RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12.09.2023, la Corte di appello di Cagliari ha confermato la pronuncia di primo grado emessa, in data 14.02.2020, dal Tribunale della medesima città, che aveva ritenuto Fa.Lu. responsabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216 comma 1, n. 1 legge fall., condannandolo alla pena di anni tre e mesi di reclusione, oltre pene accessorie fallimentari per la durata di anni quattro.
In particolare, all'imputato, è contestato di avere, in qualità di amministratore di fatto della società Falegnameria Tecno Legno s.r.l, (di seguito F.T.L.) - dichiarata fallita con sentenza del 12.06.2014 - ceduto alla società Equal Srl - amministrata dalla figlia Fe. - un contratto di leasing, avente ad oggetto un capannone industriale, impedendo alla curatela di esercitare il diritto di riscatto, nonché venduto alla stessa attrezzature e macchinari verso il corrispettivo del prezzo di euro 98.940, senza tuttavia incassarlo, se non in parte.
2. Avverso la suindicata sentenza ricorre per cassazione l'imputato, tramite il proprio difensore di fiducia, affidando le censure a sei motivi.
2.1. Con il primo motivo si contesta l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in riferimento alla qualificazione del fatto così come accertato nella sentenza che è differente rispetto a quello contestato nel capo di imputazione relativamente alla qualifica soggettiva dell'imputato.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale disattendendo quanto evidenziato nel relativo motivo di appello (sub. 1), avrebbe errato neli'affermare che all'imputato poteva attribuirsi la penale responsabilità, atteso che si pronuncia su un fatto nuovo, ossia gli asseriti atti distrattivi avvenuti nel periodo in cui lo stesso era liquidatore della società, in violazione del diritto di difesa dello stesso, laddove in contestazione gli atti distrattivi si imputano alla sua amministrazione di fatto della società.
2.2. Col secondo motivo deduce la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione in ordine al mancato vaglio applicativo della dirimente regola di giudizio dell' "oltre ogni ragionevole dubbio", con riferimento al reato di bancarotta patrimoniale contestato. Invero, del tutto carente è la motivazione della sentenza impugnata quanto agli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 216 comma 1, n. 1 legge fall., con riferimento alle condotte distrattive riconosciute nella vendita dei beni e nella cessione del contratto di leasing alla Equal Srl
In particolare:
- la Corte territoriale, con riferimento alla vendita dei beni e dei macchinari suindicata e alla relativa distrazione, ha erroneamente ritenuto che questa fosse palese poiché rispetto al prezzo convenuto in Euro 98.940,00, la Equal aveva adempiuto alla propria obbligazione di pagamento solo in parte, compensando col debito un proprio credito, in realtà inesistente. Dunque, entrambe le sentenze di merito fondano la propria decisione sul solo pagamento parziale dei credito derivante dalla vendita, senza considerare che lo stesso riconoscimento della sussistenza di un maggior credito, costituisce conferma della correttezza dell'operazione;
- anche in riferimento alla cessione del contratto di leasing suindicata, le sentenze di merito hanno pacificamente ritenuto che il mancato riscatto dell'immobile si sia risolto in un pregiudizio per i creditori, senza verificare se la continuazione del rapporto di leasing avrebbe rappresentato per la curatela un peso economico improduttivo ovvero un vantaggio patrimoniale attraverso l'acquisizione del bene.
Sarebbe stato, invece, necessario che la Corte di appello esaminasse le dichiarazioni della curatrice fallimentare, la documentazione prodotta dalla stessa con la relazione fallimentare nonché i documenti contabili della società.
Si lamenta, inoltre, che la sentenza impugnata è viziata anche in ordine alla valutazione dell'elemento soggettivo del reato.
In sostanza, mancano elementi concreti dai quali desumere l'esistenza dell'elemento soggettivo del reato de quo, sia per quanto riguarda la vendita dei beni - i quali sono stati venduti in cambio di un prezzo, in relazione al quale sussistevano elementi tali da indurre a ritenere lo stesso ragionevole - sia per quanto riguarda la cessione del leasing, che trova spiegazione su elementi specifici, che conducono piuttosto a ritenere come l'operazione fosse volta ad evitare il maturare dì ulteriori oneri a carico della società.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 192,533 comma 1 cod. proc. pen. e 44 cod. pen. con riferimento alla qualificazione del fatto quale bancarotta per distrazione di cui all'art. 216 comma 1, n. 1 legge fall., in mancanza dell'acquisizione della sentenza integrale di fallimento della Falegnameria Tecnolegno Srl Invero - trovandosi in presenza del solo estratto della medesima, trasmesso ai sensi dell'art. 17 legge fall. - in assenza dell'acquisizione della sentenza suindicata - lamenta la difesa - non poteva pronunciarsi una sentenza di condanna del ricorrente.
2.4. Con il quarto motivo si denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 192 e 533 comma 1 cod. proc. pen., con riferimento alla qualificazione del fatto quale bancarotta per distrazione in luogo della fattispecie di bancarotta semplice di cui all'art. 217, comma 3, legge fall.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe errato nell'escludere la derubricazione suindicata, fondata sulla valutazione delle operazioni del Fa.Lu. come imprudenti ed azzardate, sostenendo che la società fallita avrebbe dovuto farsi pagare la fattura di Euro 98.840,00 in unica soluzione, invece di accettare pagamenti parziali e compensare in parte un inesistente credito della Equal con il proprio, per poi rinunciare ad adottare qualsivoglia iniziativa per il recupero del credito. Invero, l'assenza di elementi atti a comprovare la sussistenza di atti distrattivi avrebbe dovuto far propendere per la riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all'art. 217 legge fall. Inoltre - si ribadisce - con riferimento alla vendita dei beni e attrezzature alla Equal, la fallita non è rimasta priva di corrispettivo e, conseguentemente, non ha arrecato alcun pregiudizio alla garanzia patrimoniale per i creditori.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato, nella misura in cui la Corte territoriale non ha fornito un'adeguata motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e, inoltre, si è limitata a richiamare quanto affermato dal giudice di primo grado, in relazione ai canoni di valutazione di cui all'art. 133 cod. pen., ritenendo che la pena principale fosse stata correttamente applicata in misura prossima al minimo edittale. Invero, già la sentenza dì primo grado si limitava ad un generico richiamo alla gravità dei fatti e alla capacità a delinquere del ricorrente. Inoltre, risulta illogica anche la qualificazione dell'operazione legata al leasing quale fatto più grave, atteso che il Tribunale non fornisce alcuna logica spiegazione sul motivo per cui tale cessione costituirebbe l'ipotesi più grave contestata al ricorrente.
2.6. Con il sesto motivo, si contesta violazione di legge in relazione all'art. 545 bis cod. pen. anche in conseguenza dell'entrata in vigore del D.Lgs., 150/2022.
La difesa evidenzia come la Corte di merito, pur potendo e dovendolo fare, non ha consentito all'imputato, dopo l'entrata in vigore della riforma in periodo successivo alla sentenza di primo grado e alla presentazione dell'atto di appello, di godere delle pene sostitutive di cui all'art. 53 legge n. 689/1981, atteso che il regime transitorio di cui all'art. 95 del D.Lgs. n. 150/2022 prevede l'applicazione anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del decreto.
3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del D.Lgs.. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 1, D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla L. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso, contro-deducendo agli argomenti esposti dal P.G.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1.1. Quanto al primo motivo, le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051, hanno puntualizzato i caratteri che un mutamento della contestazione inizialmente proposta deve assumere per poter incorrere nel difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Si è così affermato, con valenza generale, che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso T'iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Dunque, una valutazione in concreto e non in astratto guida il giudizio di verifica della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: ciò che conta è che siano stati assicurati nel corso del processo i diritti di difesa dell'imputato in ordine all'oggetto dell'imputazione così come rivelatosi in sentenza e che, viceversa, non vi sia stato alcun pregiudizio di sorta di tali diritti di difesa.
Nel caso di specie, risulta evidente dalla motivazione del provvedimento impugnato e dallo stesso tenore dell'imputazione, che non vi è stato alcun mutamento pregiudizievole dei fatti ascritti al ricorrente: sia la contestazione, sia la sentenza hanno avuto ad oggetto sostanzialmente identiche condotte distrattive e di reato; diverso è solo il ruolo aziendale dell'imputato come accertato nel momento delle condotte distrattive. Inizialmente è stato ritenuto che egli fosse solo l'amministratore di fatto; poi è stato accertato che le condotte indicate sono state tenute durante il periodo in cui egli non esercitava solo poteri gestori di fatto, ma aveva assunto anche un ruolo formale. In entrambi i casi, però, la contestazione concerne l'esercizio di effettive funzioni in relazione alla gestione dell'attività imprenditoriale ed all'assetto organizzativo dell'azienda, sicché non può ritenersi intervenuta alcuna immutazione sostanziale del fatto, né di conseguenza alcuna violazione del diritto di difesa (d'altronde il motivo, pur potendo contestare la pronuncia anche sotto il profilo della correttezza o meno dell'assunto posto dalla Corte di appello a base della confermata riconducibilità delle condotte all'imputato, non ha mosso alcun rilievo sul punto, limitandosi a lamentare la inosservanza degli artt. 521 e 522 del codice di rito).
1.2. In merito al secondo motivo, deve rilevarsi che, di là del profilo della possibilità di riscatto o meno del bene da parte del curatore, l'essenza distrattiva fraudolenta dell'operazione risiede nel fatto che essa ha comportato la perdita del bene da parte della società fallita senza una effettiva contropartita - che ben avrebbe potuto trovare giustificazione per il fatto che prima della cessione erano state comunque versate dalla fallita delle rate, oltre la cospicua maxi rata iniziale, per una somma complessiva superiore ai cento mila euro, di cui la società cessionaria Equal Srl, si è in definitiva avvantaggiata. Anzi -precisano i giudici di merito - la cessionaria non solo non risulta aver versato alcunché come corrispettivo, ma addirittura pretendeva il rimborso per i canoni pregressi non versati dalla fallita, così creando un credito poi eccepito in compensazione per l'acquisto dei macchinari, Ed invero, dalla sentenza di primo grado si comprende che la società F.T.L. Srl era stata messa in liquidazione e l'imputato era stato nominato liquidatore, e che i macchinari e le attrezzature erano stati venduti dal liquidatore alla società Equal Srl, il cui legale rappresentante era Fa.Fe.. Alla stessa Equal Srl era stato trasferito (senza liberazione del cedente) il contratto di leasing concluso originariamente tra la F.T.L. Srl e la Fineco leasing Spa per la costituzione del capannone. In detto capannone, la Equal Srl esercitava la propria attività, mentre per effetto del trasferimento del contratto di leasing la curatela perdeva la possibilità del riscatto del bene. In un simile contesto, correttamente, la Corte d'appello ha ritenuto che l'operazione economica avesse determinato un pregiudizio per i creditori sociali: il contratto era stato concluso nel 2006; il valore dell'immobile era stato quantificato in circa 250.000 Euro; la F.L.T. aveva già corrisposto il primo canone di circa 60.000 Euro e al momento della cessione, avvenuta nel 2012, aveva pagato circa 50 delle 180 rate mensili di Euro 1.423,00 ciascuna (con un ammontare di rate arretrate pari a soli Euro 12.489,68 secondo quanto si riporta a pag. 4 della sentenza impugnata, in parte qua richiamata dallo stesso ricorso); il prezzo di riscatto era fissato in Euro 24.165,73. In sostanza, vi era stato un notevole esborso economico da parte della società fallita, di cui le parti contrattuali non avevano minimamente tenuto conto, di talché la cessione del contratto di leasing, della cui natura traslativa non si è dubitato - di là del fatto che gli organi della procedura avrebbero potuto valutare se pagare la morosità e le rate scadute in modo da ottenere la proprietà del capannone - essendo intervenuta a titolo gratuito, si è risolta in una evidente operazione distrattiva.
Tale natura distrattiva si coglie evidenziando l'operazione l'indebito vantaggio goduto dalla società cessionaria, amministrata dalla figlia dell'imputato, che, accollatasi solo il pagamento delle rate mensili residue e il costo del riscatto, ha beneficiato dei precedenti esborsi effettuati dalla fallita ed in particolare del pagamento della maxi rata iniziale, oltre che delle altre suindicate, e ciò - per quanto maggiormente rileva nel caso di specie - senza corrispondere adeguato corrispettivo; sicché, dì là delle concrete possibilità di riscatto da parte della curatela del bene, rimane evidente che la cessione, non remunerata, si è comunque risolta in un'operazione a vantaggio della cessionaria; non potrebbe pertanto assumere di per sé rilievo la circostanza che la società non sarebbe stata più in grado di versare le rate dal momento che tale evenienza non faceva venir meno la necessità di una giusta ed adeguata controprestazione rispetto alla vicenda contrattuale de qua.
Se il leasing è orientato alla produzione di un effetto traslativo la durata del contratto non è commisurata alla vita economica del bene e il bene stesso, alla scadenza del contratto, conservando comunque una sua utilità economica, avrà un valore maggiore rispetto al prezzo pattuito per l'opzione di acquisto, cosicché - in assenza di corrispettività tra l'ammontare del canone e l'utilità che ne deriva al conduttore - i canoni non costituiscono soltanto il corrispettivo del godimento, ma scontano, anche se parzialmente, il prezzo della res.
Da ciò consegue che in caso di cessione di contratto di leasing traslativo che ha trovato esecuzione - pressoché - fino alla data della cessione sussiste un valore economico sottostante e la circostanza che il cedente non sia più in condizione di proseguire nel pagamento delle rate non è idonea ad escluderlo.
Il motivo che, sul punto, si limita ad affermare che la circostanza che la prosecuzione del contratto di leasing era diventata solo un onere per la F.T.L. avrebbe dovuto escludere la natura distrattiva dell'operazione di cessione del contratto di leasing, rimane quindi aspecifico.
Quanto, poi, alla vendita dei macchinari e delle attrezzature, si è parimenti registrata la mancata corresponsione del prezzo, in tal caso pattuito ma comunque non corrisposto se non mediante incongrui acconti ed impropria compensazione.
Ciò che rileva e va evidenziato è che i giudici di merito hanno ricostruito gli indici di fraudolenza anche in relazione a tale fattispecie distrattiva, avendo evidenziato come l'operazione anche in tal caso fosse andata a vantaggio della società amministrata dalla figlia del ricorrente, nei cui confronti neppure veniva intrapresa un'azione di adempimento a fronte della morosità in cui la stessa era incorsa.
Ed è dal medesimo contesto complessivo in cui si sono dipanate le vicende descritte che si è, in definitiva, tratto anche l'elemento soggettivo, ricostruito quindi in termini dolosi.
1.3. Il terzo motivo è del tutto generico e privo di rilievo dal momento che esso non contesta la intervenuta emissione della sentenza di fallimento - che, di là della natura che si voglia ad essa attribuire se di condizione obiettiva di punibilità (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804) o di elemento costitutivo del reato, deve comunque essere intervenuta per aversi condanna per il reato di bancarotta - ma si limita a lamentare genericamente che la sentenza di fallimento è stata trasmessa solo per estratto ed in tale veste è confluita nel fascicolo penale.
1.4. Quanto al quarto motivo, la sentenza impugnata appare conforme all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui non ricorre l'ipotesi di bancarotta semplice di cui all'art. 217, comma primo, n. 2, legge fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta, nel caso di operazioni che abbiano comportato, in pressoché totale assenza di vantaggi, un notevole impegno economico-finanziario della società, dichiarata poco dopo fallita, atteso che le operazioni imprudenti, realizzate pur sempre nell'interesse dell'impresa, sono quelle in tutto o in parte aleatorie o frutto di scelte avventate, tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 34292 del 02/10/2020 Rv. 279973 - 01).
Nel caso di specie, la Corte d'appello ha rilevato che l'imputato non ha richiesto il pagamento immediato ed in unica soluzione delle attrezzature e dei beni venduti, accettando invece pagamenti parziali di piccole somme, al di fuori di un piano di rientro, e, poi, ha cercato di ridurre il credito verso la società Equa! compensandolo con un suo preteso credito, invece inesistente o comunque non dimostrato, ed infine aveva rinunciato ad adottare nei confronti di tale società, amministrata dalla figlia, qualsivoglia iniziativa per il recupero del credito.
1.5. In merito al quinto motivo, la motivazione sul trattamento sanzionatorio - a fronte della deduzione del tutto generica avanzata al riguardo nell'atto di appello al punto che la Corte di merito ha rilevato che esso era ai limiti dell'ammissibilità - è da ritenere certamente congrua stante il riferimento alla gravità del fatto e alle modalità della condotta oltreché alla capacità a delinquere dell'imputato.
D'altra parte, la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019 Rv. 275057 - 01).
Quanto alla censura sulla individuazione della pena base, trattandosi di deduzione che impinge la sentenza di primo grado rimasta fuori dall'appello, essa è inedita e quindi inammissibile ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
1.6. Quanto infine al sesto motivo, con il quale ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia prospettato la sussistenza dei presupposti, dopo la lettura del dispositivo, per l'applicazione di una pena sostitutiva, deve ricordarsi che, in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, il giudice non è tenuto a proporre, in ogni caso, all'imputato l'applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito di un potere discrezionale al riguardo, sicché l'omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell'avviso di cui all'art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen., non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un'implicita valutazione dell'insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva (Sez. 1, n. 2090 del 12/12/2023, dep. 2024, Rv. 285710 - 01). Non diversamente, il mancato riferimento a dette sanzioni nella sentenza, peraltro in difetto di una richiesta dell'imputato, presuppone un'implicita valutazione sull'insussistenza dei presupposti per l'applicazione delle stesse.
A ciò si aggiunge che in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, è onere dell'imputato, nel giudizio di appello celebrato con rito cartolare, richiedere il subprocedimento di conversione della pena detentiva previsto dall'art. 545-bis cod. proc. pen. nell'atto di appello o nei motivi nuovi o aggiunti, ovvero in sede di formulazione delle conclusioni scritte o nella memoria di replica (Sez. 2, n. 4772 del 05/10/2023, dep 02/02/2024, Rv. 285996 - 02).
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2024.