corte di Appello di Roma ha parzialmente riformato la pronunzia resa dal Tribunale di Roma nei confronti di B.G., dichiarando non doversi procedere in ordine al reato di bancarotta preferenziale in quanto estinto per prescrizione; la Corte territoriale ha allo stesso tempo confermato la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, commesso agendo in proprio, nonchè quale amministratore e socio accomandatario della "(OMISSIS) s.a.s." (sentenza dichiarativa del fallimento in data 4 febbraio 2009).
Con la stessa pronunzia la Corte territoriale ha rigettato l'appello formulato dalla parte civile (la società Be.Ma. Costruzioni s.r.l.) con cui si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui era stata dichiarata l'estinzione per prescrizione del reato di truffa, originariamente contestato al B. al capo B) dell'imputazione.
In particolare, il B. era imputato per avere, nella veste di legale rappresentante della società COSEDIL s.r.l., reso dichiarazioni non veritiere in sede di rogito dell'atto pubblico di compravendita immobiliare stipulato tra la COSEDIL e la Be.Ma. Costruzioni, inducendo in errore il legale rappresentante di quest'ultima in ordine alla validità del contratto stesso (avente ad oggetto la compravendita di terreni di proprietà della COSEDIL).
Così facendo, il B. aveva indotto il rappresentante della Be.Ma. Costruzioni a versare il corrispettivo della compravendita (pari a Euro 500.000,00), attraverso la sottoscrizione di titoli cambiari - in seguito girati per l'incasso in favore della (OMISSIS) s.a.s. - e, successivamente, a transigere il giudizio civile di annullamento del contratto nel frattempo promosso dalla COSEDIL (non più amministrata dall'imputato) versando, entro il termine del 30 luglio 2009, l'ulteriore somma di Euro 300.000,00.
2. Avverso tale pronunzia propongono ricorso per cassazione l'imputato e la parte civile.
2.1. Il ricorso dell'imputato è articolato in quattro motivi; con il primo si lamentano vizi motivazionali in ordine all'esistenza degli elementi costitutivi del reato di bancarotta per distrazione.
La motivazione della sentenza impugnata si presenterebbe illogica e contraddittoria in quanto, partendo da un presupposto documentale oggettivo, si è giunti ad affermare la penale responsabilità dell'imputato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad alcune operazioni distrattive, assolvendolo tuttavia con riguardo ad altre operazioni con la formula "perchè il fatto non sussiste".
Si rileva infatti che le medesime scritture contabili sono state ritenute attendibili con riguardo ad alcune delle annotazioni ivi riportate, risultando tuttavia "complete ma non attendibili" con riferimento ad altre operazioni, le quali avrebbero sostanziato il reato di bancarotta in questione. Si rileva peraltro come non sia mai stata formalmente contestata l'artificiosità delle annotazioni contenute nelle scritture contabili attraverso una formale imputazione per il reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Si censura quindi la sentenza impugnata evidenziando l'illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto alla valutazione della prova documentale.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione di legge e correlati vizi motivazionali in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo previsto per il reato di cui al capo a) dell'imputazione.
Sostiene - erroneamente - il ricorrente che gli episodi sub a) siano stati ricondotti alla fattispecie di cagionamento del fallimento mediante operazioni dolose, di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe tuttavia sostanzialmente mancante in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, desunta dalla sola circostanza dell'entità delle somme distratte e degli artifizi contabili utilizzati.
Tale argomentazione risulterebbe tuttavia insufficiente, posto che la fattispecie ipotizzata presuppone che le condotte siano poste in essere dal fallito con il fine precipuo di ingannare i terzi per conseguire un ingiusto profitto.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge in relazione alla L. Fall., artt. 217 e 224.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia disatteso la richiesta formulata nei motivi di appello in ordine alla riqualificazione dei fatti ascritti al B. in bancarotta semplice.
Si evidenzia in proposito che la giurisprudenza, al fine di differenziare opportunamente i reati di cui alla L. Fall., artt. 216 e 217, avrebbe ravvisato nella bancarotta fraudolenta una fattispecie di danno rispetto al quale si rende necessaria la sussistenza del dolo.
A parere del ricorrente, tali requisiti difetterebbero nel caso di specie, posto che le scritture contabili messe a disposizione dal B. hanno consentito la ricostruzione delle operazioni economiche della società; ne discende che i fatti ascritti allo stesso dovrebbero essere qualificati quali operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti.
2.4. Con l'ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione di legge e correlati vizi motivazionali in ordine alla L. Fall., art. 219 e all'art. 62 bis cod. pen..
Si censura la sentenza della Corte territoriale per aver immotivatamente negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche e per aver ritenuto sussistente l'aggravante della cd. continuazione fallimentare.
3. Il ricorso formulato nell'interesse della parte civile è affidato ad un unico motivo; si deduce violazione di legge in relazione al reato di truffa ai danni della predetta società, originariamente contestato al B. e dichiarato estinto per prescrizione dal giudice di primo grado.
A parere della parte civile ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l'ultima condotta penalmente rilevante coincidesse con il pagamento delle cambiali, ritenendo invece che l'atto transattivo fosse estraneo alla fattispecie contestata.
Si osserva in proposito che la somma corrisposta quale prezzo dei terreni, essendo stata pattuita tra le parti, non costituirebbe l'ingiusto profitto della fattispecie di truffa, dovendo quest'ultimo essere ravvisato nella somma versata per la transazione, la quale ha rappresentato la conseguenza imprevedibile della nullità dell'atto di compravendita.
Il momento consumativo della truffa dovrebbe quindi essere individuato nel novembre 2009, coincidendo tale data con il conseguimento dell'ingiusto profitto contemplato dall'art. 640 cod. pen..
Ha quindi rilevato il difensore della società ricorrente (richiamando l'argomentazione anche in sede di discussione) che se il momento consumativo del reato fosse da individuarsi all'epoca del pagamento delle cambiali (11 gennaio 2005), i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere tardiva la querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
1. Generico e, comunque, manifestamente infondato è il primo motivo proposto dall'imputato.
1.1. Le censure proposte (pedissequamente reiterative di quelle avanzate in appello e che trovano puntuale risposta nella decisione della Corte territoriale) sono del tutto generiche e per questo manchevoli dell'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 19951 del 15 maggio 2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 1 n. 39598 del 30 settembre 2004, Burzotta, Rv. 230634). In proposito va rammentato il principio di diritto secondo il quale la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, che comporta, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), l'inammissibilità (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, 18.9.1997 - 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Sez. 5, 27.1.2005-25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Sez. 5, 12.12.1996, n. 3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).
1.2. Manifestamente infondate comunque sono le doglianze sulla illogicità e contraddittorietà della motivazione dovuta alla circostanza per la quale si è giunti ad affermare la penale responsabilità dell'imputato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad alcune operazioni distrattive, assolvendolo tuttavia con riguardo ad altre operazioni con la formula "perchè il fatto non sussiste", sulla base di una valutazione parziale di attendibilità delle scritture contabili.
La Corte territoriale ha chiarito, rispondendo alle analoghe doglianze proposte con l'atto di appello, che la distrazione delle somme indicate nelle imputazioni sono emerse dalle evidenti anomalie rilevabili nelle correlate annotazioni contabili.
Nessuna influenza su tali rilievi può avere la circostanza che le altre annotazioni fossero regolari, nè la circostanza che le scritture contabili fossero "complete".
Va, in proposito, ribadito che la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione, ascrivibile all'imprenditore fallito, richiede l'accertamento della previa disponibilità, da parte di quest'ultimo, dei beni dell'impresa, accertamento che non è condizionato da alcun onere di dimostrazione in capo al fallito nè da alcuna presunzione, con la conseguenza che il giudice ancorchè le scritture di impresa costituiscano prova, ex art. 2710 cod. civ., nei riguardi dell'imprenditore - deve valutare, anche nel silenzio del fallito, l'attendibilità dell'annotazione contabile e dare congrua motivazione ove questa non sia apprezzabile per l'intrinseco dato oggettivo (Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006, Abbate, Rv. 235767).
Nel caso in esame la Corte territoriale e, ancor prima, il giudice di primo grado (la cui motivazione ben può integrare quella della sentenza di appello) hanno congruamente motivato sulla inattendibilità delle singole annotazioni contabili, nonostante fossero risultate attendibili le altre. D'altronde, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento della previa disponibilità da parte dell'imputato dei beni non rinvenuti in seno all'impresa non può fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili dell'impresa prevista dall'art. 2710 cod. civ., dovendo invece le risultanze desumibili da questi atti essere valutate - soprattutto quando la loro corrispondenza al vero sia negata dall'imprenditore - nella loro intrinseca attendibilità, anche alla luce della documentazione reperita e delle prove concretamente esperibili, al fine di accertare la loro corrispondenza al reale andamento degli affari e delle dinamiche aziendali (Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014, Ragosa, Rv. 262197; Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, Buttitta e altri, Rv. 249715).
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, peraltro basato sull'erroneo assunto che le condotte di cui al capo a) delle imputazioni siano state ricondotte alla fattispecie di cagionamento del fallimento mediante operazioni dolose, di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2. E' stata infatti affermata la responsabilità dell'imputato per il reato di bancarotta per distrazione di somme di denaro, in relazione al quale l'elemento soggettivo è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli e altro, Rv. 266805).
3. Quanto appena rilevato serve pure ad affermare la manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso, avendo il deducente sostenuto che la giurisprudenza, al fine di differenziare i reati di cui alla L. Fall., artt. 216 e 217, avrebbe ravvisato nella bancarotta fraudolenta una fattispecie di danno, rispetto al quale si rende necessaria la sussistenza del dolo.
Va qui ribadito che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare non è un reato di danno bensì di pericolo concreto, in quanto l'atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l'apertura della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562).
Peraltro, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, (come avvenuto nella specie) nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato e nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella e altro, Rv. 270763).
Si deve infine evidenziare che non può ricorrere l'ipotesi di bancarotta semplice di cui alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 2, integrata da operazioni di manifesta imprudenza, bensì quella più grave della bancarotta fraudolenta, allorchè - come nella specie - siano state poste in essere operazioni comportanti un notevole impegno sul patrimonio sociale, essendo quasi del tutto inesistente la prospettiva di un vantaggio per la società. Infatti, le operazioni realizzate con imprudenza costitutive della fattispecie incriminatrice della bancarotta semplice sono solo quelle il cui successo dipende in tutto o in parte dall'alea o da scelte avventate e tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo, fermo restando che, in ogni caso, si tratta pur sempre di comportamenti realizzati nell'interesse dell'impresa (Sez. 5, n. 35716 del 09/06/2015, Scambia, Rv. 265871).
4. Con l'ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione di legge e correlati vizi motivazionali in ordine alla L. Fall., art. 219 e all'art. 62 bis cod. pen..
In primo luogo va detto che non è stata applicata la aggravante di cui alla L. Fall., art. 219. Invero, la Corte territoriale ha dichiarato estinto il reato di bancarotta preferenziale e ha determinato la pena nel minimo edittale nella misura di anni tre di reclusione.
Quanto al diniego delle attenuanti generiche deve ritenersi che la Corte territoriale abbia motivato sottolineando che "le condotte accertate.... non possono..... essere ritenute di modesta entità".
Si deve in proposito ricordare che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; conformi: n. 459 del 1982 Rv. 151649; n. 10238 del 1988, Rv. 179476; n. 6200 del 1992, Rv. 191140; n. 707 del 1998, Rv. 209443; n. 2285 del 2005, Rv. 230691; n. 34364 del 2010, Rv. 248244).
5. L'inammissibilità del ricorso della parte civile è legata a due profili qui di seguito indicati.
5.1. Il ricorso è stato presentato dall'avv. Afeltra Roberto, che si è definito "difensore fiduciario", non indicando la procura speciale che lo legittimerebbe all'impugnazione.
Va allora rammentato che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal difensore della parte civile non munito di procura speciale (Sez. 5, n. 5238 del 22/11/2013, P.C. in proc. Pinna, Rv. 258719), nè è sufficiente fare riferimento alla procura rilasciata in sede di costituzione nel giudizio di primo grado.
Come è noto, il principio di immanenza della costituzione di parte civile che, secondo quanto prevede l'art. 76 c.p.p., comma 2, attribuisce al difensore della parte civile di resistere all'impugnazione dell'imputato (Sez. 5, n. 41167 del 09/07/2014, Panatta, Rv. 260682; Sez. 1, n. 3601 del 20/12/2007, Gallo e altro, Rv. 238370), non comprende anche l'impugnazione della sentenza, la quale richiede invece un mandato specifico.
Le Sezioni Unite di questa Corte da tempo hanno chiarito che è legittimato a proporre appello il difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti) anche se non contenente espresso riferimento al potere di interporre il detto gravame, posto che la presunzione di efficacia della procura "per un solo grado del processo", stabilita dall'art. 100 c.p.p., comma 3, può essere vinta dalla manifestazione di volontà della parte - desumibile dalla interpretazione del mandato - di attribuire anche un siffatto potere (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, P.C. in proc. Mazzarella, Rv. 229179).
Con la pronunzia appena citata, le Sezioni Unite, nell'escludere che la formula utilizzata nella specie potesse interpretarsi nel senso dell'attribuzione al difensore anche del potere di proporre appello, hanno chiarito che la parte civile con la procura speciale rilasciata a norma dell'art. 100 cod. proc. pen. conferisce al difensore lo "jus postulandi", ossia la rappresentanza tecnica in giudizio, mentre con la procura speciale prevista dall'art. 122 attribuisce al procuratore, a norma dell'art. 76, comma 1, la "legitimatio ad processum", ossia la capacità di essere soggetto del rapporto processuale e di promuovere l'azione risarcitoria in nome e per conto del danneggiato. Nel caso di specie, tuttavia, la formula utilizzata nella procura rilasciata per la costituzione di parte civile in primo grado non può certamente interpretarsi in maniera estensiva.
La procura che risulta in atti, rilasciata in favore dell'avv. Afeltra Roberto in data 8 novembre 2010, conferisce solo "al nominato difensore tutti i poteri previsti dal codice di rito in materia di difensore della parte civile".
Questo Collegio non ignora la giurisprudenza, formatasi successivamente alla suindicata sentenza delle Sezioni Unite, secondo la quale la limitazione di efficacia "per un solo grado del processo" della procura speciale, di cui all'art. 100 c.p.p., comma 3, riguarda soltanto il mandato alle liti, mentre la procura speciale per il compimento di singoli atti, contemplata dall'art. 122 c.p.p. e art. 76 c.p.p., comma 1, ha effetti di natura sostanziale che permangono fino all'espletamento dell'incarico, secondo le regole generali del mandato; ne consegue che è legittimato a proporre appello il difensore e procuratore speciale della parte civile anche se la procura rilasciata ex art. 122 cod. proc. pen. non fa alcuna menzione dei successivi atti del giudizio (Sez. 2, n. 30951 del 15/06/2016, P.C. in proc. Comba, Rv. 267379; in senso conforme si vedano: n. 40275 del 2005, Rv. 235393; n. 1289 del 2013, Rv. 259019; n. 35535 del 2013, Rv. 256368; n. 1286 del 2014, Rv. 258417; n. 2899 del 2014, Rv. 258332).
Così, alla stregua di tale orientamento, sono state ritenute idonee a superare la presunzione di cui all'art. 100 c.p.p., comma 3, una serie di formule potenzialmente comprensive del potere di impugnazione, quali: "difenderla nel procedimento penale" (Sez. 5, n. 35535 del 16/05/2013, Pinto, Rv. 256368); "a costituirsi parte civile nel procedimento penale, allo scopo di ottenere il risarcimento del danno in conseguenza dei fatti di cui all'imputazione" (Sez. 5, n. 33453 del 08/07/2008, Boschi Benedetti, Rv.. 241394); "ogni grado di giudizio" (Sez. 5, n. 33369 del 25/06/2008, Pugliese, Rv. 241392).
Non è invece stata ritenuta sufficiente la procura rilasciata con la formula "con ogni più ampia facoltà difensiva, nessuna esclusa ed eccettuata", senza alcun riferimento alla facoltà di impugnazione. (Sez. 5, n. 42660 del 28/09/2010, P.C. in proc. Moretti, Rv. 249337).
E' evidente, allora, che l'orientamento interpretativo più estensivo si è formato su formule comunque contenenti un minimo accenno alla volontà della parte di conferire anche il potere di impugnazione.
Per esempio, nella pronunzia - sopra citata - Sez. 2, n. 30951 del 15/06/2016 (P.C. in proc. Comba, Rv. 267379) si è fatto riferimento a una procura ex art. 100 cod. proc. pen. rilasciata al fine di rappresentare le persone offese "quali parti civili nel procedimento penale sopra menzionato, in ogni stato e grado, compreso l'eventuale giudizio di esecuzione".
Si tratta con evidenza di una formula ampia, tanto che si indica "ogni stato e grado del giudizio", estendendo addirittura gli effetti del mandato alle liti anche all'eventuale fase esecutiva (si veda in senso contrario Sez. 6, n. 14980 del 27/11/2012, p.c. in proc. Santacatterina, Rv. 254861, che ha ritenuto inammissibile l'appello del difensore della parte civile munito di procura speciale a norma dell'art. 100 cod. proc. pen., priva di un'univoca specificazione in ordine al conferimento del potere di impugnazione in un caso in cui la procura conteneva la nomina del difensore al quale veniva conferito il potere di rappresentare la parte "in ogni grado del giudizio in relazione alla sopra estesa dichiarazione di costituzione di parte civile").
Nel caso in esame, invece, così come si è sopra evidenziato, il difensore, nominato procuratore speciale in primo grado e solo affinchè si costituisse parte civile nel procedimento penale, ha proposto impugnazione senza uno specifico mandato in tal senso.
5.2. Il ricorso è comunque inammissibile per manifesta infondatezza.
Come si è già evidenziato, si deduce violazione di legge in relazione al reato di truffa ai danni della predetta società, originariamente contestato al B. e dichiarato estinto per prescrizione dal giudice di primo grado.
A parere della parte civile ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l'ultima condotta penalmente rilevante coincidesse con lo sconto delle cambiali (avvenuto in data 11 gennaio 2005) ovvero con l'ultima data di scadenza delle stesse (30 luglio 2005), ritenendo invece che fosse estraneo alla fattispecie contestata l'atto transattivo, intervenuto successivamente onde evitare l'esito negativo del processo civile promosso dai soci del B. onde ottenere la declaratoria di nullità del contratto di compravendita.
L'assunto difensivo è erroneo.
Così come desumibile dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, il B., agendo nella sua qualità di amministratore unico della COS.EDIL, con artifici e raggiri consistiti nel tacere alla controparte circostanze rilevanti ai fini della conclusione del contratto, ha indotto in errore il legale rappresentante della BEMA COSTRUZIONI s.r.l. circa la validità del contratto di compravendita, stipulato in data 11 gennaio 2015. Il corrispettivo di tale contratto è stato versato in cambiali, portate allo sconto in banca lo stesso giorno dal B..
Nella imputazione si fa pure riferimento alla induzione a transigere il giudizio civile di annullamento del contratto promosso dalla COS.EDIL, non più amministrata dall'imputato, versando - entro il termine essenziale del 30 luglio 2009 - l'ulteriore somma di Euro 300.000. Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che, nonostante la contestazione operata dal Pubblico ministero utilizzi, per indicare la data di consumazione, l'espressione "fino al 30 luglio 2009", non si possa far riferimento ad una truffa a "consumazione prolungata".
Va qui ricordato, infatti, che si configura il reato di truffa c.d. a consumazione prolungata quando la percezione dei singoli emolumenti sia riconducibile ad un originario ed unico comportamento fraudolento, con la conseguenza che il momento della consumazione del reato - dal quale far decorrere il termine iniziale di maturazione della prescrizione - è quello in cui cessa la situazione di illegittimità (Sez. 2, n. 57287 del 30/11/2017, Trivellini, Rv. 272250).
Certamente nella specie l'atto transattivo non è riconducibile all'originario ed unico comportamento fraudolento del B., nè risultano poste in essere da quest'ultimo ulteriori attività fraudolente, così da poter ritenersi integrato un altrettanto ed autonomo fatto di reato (Sez. 5, n. 32050 del 11/06/2014, P.C. in proc. Corba e altro, Rv. 260496).
Come correttamente rilevato dai giudici di merito, il pagamento della somma ulteriore di Euro trecentomila costituisce un post factum non punibile, peraltro ricollegabile alla libera volontà transattiva della BEMA COSTRUZIONI.
D'altronde è incontroverso che il delitto di truffa, nella forma cosiddetta contrattuale, è reato istantaneo e di danno la cui consumazione coincide con la perdita definitiva del bene, in cui si sostanzia il danno del raggirato ed il conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente (Sez. 2, n. 20025 del 13/04/2011, Pg in proc. Monti e altri, Rv. 250358).
Un'ultima annotazione merita la censura fatta dal difensore della società ricorrente ed afferente la tardività della querela, che non sarebbe stata rilevata dai giudici di merito, nonostante avessero ritenuto - come si è detto - che la truffa si era perfezionata al momento del pagamento delle cambiali.
Tale doglianza è inammissibile per carenza di interesse, atteso che il mezzo di impugnazione deve perseguire un risultato non solo teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole alla parte ricorrente.
Di certo la declaratoria di improcedibilità della azione penale per tardività della querela non costituisce esito del giudizio più favorevole per la parte civile.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che l'interesse richiesto dall'art. 568 c.p.p., comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, P.M. in proc. Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, P.M. in proc. Boido ed altro, Rv. 202018).
La nozione di interesse, invero, va individuata di volta in volta in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale, ed in una finalità positiva consistente nel conseguimento di un'utilità, che si concreta in una decisione più vantaggiosa in coerenza con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj, Rv. 251693).
6. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018