RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 19 ottobre 2016 la Corte d'Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenuta la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, ha ridotto la pena inflitta a E.V. ad anni 2 di reclusione, confermando invece la pena inflitta a V.C..
All' E. sono stati contestati, quale amministratore di diritto fino al 15.2.2002 e poi di fatto fino alla dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita in data 21.3.2005, i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale - segnatamente, la cessione senza contropartita di una pluralità di beni immobili di proprietà della fallita e la distrazione del prezzo di vendita di altri cespiti immobiliari ceduti - nonchè documentale.
Al V. è stato a sua volta contestato il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale quale concorrente extranus nella vendita degli immobili siti in (OMISSIS) ceduti dalla società fallita alla I.F. Immobiliare s.r.l., di cui l'imputato, secondo l'impostazione accusatoria, era amministratore di fatto.
Era imputato degli stessi delitti ascritti a E.V. anche il padre E.S., il quale era stato condannato in primo grado ed era deceduto prima della sentenza d'appello.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore hanno proposto separatamente ricorso per cassazione gli imputati affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo E.V. ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione sia all'elemento materiale che soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale ascrittogli.
Lamenta il ricorrente che la Corte d'Appello adita ha erroneamente affermato che l'imputato non aveva specificamente impugnato i punti da 10 a 12 del capo a) della rubrica.
In realtà, il ricorrente aveva specificato a pag. 7 dell'appello di svolgere le proprie censure concernenti "le vendite a terzi capo a sub 12" nonchè a pag. 11 di impugnare la sentenza di primo grado con riguardo alle "vendite a terzi paragrafo a) sub 11".
In ordine all'elemento oggettivo, la sentenza impugnata aveva omesso di pronunciarsi sulle censure svolte dal ricorrente in atto di appello e concernenti le vendite a Mercadante s.r.l., atteso che lo stesso giudice di primo grado aveva affermato che dopo una serie di passaggi di proprietà la (OMISSIS) era, infine, risultata l'acquirente di tutti gli immobili siti in (OMISSIS).
Lamenta, inoltre, il ricorrente che, avendo la stessa Corte territoriale dato atto che i beni gravati da ipoteca che avevano formato oggetto delle cessioni avevano un valore inferiore al credito garantito, tali cessioni non avevano integrato degli atti distrattivi in quanto inidonee ad arrecare pregiudizio sia ai creditori garantiti (i quali potevano comunque agire direttamente sugli stessi beni a garanzia del loro credito) sia agli altri terzi creditori, non danneggiati dalle vendite, non potendo comunque ricavare da quei beni alcun che.
In ordine all'elemento soggettivo, lamenta l' E. che la Corte territoriale, nel sostenere la sua consapevolezza della illiceità delle condotte del padre E.S., coimputato deceduto, aveva omesso di vagliare tutte le deposizioni testimoniali, da cui era emerso che unico deus ex machina della società fallita era il padre e che il ricorrente era una mera testa di legno, sprovveduto per la giovane età, senza esperienza sul campo e comunque in contrasto con il padre.
L'accertamento della sua penale responsabilità non poteva dunque fondarsi solo sulla carica formale nella società fallita ma verificando chi si fosse avvantaggiato in danno dei creditori.
2.2. Con il secondo motivo E.V. lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine sia all'elemento materiale che soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
In ordine all'elemento materiale, lamenta il ricorrente che già nell'atto di appello aveva dedotto l'insussistenza del delitto ascrittogli sia perchè il curatore era stato in grado di ricostruire i bilanci, pur mancando qualche documento, sia perchè solo in alcuni periodi era stato amministratore ed aveva consegnato tutta la documentazione a chi gli era succeduto.
Su tali punti la sentenza di appello aveva omesso di motivare.
In ordine all'elemento soggettivo, assume il ricorrente che eventuali carenze nella tenuta della contabilità dovevano essergli addebitate a titolo di colpa e non di dolo, tenuto conto che era stato solo nel primo periodo amministratore della società.
2.3. Con il primo motivo V.C. ha dedotto vizio di motivazione in ordine all'appartenenza allo stesso della IF Immobiliare s.r.l..
Lamenta il ricorrente che, anche a prescindere dalla riconducìbilità al medesimo della predetta società, la Corte d'Appello avrebbe dovuto accertare il contributo fornito dallo stesso in concreto per la distrazione dei due immobili.
2.4. Con il secondo motivo è stato dedotto dal V. vizio di motivazione nella parte della sentenza in cui sono stati considerati i ruoli di D.M. - il ricorrente in più punti chiama tale soggetto " G.M." ma si tratta di un evidente errore materiale - e S.F..
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata ha ritenuto erroneamente i due testi credibili anche con riferimento all'affermazione che i due non si erano mai conosciuti, e ciò in contrasto con le risultanze documentali e notarili.
Non corrispondeva, inoltre al vero che il Dagrada non lo avesse conosciuto, essendosi rivolto a lui per acquisire ed utilizzare quale amministratore la I.F. Immobiliare.
Diversamente argomentando, il notaio A., che aveva autenticato la sottoscrizione del D. in occasione delle vendite, avrebbe dovuto essere imputato di concorso in bancarotta.
Inoltre, il ricorrente assume sulla scorta di una pluralità di documenti allegati al ricorso che la patente del D. ai fini della stipula del rogito presso il notaio A. non fu inviata via fax dal B. ma consegnata in studio dallo stesso.
2.5. Con il terzo motivo è stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla mancanza di valore patrimoniale degli immobili distratti.
Infatti, su tali beni gravava una ipoteca a garanzia del creditore ipotecario per un importo superiore al loro valore.
2.6. Con memoria difensiva depositata il 27 febbraio 2018 è stata dedotta l'omessa e contraddittoria motivazione della sentenza approfondendo le questioni già sollevate nei motivi del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo dell' E. ed il terzo del V. sono infondati.
I ricorrenti assumono che la cessione di beni gravati da ipoteca, il cui valore sia inferiore all'ammontare del credito garantito, non sarebbe idonea ad integrare un atto distrattivo. Non sussisterebbe, infatti, alcun pregiudizio per i creditori, sia quelli ipotecari, in quanto in grado di soddisfarsi comunque sui beni ipotecati a prescindere dalla loro titolarità, sia tutti gli altri creditori, che non sarebbero stati comunque soddisfatti, assorbendo totalmente il credito garantito il valore del bene ceduto.
Questo Collegio non condivide tale impostazione.
Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che essendo l'oggetto giuridico del contratto di bancarotta fraudolenta patrimoniale o distrattiva, ovvero l'interesse tutelato dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, quello dei creditori alla conservazione della garanzia dei loro crediti - che coincide con il patrimonio dell'impresa - ed avendo la bancarotta fraudolenta patrimoniale la natura di reato di pericolo, integra un atto distrattivo qualunque condotta dell'amministratore che determini un depauperamento del patrimonio dell'impresa o che sia anche solo potenzialmente idonea a porre in pericolo, seppur concreto, le ragioni dei creditori.
Nel caso di specie, sussiste un elemento dirimente ed assorbente che fa deporre per la evidente natura distrattiva delle cessioni di immobili poste in essere dalla società fallita senza corrispettivo in denaro, ma solo mediante accollo da parte dell'acquirente del mutuo concesso dalle banche creditrici ipotecarie: è stato pattuito tra le parti un accollo c.d. cumulativo, senza liberazione della fallita.
Ne è scaturita la conseguenza, ben evidenziata dalla Corte territoriale, che tali vendite hanno determinato una "perdita secca", essendosi la società disfatta dei propri beni mantenendo, tuttavia, a suo carico l'intero relativo debito. In sostanza, la società fallita ha consapevolmente continuato ad esporsi alle richieste restitutorie provenienti dagli istituti di credito ipotecari (peraltro, non soddisfatti neppure in minima parte dalle società acquirenti) senza avere neppure più i beni con cui farne fronte, così danneggiando in modo evidente gli altri creditori, costretti a doversi soddisfare su beni sociali - i residui, non oggetto di tali vendite - su cui gli istituti bancari potevano parimenti concorrere e vantare analoghe pretese.
E' evidente quindi come tali atti dispositivi non abbiano costituito un atto "neutro" per i creditori non ipotecari, avendo concretamente messo in pericolo la garanzia patrimoniale degli altri creditori nei termini sopra illustrati.
2. In ordine alle censure svolte dal ricorrente con riferimento alle "vendite a terzi capo a sub 12" ed alle "vendite a terzi paragrafo a) sub 11", va osservato che effettivamente il ricorrente nei motivi d'appello aveva formulato critiche alla sentenza di primo grado - e ciò contrariamente a quanto evidenziato dalla sentenza impugnata a pag. 3 - ma non può comunque ritenersi, per le considerazioni che seguono, che la Corte territoriale sia venuta meno al proprio obbligo motivazionale.
Con riferimento alle doglianze svolte in appello sulle vendite a terzi capo sub 12, il ricorrente E. aveva lamentato che, anche ammettendo che vi fosse stata la distrazione dei prezzi di vendita dei posti auto siti in (OMISSIS), in ogni caso, dalle deposizioni testimoniali era emerso che tali pagamenti era avvenuti direttamente in nero a E.S., padre del ricorrente.
Orbene, sul punto, la Corte d'appello adita ha implicitamente risposto a tale censura a pag. 5 nella parte in cui ha evidenziato la responsabilità dell'imputato a norma dell'art. 40 c.p., comma 2, stante l'obbligo di conservazione dell'integrità del patrimonio sociale gravante sullo stesso (nel periodo interessato dalle vendite di cui al capo a punto 12 l' E. era pacificamente l'amministratore di diritto della società poi fallita).
Con riferimento alle vendite di cui a 11), va rilevata la palese genericità delle censure svolte dal ricorrente a pag. 10 dei motivi d'appello, essendo state utilizzate argomentazioni l'insussistenza della natura distrattiva delle vendite di beni gravati da ipoteca il cui valore era inferiore all'ammontare del credito garantito - assolutamente non pertinenti, trattandosi di vendite in cui il corrispettivo era stato effettivamente versato dagli acquirenti, seppur distratto dagli E..
3. Priva di fondamento è inoltre la censura secondo cui la sentenza impugnata sarebbe venuta meno al proprio obbligo motivazionale con riferimento alle censure svolte dal ricorrente in atto di appello e concernenti le vendite a Mercadante s.r.l..
In particolare, manifestamente infondata è l'affermazione del ricorrente secondo cui la stessa sentenza di primo grado, nell'esaminare i passaggi di proprietà degli immobili siti in (OMISSIS) e ceduti dalla fallita alla Mercadante s.r.l., avrebbe riportato che la (OMISSIS) era stata l'acquirente finale di tali immobili e che quindi si sarebbe sostanzialmente in presenza della fattispecie della c.s. bancarotta riparata.
In realtà, da un attento esame dei passaggi motivazionali della sentenza di primo grado concernenti le vendite alla Mercadante s.r.l. (pagg. 10 e 11), avuto riguardo anche alle relative imputazioni in rubrica (capi al e a2), emerge che, da un lato, la fallita ha venduto alla Mecadante s.r.l. rispettivamente con atto del 22/04/98 e 18/02/98 gli immobili identificati rispettivamente con il mappale (OMISSIS), mentre, con atto del 15/3/99, la (OMISSIS) ha acquistato il mappale (OMISSIS), bene quindi diverso da quelli precedentemente ceduti, rispetto ai quali non vi è stata alcuna bancarotta riparata.
4. La censura formulata dal ricorrente E. con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta patrimoniale è inammissibile.
Va premesso che, in ordine a tale profilo, la sentenza impugnata ha precisato che il ricorrente, per quanto inesperto e pur se agiva sotto le direttive del padre, non è stato affatto un prestanome della fallita.
Il ruolo di E.S. nell'amministrazione della fallita fu effettivamente preponderante ma non esclusivo, atteso che il figlio V. ha compiuto inequivoci atti gestori, avendo sottoscritto una pluralità di contratti di vendita immobiliare, ne ha incassato i prezzi, omettendo, tuttavia, di versare i corrispettivi nelle casse della società e di annotare le stesse vendite nelle scritture contabili della fallita.
E' evidente quindi che il ricorrente, in quanto amministratore della fallita, era titolare di una posizione di garanzia per la conservazione del patrimonio della società poi fallita nonchè responsabile della destinazione dei suoi beni a finalità sociali.
Anche ammettendo che il prezzo delle compravendite sia stato talvolta materialmente incassato dal padre, pienamente corretta è stata la configurazione a suo carico da parte della sentenza impugnata anche di una responsabilità ex art. 40 c.p., comma 2 nonchè l'addebito degli atti distrattivi sotto il profilo soggettivo, dovendo il ricorrente essersi necessariamente reso conto, in relazione a quanto sopra illustrato (segnatamente la mancata annotazione delle vendite nella contabilità), della illiceità delle operazioni.
In relazione a tali precise argomentazioni, l' E. non ha denunciato alcuno specifico vizio motivazionale ma si è limitato, attraverso l'inammissibile richiamo al contenuto di alcune deposizioni testimoniali, a far valere censure di mero, in quanto finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione del fatto.
Peraltro, tutti i richiami giurisprudenziali effettuati dal ricorrente e concernenti la figura della c.d. testa di legno non sono pertinenti al caso di specie alla luce di quanto sopra illustrato.
5. Le censure svolte dal ricorrente in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale sono infondate.
Va preliminarmente osservato che la sentenza di primo grado ha evidenziato che la mancanza del libro cespiti e l'irregolare tenuta degli altri libri contabili, come analiticamente riportata alle pagine da 2 a 7, ha reso evidentemente difficoltosa per la curatrice la ricostruzione della situazione economica e del movimento degli affari, con particolare riferimento alle compravendite immobiliari di cui non risulta traccia nella contabilità della fallita.
Orbene, sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. (Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010 - dep. 07/06/2010, Suardi, Rv. 247965).
Il ricorrente risponde del delitto di bancarotta fraudolenta documentale sia relativamente al periodo in cui ha assunto la carica di amministratore di diritto della fallita, stante il diretto e personale obbligo di tale amministratore di tenere e conservare le scritture contabili, sia nel periodo successivo al 15.12.2002 in cui ha esercitato le funzioni di amministratore di fatto, seppur non esclusivo della società fallita.
In proposito, va osservato che, posto che l'art. 223 L. Fall. estende la soggettività attiva dei reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale previsti per il soggetto fallito dall'art. 216 L. Fall. a tutti coloro che siano stati preposti all'amministrazione ed al controllo di una società commerciale, tale norma ha come diretti destinatari tutti gli amministratori, e quindi non solo quelli ufficialmente investiti della carica ma anche quelli che abbiano svolto tali funzioni solo di fatto.
E', infatti, principio consolidato di questa Corte che qualsiasi soggetto che di fatto si sia inserito nell'attività amministrativa di una società, poi dichiarata fallita, risponda del reato di cui agli artt. 223 e 216 L. Fall., potendo un amministratore ritenersi tale non solo con riferimento ad una formale attribuzione di qualifiche, ma anche per l'esercizio concreto delle funzioni che le sostanziano.
Nessun dubbio, peraltro, in ordine alla circostanza che il ricorrente sia stato effettivamente amministratore di fatto della fallita anche nel periodo successivo a quello in cui ha formalmente lasciato la carica di amministratore di diritto.
La sentenza di primo grado, che integra la sentenza impugnata dando luogo ad un unico apparato argomentativo, ha indicato con dovizia di particolari una pluralità di atti gestori posti in essere dall'odierno ricorrente nel periodo successivo a quello in cui formalmente ha lasciato l'incarico di amministratore unico a C.G. (dal 15.2.2002 al 5.7.2004).
In data 19.2.2002 l' E. ha, infatti, firmato l'atto di transazione con i coniugi S.- Ca. relativamente alla vendita di un immobile sito in (OMISSIS).
Ha condotto la trattativa per la stipula in data 22.3.2002 della vendita dell'immobile in (OMISSIS) a favore di G.E..
Fu il ricorrente che propose a C., che era rimasto disoccupato, di diventare amministratore della società poi fallita, promettendogli che l'incarico sarebbe durato solo pochi mesi, senza considerare che per lungo tempo fino al 2005 il ricorrente fu socio di maggioranza e socio unico della fallita.
Orbene, al cospetto di un così articolato percorso argomentativo, le censure svolte dal ricorrente anche nell'atto di appello si appalesano come generiche, non avendo specificamente confutato le argomentazioni svolte, non confrontandosi con le stesse, limitandosi a riportare a pag. 5 circostanze (vedi deposizioni A., B., Se., S.) prive di una valenza significativa e comunque sprovviste di una qualunque connotazione spazio-temporale.
Le censure del ricorrente in ordine all'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, fondandosi soprattutto sul rilievo che lo stesso solo nel primo periodo è stato amministratore della società, si appalesano parimenti inammissibili per mancata correlazione con le argomentazioni risultanti dall'impianto argomentativo unitario delle sentenze di entrambi i giudici di merito, svolgendosi, anche sotto tale profilo, doglianze in fatto.
E' evidente che di fronte alla genericità anche in appello di tali censure - reiterate pedissequamente nell'odierno ricorso - la sentenza impugnata non è incorsa in alcun vizio motivazionale.
6. Il primo motivo del ricorrente V. è infondato.
Va osservato che entrambi i giudici di merito con un percorso argomentativo molto articolato ed immune da vizi logici (rispettivamente la sentenza di primo grado da pag. 26 a 31 e la sentenza d'appello a pag 6) hanno evidenziato il ruolo da parte del V. di amministratore di fatto della IF Immobiliare nonchè il suo coinvolgimento come concorrente esterno nell'atto distrattivo del 23/06/2009 sub a 3) posto in essere dall' E..
La sentenza impugnata, nel condividere l'impostazione di quella di primo grado e riportandosi per relationem alla stessa - dando quindi luogo ad un apparato argomentativo unitario - ha evidenziato in maniera dettagliata le ragioni per cui è addivenuta alla conclusione che il sig. D.M. fosse stato nominato amministratore della IF Immobiliare a sua insaputa e solo apparentemente avesse partecipato alla stipula dell'atto del 23/06/1999.
I giudici di merito non hanno fondato il proprio convincimento solo sul disconoscimento effettuato dal D. della firma apposta in calce al contratto sopra menzionato ma su altri significativi elementi:
- la radicale differenza tra la firma sicuramente autografa del D. - quella risultante dal verbale di s.i.t. firmato davanti alla G.d.F. (pag. 27 sentenza di primo grado) - e quelle apposte sia in calce al contratto summenzionato sia nei verbali di assemblea della IF Immobiliare del 30.6.1999 e del 5.10.1999;
- la totale eterogeneità tra l'attività del D., titolare di una macelleria e quella della IF Immobiliare;
- la breve permanenza del D., dal 1.6.1999 al 5.10.1999, in carica;
- il mancato rilevamento di un collegamento diretto tra il D. e gli E.;
- la esistenza di consolidati rapporti di collaborazione degli E. con il V., che era per lungo tempo stato il principale professionista di riferimento della fallita;
- la circostanza che V. aveva presieduto all'atto di nomina del D. quale amministratore (verbale di assemblea ordinaria della I.F. Immobiliare del 1.6.199) sicchè tutti i dati anagrafici relativi alla persona del legale rappresentante della società acquirente per la stipula su capo a 3) non potevano che essere stati forniti dall'odierno ricorrente;
- l'assenza del D. all'atto del 23/06/99, evincibile dalla sicura presenza del S. alla stipula e dalle circostanze che sia S. che il D. dichiararono di non essersi mai conosciuti e che i documenti del D. per il predetto contratto non furono esibiti in originale dall'acquirente - come solitamente avviene - ma furono inviati al notaio da due terzi estranei, ovvero dal S. e dal B., altro commercialista che conobbe E.S. nello studio di V.C..
La sentenza impugnata si è fatta pure carico di rispondere alle obiezioni del V. secondo cui la firma del D. era stata autenticata dal notaio A. in occasione dell'atto del 23/06/1999, rilevando coerentemente che il carattere fidefaciente della firma non impedisce al giudice penale di accertarne incidentalmente la falsità e che comunque il relativo reato ex art. 479 c.p. era già estinto per prescrizione al momento della pronuncia della sentenza d'appello.
Il coerente ed articolato ragionamento svolto dai giudici di merito rende lo stesso immune da censure in sede di legittimità.
7. Il secondo motivo del V. è inammissibile.
Non vi è dubbio che il ricorrente in tale motivo abbia svolto alcune censure nuove, e come tali non consentite a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 3 (il riferimento alla seconda vendita del 25/10/1999, la confutazione della circostanza affermata dal giudice di primo grado che Gr. e S. non si erano mai conosciuti, l'elencazione dettagliata dei documenti inviati dal B. al notaio A.) e comunque in fatto, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito ed a d accreditare una diversa ricostruzione del fatto.
In ordine alla eccezione di travisamento della prova implicitamente svolta dalle pagg. 6 e ss. sul rilievo dell'omessa valutazione di una serie di circostanze dettagliatamente indicate in ricorso, tale eccezione si appalesa inammissibile.
E' orientamento consolidato di questa Corte che il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice. (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636).
Nel caso di specie, si è in presenza di una c.d. "doppia conforme" e non solo il ricorrente non ha in alcun modo evidenziato che la sentenza impugnata abbia richiamato elementi probatori non esaminati dal primo giudice, ma anzi, come sopra evidenziato, il giudice di secondo grado ha evidenziato di richiamare integralmente le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado da pag. 26 a 31, provvedendo ad una sintesi delle stesse.
Il rigetto dei ricorso comporta la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2018