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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: sussiste nel caso di prelevamento di somme per il pagamento di competenze non deliberate dall'assemblea

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 03/11/2016, n.50836

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell'amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, ancorché su delibera del consiglio di amministrazione, in quanto la previsione di cui all'art. 2389 cod. civ. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, sia determinata con delibera assembleare. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che ha ravvisato la sussistenza del reato nella percezione, da parte del presidente del consiglio di amministrazione di una società dichiarata fallita, di somme liquidate sotto forma di corrispettivi "per attività professionali" - in realtà in larga parte coincidenti con le incombenze ed i compiti propri dell'amministratore - non autorizzate dall'assemblea né dal consiglio di amministrazione, che in un verbale si era limitato a prendere atto della situazione esistente).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Pordenone, con sentenza confermata dalla Corte di appello di Trieste, ha, in sede di giudizio abbreviato, condannato B.L. per bancarotta fraudolenta patrimoniale commessa quale Presidente del Consiglio di amministrazione della (OMISSIS) srl, dichiarata fallita nel 2010. Secondo l'accusa l'imputato, operando nella qualità sopradetta, distrasse le attività societarie seguenti: a) Euro 7.000 mensili, oltre IVA e rimborso spese, per un totale di Euro 74.020, a lui attribuiti o auto-attribuitosi quale consulente esterno della società, sebbene le attività a lui commissionate rientrassero, in gran parte, nei compiti proprie dell'amministratore; b) la somma di Euro 207.021, pari alle spese sostenute dalla società fallita per realizzare e promuovere il marchio (OMISSIS), registrato, in realtà, a nome dello stesso B.L. e di C.L. e successivamente utilizzato dalla Moka Cucine srl, gestita dallo stesso B.; c) la somma di Euro 70.278 per immobilizzazioni immateriali (diritti di brevetto riferiti al marchio (OMISSIS)). La sentenza precisa che la (OMISSIS) srl si era resa affittuaria, nel marzo 2009, dell'azienda della Master spa in concordato preventivo e che aveva acquistato, al prezzo esorbitante di Euro 1.550.000, il magazzino della società suddetta, sicchè era in condizione di insolvenza già alla fine del 2009. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato lamentando la violazione delle regole di valutazione probatoria e un vizio di motivazione, con riguardo sia all'affermazione della responsabilità e alla qualificazione dei fatti, sia alla subordinazione della sospensione condiziona della pena alla retrocessione della somma di Euro 74.020 e del marchio (OMISSIS). Deduce: a) quanto alla contestata distrazione della somma di Euro 74.020, che la conclusione dei giudici è "smentita dalla documentazione agli atti del processo" (pag. 4), posto che la corresponsione del compenso di Euro 7.000 mensili fu autorizzata dall'assemblea dei soci del 23/3/2010 e posto che l'assemblea ordinaria del 7/8/2010 (menzionata dalla Corte d'appello, a dimostrazione dell'assenza di liceità della percezione) fu tenuta dopo la dichiarazione di fallimento; b) quanto alla distrazione della somma di Euro 207.021, che il deposito del marchio (OMISSIS)Moka(OMISSIS) avvenne il 19/1/2010 e che la costituzione della Moka Cucine srl, gestita da B., avvenne il 23/7/2010, mentre l'effettivo utilizzo del marchio da parte di detta società fu successivo al 15/9/2010: vale a dire, dopo il fallimento di (OMISSIS) srl, che lo aveva utilizzato fino al fallimento. Peraltro, il marchio suddetto è stato retrocesso ("anche in ottemperanza alla sentenza di primo grado") il 5/11/2012 alla curatela fallimentare, che non ha neppure provveduto alla vendita, "a riprova dell'assoluta irrilevanza economica dello stesso", nè vi è prova che i 207.021 Euro siano stati utilizzati per la realizzazione del marchio, laddove lo stesso curatore li ha riferiti, nella sua relazione del 24/11/2010, prevalentemente a costi per fiere e mostre, a spese per cataloghi e listini e solo per Euro 2.000 a spese di progettazione del marchio; c) quanto ai diritti di brevetto, che la Corte triestina ha confuso il marchio con il brevetto ed ha omesso ogni motivazione a sostegno dell'asserita distrazione, non avendo considerato che la paternità del brevetto è di C.; 2.1. Con altro motivo contesta la qualificazione - come bancarotta distrattiva delle somme introitate dall'amministratore a titolo di compenso per l'attività prestata, potendo, semmai, parlarsi di bancarotta preferenziale, posto che la loro percezione era stata autorizzata dall'assemblea dei soci. 2.2. Con un terzo motivo torna sulla ritenuta distrazione dei diritti di brevetto, ripetendo che la Corte d'appello ha confuso il marchio con il brevetto e che non ha fornito alcuna dimostrazione dell'asserita distrazione. 2.3. Con un quarto ed ultimo motivo si duole della subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla retrocessione della somma di Euro 74.020 e del marchio (OMISSIS), senza tener conto del fatto che si tratta di compensi regolarmente pattuiti e del fatto che il marchio è già stato riconsegnato alla curatela il 5/11/2012. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è fondato limitatamente alla censura proposta con l'ultimo motivo. 1. Sebbene esista contrasto nella giurisprudenza di questa Corte intorno alla qualificazione del reato commesso dall'amministratore che si ripaghi, in una situazione di conclamato dissesto, di propri crediti - derivanti dalla qualifica rivestita - verso la società amministrata (sì discute, infatti, se si tratti di bancarotta distrattiva o preferenziale), è tuttavia assodato che integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell'amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, ancorchè su delibera del consiglio di amministrazione, in quanto la previsione di cui all'art. 2389 c.c., stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, debba essere determinata con delibera assembleare (Cass., n. 11405 del 12/6/2014; n. 46959 del 27/10/2009; n. 4985 del 19/12/2006). Nella specie, non vi è stata nessuna delibera di tal genere, dal momento che il compenso di cui si discute è stato percepito da B., con un'operazione palesemente strumentale, sotto forma di corrispettivi per "attività professionali", laddove le attività professionali (consulenza gestionale e direttiva) coincidevano, in larga parte, con le incombenze e i compiti dell'amministratore. Nè giova al ricorrente richiamare "il verbale del 23/3/2010", in quanto, contrariamente all'assunto da cui muovemil ricorrente, non si tratta - secondo quanto si legge nello stesso ricorso - di un verbale relativo a seduta assembleare, ma di un verbale relativo a seduta del Consiglio di amministrazione, come reso evidente dall'incipit dello scritto ("...per tali motivi il Presidente propone al Consiglio di amministrazione..."). Tanto, senza considerare che non è stata nemmeno provata l'esistenza di una formale deliberazione del Consiglio di amministrazione, dal momento che quella richiamata in ricorso rimanda - per come ivi esposta - ad una semplice presa d'atto, da parte del Consiglio suddetto, della situazione esistente (in ordine a varie questioni, tra cui la remunerazione dell'amministratore), e non già ad una volontà dell'organo gestorio produttiva delle modificazioni giuridiche ipotizzate nel ricorso. Correttamente, pertanto, i giudici di merito hanno ricondotto la fattispecie concreta allo schema della bancarotta per distrazione, in quanto, con la condotta sopra descritta, l'amministratore è riuscito ad autoliquidarsi - in forma peraltro esorbitante rispetto all'impegno richiesto dalle dimensioni dell'impresa e alla situazione di dissesto in cui la stessa si trovava - compensi che solo l'organo sociale sopra menzionato, o lo statuto, avrebbero potuto riconoscergli. L'ammontare dei compensi auto attribuitisi evidenzia, poi, un ulteriore profilo di criticità nella condotta di B., in quanto la qualificazione in termini di preferenzialità della bancarotta imputabile all'amministratore esige - secondo la giurisprudenza più favorevole - che questi ottenga in pagamento di suoi crediti, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato (Cass., n. 48017 del 10/7/2015). Circostanza motivatamente esclusa dai giudici di merito, i quali hanno evidenziato che B. si era attribuito, in soli sei mesi del 2010, compensi per oltre 63 mila Euro, corrispondenti ad oltre 10 mila Euro mensili e pari a più del 12% dell'intero fatturato della (OMISSIS) srl (pag. 4 della sentenza di primo grado, richiamata a pag. 6 da quella d'appello). 2. Sono senza fondamento anche le critiche che si appuntano sulla ritenuta distrazione del marchio (OMISSIS)Moka(OMISSIS) e delle somme spese da (OMISSIS) srl per disegnarlo, pubblicizzarlo e registrarlo. Costituisce, innanzitutto, censura in fatto, inammissibile in questa sede, quella attinente alla registrazione del marchio, che le sentenza di primo e secondo grado dicono avvenuta - sulla base di prove (attestazione del Collegio sindacale contenuta nel verbale di assemblea del 7 agosto 2010; accertamenti del curatore; documentazione in atti) nemmeno prese in considerazione dal ricorrente - a favore di B.L. e C.L.. E costituisce deduzione irrilevante - nel giudizio sulla responsabilità - quella, contenuta in ricorso, secondo cui la registrazione del marchio sarebbe avvenuta a favore del solo C.. Come correttamente rilevato a pag. 12 dalla Corte d'appello, tale circostanza (peraltro smentita in atti) non escluderebbe la responsabilità penale dell'imputato, in quanto si tratterebbe pur sempre di un bene aziendale distratto dalla sua funzione, perchè indebitamente - e senza motivo - attribuito ad un soggetto terzo, con privazione dell'impresa che ne era proprietaria. Ugualmente irrilevante è il fatto - rimarcato in ricorso - che il marchio sia stato utilizzato dalla nuova società riconducibile a B. (la Moka Cucine srl) a partire dal mese di settembre 2010, e quindi dopo la dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) srl, giacchè non è questa l'attività contestata all'imputato, ma l'estromissione del marchio dall'azienda, attuata nel modo anzidetto. Infine, non ha rilievo, nel giudizio sulla bancarotta, nemmeno il fatto che, dopo la sentenza di primo grado, il marchio sia stato retrocesso alla (OMISSIS) srl, trattandosi di attività post delictum, che non incide sulla esistenza del reato (tanto, a prescindere dal fatto che la retrocessione è stata operata per beneficiare della sospensione condizionale della pena, a cui era stato subordinato il beneficio). Quanto all'ammontare della distrazione, nessuna censura merita la sentenza impugnata, che ha ricompreso in esso le spese sostenute da (OMISSIS) srl per l'allestimento grafico, per il posizionamento, per l'elaborazione informatica e per la divulgazione del marchio (pag. 2 della sentenza di 1^ grado, richiamata da quella d'appello), trattandosi di spese effettivamente pertinenti alla creazione del prodotto e alle attività che ne hanno determinato l'accrescimento del valore. Poco rileva, quindi, che il marchio sia stato associato, in un certo periodo, ai prodotti della (OMISSIS) srl, giacchè ciò è avvenuto quando - a partire dal 19/1/2010 - era già stata richiesta la registrazione del marchio a favore di B. e C. (ovvero, secondo l'imputato, a favore del solo C.): vale a dire in un periodo in cui il marchio era già fuoriuscito dalla disponibilità giuridica della (OMISSIS) srl, per cui le spese per la sua divulgazione - seppur siano servite, in parte, a immettere sul mercato i prodotti della società fallita non potevano essere accollate a quest'ultima. 3. 1. Il ricorso è fondato, come già anticipato, limitatamente alla censura proposta con l'ultimo motivo di ricorso. E' stato infatti stabilito che è illegittima, in applicazione dei principi di legalità e tassatività - che escludono la sottoposizione del beneficio ad obblighi diversi da quelli previsti dall'art. 165 c.p., - la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'obbligo del risarcimento dei danni, nel caso in cui il giudice penale abbia pronunciato condanna generica e demandato al giudice civile la liquidazione del predetto danno, giacchè la disposizione di cui all'art. 165 cod. pen. attribuisce al giudice di merito l'esercizio di tale facoltà solo ove abbia proceduto direttamente alla quantificazione dell'obbligo risarcitorio del condannato ovvero abbia assegnato una provvisionale (Sez. 5, n. 48517 del 06/10/2011, Cuoghi, Rv. 251708). Tanto vale, a maggior ragione, nel caso in cui il danneggiato dal reato si sia disinteressato del processo, mostrando, in tal modo, di non avere istanze da far valere nei confronti dell'imputato. La condizione apposta alla concessione del beneficio deve dunque essere eliminata. PQM P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla retrocessione del marchio (OMISSIS) e della somma di Euro 74.020 alla procedura fallimentare della (OMISSIS) srl; rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 3 novembre 2016. Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016
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