RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, condizionato all'espletamento di una perizia sullo stato di vulnerabilità della persona offesa, L.S., confermava la condanna di R.E. per il reato di circonvenzione di incapace e per due frodi informatiche.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. vizio di motivazione: la Corte di appello non avrebbe considerato che il ricorrente aveva prodotto - già dalla fase delle indagini - le distinte dei pagamenti della quasi totalità delle spese sostenute per conto di L.S., che sarebbero state effettuate con addebito sul conto corrente di R.. Tali emergenze contradirebbero le valutazioni della Corte di appello in ordine alla conferma della responsabilità per i reati contestati, dato che dimostrerebbero che il ricorrente si sarebbe limitato ad aiutare la L., nell'espletamento delle ordinarie incombenze di vita, utilizzando il proprio conto e addirittura accedendo, per questo motivo, a dei finanziamenti;
2.2. vizio di motivazione in ordine alla dimostrazione dello stato di circonvenibilità e della sua riconoscibilità: con due distinti motivi il ricorrente censurava la valutazione in ordine alla sussistenza della valutazione dei presupposti del reato di circonvenzione, rilevando come il disturbo bipolare diagnosticato a L.S., non sarebbe in grado di incidere sulla capacità; inoltre non sarebbe stato valutato che, nel periodo in cui si sarebbero verificate le condotte contestate i L.S. aveva effettuato atti dispositivi ed azioni, come la firma di un verbale di polizia in occasione di un sinistro, che sarebbero incompatibili con la sussistenza dello stato di infermità; infine, sarebbe carente la prova ed insufficiente la motivazione in ordine alla riconoscibilità dello stato di vulnerabilità, tenuto conto del fatto che di tale stato non si sarebbe avveduta neanche la figlia della L..
2.3. Con l'ultimo motivo di ricorso si contestava la legittimità della procura speciale per la costituzione di parte civile, il cui rilascio non sarebbe compatibile con il ritenuto stato d'incapacità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I primi tre motivi non sono consentiti, in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove in ordine alla conferma della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di circonvenzione di incapace.
In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965).
Nel caso in esame la Corte di appello affrontava con motivazione logica e persuasiva tutti i temi devoluti, rilevando conclusivamente come R. avesse approfittato dello stato di vulnerabilità di L.S. per ricavarne un profitto personale.
1.1.Nel dettaglio, con specifico riferimento alla tesi alternativa proposta dalla difesa, ovvero la dedizione del R. ad aiutare la L., attraverso l'impiego di somme personali, il collegio rileva che, contrariamente a quanto dedotto, 'Corte di appello aveva valutato la tesi alternativa, compresa la allegazione della circostanza che i prestiti e i pagamenti fatti dal ricorrente nell'interesse dell'offesa fossero stati effettuati anche grazie a finanziamenti ottenuti da R., ritenendola non credibile ed inidonea a incrinare la capacità dimostrativa delle prove raccolte.
Invero tale allegazione difensiva veniva proposta anche con la prima impugnazione e veniva giudicata - con valutazione di merito non revisionabile in quanto coerente con le prove raccolte non illogica - "priva di riscontro", non essendo stato provato che R., che all'epoca dei fatti erano studente poco più che ventenne; avesse le disponibilità finanziarie per eseguire versamenti e pagamenti indicati e essendo stato dimostrato che avesse ottenuto n finanziamenti (pagg. 22 e 23 della sentenza impugnata). La Corte di appello rilevava di contro che era invece emerso che, proprio su sollecitazione di R., la L., aveva ottenuto dei prestiti per effettuare una ristrutturazione; era emersa, inoltre, con altrettanta chiarezza, la dipendenza di L.S. dall'imputato per tutto ciò che concerneva l'utilizzo degli strumenti informatici.
In sintesi, la Corte di appello riteneva che il mancato riscontro in ordine alla effettiva sussistenza in capo a R. di disponibilità finanziarie che gli avrebbero consentito di anticipare e prestare il denaro alla L., privava di adeguato supporto probatorio la prospettazione difensiva.
Tale tesi veniva proposta nuovamente in cassazione dato che, con il ricorso si denunciava il travisamento per omissione della documentazione contabile che dimostrerebbe la buona fede di R. ed il suo impegno nell'aiutare L.S., anche con risorse proprie. Il motivo, tuttavia, non risulta supportato dalla allegazione - o indicazione - delle prove non considerate, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
In materia di oneri di allegazione e principio di autosufficienza la giurisprudenza aveva già chiarito che allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) la Corte è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all'esame diretto degli atti processuali (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304). Diversamente, quando viene invocato un atto che contiene un elemento di prova il principio della "autosufficienza del ricorso" costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile deve essere rispettato anche nel processo penale, sicché è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 1, n. 16706 del 18/03/2008, Rv. 240123). Tale interpretazione deve essere aggiornata dopo l'entrata in vigore dell'art. 165 bis disp. att. c.p.p., comma 2, che prevede che copia degli atti "specificamente indicati da chì ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. e) del codice" è inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso e che nel caso in cui tali atti siano mancanti ne sia fatta attestazione. Sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l'onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, alla quale non può essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l'interpretazione del ricorso. Pertanto, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 165-bis, disp. att. c.p.p. comma 2. è necessario il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso che si traduce nell'onere di puntuale indicazione da parte del ricorrente degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione delegata alla Cancelleria (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432).
Nel caso in esame, come già rilevato, la mancata allegazione delle distinte dei pagamenti in ipotesi travisate non consente alla doglianza di superare la soglia di ammissibilità.
1.2. Con specifico riguardo alle censure relative allo stato di circonvenibilità il collegio ribadisce che in tema di circonvenzione di incapaci, costituisce "deficienza psichica" la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, di intensità tale da agevolare la suggestionabilità della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie (Sez. 2, n. 21464 del 20/03/2019, D., Rv. 275781 - 01; Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013, dep. 2014, De Mauro, Rv. 258537).
Ma quel che più rileva in relazione ai caso in esame è che l'integrazione della circonvenzione di persone incapaci non richiede che il soggetto passivo versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente che esso sia affetto da infermità psichica o deficienza psichica, ovvero da un'alterazione dello stato psichico, che sebbene meno grave dell'incapacità, risulti tuttavia idonea a porlo in uno stato di minorata capacità intellettiva, volitiva od affettiva che ne affievolisca le capacità critiche (Sez. 2, n. 6971 del 26/01/2011, Knight, Rv. 249662 - 01).
Per l'integrazione della circonvenzione non è dunque necessario che si dimostri lo stato di incapacità di intendere e di volere della vittima, ma è sufficiente la prova della sua "vulnerabilità", in ipotesi correlata al parziale decadimento delle funzioni cognitive e alla perdita di autonomia; la dipendenza e l'affidamento acritico sono infatti segnali inequivoci della perdita di autonomia nella gestione delle ordinarie incombenze vitali e devono essere considerati come possibili indicatori dello stato di vulnerabilità richiesto per l'integrazione della condotta prevista dall'art. 643 c.p..
La Corte di appello, sul punto, effettuava una analitica e persuasiva valutazione della della perizia disposta per verificare lo stato di vulnerabilità di L.S. e giungeva alla conclusione che la donna era attualmente affetta da un disturbo nEurocognitivo maggiore dovuto a malattia vascolare oltre che da un disturbo bipolare e vari disturbi atipici, mentre, all'epoca dei fatti la stessa presentava già il disturbo bipolare mentre il decadimento nEurocognitivo era allo stadio iniziale.
Tale quadro clinico costituiva, anche all'epoca dei fatti, un'infermità rilevante sul piano medico legale, dato che i disturbi nEurocognitivi, seppur in fase iniziale, erano in grado di incidere significativamente sulle facoltà di discernimento e determinazione, nonché sulla capacità decisionale e sulla autonomia gestionale.
La Corte di appello riteneva, altresì, che tale condizione non potesse essere non notata da chi aveva consuetudine e frequentazione con la stessa (pag. 23 della sentenza impugnata).
In sintesi: la Corte d'appello effettuava una valutazione attenta della analisi peritale che sulla base delle acquisizioni scientifiche in ordine alla ordinari ingravescenza dei disturbi nEuro-cognitivi e confermando la decisione del Tribunale riteneva che all'epoca dei fatti fosse conclamata e, dunque, riconoscibile la vulnerabilità della persona offesa.
Le argomentazioni difensive volte a ritenere che la stipula da parte della L. di atti finanziari ed economici fosse, invece, indicativa della sua capacità di autogestione non venivano considerate idonee ad incidere sulla valutazione di sussistenza dello stato di vulnerabilità: la Corte di merito, con valutazione priva di fratture logiche e coerente con le prove raccolte, riteneva che tali attività, lungi dall'essere manifestazione di autonoma e libera capacità di autodeterminazione indicavano piuttosto la dipendenza di L.S. da R., non solo per l'utilizzo e la gestione degli strumenti informatici, ma anche per il governo delle ordinarie incombenze di vita, tenuto conto delle difficoltà che la stessa aveva a gestire in autonomia qualunque imprevisto, compreso un semplice tamponamento.
La Corte riteneva, con motivazione logica e persuasiva, che la ripetuta - e quasi ossessiva - richiesta di assistenza a R. di L.S., contraddiceva sia la dedotta autonomia gestionale della vittima sia la non riconoscibilità dello stato di vulnerabilità da parte di R. (pag. 27 della sentenza impugnata).
La motivazione, anche in questo caso, non si presta ad alcuna censura in questa sede
2. L'ultimo motivo è inammissibile in quanto dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, con insanabile frattura della catena devolutiva e violazione dell'art. 606, c.p.p., comma 3.
3.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. Condanna inoltre il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentata e difesa sostenute dalle parti civili L.S. e C.F. che - tenuto conto dei parametri di legge - liquida in complessivi Euro 4000/00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentata e difesa sostenute dalle parti civili L.S. e C.F., che liquida in complessivi Euro 4000/00, oltre accessori di legge.
in caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2023
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