RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza emessa in data 8 maggio 2023, riformava solo quanto alla durata delle pene accessorie fallimentari la decisione del G.u.p. del Tribunale di Modena che, per quanto qui di interesse, in ordine al delitto di bancarotta societaria fraudolenta patrimoniale, aveva accertato la responsabilità penale di Pe.Si. e Pe.Fa., amministratori fino al 24.12.2013 della società Firem Srl, dichiarata fallita il 3 aprile 2014, per aver distratto tutto il compendio mobiliare - fra cui un macchinario laser Rotomark del prezzo di Euro 40.000 concesso in leasing finanziario dalla Lasit Spa, trasferendolo in Polonia.
In particolare, nell'agosto 2012 veniva costituita in Polonia la società Helkra sp. Z.o.o. dai soci della Firem Srl, oltre che dalla società Ma.Ma. E Associati Srl, società facente capo proprio al consulente della Firem, Ma.Ma.
La Firem conferiva in natura - per l'acquisto di 700 quote della nuova società, pari al 70% del capitale sociale - tutti i propri macchinari e le apparecchiature, per un valore periziato dal commercialista Sa.Si. di circa 2 milioni di euro.
Nell'agosto 2013 i beni venivano trasferiti fisicamente in Polonia e il 17 ottobre 2013 Firem cedeva la sua partecipazione in Helkra ad altra società di diritto polacco, sempre riconducibile ai fratelli Pe.Fa. e Pe.Si., Atingo sp. Z.o.o., per l'esiguo prezzo di Euro 290.000, non pagato integralmente dalla cessionaria.
In sostanza, attraverso la "delocalizzazione" all'estero, il compendio mobiliare della Firem, secondo l'ipotesi confermata dalle sentenze di merito in doppia conforme, veniva integralmente sottratto alla garanzia dei creditori.
2. I ricorsi per cassazione proposti, con unico atto, nell'interesse di Pe.Si. e Pe.Fa., constano di un unico articolato motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Lamentano i ricorrenti violazione di legge, in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso che si vertesse in tema di cessione di ramo di azienda.
La Corte territoriale escludeva la natura di cessione di ramo di azienda, pur dovendo prendere atto che l'importo ottenuto in cambio della cessione costituiva una plusvalenza insperata, il che avrebbe legittimato una valutazione dell'operazione non in funzione distrattiva, bensì utile ad accrescere la garanzia per i creditori. Il compendio mobiliare, obsolescente, in Italia non avrebbe fruttato e, dunque, se i beni fossero stati acquisiti dalla curatela fallimentare, la vendita degli stessi non avrebbe aumentato il grado di soddisfazione del ceto creditorio.
Il motivo insiste sulla sussistenza di tutti gli elementi utili a identificare l'oggetto della cessione come ramo di azienda, avendo i beni ceduti una propria autonomia produttiva, ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., non richiedente una forma peculiare ad substantiam ma solo ad probationem ex art. 2556 cod. civ., cosicché non rileva quanto la Corte territoriale evidenzia, cioè l'assenza di un atto scritto.
La Corte di appello avrebbe anche errato a escludere tale qualità di 'ramo di azienda' sulla base di una mail inviata da Ma.Ma., che palesava la necessità di non procedere nelle forme della cessione del ramo di azienda per evitare l'opposizione dei creditori e dei lavoratori.
Dalla qualificazione della cessione come ramo di azienda derivava la necessità di valutare i beni ceduti nella loro propensione a produrre reddito e non nella sola prospettiva statica.
4. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 202, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell'art. 11, comma 7, del D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. Tomaso Epidendio, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, D.L. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, in quanto gli stessi non si confrontano con la motivazione impugnata, che rileva come i beni siano stati sostituiti con un valore, da valutarsi anche in ordine alla negoziabilità all'estero, incongruo, nel passaggio della cessione delle quote da Helkra a Atingo, oltre che solo parzialmente versato.
6. L'avvocato per i ricorrenti, ha replicato che le conclusioni della Procura generale non tengono in conto che a fronte del valore nullo dei beni in Italia, riconosciuto dalla stessa sentenza di appello, al fol. 11, la cessione della partecipazione di Firem in Helkra alla Atingo risulterebbe non incongrua ma migliorativa. Il difensore ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono complessivamente infondati.
2. A ben vedere, in primo luogo, anche in relazione alle conclusioni della difesa da ultimo richiamate, deve evidenziarsi come la Corte di appello non abbia mai ritenuto pari allo zero il valore dei beni.
Il brano riportato dalla difesa in ricorso inizia al fol. 10 della sentenza impugnata e riporta la tesi di parte appellante.
Diversamente, la Corte di appello proprio al fol. 10 chiarisce che il valore del compendio mobiliare, conferito in natura nella prima società di diritto polacco, se certamente non poteva rispondere alla stima di 2 milioni di Euro, non di meno doveva ritenersi pari al valore netto risultante dal bilancio al 31 dicembre 2011, quindi alla fine dell'esercizio annuale precedente il conferimento, pari a Euro 1.149.281,00.
A fronte di tale posta, la Corte di appello tiene conto della svalutazione intervenuta che - in modo coerente, secondo il consulente del pubblico ministero - conduceva a ritenere la partecipazione societaria acquisita con il conferimento dei beni mobili pari a Euro 1.100.000,00 al 31 dicembre 2012.
Evidenzia la Corte che con la cessione da parte di Firem della partecipazione societaria in Helkra alla newco Atingo, sempre facente capo agli attuali ricorrenti, per il valore di 290mila euro, neanche tutti corrisposti, si renda evidentemente ingiustificata e connoti complessivamente come distrattiva l'operazione.
In tale prospettiva, anche le doglianze che si concentrano sulla qualificazione della cessione come avente ad oggetto un ramo di azienda, a ben vedere, non risolvono il tema posto a base della decisione dalla Corte di appello: il valore stimato dei beni, anche nella prospettiva del maggior valore proprio dell'utilizzo all'estero, secondo l'impostazione difensiva, comunque non ha visto la cessione correlata a un prezzo congruo, per altro neanche interamente corrisposto.
In tal senso la sentenza impugnata risulta assolutamente in linea con i principi consolidati di questa Corte di legittimità.
In primo luogo, le doglianze dei ricorrenti non sono decisive perché integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione anche la dismissione di beni strumentali obsoleti distaccati dal patrimonio sociale in assenza di utile o corrispettivo, trattandosi di beni la cui consistenza economica, sebbene minima, esigua o ridottissima, è idonea comunque a costituire garanzia per i creditori (Sez. 5, n. 31680 del 03/06/2021, Montorsi, Rv. 281768 - 01).
Nel caso in esame, per altro, la ratio deciderteli è sorretta, come ritenuto correttamente dalla Corte di appello (fol. 15 della sentenza), anche dalla distrazione del bene in leasing, il cui valore era di 40mila euro, punto non più attaccato dai ricorrenti.
A riguardo è noto che in caso di bene pervenuto all'impresa a seguito di contratto di "leasing", qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l'acquisizione alla massa o che comporti per quest'ultima un onere economico derivante dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione, integra il reato poiché determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell'inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente (Sez. 5, n. 21933 del 17/04/2018, Farruggio, Rv. 272992 -01; mass, confv. n. 33380 del 2008 rv. 241397 - 01, n. 9427 del 2011 rv. 251995 - 01, n. 44350 del 2016 rv. 268469 - 01).
In secondo luogo, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, Sentenza n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763): elementi questi, senza aporie logiche, analizzati dalle sentenze di merito, che evidenziano come si sia creato uno squilibrio ingiustificato per la fallita, indotta alla cessione dalla circostanza che le società di diritto polacco, partecipata la prima e cessionaria della partecipazione la seconda, risultavano comunque facenti capo al medesimo nucleo familiare e che l'operazione anche cronologicamente risultava funzionale a svuotare Firem (fol. 18 della sentenza di primo grado).
In terzo luogo, comunque non vi è stata alcuna azione da parte della fallita Firem nei confronti di Atingo, per il recupero del credito vantano, né rileva la forma dell'atto di cessione: infatti, il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito, in cui si concreta l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (tra le tante, Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Arnoldo, Rv. 283893 - 01).
Quanto alla prima frazione della condotta, quella del conferimento in natura dei beni mobili, integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale qualsiasi forma di cessione di un ramo d'azienda che renda non più possibile l'utile perseguimento dell'oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società (Sez. 5, n. 10778 del 10 gennaio 2012, Petruzziello, Rv. 252008), circostanza verificatasi anche con la trasformazione dei beni mobili in partecipazione societaria, escludendone qualsiasi capacità produttiva per la Firem (cfr. fol. 10 della sentenza).
D'altro canto, le doglianze mosse alla sentenza impugnata, che tendono a dimostrare che si trattò di una cessione di un ramo di azienda, con maggior guadagno della società cedente e quindi maggiore garanzia del ceto creditorio, non dimostrano la funzionalità del ramo di azienda all'estero, che viene solo asserita.
3. Ne consegue la complessiva infondatezza dei ricorsi e la condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Quanto alle spese di costituzione in giudizio della parte civile, le stesse non vanno liquidate in quanto le conclusioni sono tardivamente pervenute in data 31 maggio 2024, senza il rispetto dei cinque giorni liberi prima dell'udienza del 5 giugno 2024, cosicché non possono essere valutate.
L'art. 172, comma 5, cod. proc. pen. prevede che "Quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere": ciò vale anche per i termini 'a ritroso', come è stato ritenuto da Sez. 3, n. 30333 del 23/04/2021, Altea, Rv. 281726 - 01, affermando che in materia di termini processuali, la regola di cui all'art. 172, comma 5, cod. proc. pen., implica che vanno esclusi dal computo il "dies a quo" nonché il "dies ad quem" e in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto tardivo il deposito di motivi nuovi presentati in cancelleria in data 17 giugno con riferimento ad un'udienza fissata per il 2 luglio, avendo riguardo al termine "fino a quindici giorni prima dell'udienza" stabilito dall'art. 585, comma 4, cod. proc. pen.
Pertanto, non rispettato il termine dell'art. 23, comma 8, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, va ribadito che lo stesso ha natura perentoria, sicché la memoria presentata oltre tale termine deve ritenersi tardiva (cfr. Sez. 1, n. 35305 del 21/05/2021, Aiman, Rv. 281895 - 01; mass. conf. N. 13434 del 2021 Rv. 281148 - 01).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Nulla per le spese di parte civile.
Così deciso il 5 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2024.