RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano ha ritenuto Ce.Gi., presidente del consiglio di amministrazione dal 26/4/1996 alla data di fallimento (17/11/2016) della Log Service Europe Spa (appartenente al gruppo societario facente capo allo stesso Ce.Gi.), responsabile di bancarotta fraudolenta, per aver distratto la somma di Euro 1.472.180,00, erogata nel 2014 alla capogruppo CF Holding Srl: escluse le aggravanti contestate, concesse le circostanze attenuanti generiche e operata la riduzione per il rito abbreviato, lo ha condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione.
La stessa sentenza ha assolto il Ce. e gli altri coimputati dalle ulteriori contestazioni di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice contestate.
La Corte d'appello di Milano, su impugnazione del Ce., ha confermato l'affermazione di sua responsabilità, ritenendo, tuttavia, la chiesta continuazione con i fatti giudicati con sentenza del Tribunale di Milano del 15/2/2021 (ex articolo 10 - ter D.Lgs. 74/2000, commessi il 27/12/2017), irrogando, nel complesso, la pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione.
Il Ce., col suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione.
Lamenta la violazione di legge (per erronea valutazione dell'elemento soggettivo del reato) e carente o apparente motivazione (in relazione alle censure di cui all'appello).
In particolare, afferma di aver censurato la sentenza di primo grado poiché, nel 2014, non sarebbero, a suo dire, emersi indici di decozione e, dunque, di fraudolenza nella condotta tenuta, posto che i flussi finanziari ed economici aziendali risultavano ancora a pieno regime, essendo insorto il primo segno d'allarme e criticità solo nel dicembre 2014, con la richiesta di concordato da parte della controllata MTN Spa
Ed allora, parte ricorrente ribadisce che tutte le condotte antecedenti non avrebbero potuto esser sorrette da dolo, per l'impossibilità di rappresentarsi, in capo all'imputato, la realizzazione di un pregiudizio in danno del ceto creditorio a seguito delle operazioni contestate: ciò per la ragionevole aspettativa che i finanziamenti erogati alla capogruppo sarebbero stati rimborsati, così come accaduto nelle annualità precedenti.
Sarebbe sintomatico della detta mancata consapevolezza la circostanza che, dal 2015, fossero cessati i finanziamenti infragruppo (con conseguente declaratoria di insussistenza del reato), e ciò in quanto il Ce., consapevole, a quel punto, della crisi finanziaria che aveva colpito il gruppo, aveva evitato di proseguire con operazioni analoghe a quelle contestate, proprio per non pregiudicare i creditori della fallita.
Ci si duole, infine, che la Corte territoriale abbia fatto esclusivo riferimento alla valutazione del curatore (secondo cui i finanziamenti erogati "in data successiva al 10 luglio 2014 rappresentano una mera dissipazione del patrimonio della fallita LSE, in quanto erogati in data successiva alla perdita effettiva del capitale sociale"), non considerando, in tal modo, la censura proposta con l'atto di appello.
Il Procuratore Generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
In diritto, chiedendo affermarsi principi manifestamente infondati, come di recente ribadito da questa Corte:
"Fin dalla pronuncia di questa Quinta Sezione, imp. Sgaramella - sentenza n. 38396 del 23/06/2017, Rv. 270763 - si è inteso affermare che, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. E si è poi aggiunto che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, anche l'esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l'apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori, ove siano rinvenibili "indici di fraudolenza" della distrazione (Sez. 5, n. 37109 del 23/06/2022, Giorgetti, Rv. 283582).
Così che anche invocate "scelte imprenditoriali" che conducano ad un esito depauperativo del patrimonio della fallita acquistano rilievo penale. Rilievo che non è escluso dal fatto che al momento delle condotte la società fosse, in ipotesi, priva di squilibri economici e finanziari, posto che si è detto come l'epoca del depauperamento può assumere rilevanza ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell'agente presenti elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando il depauperamento consegua ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un'alternativa ipotesi qualificatoria (Sez. 5, n. 45230 del 16/09/2021, Morabito, Rv. 282284)" (Sez. 5, n.17989 del 21/03/2024, non massimata; confronta, negli stessi termini, Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550; Sez. 5, n. 19973 del 11/04/2024, non massimata; Sez. 5, n. 16414 del 28/02/2024, non massimata).
Ancor più specificamente, in relazione alle possibilità di recupero ed ai rapporti tra società dello stesso gruppo, è stato chiarito che:
"l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; pertanto, è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell'attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l'intenzione di causarlo (Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739); si è precisato, altresì, che oggetto del reato in tale fattispecie, non è la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilità in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori (Sez. 5 n. 40981 del 15/05/2014, Rv. 261367). In relazione a tali fatti, sul dolo non incide né la finalità perseguita in via contingente dall'agente, che è elemento estraneo alla struttura della fattispecie, né il recupero o la possibilità di recupero del bene distaccato, attraverso specifiche azioni esperibili; la norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della sottrazione, che costituisce, ontologicamente, il proprium di ogni distrazione. Sottrazione che si perfeziona nel momento del distacco dei beni dal patrimonio societario anche se il reato viene a esistere giuridicamente con la dichiarazione di fallimento. Coerentemente con la natura di reato di pericolo della bancarotta patrimoniale, non si richiede io specifico intento di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilità di danno potenzialmente derivante alle ragioni creditorie, e, infatti, si è ripetutamente affermato che il dolo può essere diretto, ma anche indiretto o eventuale, quando il soggetto agisca anche a costo, a rischio di subire una perdita altamente probabile se non certa (Sez. 5 n. 42568 del 19/06/2018, Rv. 273825; Sez. 5 n. 14783 del 09/03/2018, Rv. 272614; Sez. 5 n. n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739; Sez. 5 n. 10941 del 20/12/1996, Rv. 206542)" (sez. 5, n. 16117 del 20/02/2024, non massimata;
confronta, negli stessi termini, Sez. 5, n. 46153 del 10/10/2023, non massimata); "in materia di bancarotta tra società infragruppo, i pagamenti in favore della controllante non configurano necessariamente il reato di bancarotta e possano essere ricondotti all'operatività del contratto di cash pooling, ma a condizione che ne ricorra la formalizzazione e la puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo (Sez. 5, n. 34457 del 5/04/2018, Castiglioni, Rv. 273625 - 01) e che, dunque, i consigli di amministrazione delle società interessate abbiano deliberato il contenuto dell'accordo, definendone l'oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili (Sez. 5, n. 39139 del 23/06/2023, Simeone, Rv. 285200 - 02). Inoltre si è, ulteriormente, affermato che il passaggio di risorse da una società ad un'altra, anche facente parte dello stesso gruppo, deve essere qualificato come distrazione rilevante in presenza di una situazione di conclamata sofferenza della società deprivata, quando non vi sia garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, rivolto a superare, prioritariamente, le problematiche dell'ente in sofferenza (Sez. 5, n. 22860 del 1/03/2019, Chiaro, Rv. 276634 - 01; in termini anche Sez. 5, n. 51473 del 24/09/2019, Falco, in motivazione). E ciò in quanto l'intera operazione di cash pooling può ritenersi inoffensiva in ragione dell'esistenza di compensazioni comunque realizzate per effetto della partecipazione della singola società apparentemente "depredata" al raggruppamento, secondo la logica dei vantaggi compensativi, essendovi evidenti benefici derivanti dal far parte di un gruppo di imprese legate da un rapporto di natura sinallagmatica (Sez. 5, n. 37062 del 24/05/2022, Lavina, Rv. 283661 - 02)" (sez. 5, n. 12719 del 20/12/2023, dep. 2024, non massimata).
Orbene, nella specie nulla si adduce circa la formalizzazione e la puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo mediante contratto di cash pooling, né sulla valutazione (operata dalla Corte d'appello) di operazioni di trasferimento di risorse assolutamente prive di qualsivoglia causale o vantaggio per la fallita: essendosi, in sostanza, l'imputato limitato ad evidenziare come egli ritenesse (come accaduto in precedenza) che gli importi in questione sarebbero stati restituiti.
Tale giustificazione è stata correttamente ritenuta inidonea, alla luce della detta giurisprudenza, a contrastare l'affermazione di sussistenza dell'elemento soggettivo del reato (ove pure - in ipotesi - nella forma del dolo eventuale).
Ma la Corte d'appello è andata oltre, svolgendo ulteriori precisazioni, in fatto, del tutto logiche e, come tali, incensurabili in questa sede, al fine di dar conto come, a suo dire, l'imputato fosse perfettamente consapevole del pregiudizio potenziale cui esponeva la società poi fallita.
In particolare, si rammenta che:
- "secondo il Curatore "i finanziamenti erogati in data successiva al 10 luglio 2014 rappresentano una mera dissipazione del patrimonio della fallita LSE, in quanto erogati in data successiva alla perdita effettiva del capitale sociale e destinati a sostenere finanziariamente altre società del gruppo, le quali non risulta abbiano apportato alcun vantaggio compensativo a Log Service Europe Spa". La fallita LSE sarebbe stata "utilizzata come 'cassa' per le altre società del Gruppo Ce. Si ritiene che i finanziamenti erogati abbiano contribuito a dissipare il patrimonio sociale e che la mancata svalutazione dei crediti, finanziari e commerciali, inesigibili abbia consentito di mascherare il dissesto, mantenendo nominalmente e asseritamele il capitale sociale entro i minimi di legge"";
- "lo stesso appellante, ha più volte riconosciuto, da ultimo anche nel motivo aggiunto, che nel periodo dal 2014 al 2016 il Gruppo Ce. versava in una pesante crisi finanziaria che obbligava lo stesso imputato a non versare l'IVA di altra società collegata per concentrare le risorse sul risanamento della LSE".
Dunque, tali circostanze (ovvero: erogazioni dopo la perdita di capitale, prive di vantaggi compensativi, nel contesto di una crisi conclamata del gruppo, attestata dal mancato versamento, da parte di un'altra società del gruppo e sin dal 2014, dell'IVA proprio per far fronte all'indebitamento della fallita, con crisi mascherata dalla mancata svalutazione di crediti inesigibili) non risultano in alcun modo contraddette da quanto affermato dal ricorrente e sono state, correttamente, e con valutazione comunque qui non censurabile, in quanto del tutto logica, esaustiva e non contraddittoria, ritenute dalla Corte d'appello indice che nell'imputato fosse ben presente la pericolosità della sua condotta per il patrimonio della fallita.
Consegue, a quanto detto, l'esito in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 6 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria il 6 settembre 2024.