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Bancarotta societaria: il dolo deve consistere in una volontà protesa al dissesto

Bancarotta societaria

Cassazione penale sez. V, 16/05/2018, n.50489

In tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all'art. 2621 cod. civ., il dolo richiede una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico.(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto sussistente l'elemento psicologico del reato in capo agli amministratori di fatto e di diritto, a fronte della esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica e finanziaria della società, al fine di ottenere l'ammissione al concordato preventivo e, comunque, la continuazione dell'attività d'impresa mediante manipolazione dei dati contabili e conseguente falsa rappresentazione della situazione contabile ai creditori e agli organi della procedura).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza impugnata, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale in sede, appellata da N.O. e M.G., dichiarando l'estinzione del reato di cui al capo c), nonchè rideterminando la pena irrogata agli imputati in quella di anni quattro di reclusione ciascuno, confermando nel resto il provvedimento impugnato. 1.1. Con la sentenza di primo grado gli odierni ricorrenti erano stati condannati alle pene principali ed accessorie ritenute di giustizia, in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p., art. 81 c.p., comma 2, art. 236, comma 2, n. 1 L. Fall. in relazione all'art. 223, comma 2, n. 1, L. Fall. (capo a), bancarotta fraudolenta impropria mediante false comunicazioni sociali, eseguita attraverso falso in bilancio per gli anni 2004 - 2007, in quanto non venivano esposti in bilancio costi che avrebbero reso negativo il risultato di esercizio, ove inseriti correttamente, indicando, dunque, falsi utili), art. 110 c.p., art. 236, comma 2, n. 1 L. Fall. in relazione all'art. 223, comma 1 e art. 216, n. 1 L. Fall. (capo b), bancarotta fraudolenta commessa attraverso distrazione di somme annotate quali uscite di cassa nel bilancio 2007), art. 236, comma 2, L. Fall. in relazione all'art. 223, comma 1, art. 216, comma 3, L. Fall. (capo c) per il quale è stata dichiarata la intervenuta prescrizione), art. 236, comma 2 L. Fall., in relazione all'art. 223, comma 1 e 216, comma 3, L. Fall. (capo d), relativo al pagamento di fatture per obbligazioni sorte dopo il decreto di ammissione, senza autorizzazione del giudice delegato). Sono state ritenute le aggravanti contestate, di cui all'art. 219 L. Fall., nelle rispettive qualità, il N. di amministratore delegato e, successivamente, di amministratore unico della G. Ambiente s. r. l., il M. quale amministratore di fatto della s. r. l. suddetta, ammessa a concordato preventivo il 23 maggio 2008, successivamente rigettato e poi riammessa alla medesima procedura, in data 9 ottobre 2009, con omologa intervenuta il 25 febbraio 2011. 2. Avverso l'indicata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i difensori di fiducia, deducendo i vizi di seguito riassunti, nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Nell'interesse di N.O. si deducono nove motivi. 2.1.1. Con il primo si denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Con i motivi di appello si era rilevato che il mero concorso, nella qualità di amministratore di diritto, attribuita all'imputato dal primo giudice, non poteva fondare la responsabilità dell'amministratore in un caso, come quello in esame, in cui vi era prova della piena gestione da parte del titolare di fatto, in assenza della consapevolezza delle attività illecite svolte da quest'ultimo. La Corte territoriale, invece, aveva motivato traendo prova di detta consapevolezza dal fatto che non era verosimile che l'amministratore unico non avesse per sette anni visionato i bilanci, tanto da non rendersi conto di perdite così importanti, nonchè tenendo conto dei rapporti intrattenuti dal N. per conto della G. Ambiente s. r. l., incorrendo in una motivazione contraddittoria. Infatti, nel caso di specie, la contestazione mossa è quella di bancarotta impropria per false comunicazioni sociali e, quindi, essendo falsi i bilanci, non si sarebbe accertato nulla da parte dell'amministratore di diritto visionando soltanto tali documenti, in assenza dell'esame contestuale del complesso delle scritture contabili. Inoltre i rapporti del N. erano limitati alle gare alle quali la società aveva partecipato, senza alcuna attinenza con gli illeciti, tutti attuati dall'amministratore di fatto. Contesta il ricorrente, poi, la rilevanza della gestione, da parte del N., di conti correnti, incassi e pagamenti della s. r. l., nonchè l'ammissione da parte del predetto della propria cognizione su aspetti contabili della società, trattandosi, quanto ai primi, di meri atti di amministrazione che, comunque, non avrebbero potuto far emergere le discrasie di bilancio contestate. Infine si evidenzia che, come i ragionieri della società che materialmente avevano curato la compilazione dei bilanci, anche il N. non avrebbe tratto alcun vantaggio dalla manipolazione dei bilanci. Nè infine può farsi discendere dalla richiesta subordinata, contenuta nei motivi di appello, rispetto a quella assolutoria principale, un'ammissione di responsabilità da parte dell'imputato, come operato dalla Corte territoriale. 2.1.2. Con il secondo motivo, in via subordinata, si contesta la sussistenza del reato di cui al capo a), in quanto, in relazione alla previsione di cui all'art. 2621 cod. civ., difetterebbe il dolo intenzionale di ingannare i soci o il pubblico e il dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto. Inoltre si contesta la carenza di motivazione circa l'effettivo conseguimento di ulteriori crediti bancari e forniture a credito, costituenti aggravamento del dissesto, determinati dall'attività ingannevole, espletata attraverso false comunicazioni sociali. Per gli imputati il dissesto è dovuto al mancato incasso di un credito della G. Ambiente s. r. l., vantato nei confronti della AMIA di Palermo (n. d. r. per un valore di oltre 3 milioni di Euro). La Corte territoriale assume, invece, che lo scopo di profitto sarebbe ravvisabile nella finalità di ottenere fidi e crediti per risollevare l'impresa, sostenendo che tale scopo avrebbe determinato l'aggravamento del dissesto, senza che tale condotta sia specificamente contestata e, comunque, senza che siano stati indicati, nella motivazione, quali crediti e fidi erano stati ottenuti attraverso l'attività ingannevole. 2.1.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell'art. 223, comma 2, n. 1 L. Fall., in relazione all'art. 84 cod. pen. trattandosi di reato complesso, nel quale le false comunicazioni sociali, ove concorrano a determinare l'evento, resterebbero assorbite, senza dare luogo a più reati di bancarotta fraudolenta impropria, di cui all'art. 223 cit. Per il ricorrente la Corte territoriale incorre in violazione di legge penale perchè si è ritenuto autonomo reato di bancarotta, anche se già contestata al capo b), la falsa comunicazione sociale "aggiuntiva", riguardante la somma indicata come distratta relativa ai bilanci 2007. Sul punto il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, da un lato, ha escluso la bancarotta per distrazione, dall'altro ha ritenuto la diversa qualificazione della condotta, come bancarotta fraudolenta impropria, per false comunicazioni sociali di cui all'art. 223, comma 2, n. 1 L. Fall., riguardanti il credito inesistente della G. Ambiente s. r. l. nei confronti della Icarus s. p. a., a mezzo del quale era stata eliminata l'insussistenza della cassa contanti per un consistente importo, pur risultando già al capo a) contestata la medesima condotta, di false comunicazioni sociali relative al bilancio 2007. 2.1.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 223, comma 2, n. 1, L. Fall. e difetto di motivazione quanto al capo b). Il ricorrente si duole del mancato esame di un elemento di fatto, decisivo da parte della Corte territoriale, emergente dalla relazione del consulente del pubblico ministero L.. (il bilancio, secondo il consulente, sarebbe stato influenzato soltanto da falsa diminuzione di spesa per smaltimento rifiuti, non anche dal credito fittizio di Icarus s. p. a.). Di qui il denunciato vizio di motivazione, per non aver preso in considerazione, la Corte territoriale, tale dato evidenziato con il gravame. 2.1.5. Con il quinto motivo si denuncia erronea applicazione della legge penale quanto all'art. 157 cod. pen. per il reato di bancarotta preferenziale contestato al capo d). Al momento della pronuncia di appello era già decorso il termine di prescrizione, tenuto conto delle tabelle relative ai pagamenti di cui al capo d), accertati dal Commissario N., ove sono indicati i pagamenti per cassa e quelli con prelievo o bonifico, esame omesso dalla Corte territoriale. Si tratta di pagamenti compresi tra il 25 maggio 2008 ed il 31 agosto 2008. Di qui la conseguente prescrizione del reato, intervenuta prima della sentenza di appello, stante l'assenza di periodi di sospensione del corso della prescrizione. 2.1.6. Con il sesto motivo si denuncia erronea applicazione della legge fallimentare quanto all'art. 167L. Fall., in quanto i pagamenti di fatture per forniture, anteriori alla data di emissione del decreto di ammissione al concordato, per proventi conseguiti come corrispettivi per lavori relativi a ramo di azienda non compreso nella cessione concordataria e, quindi, credito non concordatario, non sono atti di straordinaria amministrazione che richiedono l'autorizzazione del giudice delegato. Si deduce, sul punto, l'omessa motivazione circa le ragioni, espresse dal Commissario liquidatore, per le quali detti crediti non erano da reputarsi aventi natura concordataria e, dunque, vizio di motivazione su una circostanza decisiva emergendo detta natura, secondo il ricorrente, dalla relazione del 14 gennaio 2009 del Commissario giudiziale N.. 2.1.7. Con il settimo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, quanto all'aggravante di aver cagionato un danno di rilevante gravità, tenuto conto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, detta aggravante sussiste e si estende con riferimento alla bancarotta impropria di cui all'art. 223, comma 1, L. Fall., non anche per il comma 2 dell'art. 223 citato, il cui rinvio all'art. 216 L. Fall. opera soltanto quoad poenam. Sicchè non sussistendo la fattispecie di cui al capo b) e residuando soltanto, eventualmente, la responsabilità per il capo a) (art. 223, comma 2 n. 1 L. Fall.), l'aggravante de qua non potrebbe trovare applicazione. 2.1.8. Con il motivo di cui al punto otto si contesta la sussistenza dell'aggravante dei più fatti di bancarotta, risultando quello di bancarotta impropria per false comunicazioni sociali, reato complesso, in cui le singole condotte restano assorbite; quindi non potrebbe trovare applicazione l'aggravante ritenuta nella sentenza impugnata, trattandosi di più bilanci, produttivi di un unico evento (aver cagionato il dissesto). 2.1.9. Con il nono motivo si denuncia carenza di motivazione sulla richiesta applicazione dell'art. 114 cod. pen., già invocata con l'atto di appello. 2.2. Nell'interesse di M.G. vengono denunciati quindici vizi. 2.2.1. Con il primo motivo si eccepisce inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullità, deducendo la nullità e inefficacia di atti compiuti nel corso del giudizio di primo grado. Si assume che, essendo mutato un componente del collegio giudicante a seguito di accoglimento della dichiarazione di astensione del giudice, il Presidente del Tribunale, nel designare il nuovo componente, aveva omesso di indicare quali fossero gli atti, fino a quel momento compiuti, che avrebbero conservato efficacia ai sensi dell'art. 42 cod. proc. pen., comma 2. Si assume, peraltro, che il giudice astenuto, una volta accolta la dichiarazione di astensione, è privo di potere giurisdizionale a compiere qualsiasi atto del procedimento, con conseguente nullità assoluta, per carenza di capacità, di ogni sua decisione. Si evidenzia, invece, che erano stati compiuti, dal magistrato astenuto, prima della sostituzione, attività significative, come la delibazione su questione di legittimità costituzionale degli artt. 223,224 e 223 L. Fall., l'esame di memorie difensive con le quali si chiedeva il proscioglimento dell'imputato, la perizia contabile sugli atti del concordato preventivo e la decisione sull' eccezione di nullità del decreto che dispone il giudizio, la richiesta di proscioglimento per mancanza della condizione d procedibilità della declaratoria di fallimento. In definitiva il ricorrente chiede la rinnovazione del dibattimento per poter riproporre tutte le questioni preliminari affrontate, prima del mutamento del collegio, per effetto dell'accoglimento della declaratoria di astensione di un componente del collegio. 2.2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al ritenuto ruolo di amministratore di fatto del M. che, per il ricorrente, non è ancorato, nella motivazione della Corte territoriale, alle disposizioni civilistiche che regolano l'attribuzione della qualifica di amministratore e non risultando esercitati poteri gestori, con funzioni direttive, in modo continuativo e significativo. Questi, infatti, secondo la prospettazione del ricorso, era socio di minoranza della G. Ambiente s. r. l. e legale rappresentante della G. Ambiente s. p. a., controllante della s. r. l. che interessa. Di qui l'interesse personale del M. a seguire le vicende della s. r. l., in quanto direttamente incidenti sulle garanzie prestate dalla s. p. a. ed in qualità di socio di minoranza della s. r. l., con poteri di controllo, dunque, anche sui documenti fiscali e commerciali. Il ricorrente, poi, valorizza l'obbligo di informazione circa le operazioni di maggior rilievo delle controllate imposto, come potere-dovere, al Consiglio di amministrazione delle s. p. a., con il rischio, in caso contrario, di subire azione di responsabilità da parte della società. Di qui la denunciata carenza di motivazione circa le ragioni per le quali le condotte del M., dallo stesso giustificate in quest'ottica anche con il gravame, erano state, invece, ritenute sintomo di amministrazione di fatto della s. r. l. Sul punto il ricorrente contesta anche il risalto che la sentenza impugnata ha attribuito alla missiva del 21 gennaio 2005, peraltro priva di firma, prodotta in dibattimento. In primo luogo si precisa che mai il M. ha assunto la paternità della missiva in parola. In secondo luogo si assume che le comunicazioni, contenute nella missiva, sono irrilevanti e, comunque, si prestano ad un'interpretazione non univoca nel senso dell'attribuzione di poteri di amministrazione, ripercorrendo il contenuto dell'atto in commento (pag. 18 del ricorso). Infine si deduce l'irrilevanza, quanto alla prova dell'amministrazione di fatto contestata, delle missive acquisite all'esito della deposizione del teste Le., militare della Guardia di Finanza. Si tratta, infatti, soltanto di n. 15 comunicazioni, asseritamente provenienti dall'imputato, relative ad un periodo di cinque anni a fronte dell'ingente mole di comunicazioni trasmesse a mezzo fax quotidianamente dalla società, quindi del tutto irrilevanti e, comunque, non significative nel contenuto, quanto all'espletamento di poteri gestori nella s. r. l.. 2.2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione e inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alle prove a discarico, tenuto conto che la Corte territoriale non aveva motivato sulle risultanze dell'esame del coimputato N., del teste D.F. e del Dottor L., tutte concordi nel senso di escludere la qualifica di amministratore di fatto del M.. Inoltre era stato trascurato, dal giudice di appello, secondo il ricorrente, che il M. non aveva avuto alcun rapporto con il Commissario giudiziale del concordato preventivo. 2.2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell'art. 111 Cost. e di legge processuale, stante la mancata assunzione di prova decisiva e la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale invocata, ex art. 603 cod. proc. pen.. Il ricorrente aveva depositato memoria con allegati documenti e aveva fatto richiesta di audizione di due testi, da escutere sul contenuto della nota depositata dal teste Le. al dibattimento (deposito intervenuto dopo l'apertura del dibattimento, con impossibilità, quindi, di articolare prima una prova contraria), testi già chiesti al Tribunale, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. e non ammessi. Il ricorrente lamenta che il rigetto è avvenuto con motivazione apparente, in violazione dell'obbligo di motivazione, ribadito anche dalla CEDU in tema di giusto processo, richiamando, sul punto, pronunce della Corte di legittimità. Si rileva che i documenti allegati alla memoria avrebbero scardinato le risultanze contabili cui era giunto il L. e che le prove dichiarative confutavano i contenuti della missiva del 24 gennaio 2005, mai riconosciuta come propria dall'imputato (circa il programma settimanale dei lavoratori e circa l'elaborazione delle buste paga) e, comunque, decisivi quanto all'attività gestionale compiuta dal M.. Dette prove erano state richieste anche in quanto prova contraria, trattandosi di prove documentali e dichiarative, dirette a confutare documenti acquisiti all'esito della deposizione del teste Le. al dibattimento, quindi da ricondurre al diritto dell'imputato alla prova contraria, con conseguente violazione dell'art. 495 cod. proc. pen., comma 2. 2.2.5 Con il quinto motivo si denuncia, in relazione al capo a), violazione di legge quanto alla carenza di nesso causale tra la condotta del M. e il dissesto patrimoniale. Assume il ricorrente che le violazioni degli artt. 2621 e 2622 cod. civ. assumono rilievo, ai fini della bancarotta fraudolenta in relazione all'art. 223, comma 2, n. 1 L. Fall., soltanto se tali violazioni siano la causa della crisi della società. Si assume che deve sussistere il nesso causale tra la condotta e l'evento che deve essere voluto e previsto dall'agente. Nella specie l'ammissione al concordato preventivo non implica dissesto della società, essendo ontologicamente differenti crisi (presupposto per il deposito del concordato e l'ammissione alla procedura) e dissesto, potendo la società accedere al concordato preventivo, anche in caso di mera crisi a far data dalle modifiche apportate negli anni 2005/2006. La crisi, per il ricorrente, è mera difficoltà di impresa non ancora sfociata nella irrecuperabilità e nel dissesto, inteso come insolvenza e, dunque, incapacità di far fronte ai propri debiti in modo definitivo. Del resto, a seguito della riforma, risulta non automatica la conversione del concordato in fallimento, giustificato, prima della modifica legislativa, dal fatto che presupposto per entrambe le procedure fosse il solo dissesto. Tanto premesso in diritto, il ricorrente osserva che le condotte dell'imputato sarebbero risalenti a molti anni prima rispetto all'ammissione al concordato (23 maggio 2008) in assenza di prova, emersa al dibattimento, dell'incidenza causale di tutte le condotte rispetto all'ammissione alla procedura. Manca, inoltre, la prova dell'intenzionale volontà di agire, con la propria condotta, per determinare la crisi tale da condurre all'ammissione della procedura. Le comunicazioni sociali false, nella specie, dovrebbero essere poste in essere con lo scopo specifico di conseguire, per sè o per altri, un profitto ingiusto e volere intenzionalmente la futura ammissione al concordato, risultando carente anche la prova del superamento delle soglie, non contestata, nè fatta oggetto di accertamento, con conseguente applicazione, in caso contrario, soltanto della prevista sanzione amministrativa. Con riferimento al capo b) si denuncia che il capo di imputazione si riporta pedissequamente alla consulenza del L., senza rilevare che l'operazione contestata è un mero giroconto, che ha determinato soltanto un risultato contabile. Appare, poi, inverosimile che la società, nel 2007, potesse avere liquidità contabile per oltre 300.000,00 Euro; inoltre si evidenzia che risulta nel fascicolo del Pubblico Ministero, che vi era un giroconto, al 31 dicembre 2006, del medesimo importo di quello del 31 maggio 2007, contestato come fittizio credito al capo b). Di qui l'assenza di prova dell'effettiva sottrazione di danaro dalle casse sociali. 2.2.6. Con il sesto motivo si denuncia vizio di violazione di legge, con riferimento all'art. 429 cod. proc. pen., 6 CEDU e 111 Cost., nonchè vizio di motivazione e violazione del diritto di difesa. Con riferimento al capo a) ed al capo b) si eccepisce la nullità del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza del capo di imputazione, come dedotto in primo grado, con eccezione rigettata anche dal giudice di appello. Quanto al capo a), per l'anno 2004 le cifre riportate come presunti costi non esposti, non giustificano, a parere del ricorrente, l'entità del risultato negativo di esercizio pari a Euro 926.116,20. Inoltre al capo a) sono addebitate congiuntamente all'imputato contestazioni incompatibili tra loro (2621 e 2622 cod. civ.), non potendo la condotta, indifferentemente rientrare tanto nell'una o nell'altra norma, stante la clausola di esclusione contenuta nell'art. 2621 cod. civ.. Tanto in violazione del diritto di difesa, del diritto dell'imputato di essere informato sui motivi di accusa, secondo l'art. 6 par. 3 a) CEDU, nonchè dell'art. 111 Cost.. Con riferimento al capo b), si rileva che lo stesso è generico, posto che non si comprende quale sia la condotta illecita posta in essere. Si assume che la distrazione di una somma, annotata tra le uscite di cassa, priva di giustificazione, corrisponde ad un credito fittizio, ma trattandosi di annotazioni fittizie non si comprende, secondo il ricorrente, in cosa consista la contestazione (distrazione) con vizio di genericità dell'imputazione. 2.2.7. Con il settimo motivo si denuncia violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. e art. 111 Cost. con riferimento al capo b) ed alla ritenuta configurazione del falso in bilancio, ritenuto dalla Corte territoriale quale presupposto della contestazione di cui all'art. 223 L. Fall., a fronte della ritenuta distrazione di somme. 2.2.8. Con il motivo ottavo, in riferimento al capo d), si denuncia violazione di legge, mancanza o contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata indicazione dei soggetti ai quali sono stati effettuati i pagamenti e la mancata indicazione della data di tali pagamenti, anteriori al decreto di ammissione al concordato. Si tratta del pagamento di fatture, sorte in epoca anteriore al decreto di ammissione al concordato, che avevano determinato la revoca del primo concordato preventivo, non omologato. Per il ricorrente si tratta di obbligazioni, sorte prima del decreto di ammissione del 23 maggio 2008, ma successive al deposito del concordato, avvenuto il 31 dicembre 2007. Si tratta, dunque, di pagamenti non vietati dall'art. 168 L. Fall., il quale si riferisce soltanto ai crediti sorti dopo il deposito del concordato e prima del decreto di ammissione. Inoltre il ricorrente aveva evidenziato, con il gravame, che si trattava di atti di ordinaria amministrazione e rispetto a tale prospettazione la Corte territoriale non aveva offerto specifica motivazione. 2.2.9. Con il nono motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 2639 cod. civ. in relazione alla L. Fall. nonchè contraddittorietà della motivazione e illogicità manifesta con riferimento al capo d). Si assume la buona fede del N. il quale ha ammesso di aver disposto i pagamenti, precisando, però, di averlo fatto per ignoranza. Da tale deposizione, non presa in considerazione nella motivazione della Corte territoriale, comunque deriva l'estraneità del M. dai pagamenti in questione, rispetto alla quale il provvedimento impugnato non fornisce alcuna giustificazione. 2.2.10. Il decimo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale, tenuto conto che risulta la restituzione delle somme, alla data dell'aprile del 2009, prima dell'esercizio dell'azione penale, come da documentazione contabile depositata a corredo dell'appello, con riparazione della condotta distrattiva, annullando ogni pregiudizio per i creditori, avvenuto nei tempi tenuto conto che, nel caso in esame, al concordato non è seguita la declaratoria di fallimento. 2.2.11. Si denuncia con il motivo undicesimo erronea applicazione di legge penale quanto alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 cod. pen., comma 1, n. 6 che si comunica ai concorrenti, nonchè si censura la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 219 L. Fall., considerata la speciale tenuità delle somme oggetto del capo di imputazione, se raffrontate con l'entità della massa passiva. 2.2.12. Con il dodicesimo motivo si denuncia erronea applicazione e violazione della legge penale, dell'art. 27 Cost. e dell'art. 6 par. 2 CEDU, nonchè vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta colpevolezza per epoca successiva al 2006, in assenza di prova, emersa al dibattimento, di episodi successivi al 2006 (tenuto conto che le missive si arrestano al 2006). 2.2.13. Con il motivo tredicesimo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'aggravante di cui all'art. 219 L. Fall., tenuto conto che l'entità del danno deve essere apprezzata in relazione al singolo specifico episodio, non anche rispetto al totale del passivo. Ciò tenuto conto che la somma indicata al capo d) è stata restituita, che la somma di cui al capo c) è irrilevante per la declaratoria di intervenuta prescrizione e che la somma di cui al capo b) riguarderebbe, per la stessa contestazione, un credito fittizio. 2.2.14. Con il motivo quattordicesimo si contesta l'errore di diritto dei giudici di merito, per aver applicato l'aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 219 L. Fall. anche ad un caso, come quello in esame, di bancarotta fraudolenta impropria, essendo l'aggravante citata circoscritta, invece, agli artt. 216-218 L. Fall. e non estesa all'art. 223 L. Fall., così come a tali fattispecie è circoscritta l'operatività della pena accessoria di cui all'ultimo comma dell'art. 216 legge cit.. 2.2.15 Con l'ultimo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze generiche motivata dall'appellante non solo in base alla incensuratezza dell'imputato, ma anche il virtù del comportamento processuale, tenuto conto delle spontanee dichiarazioni dallo stesso rilasciate. Ciò anche considerando che, al momento della condotta, l'art. 62-bis cod. pen. non era stato ancora modificato e poteva, dunque, considerarsi la mera incensuratezza come elemento positivo. 3. Risulta depositata nota di udienza nell'interesse del N., in data 27 aprile 2018, con la quale si evidenzia e sottolinea che la sentenza impugnata è contraddittoria e, comunque, priva di motivazione circa il concorso dell'amministratore apparente con quello di fatto, così come quella di primo grado. 4. In data 11 maggio 2018 è stata depositata memoria, nell'interesse di M., con la quale vengono ribadite le osservazioni relative al difetto della qualifica di amministratore di fatto della G. Ambiente s. r. l., in assenza di indici sintomatici di una diretta partecipazione all'attività di gestione dell'ente. Si ribadisce la richiesta di declaratoria di prescrizione per il delitto di cui al capo d) e, sul quarto motivo di ricorso, si espone che la richiesta, contenuta nella memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di primo grado, in data 13 gennaio 2014, era stata disattesa, creando squilibri tra le parti. Con la richiesta erano stati indicati, come testi da escutere a prova contraria, rispetto all'acquisizione dei documenti disposta dal Tribunale all'esito dell'esame testimoniale. Detta prova, disattesa dal primo giudice, a fronte di specifico motivo devoluto alla Corte d'appello, non reputata assolutamente necessaria è, invece, prova contraria che andava ammessa per assicurare equilibrio tra le parti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto da entrambi i ricorrenti deve essere accolto, limitatamente all'eccepita prescrizione del reato contestato al capo d), con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, esclusa la porzione di pena irrogata per il delitto dichiarato, in questa sede, estinto per prescrizione. Nel resto, invece, i ricorsi, in quanto infondati, vanno rigettati. 2. Il primo motivo proposto nell'interesse del N. è infondato, posto che non si ravvisa il denunciato vizio di motivazione, sia sotto il profilo della rilevata carenza, sia per quanto riguarda la dedotta contraddittorietà. 2.1. In relazione alla critica relativa al difetto di motivazione circa il concorso del ricorrente quale mero amministratore di diritto, si osserva, infatti, che sul punto il Tribunale, con motivazione ampia, logica e coerente, che si salda con quella della Corte territoriale, sottolinea che l'imputato, già amministratore delegato della G. Ambiente s. r. l., era il soggetto al quale doveva ascriversi la paternità dei bilanci, finalizzati a migliorare la situazione della società, che aveva fornito consapevole copertura, al correo M., "proprietario" della G. Ambiente s. r. l., tramite la G. s. p. a. e la partecipazione diretta alla gestione dell'ente. Si rileva, poi, che, correttamente, con ragionamento immune da vizi logici e, dunque, non censurabile in questa sede, i giudici di primo grado sottolineano che il N. era diretto, consapevole esecutore delle indicazioni e direttive fornitegli dal M., sicchè alle condotte contestate, il N. è stato considerato concorrente, per aver agito, consapevolmente e su input dell'amministratore di fatto, nell'interesse di quest'ultimo, oltre che proprio. 2.1.1. Del resto la Corte territoriale, con un ragionamento immune da vizi, non manifestamente illogico, ha evidenziato come fosse non plausibile che l'amministratore unico non avesse, per un ampio contesto temporale (pur limitato, secondo quanto osservato dal ricorrente, agli anni dal 2003 al 2007 in contestazione), visionato i bilanci e, comunque, non si fosse reso conto delle perdite così importanti in essi riportate. Ciò sottolinea la Corte di appello, a fronte di concrete attività di amministrazione, indicate come svolte dal medesimo N. personalmente, espressione, invece, della sua partecipazione concreta, all'attività di gestione della G. Ambiente s. r. l., tanto da aver intrattenuto rapporti anche con altre società nell'interesse della s. r. l., come con la Sida di Lamezia Terme (cfr. folio 13 della sentenza di appello, ove si evidenzia che era stato lo stesso N. ad ammettere di essersi occupato di conti correnti bancari, degli incassi e dei pagamenti). Infine, argomento dirimente, risulta quello, peraltro trascurato nel ricorso, relativo all'avvenuta richiesta, proveniente dall'amministratore di diritto, di ammissione al concordato preventivo, poichè la società si trovava in sofferenza. Detta attività presume la preliminare verifica della complessiva reale situazione patrimoniale ed economica dell'ente, al fine di perfezionare la proposta concordataria, elaborare la prescritta relazione (al cui deposito, di norma, si accompagna anche l'allegazione delle scritture contabili) e formulare il piano (anche alla luce della previsione di cui al D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, in vigore dal 1 gennaio 2008, nonchè di quella previgente, rispetto alla modifica introdotta dall'art. 12 del D.Lgs. citato). Ciò con la finalità di assolvere all'onere, sussistente in capo dell'amministratore di diritto, di assicurare la veritiera esposizione, ai fini dell'adozione del decreto di ammissione, della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società proponente. Del resto va evidenziata la circostanza, valorizzata dai giudici di merito, secondo la quale il N. stesso ha ammesso la propria cognizione su taluni aspetti contabili della società. 2.1. Il secondo motivo è infondato. Si contesta la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui al capo a), in quanto, in relazione alla previsione di cui all'art. 2621 cod. civ., difetterebbe il dolo intenzionale di ingannare i soci o il pubblico e il dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto. 2.1.1. Sul punto si osserva, in diritto, che questa Corte di legittimità ha affermato, in tema di bancarotta impropria da reato societario, che il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto. Questa va intesa non quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Solignani, Rv. 260356; Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Baraldi, Rv. 252804: fattispecie relative ad esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, circa la situazione economica e finanziaria della società, con conseguente dissesto della medesima ed induzione in errore dei creditori). Tale principio di diritto inerisce anche all'ipotesi di reato contestata al capo a), laddove la condotta illecita è stata posta in essere, dagli amministratori di fatto e di diritto, allo scopo di ottenere l'ammissione alla procedura del concordato preventivo e, comunque, di continuare l'attività, rappresentando ai creditori ed agli organi della procedura, una situazione contabile e finanziaria inveritiera, manipolando i dati contabili aziendali. Di tale principio di diritto, peraltro, la Corte di merito ha fatto buon governo, argomentando la sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di cui al capo a) sulla base, non già di una maggiore plausibilità della tesi accusatoria, ma tenendo conto dell'assoluta inverosimiglianza della ricostruzione che vede l'imputato del tutto inconsapevole, per anni, delle reali vicende societarie. La condotta del N. il quale, anno per anno, nel periodo in contestazione, ha sottoscritto i bilanci, operando, peraltro, come amministratore apparente e, contemporaneamente, quale longa manus del M., ha consapevolmente concorso nella realizzazione delle condotte materiali contestate, poste in essere attraverso la materiale omissione dei costi di esercizio e l'esposizione di utili non rispondenti alla realtà. Ciò è motivato dalla Corte di merito sulla base, in primo luogo, di un'attenta ricostruzione delle risultanze, evincibili dalla relazione del consulenza del dott. L., nonchè dall'allegato alla relazione prodotta agli atti del dibattimento, con documentazione richiamata nel corpo della relazione. Tale ricostruzione, lungi dall'esaurirsi in un mero riscontro formale, rende ragione del giudizio di assoluta inverosimiglianza dell'ipotesi dell'inconsapevolezza, in capo all'amministratore di diritto, dei fatti contestati avendo, al contrario, la Corte di appello, tratto elementi dimostrativi di interventi specifici, svolti dall'imputato in relazione alla situazione contabile della società e, in ultima analisi, il motivato convincimento di una sua attiva e consapevole partecipazione all'amministrazione dell'ente conclusione, questa, che rende congruamente ragione della sussistenza dell'elemento soggettivo. Tali rilievi rendono ragione, peraltro, delle conclusioni coerenti e non manifestamente illogiche cui è pervenuta la Corte di appello, pur non obliterando il ruolo da "proprietario" dell'ente attribuito al M.. 2.1.2. L'ulteriore doglianza, relativa al denunciato vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di appello, avendo entrambi i ricorrenti sostenuto che il dissesto era stato determinato soltanto dal mancato incasso di un credito della G. Ambiente s. r. l., vantato nei confronti della AMIA di Palermo, per un valore di oltre 3 milioni di Euro, è manifestamente infondata. La Corte di appello, aderendo alle concordi conclusioni del Tribunale, ha messo in evidenza la sussistenza, in termini di condicio sine qua non e non di astratta idoneità, del nesso di causalità tra le sistematiche falsificazioni, protrattesi per quattro anni ed il dissesto, avendo dette falsificazioni consentito, la prosecuzione dell'attività di fabbricazione di auto elettriche nel capannone 21 di Villafranca, con reiterazione delle somministrazioni da parte dei fornitori e delle banche, con costante incremento della perdita di esercizio, da ultimo, relativamente all'anno 2007, indicata come superiore ai 4 milioni di Euro. 2.3. Il terzo motivo denuncia l'erronea applicazione dell'art. 223, comma 2, n. 1 L. Fall. in relazione all'art. 84 cod. pen.. Per il ricorrente la Corte territoriale incorre in violazione di legge nel ritenere l'autonomo reato di bancarotta impropria, concernente la falsa comunicazione sociale riguardante la somma indicata come distratta, relativa al bilancio 2007. Sul punto il ricorrente assume che la Corte territoriale, esclusa la bancarotta per distrazione, ha ritenuto di qualificare la condotta quale bancarotta fraudolenta impropria per false comunicazioni sociali, di cui all'art. 223, comma 2 n. 1 L. Fall., riguardanti il credito inesistente della G. Ambiente s. r. l., nei confronti della Icarus s. p. a., a mezzo del quale era stata eliminata l'insussistenza della cassa contanti per un consistente importo. Ciò pur risultando, al capo a), già contestata la condotta di false comunicazioni sociali in ordine al bilancio 2007, comprensiva, dunque, anche della condotta descritta sub b). Sul punto si osserva che l'elemento materiale del reato di cui al capo b), pur con la precisazione della contestazione svolta dalla Corte territoriale nella motivazione della pronuncia di appello, tenuto conto della contestazione svolta in fatto, consente di rilevarne la diversità, rispetto alla condotta descritta al capo a). In ordine a quest'ultima imputazione, infatti, risulta, per l'anno 2007, contestata la mancata esposizione di costi per il valore di Euro 431.5676,51. Per contro il successivo capo b), pur precisato dalla Corte territoriale il titolo, in sostanza attiene alla diversa somma di Euro 365.940,26, indicata in bilancio come uscita di cassa, al 31 maggio 2007, risultata priva di giustificazione, trattandosi di annotazione con rilevazione di un credito fittizio. In sostanza si contesta la condotta attraverso la quale il corrispondente importo di danaro contante, veniva fatto uscire dalla cassa con giroconti, con l'artificio del pagamento di crediti in realtà inesistenti. Ciò allo scopo di "fare pulizia" nelle scritture contabili, in prospettiva dell'imminente richiesta di concordato preventivo. 2.4. Il quarto motivo è inammissibile in quanto il mancato esame dell'elemento di fatto, emergente dalla relazione del consulente tecnico del pubblico ministero, indicato nel ricorso, non è accompagnato dalla puntuale e specifica illustrazione della decisività, ai fini della pronuncia, dell'elemento di prova che si assume trascurato dalla Corte territoriale. 2.5. Il sesto motivo, nella parte in cui denuncia l'erronea applicazione della legge fallimentare quanto all'art. 167, in relazione al capo d), è manifestamente infondato. Si assume che i pagamenti di fatture per forniture, anteriori alla data di emissione del decreto di ammissione al concordato, per proventi conseguiti come corrispettivi per lavori relativi a ramo di azienda non compreso nella cessione concordataria, non è credito concordatario. Sicchè detti pagamenti non possono essere qualificati atti di straordinaria amministrazione, soggetti all'autorizzazione del giudice delegato. Peraltro si lamenta, sul punto, l'omessa motivazione su circostanza decisiva, emergendo la descritta natura, secondo il ricorrente, dalla relazione del 14 gennaio 2009 del Commissario giudiziale N.. In proposito questa Corte osserva che la qualificazione del credito come concordatario, operata dai giudici di merito, implica un giudizio di fatto, adeguatamente motivato nelle sentenze di primo e secondo grado, senza incorrere in illogicità, nè in violazione di legge. Sicchè non è sindacabile da questa Corte di legittimità il giudizio operato, anche perchè tale rivisitazione imporrebbe di valutare come maggiormente plausibile, la prospettazione del ricorrente, in base alla mera rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, adottando diversi parametri di ricostruzione e valutazione, da preferirsi a quelli dei giudici di merito, quindi compiendo un'operazione che esorbita i limiti del sindacato di legittimità (Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012 - dep. 2013, Cena, Rv. 254226; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv. 235507). Del resto non risulta trascurata dalla Corte territoriale la fonte di prova indicata dalla difesa, sulla quale, anzi (cfr. folio 22 della sentenza di appello) il giudice del gravame fonda, unitamente ad altri elementi, il giudizio in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di cui al capo d), relativamente a crediti sorti in data anteriore all'ammissione. In ogni caso si osserva, in diritto, che in epoca successiva al decreto di ammissione al concordato preventivo, tutti gli atti compiuti possono, in astratto, risultare potenzialmente pregiudizievoli per il patrimonio sociale e l'autorizzazione dell'organo della procedura necessita, ove si tratti di atti comunque inerenti l'attività di impresa. Tale attinenza va valutata dal giudice della procedura, al quale, quindi, deve essere sottoposta apposita richiesta. Infatti il decreto di ammissione, quale provvedimento ricognitivo dello stato di crisi, certifica la concreta inidoneità del patrimonio sociale a soddisfare le pretese dei creditori. Sicchè da tale momento risulta potenzialmente pregiudizievole, per il patrimonio sociale, qualsiasi atto dispositivo dei beni patrimoniali, salvo che non ne sia stata verificata, tramite il provvedimento di autorizzazione degli organi della procedura (a mente dell'art. 167, comma 2, L. Fall., richiesta espressamente al giudice delegato per gli atti di straordinaria amministrazione), la compatibilità con la procedura in atto. Del resto l'inerenza dell'atto dispositivo all'attività di impresa non può essere valutazione rimessa autonomamente alla discrezionalità dell'imprenditore ammesso al concordato, ma va sottoposta al vaglio degli organi della procedura. Non va trascurato, poi, che, nel caso di specie, si tratta di crediti sorti prima dell'emissione del decreto di ammissione, che, però, riguardano pagamenti avvenuti in epoca successiva al 23 maggio 2008, data del primo decreto di ammissione al concordato preventivo, trattandosi di pagamenti nei confronti di creditori chirografari, avvenuti tra il 24 maggio ed il 30 settembre 2008. Ai fini della configurabilità della condotta materiale del reato contestato va, infatti, attribuito decisivo rilievo al momento dell'avvenuto pagamento, rispetto al decreto di ammissione, oltre che alla data di insorgenza del titolo, trattandosi di momento in cui si manifesta l'effettiva incidenza dell'atto dispositivo, rispetto all'attivo patrimoniale. Del resto si tratta di pagamenti espletati senza rispettare la par condicio creditorum, trattandosi di fatture relative ad obbligazioni assunte nei confronti di creditori chirografari. 2.6. Il vizio denunciato con il settimo motivo è infondato. Si osserva che questa Corte di legittimità, quanto alla rilevante gravità del danno cagionato, ne ha ritenuto l'operatività, sia con riferimento alla bancarotta impropria di cui all'art. 223, comma 1, che rispetto all'ipotesi di cui comma 2 dell'art. 223 L. Fall. contestata, nella specie al capo a) (Sez. 5, n. 18695 del 21/01/2013, Liori, Rv. 255839; Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012, Rv. 252009; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a., Rv. 247320; Sez. 5, n. 30932 del 22/06/2010, Poli, Rv.247970). Il collegio non ignora che la tesi del ricorrente ha trovato conferma giurisprudenziale da parte di questa stessa Corte (Sez. 5, n. 8828 del 18/12/2009, Truzzi, Rv. 246154). Ciò valorizzando il testuale richiamo della Legge fallimentare, all'art. 219, comma 1, ad indicazione dei fatti per i quali le pene sono aumentate, laddove gli stessi abbiano cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, a quelli previsti dai soli artt. 216, 217 e 218 della legge. Inoltre è stata sottolineata la diversità ontologica fra la bancarotta impropria e quella ordinaria, che non consentirebbe un'applicazione estensiva della previsione di cui all'art. 219 legge fall, anche ai fatti di cui all'art. 223 cit., senza incorrere in una non consentita interpretazione analogica. Il diverso prevalente orientamento, invece, al quale questo collegio reputa di aderire, considera applicabile l'aggravante anche alle fattispecie di bancarotta impropria, sulla base di considerazioni attinenti sia al dato testuale che alla ragionevole interpretazione delle norme, estensibili, a parere di questa Corte, anche alla fattispecie di cui all'art. 223, comma 1, L. Fall.. In particolare si valorizza il rinvio che lo stesso art. 223, incriminante i fatti qui contestati, fa all'art. 216 Legge cit. A fronte di detto rinvio, è stato notato in sede di legittimità, che le condotte e le pene previste da quest'ultima norma sono richiamate per sancire l'applicabilità delle seconde alle prime, anche laddove le condotte siano realizzate nell'ambito di società dichiarate fallite da amministratori o altri soggetti agli stessi equiparati, per la loro funzione gestoria. Del resto detto orientamento tiene conto anche delle complessive considerazioni di cui alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte che, in tema della speciale disciplina sul concorso di reati, prevista dall'art. 219, comma 2, n. 1 L. Fall., l'ha ritenuta applicabile anche al reato di bancarotta impropria (Sez. U, n. 21039 del 26/05/2011, Loy). Dalla lettura integrale di tale pronuncia, infatti, si è tratta la conclusione che anche per le Sezioni Unite, in aderenza al consolidato orientamento di questa Suprema Corte, il richiamo contenuto nelle norme incriminatici della bancarotta impropria, allo stesso trattamento sanzionatorio previsto per le corrispondenti ipotesi ordinarie non lascia margini di dubbio sull'applicabilità del relativo regime, nella sua interezza, ivi compresa l'aggravante di cui si discute. Ciò in quanto il legislatore ha posto su un piano paritario i reati di bancarotta propria e quelli di bancarotta impropria, con conseguente inclusione, nell'oggetto del rinvio posto dall'art. 223 citato, di tutte le componenti del trattamento sanzionatorio della fattispecie della bancarotta fraudolenta, fra le quali non può che comprendersi l'aggravante di cui si discute in questa sede. Ciò quindi, senza distinguere tra l'ipotesi di cui al n. 1 e quella di cui al n. 2 dell'art. 223 L. Fall. 2.7. Il motivo di cui al punto otto è manifestamente infondato, posto che la Corte territoriale, pur alla luce della pronunciata prescrizione, in relazione al delitto di cui al capo c), ha correttamente confermato la contestata aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta, senza incorrere in alcuna violazione di legge. La pluralità di "fatti" cui si riferisce la norma in questione non richiede, infatti, la contestuale presenza di più fattispecie diverse, descritte nella Legge fallimentare, ma la reiterazione della condotta, comunque sussumibile in diverse ipotesi: con la conseguenza che anche fatti dello stesso tipo e riferibili alla stessa ipotesi di bancarotta, sono sufficienti ai fini dell'applicazione di quella circostanza aggravante (Sez. U, n. 2109 del 26/05/2011, Loy, Rv. 242667; Sez. 5, n. 16566 del 12/01/2010, Calì, Rv. 246707). Del resto, nella specie alla pluralità di annualità cui si riferisce la condotta di cui al capo a) si aggiunge la diversa condotta contestata al capo b), pur riferita all'anno 2007. 2.8. Il dedotto difetto di motivazione, circa la richiesta applicazione dell'art. 114 cod. pen., invocata con l'atto di appello, è destituito di fondamento se si pone mente alla motivazione resa, complessivamente, dalla Corte di appello sulla posizione del N., in ordine all'apporto significativo prestato all'amministratore di fatto, del quale rappresentava la longa manus operativa. Tanto secondo il richiamo che la stessa Corte di appello opera, a pag. 23 della sentenza di secondo grado, alle argomentazioni svolte nella parte della motivazione dedicata alla posizione del N., circa la condotta consapevole prestata dal predetto al concorrente M.. 3. Il primo motivo di ricorso, proposto nell'interesse del M., è inammissibile, in quanto manifestamente infondato. E' principio di diritto, affermato da questa Corte, al quale si reputa senz'altro di aderire, condividendolo, quello secondo il quale (Sez. 5, n. 34811 del 15/06/2016, Lo Giudice, Rv. 267742) conservano efficacia gli atti, a contenuto non probatorio, compiuti dal giudice astenutosi, anche se della loro sorte (conservazione o di efficacia) non è fatta menzione nel provvedimento presidenziale che accoglie la dichiarazione di astensione. Nella fattispecie in esame, peraltro, l'attività processuale svolta, con la partecipazione del giudice astenuto, si è limitata ad attività preliminari alla declaratoria di apertura del dibattimento, risolvendo eccezioni proposte dalle parti, senza assumere mezzi di prova. Rispetto alla descritta attività nemmeno il ricorrente, in definitiva, deduce l'ontologica invalidità della stessa, limitandosi a sostenere la necessità della rinnovazione da parte di collegio giudicante diversamente composto. 3.1. Il secondo motivo devolve a questa Corte di legittimità un giudizio di fatto, inammissibile. La prospettazione alternativa proposta esorbita i limiti del sindacato di legittimità, in quanto doglianza che "attacca" la persuasività, l'inadeguatezza, la stessa illogicità, non manifesta, della motivazione dei giudici di merito e, comunque, evidenzia ragioni in fatto, per giungere a conclusioni differenti sul punto della valenza dei singoli elementi probatori. I giudici di merito, con ragionamento non contraddittorio, nè manifestamente illogico, infatti, hanno spiegato i rapporti tra la G. Ambiente s. r. l. e la G. Ambiente s. p. a., di cui il M. era legale rappresentante, spiegando, anche che la società per azioni era controllante della s. r. l. che interessa. Le sentenze di merito evidenziano che a favore della s. r. l. erano stati deliberati finanziamenti soci, in conto aumento capitale, da parte della s. p. a. riferibile al M.. Inoltre si sottolinea come la società per azioni risulti costituita fideiussore, in relazione a mutuo concesso alla G. Ambiente s. r. l. dal Banco di Sicilia, per completare opere relative alla ristrutturazione del complesso aziendale di Villafranca e si fosse coobbligata per ottenere polizza assicurativa, dalle Generali s. p. a., a garanzia del versamento della prima tranche di un finanziamento inserito in un programma di investimenti approvato dalla Presidenza del consiglio dei ministri. Si trattava di complessive tre tranche, approvate in favore della s. r. l., destinate alla costruzione di un nuovo impianto di assemblaggio di veicoli elettrici. Il ricorso, tuttavia, non si confronta adeguatamente con la motivazione del Tribunale, nella parte in cui dà conto delle dichiarazioni del teste Le. e dell'esito degli accertamenti espletati dalla Guardia di Finanza, dai quali, secondo la prospettazione recepita dal giudice di primo grado, risultava il ruolo di effettivo gestore della G. Ambiente s. r. l. da parte del M.. Queste dichiarazioni sono indicate come confermate da due documenti reputati decisivi, cioè dalla procura speciale rilasciata il 4 marzo 1996, a favore del M., con i poteri ampi indicati nell'atto, nonchè dalla nomina a procuratore generale, per atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, decisa nel corso dell'assemblea del 30 gennaio 2003, atti con i quali l'impugnazione non si confronta espressamente. A conforto ulteriore di tale già robusto quadro probatorio, poi, i giudici di merito annoverano documenti rinvenuti presso l'immobile del M., che ne attestano, secondo le motivazioni, il diretto interessamento, in nome e per conto della s. r. l. nei rapporti con banche, altre società, con particolare riferimento ad atti di gestione di un investimento per la produzione di auto elettriche presso il capannone di Villafranca della s. r. l. Ciò anche a fronte della mancata trascrizione della procura speciale, rilasciata in favore del medesimo M.. Si tratta di attività che, secondo la ricostruzione fatta propria dai giudici di merito, senz'altro travalica il mero esercizio dell'obbligo di informazione circa le operazioni di maggior rilievo della società controllata imposto al Consiglio di amministrazione delle s. p. a.. Esse, invece, per come descritte dai giudici di merito, assumono la forma di veri e propri atti gestori, diretti, svolti di fatto nell'interesse dell'ente controllato. A fronte del quadro probatorio, descritto in modo non manifestamente illogico dai giudici di merito e, dunque, non attaccabile in sede di legittimità, non assume rilievo la contestazione dell'assenza di firma rispetto alla missiva del 21 gennaio 2005, prodotta in dibattimento. Rispetto a tale documento, contrariamente a quanto esposto dai giudici di merito, il ricorrente sostiene che il M. non ha assunto la paternità dell'atto. In secondo luogo se ne sottolinea l'irrilevanza, così come si contesta il rilievo attribuito alle 15 comunicazioni, asseritamente provenienti dall'imputato, acquisite all'esito dell'esame del teste Le. della Guardia di finanza, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., dopo la sua escussione testimoniale al dibattimento. Su tale ultimo punto il ricorso, tuttavia, è inammissibile in quanto espone una diversa lettura del medesimo materiale probatorio, già vagliato dai giudici di merito, con un ragionamento non contraddittorio, nè manifestamente illogico, non sindacabile, dunque, in sede di legittimità. Il Tribunale, invero, ha sottolineato che la missiva del gennaio 2005, pur mancante di firma, era riferibile senz'altro al M., avendo quest'ultimo affermato che l'ordine di servizio era stato dettato personalmente alla segretaria, non confrontandosi, il ricorso, con questo specifico argomento, limitandosi a negare la paternità del M. rispetto alla nota in questione. 3.2. Il terzo motivo deduce vizio di motivazione, rispetto a risultanze istruttorie, reputate non debitamente valutate nella motivazione dei giudici di merito. Sul punto si osserva che, trattandosi di prove che si assumono trascurate, dai giudici di merito, non viene puntualmente e specificamente spiegato dal ricorrente, come possa essere superato il residuo materiale probatorio, in senso decisivo e più favorevole per l'imputato, a fronte delle indicate dichiarazioni. Si ritiene, infatti, conformemente all'indirizzo di questa Suprema Corte (Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 2, n. 47035 del 3710/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438) che, nel caso di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità, il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, possa essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio, asseritamente travisato, è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Inoltre il vizio di travisamento della prova, è ravvisabile solo se l'errore, ove accertato, sia capace di disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio che si assume travisato (Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774). 3.3. Il quarto motivo va respinto in quanto infondato. Nel giudizio di appello, come è noto, la rinnovazione istruttoria ha carattere eccezionale, fondato sulla presunzione che l'indagine sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicchè il potere del giudice è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; Sez. U, 24/01/1996, Panigoni; Sez. 1, n. 3972 del 2014). Atteso che l'esercizio di un simile potere è affidato all'apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato, deve sottolinearsi che a fronte di una motivazione che dà conto nel complesso, in modo univoco, del fatto che è stato ritenuto non impossibile decidere allo stato degli atti, alcun rilievo può assumere la critica difensiva. Del resto appare priva di censure la motivazione, sia pur stringata, dei giudici di merito, se si tiene conto che, comunque, la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione circa la completezza del materiale istruttorio acquisito, rispetto alla decisione. Ciò a fronte di analoga istanza proposta, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., respinta anche dal giudice di primo grado la cui motivazione, sul punto, può senz'altro integrare quella della Corte territoriale. Sicchè il rilievo prospettato nei motivi di ricorso, appare infondato. Circa il preteso diritto ad espletare le prove richieste, ai sensi dell'art. 507 e 603 cod. proc. pen, in quanto trattasi di prova contraria, si osserva che nel caso di assunzione di ufficio di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., come avvenuto nella specie, è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria, la cui istanza di ammissione integra a tutti gli effetti una richiesta ai sensi dell'art. 495 cod. proc. pen., comma 2. Tuttavia ai fini del vaglio della ammissibilità della stessa, sotto il profilo della non manifesta superfluità o irrilevanza ai sensi dell'art. 190 cod. proc. pen., la parte istante ha l'onere di indicare specificamente i temi sui quali verte la controprova richiesta, atteso che quest'ultima, a differenza di quella articolata su temi indicati dalle parti, deve riferirsi ai fatti sui quali il giudice ha ritenuto indispensabile il supplemento istruttorio ai fini della decisione (Sez. 5, n. 28597 del 07/04/2017, Pennestrì, Rv. 270242). Del resto il diritto alla controprova deve essere tempestivamente esercitato nel corso del giudizio di primo grado, dovendo ritenersi, in assenza di deduzione, completo il quadro processuale utilizzabile ai fini della decisione. E' stata, infatti, reputata preclusa, da questa Corte, la richiesta di ammissione della prova contraria, formulata per la prima volta in grado di appello, potendo questa valere solo come sollecitazione, affinchè il giudice dell'impugnazione si avvalga dei poteri di integrazione probatoria officiosa, qualora ne ravvisi l'assoluta necessità (Sez. 3, n. 56049 del 20/07/2017, B., Rv. 272426 in tema di ammissione di ufficio, di mezzi di prova da parte del giudice, nel corso di giudizio abbreviato). Orbene, nella specie, all'esito dell'acquisizione, ex art. 507 cod. proc. pen., effettuata dal giudice di primo grado, in relazione ai documenti esaminati dal teste della Guardia di Finanza nel corso della deposizione, le richieste istruttorie nel giudizio di primo grado sono state formulate dalla difesa, sollecitando i poteri officiosi, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. (cfr. folio 8 della sentenza di primo grado). Analogamente si è proceduto in grado di appello, ove le prove risultano richieste ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., senza indicazione, quindi, ai fini del vaglio della ammissibilità delle stesse, sotto il profilo della non manifesta superfluità o irrilevanza ai sensi dell'art. 190 cod. proc. pen., dei temi sui quali avrebbe dovuto vertere la controprova. La richiesta è, dunque, inammissibile, in quanto prospettata come prova contraria, soltanto nel giudizio di legittimità (cfr. memoria difensiva dell'11 maggio 2018) e, dunque, tardivamente formulata. 3.4. Il quinto motivo di ricorso è infondato. 3.4.1. Va osservato che, a seguito della riforma della materia fallimentare, presupposto di accesso alla procedura di concordato preventivo non è più lo stato di insolvenza, ma la crisi dell'impresa che, da un lato, può comprendere anche l'insolvenza (art. 160, comma 3, L. Fall.), dall'altro, non coincide in via esclusiva con lo stesso. Con la riforma, dunque, è venuto meno l'automatismo tra concordato preventivo e fallimento senza che, tuttavia, ciò possa incidere sulla ritenuta equiparazione tra gli effetti della dichiarazione di fallimento e l'ammissione alla procedura di concordato preventivo. Questa Corte di legittimità, infatti (Sez. 5, n. 12897 del 6/10/99, Tassan Din, Rv. 214859) aveva reputato, in relazione all'amministrazione controllata prima della sua abrogazione con la riforma del 2005, che il legislatore, in virtù del richiamo dell'art. 236, comma 2, L. Fall. alle norme della bancarotta impropria (art. 223 e 224 L. cit.) avesse equiparato, agli effetti penali, il decreto di ammissione alla procedura di amministrazione controllata alla sentenza dichiarativa di fallimento, pur non risiedendo detto decreto di ammissione sugli stessi presupposti del fallimento. In ogni caso, più di recente, pronunce di questa Corte hanno ribadito la parificazione del decreto di ammissione al concordato preventivo alla sentenza dichiarativa di fallimento, assumendo le due pronunce la stessa funzione e svolgendo la stessa efficacia nelle fattispecie di bancarotta fraudolenta (Sez. 5, n. 26444 del 18/06/2014, Denaro). Ciò posto si osserva che i giudici di merito non sono incorsi in alcuna violazione di legge, ma facendo buon governo dei principi di diritto sopra affermati, hanno collegato, dal punto di vista causale, le false comunicazioni sociali allo stato di crisi dell'impresa, evidenziando che nel periodo compreso tra il 2003 ed il 2007, i falsi perpetrati con lo scopo di far apparire una solidità dell'ente, in realtà inesistente, avevano consentito ai terzi di fare affidamento sull'apparente stato di solidità della società, erogando prestiti, continuando a intrattenere rapporti commerciali con la società, determinando così l'aumento sempre crescente delle perdite e dell'esposizione debitoria dell'ente, così cagionandone, quanto meno lo stato di crisi e, comunque, il dissesto. Del resto è stato osservato dalla Corte territoriale che, nella specie, la falsità dei bilanci ha inciso direttamente sulla crisi dell'impresa, avendo occultato perdite ed avendo consentito la prosecuzione dell'attività di impresa, in assenza di ricapitalizzazione o di liquidazione, con accumulo di ulteriori perdite. 3.4.2. Quanto alla denunciata carenza di prova relativa all'avvenuto superamento delle soglie, necessarie ai fini della configurazione delle ipotesi di reato, si osserva che il rilievo proposto è inammissibile in quanto generico, non confrontandosi espressamente con la specifica, seppur stringata, motivazione offerta, sul punto, dalla Corte territoriale (cfr. folio 18 della sentenza di appello) circa l'accertato superamento delle soglie di punibilità. 3.4.3. Con riferimento al capo b) la critica mossa appare inconferente, tenuto conto della precisazione, quanto alla condotta contestata e ritenuta, contenuta nella pronuncia di appello. In tale sede, peraltro, viene espressamente valorizzato che l'annotazione contestata è stata fittizia in quanto finalizzata a "fare pulizia" nelle scritture contabili, in prospettiva dell'imminente richiesta di concordato preventivo. 3.5. Il sesto motivo deve essere rigettato in quanto infondato, non ravvisandosi l'eccepito vizio di genericità ed indeterminatezza della contestazione, per le ragioni esposte dai giudici di merito, nonchè osservando che, in ogni caso, la formulazione dell'imputazione non ha impedito al ricorrente di espletare la sua difesa nella fase di merito. 3.5.1. Ciò, peraltro, non si rileva con specifico riferimento alla formulazione del capo a), nel quale sono addebitate all'imputato contestazioni delle condotte di cui all'art. 2621 e 2622 cod. civ. Sul punto, infatti, appare sufficientemente determinata l'imputazione che intende chiaramente contestare che, attraverso diverse condotte di falso in bilancio, sussumibili o nell'una ovvero nell'altra norma citata, gli imputati hanno cagionato lo stato di crisi e, comunque, il dissesto della G. Ambiente s. r. l.. 3.5.2. Con riferimento al capo b), vanno svolte analoghe considerazioni, tenuto conto peraltro, che la Corte territoriale è giunta a precisare l'imputazione, prendendo atto, senza alcuna modifica della condotta contestata, dall'elemento materiale, in fatto, delineato nel capo di imputazione addebitato agli imputati. 3.6. Conseguentemente a quanto sin qui esposto, va rigettato in quanto infondata la dedotta violazione, denunciata con il settimo motivo, dell'art. 521 cod. proc. pen. e art. 111 Cost. con riferimento al capo b). Ciò considerato che il capo di imputazione è stato soltanto precisato, senza alcuna modifica della condotta contestata, dalla Corte territoriale, la quale ha anche delimitato l'ambito specifico in cui la distrazione di somme andava collocata, spiegando, con motivazione immune da vizi, la sussistenza di tutti gli elementi di fatto del delitto ritenuto, già contenuti nell'originaria formulazione del capo di imputazione. 3.7. Il motivo ottavo è infondato. Si è già rilevato con riferimento alla posizione del N., che si tratta del pagamento di fatture, di epoca anteriore al decreto di ammissione al concordato (secondo il ricorrente successive al deposito del concordato, avvenuta il 31 dicembre 2007, ma tale aspetto non è rilevante), che avevano determinato la revoca del primo concordato preventivo, non omologato. Sul punto vanno ribadite le medesime considerazioni svolte con riferimento alla posizione del N., che si intendono, qui, integralmente richiamate. 3.8. Il nono motivo va reputato assorbito, tenuto conto della pronunciata prescrizione del delitto di cui al capo d). 3.9. Il decimo motivo devolve a questa Corte un accertamento di fatto, quello sull'avvenuta integrale ed esauriente restituzione delle somme, alla data dell'aprile del 2009, prima dell'esercizio dell'azione penale, documentata secondo il ricorrente in fase di appello, non consentito in sede di legittimità. Del resto detto motivo non confuta specificamente, risultando quindi generico, l'argomentazione della Corte territoriale che, invece, indica come soltanto parziale la restituzione, avvenuta in relazione ad alcune somme concernenti importi limitati, secondo la nota trasmessa dal Commissario giudiziale N. al Tribunale fallimentare. 3.10. Quanto all'undicesimo motivo di ricorso, si osserva che lo stesso è infondato, posto che, a fronte della ritenuta aggravante del danno patrimoniale di particolare gravità, la Corte territoriale non è incorsa in alcuna violazione di legge. E' principio di diritto consolidato di questa Corte di legittimità quello che collega l'entità obiettiva del danno, provocato dai fatti di bancarotta, al valore complessivo dei beni sottratti e, comunque, della diminuzione patrimoniale cagionata ai creditori dalla condotta di bancarotta. Detta valutazione, va invece, del tutto svincolata dall'entità del passivo o dalla differenza tra attivo e passivo, diversamente da quanto dedotto con il ricorso (Sez. 5, n. 49642 del 28/12/2009; Sez. 1, n. 12087 del 23/11/2000, Sez. 5, n. 8037 del 27/07/1998). Analogamente alcuna violazione di legge risulta ascrivibile ai giudici di appello, a fronte della ritenuta non esaustiva restituzione, indicata dalla Corte territoriale come parziale, secondo l'attestazione del Commissario giudiziale della procedura. 3.11. Il dodicesimo motivo è inammissibile in quanto devolve alla Corte di legittimità un accertamento di fatto, che esorbita dal sindacato di legittimità. Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, come quella di specie, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perchè contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni delle risultanze, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione. 3.12. Il motivo tredicesimo va respinto posto che, con motivazione non manifestamente illogica e non contraddittoria, nè viziata dal punto di vista dell'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 219 L. Fall., i giudici di merito hanno spiegato le ragioni per le quali l'entità del danno, peraltro da apprezzare nel complesso della condotta, come sopra esposto, non in ordine al singolo specifico episodio, è stato ritenuto di speciale entità. 3.13. Circa il motivo quattordicesimo si richiamano integralmente le argomentazioni esposte, nei confronti del concorrente N., al motivo settimo, con un ragionamento estensibile anche in relazione alla presunta violazione di legge inerente l'operatività della pena accessoria di cui all'ultimo comma dell'art. 216 legge cit., limitata, a parere del ricorrente, soltanto alla fattispecie di cui agli artt. 216-218 L. Fall.. Del resto è proprio l'ultimo comma dell'art. 223 L. Fall. che richiama, in ogni caso, l'operatività della disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 216 L. Fall. Relativamente alle pene accessorie. 3.14. L'ultimo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Al riguardo è appena il caso di ricordare che secondo i principi di questa Corte, condivisi dal Collegio, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale, conferitogli dalla legge, con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo e, ancora, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 3, sent. n. 44071 del 25/09/2014, dep. 23/10/2014, Rv. 260610). 4. Va invece accolto per entrambi i ricorrenti, il motivo inerente (il quinto per il N.) l'intervenuta prescrizione del delitto di cui al capo d), eccepita, da ultimo, dal M. con memoria difensiva depositata in data 11 maggio 2018, risultando assorbito il nono motivo nella pronunciata prescrizione. Va preliminarmente rilevato che, nella specie, momento consumativo del reato, anche in considerazione della contestazione di cui in rubrica, deve essere individuato nella data del primo decreto di ammissione al concordato (23 maggio 2008), poi revocato e, successivamente, reiterato con definitiva omologa del 11 febbraio 2009. Sul punto va precisato il principio di diritto secondo il quale, il citato termine decorre dal momento del decreto di ammissione, posto che momento consumativo del delitto di bancarotta concordataria coincide con la data della decisione che ammette l'imprenditore societario al concordato preventivo, determinando la dichiarazione giudiziale il tempus commissi delicti. Ciò premesso, tenuto conto del massimo della pena edittale di cui all'art. 216, comma 3, L. Fall. operante nella specie, di anni cinque, nonchè del massimo dell'aumento previsto per effetto della ritenuta aggravante ad effetto speciale, il periodo massimo quale tempo necessario a prescrivere è pari ad anni nove mesi quattro e quindici giorni, spirato, dunque, dopo la sentenza di secondo grado, non risultando cause di sospensione del corso della prescrizione maturate nel giudizio di merito. 4.1. Pertanto, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 129 cod. proc. pen. per una pronuncia più favorevole, la sentenza di condanna impugnata va annullata senza rinvio, ai sensi dell'art. 620 cod. proc. pen., comma 1, lett. a), perchè il reato sub d) è estinto per prescrizione. 5. Si impone il rinvio ad altra Corte di appello (di Reggio Calabria) per la rideterminazione della pena, in relazione ai residui reati. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo d) perchè tale reato è estinto per prescrizione. Rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria per la rideterminazione della pena, in relazione ai residui reati. Rigetta nel resto i ricorsi. Così deciso in Roma, il 16 maggio 2018. Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018
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