RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 febbraio 2022, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto P.M. colpevole dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per avere distratto, quale amministratore unico, e socio al 50%, della srl (Omissis), già (Omissis) srl, il cui fallimento era stato dichiarato il 7 giugno 2017, l'intera azienda, cedendola alla srl (Omissis)) e di bancarotta impropria (per aver cagionato il dissesto della medesima con il ritardo nel procedere agli interventi di ricostituzione del capitale, necessari a partire dalla chiusura dell'esercizio 2000, procedendo, invece, alla sua liquidazione solo il 14 marzo 2002).
1.1. La Corte, in risposta i dedotti motivi di appello, aveva osservato quanto segue:
- la natura distrattiva della cessione della azienda, per un corrispettivo di 640.000 Euro, era dimostrata dal fatto che non vi fosse prova della corrispondente diminuzione dei debiti della società (nonostante la contraria appostazione in bilancio), considerando il maggior valore della stessa sul mercato e le clausole contrattuali che non prevedevano accolli sui debiti pregressi;
- nel gravame di merito non si era argomentato nulla di specifico quanto alla condotta di cui al capo 2 della rubrica; del resto, la società era stata svuotata mantenendo solo in essa di debiti tributari.
2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in quattro motivi.
2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta natura distrattiva della condotta descritta al capo 1 della rubrica.
Tutti i documenti prodotti, infatti, deponevano per la riduzione, a seguito della cessione d'azienda, dei debiti della fallita: l'avevano affermato il consulente tecnico della difesa, ma anche il curatore, nella sua deposizione. Non vi era poi smentita dell'analogo dato riportato in bilancio (i documenti di appoggio non erano stati conservati oltre il previsto decennio).
Non vi era neppure prova che il corrispettivo pattuito e versato fosse incongruo. Il solo curatore aveva ipotizzato (muovendo dal mero cassetto fiscale) un valore superiore agli 800.000 Euro (invece dei 640.000 Euro corrisposti).
Dopo la cessione dell'azienda, la fallita era rimasta proprietaria di una quota di immobile valutata circa 1 milione di Euro. I giudici del merito si erano limitati a contestarne il valore affermando che lo stesso dipendeva in massima parte dall'esito delle procedure di condono e quindi ponendosi non nella necessaria prospettiva ex ante.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 2 della rubrica per non avere convocato l'assemblea al fine di ricostituire il capitale nonostante il debito Iva ammontasse ad oltre 700.000 Euro.
Era del tutto mancata la motivazione del nesso causale fra tale inadempimento e il dissesto successivo anche considerando che questo era maturato negli anni successivi al 2000.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge per non essere stati qualificati i fatti ascritti al prevenuto come ipotesi di bancarotta preferenziale.
Il ricavato della cessione dell'azienda, infatti, era stato utilizzato per corrispondere quanto dovuto ad alcuni dei creditori (non privilegiati come il fisco) della società.
2.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione per non essere state riconosciute le circostanze attenuanti generiche nonostante fossero trascorsi ben 17 anni dalle precedenti condanne e 22 dai fatti.
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto M., ha inviato conclusioni scritte con le quali ha chiesto venisse dichiarata l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso promosso nell'interesse dell'imputato merita accoglimento in relazione al capo 1 della rubrica, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
1. La Corte di merito aveva affermato come la cessione dell'intera azienda avesse depauperato il patrimonio della società fallita, poiché, ceduta la stessa, l'attività non era più potuta proseguire, così determinandone il dissesto.
Solo che tale connessione causale descrive piuttosto un'ipotesi di bancarotta impropria, punita ai sensi della L.Fall., art. 223, comma 2, n. 2, piuttosto che un fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Per configurarsi, infatti, la diversa condotta contestata, la bancarotta patrimoniale, si sarebbe dovuto affermare che l'atto di cessione dell'azienda in sé aveva determinato un depauperamento del patrimonio sociale senza un adeguato corrispettivo.
Si sarebbe dovuto così accertare che il corrispettivo versato fosse talmente incongruo da determinare un intollerabile sacrificio del patrimonio della cedente, anche, eventualmente, considerando che i debiti fiscali, derivati dall'attività dell'azienda ceduta (e non, in ipotesi, aliunde generati), non sarebbero stati, come parrebbe dal contratto di cessione, anch'essi ceduti.
Di tali verifiche, invece, vi è traccia solo generica nella sentenza impugnata, proprio perché si preferito insistere sullo "svuotamento" della fallita, a seguito della cessione di azienda che però, nei termini descritti (la mera impossibilità di continuare l'attività economica della fallita piuttosto che l'incongruità del corrispettivo), configura diversa fattispecie di reato, la bancarotta impropria per avere cagionato il dissesto, andandosi ad aggiungere a quanto già ascritto al prevenuto nel reato contestatogli al capo 2 della rubrica.
1.1. Si è infatti già avuto modo di precisare che i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (L.Fall., art. 216 e art. 223, comma 1) e quello di bancarotta impropria di cui alla L.Fall., art. 223, comma 2, n. 2, hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività - né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili - ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale e', invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta L.Fall., ex art. 216, si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali - concretandosi in abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l'andamento economico finanziario della società - siano stati causa del fallimento (Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv. 269019).
Ne' vale citare, per fondare in diritto il ragionamento della Corte d'appello, la sentenza Sez. 5, n. 29187 del 27/05/2021, Mauritius srl, Rv. 281818 posto che, in essa, si è certo affermato che integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, attuata mediante conferimento delle attività produttive economicamente più rilevanti, qualora tale operazione, in sé astrattamente lec ta, alla luce della effettiva situazione debitoria della società scissa, rechi consapevole danno al patrimonio aziendale ed alla capacità di soddisfare le ragioni del ceto creditorio nella prospettiva della procedura concorsuale, ma lo si è fatto in una concreta fattispecie in cui si erano ceduti rami di azienda "in assenza di corrispettivo o trasferimento di posizioni debitorie" e, quindi, senza un adeguato nesso sinallagmatico (dell'atto di cessione in sé considerato).
Sul punto pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata per difetto di motivazione.
2. Il secondo motivo di ricorso, sulla bancarotta impropria contestata al capo 2, è inammissibile posto che, nell'atto di appello, non era stata spesa alcuna censura su tale punto, come, del resto, aveva già rilevato la Corte territoriale.
In motivo è inammissibile anche perché è versato in fatto e non tiene conto delle circostanze accertate: il rinvio di ogni decisione sociae, dovuta ai sensi dell'art. 2447 c.c., nonostante l'ingravescente debito fiscale, aveva comunque condotto all'aggravamento del dissesto della società.
Si e', a tale ultimo proposito, già avuto modo di affermare che il reato di bancarotta impropria da reato societario sussiste anche quando la condotta illecita abbia concorso a determinare solo un aggravamento del dissesto già in atto della società (Sez. 5, n. 29885 del 09/05/2017, Merlo, Rv. 270877).
3. Il terzo ed il quarto motivo (rispettivamente, sulla corretta qualificazione giuridica della condotta contestata al capo 1 e sul trattamento sanzionatorio) sono assorbiti dall'annullamento della sentenza impugnata relativamente al capo 1).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo 1) con rinvio per
nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2023