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Dichiarazione infedele: omessa dichiarazione di somme all'estero non configura reato ex art. 4 D.Lgs. 74/2000

Dichiarazione infedele (Art. 4)

Cassazione penale sez. VI, 04/05/2021, n.19849

Non integra il reato di dichiarazione infedele l'omessa dichiarazione di mere somme di denaro detenute all'estero, riguardando la disposizione dell'art. 4 d.lg. n. 74 del 2000 esclusivamente la condotta di chi, al fine di evadere le imposte dei redditi o sul valore aggiunto, presenta una dichiarazione infedele relativa a quelle imposte, laddove le somme di denaro detenute da un contribuente italiano su conto corrente di una banca estera (così come uno strumento finanziario o un bene immobile) non sono di per sé sole parte del reddito imponibile del contribuente italiano, nel quale rientrano esclusivamente le rendite - "id est" gli interessi conseguiti da un investimento finanziario - che il bene detenuto all'estero dovesse eventualmente produrre. (Principio affermato in fattispecie di reato di riciclaggio).

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Dichiarazione infedele: omessa dichiarazione di somme all'estero non configura reato ex art. 4 D.Lgs. 74/2000

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Dichiarazione infedele: reato istantaneo perfezionato con la dichiarazione annuale, irrilevante la comunicazione IVA

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze, decidendo in sede di rinvio dall'annullamento di cui alla sentenza di altra sezione di questa Corte di cassazione del 23 ottobre 2018, riformava parzialmente la pronuncia di primo grado nei confronti di D.S.G. - dichiarando l'estinzione per prescrizione del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 81, comma 2, art. 5, ascrittogli al capo d'imputazione A); riconoscendo, con riferimento al reato del capo E), l'attenuante di cui all'art. 648-bis c.p., comma 3, con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante riconosciuta; e rideterminando la pena finale inflitta, con revoca o sostituzione di pene accessorie - e confermava nel resto la medesima pronuncia del 28 ottobre 2015 con la quale il Tribunale di Firenze aveva condannato: - D.S.G. (oltre che per i reati dei capi C) e D), per i quali l'affermazione della penale responsabilità era già divenuta definitiva) in relazione al reato di cui all'art. 648-bis c.p., commi 1 e 2, per avere, senza concorrere nel reato fiscale di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 e in altri reati fiscali commessi da M.R.R. il (OMISSIS), trasferito il denaro proveniente da quei delitti, già custodito su due conti correnti accesi presso una filiale di una banca svizzera, per l'importo complessivo di 613.833,37 Euro, sul conto corrente acceso presso la banca Credito Sanmarinese intestato alla società inglese Fininvest Management & Co. Ltd., di cui egli D.S. era amministratore unico, e poi su altro conto acceso presso il medesimo Credito Sanmarinese intestato al M. e alla moglie di questo, F.A.A.: così compiendo operazioni tese ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, con l'aggravante di aver commesso il fatto nell'esercizio di attività professionale di esercente di attività finanziarie, iscritto dal 7 novembre 2005 presso l'elenco degli agenti di attività finanziaria delle persone fisiche di cui al D.Lgs. n. 374 del 1999 (capo d'imputazione E); - D.S.S. in relazione al reato di all'art. 648-bis c.p., per avere, senza aver concorso con il fratello D.S.G. nei reati fiscali a questi addebitati nei capi A), B), C), D), E), F) e G) (trascritti nella rubrica della decisione gravata), compiuto attività finalizzate ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro proveniente da quei delitti, il (OMISSIS) costituendo con D.S.G. la società Montecristi & Co. s.r.l., sottoscrivendone il 5% del capitale sociale e assumendone la carica di amministratore unico (società che il 18 settembre 2007 aveva acquistato il 100% delle quote della Tenuta di Casole s.r.l., proprietaria del complesso immobiliare denominato (OMISSIS) per un valore registrato di 1.700.000 di Euro e un prezzo reale di 2.300.000 di Euro, società poi fusa per incorporazione nella Montecristi & Co.); accendendo, per saldare l'acquisto dell'immobile, un mutuo ipotecario di 1.350.000 di Euro, le cui rate venivano poi pagate dalla Montecristi & Co. con denaro bonificato sul conto corrente sociale dalla Fininvest Managment & Co. Ltd., amministrata da D.S.G., o da altri conti di quest'ultimo, con denaro provento dei suddetti reati fiscali, di riciclaggio e di truffa commessi dal medesimo D.S.G.; così concorrendo a sostituire in proprietà immobiliare il denaro proveniente da quei delitti, corrisposto da D.S.G. in 900.000 Euro al momento dell'acquisto e successivamente con il pagamento dei ratei semestrali di mutuo, in tal modo ostacolando l'identificazione della provenienza delittuosa. La Corte territoriale confermava, altresì, la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata disposta nei confronti di D.S.G. la confisca per equivalente dell'importo di 102.335,00 Euro in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, ascrittogli al capo d'imputazione A) - dichiarato estinto per prescrizione dai giudici di secondo grado - per avere, quale titolare della impresa individuale D.S. Professional Advisory, al fine di evadere le imposte sui redditi, omesso di presentare al 30 dicembre 2009 la dichiarazione annuale dei redditi per il periodo d'imposta 2008, con evasione di imposta pari all'importo innanzi indicato. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso D.S.G., con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto i seguenti quattro motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, per avere la Corte distrettuale confermato la pronuncia di condanna di primo grado ritenendo integrati gli estremi del delitto di dichiarazione infedele come reato presupposto del riciclaggio contestato al capo E): ciò in assenza di prova che la somma di 632.595,00 Euro, presenti su un conto corrente di una banca estera intestato al M. e alla di lui moglie, fosse un reddito prodotto nell'anno di imposta 2003 e non fosse, invece, stata accumulata negli oltre vent'anni precedenti (peraltro generate da attività che non é dimostrato fossero state illecite), come sostenuto dai due coniugi; nonché per l'erronea applicazione della disciplina tributaria, posto che l'omessa compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi aveva rilevanza esclusivamente fiscale e non penale, perché rilevante ai fini della liquidazione, in misura fissa o in misura percentuale, di imposte diverse da quella sui redditi o sul valore aggiunto, riguardando l'imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all'estero (IVAFE). 2.2. Violazione di legge, per avere la Corte di appello disatteso il principio generale dell'onere della prova gravante a carico dell'accusa, avendo sostenuto che il M. aveva commesso nel 2003 il reato di dichiarazione dei redditi infedele per non avere lo stesso e la di lui moglie mai prodotto alcun documento attestante la presenza in Svizzera di quella somma di denaro in epoca precedente al 2003: nonostante non sia stato affatto dimostrato se quella somma fosse stata accumulata in un'unica soluzione o in più anni, semmai in epoca precedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4; e trascurando che il D.S. non avrebbe in ogni caso fornire la dimostrazione dell'epoca dell'acquisizione della disponibilità di quella somma di denaro, circostanza comprovabile esclusivamente con documenti che solo il M. avrebbe potuto consegnare all'imputato. 2.3. Violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 25, e D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 4, comma 1, lett. f), convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, per avere la Corte di merito disatteso la richiesta difensiva di esclusione di una responsabilità penale del D.S., dato che la presunta condotta illecita indicata come presupposto del riciclaggio risalirebbe agli anni Novanta, quando non era ancora entrata in vigore il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 e vigeva il citato D.L. n. 429 del 1982, art. 4, comma 1, lett. f), successivamente abrogato senza che vi sia alcuna continuità normativa tra le due fattispecie criminose; non essendo neppure stato dimostrato il superamento delle soglie di punibilità previste per il delitto disciplinato dalla disciplina cronologicamente successiva. 2.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 533 c.p.p., per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado in presenza di una situazione di incertezza probatoria, inidonea a superale un "ragionevole dubbio", che avrebbe imposto l'assoluzione dell'imputato. 3. Contro la medesima sentenza ha presentato ricorso anche D.S.S., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, con tre distinti punti, ha dedotto i seguenti motivi. 3.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 648-bis c.p., e vizio di motivazione (prima parte del primo punto e terzo punto dell'atto di impugnazione), per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna di primo grado nei confronti di D.S.S. in relazione al reato allo stesso ascritto al capo H), sostanzialmente riproponendo le medesime argomentazioni, già contenute nella sentenza di secondo grado annullata dalla Cassazione, basate su meri sospetti; valorizzando dati di equivoca valenza dimostrativa, senza fornire alcuna prova concreta della consapevolezza del prevenuto (neppure nella forma del dolo eventuale) della provenienza delittuosa del denaro impiegato dal fratello G. e del fatto di avere, con la sua condotta, ostacolato l'accertamento di quella provenienza con il compimento di una complessa operazione per iniziativa del solo germano, del quale si era fidato: "affare di famiglia" i cui esatti contorni egli non conosceva ovvero in ordine ai quali potrebbe essere stato indotto in errore, essendosi egli S. limitato ad investire 5.000 Euro acquistando il 5% del capitale sociale della Montecristi & Co. s.r.l., ad assumere la carica di amministratore unico della Tenuta di Casole s.r.l. ed avere effettuato un bonifico di 50.000 Euro, acquisite con la accensione di un mutuo, in favore della prima di tali società. 3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione (seconda parte del primo punto dell'atto di impugnazione), per avere la Corte distrettuale errato nel negare all'imputato le attenuanti generiche "per la rilevanza della sua partecipazione" e nel determinare la pena per il reato del capo H) discostandosi ai minimi edittali pur ammettendo "il minor coinvolgimento" del prevenuto "nella organizzazione dell'operazione di riciclaggio" 3.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 648-bis c.p. (secondo punto dell'atto di impugnazione), per avere la Corte territoriale erroneamente confermato la condanna dell'imputato in assenza di prova circa gli elementi costitutivi oggettivi del delitto di riciclaggio, non potendo essere qualificate le condotte tenute da D.S.S. (che non ha mai soggiornato presso la Tenuta di Casole né si é mai concretamente occupato della gestione di quella società) in termini di sostituzione, trasferimento o compimento di altre operazioni volte ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di D.S.G. vada accolto. 1.1. Il primo motivo del ricorso é fondato. D.S.G. é stato chiamato a rispondere del reato di riciclaggio contestatogli al capo E), per avere compiuto una serie di operazioni di trasferimento della somma di 613.833,37 Euro, già custoditi dai coniugi M.R.R. e F.A.A. su due conti correnti di una banca svizzera, spostata su un conto corrente di una banca sanmarinese intestato ad una società inglese da lui ( D.S.) amministrata, e poi ancora su un altro conto dello stesso istituto di credito sanmarinese intestato ai suoi clienti M. e F., allo scopo di ostacolare la provenienza di tale denaro dal reato fiscale di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, commesso dal M. con la presentazione della dichiarazione dei redditi infedele del 2003. Nel decidere in sede di rinvio dall'annullamento pronunciato da altra sezione di questa Corte di cassazione - che aveva evidenziato come non fosse stata raggiunta la prova della sussistenza del delitto presupposto del riciclaggio, e cioé del reato previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, dovendo essere dimostrata l'omessa dichiarazione dei redditi e l'evasione dell'imposta relativamente all'anno in contestazione: ciò anche "a fronte delle dichiarazioni di M. secondo le quali le somme erano detenute in Svizzera da oltre venti anni" - la Corte di appello di Firenze ha ritenuto che la prova della esistenza di quel reato presupposto fosse stata fornita dalla documentazione contabile acquisita, che aveva permesso di accertare che nel 2003 il M. disponeva di quella ingente somma su conti correnti bancari svizzeri e che lo stesso aveva omesso di indicare nella propria dichiarazione dei redditi del 2003 quell'importo, non avendo egli compilato il quadro RW della dichiarazione dei redditi riservato ai redditi prodotti all'estero: reddito sul quale avrebbe dovuto pagare le imposte in Italia, perché relativo ad una somma mai sottoposta a tassazione negli anni precedenti che, perciò, doveva considerarsi integralmente tassabile nell'anno in cui ne era stata accertata l'esistenza. Anche a voler prescindere da ogni considerazione sulla discutibile tenuta di una motivazione che fa leva sull'affermazione secondo cui l'odierno ricorrente D.S.G. avrebbe dovuto produrre documentazione attestante l'esistenza di quella somma in Svizzera in epoca precedente al 2003, risulta giuridicamente errato il presupposto del percorso argomentativo privilegiato dai giudici di merito. La materia é disciplinata dal D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227, che, nel regolare la rilevazione a fini fiscali di trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli e valori, prevede una serie di obblighi dichiarativi a carico dei contribuenti italiani con finalità di "monitoraggio fiscale", allo scopo di controllare che, attraverso transazioni finanziarie da e per l'estero, soggetti tenuti al pagamento delle tasse in Italia possano sottrarre proprie ricchezze al controllo erariale. A tal fine é stato previsto che chi sia tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, deve compilare il quadro RW segnalando i movimenti e l'ammontare delle ricchezze detenute all'estero. Ciò che conta in questa sede evidenziare é come tale disciplina - in seguito modificata da vari provvedimenti legislativi e, in gran parte, riscritta dalla L. 6 agosto 2013, n. 97 (con variazioni che qui non rilevano perché successive ai fatti di causa) - complementare a norme con le quali si é ritenuto, con misure straordinarie, di consentire forme di voluntary disclosure per il rientro in Italia di risorse finanziarie detenute all'estero in violazione di quelle nome sul monitoraggio fiscale, non prevede un apparato sanzionatorio penale in caso di violazione dell'obbligo dichiarativo. E ciò per la constatazione che l'adempimento di questo obbligo é finalizzato ad imporre il pagamento di una specifica imposta (l'IVAFE, imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero, o l'IVIE, imposta sul valore degli immobili detenuto all'estero: imposte, peraltro, introdotte solo con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214) calcolata in misura fissa o con coefficienti percentuali (variabili nel tempo dall'1 al 2% del valore dei beni finanziari posseduti, e dallo 0,4% allo 0,76% della rendita immobiliare); per il mancato adempimento di quell'obbligo dichiarativo sono previste esclusivamente sanzioni pecuniarie di natura ammnistrativa ovvero, in casi speciali, misure di confisca per equivalente sempre di natura amministrativa (L. n. 167 del 1990, art. 5, e succ. modifiche), alle quali si sono affiancate, ma solo a partire dal 2014, ulteriori sanzioni pecuniarie amministrative per il mancato pagamento delle imposte IVAFE e IVIE. Né può sostenersi che in siffatte situazioni resti applicabile il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, in quanto integra gli estremi del reato previsto da tale articolo esclusivamente la condotta di chi, al fine di evadere le imposte dei redditi o sul valore aggiunto, presenta una dichiarazione infedele relativa a quelle imposte: la somma di denaro detenuta da un contribuente italiano su un conto corrente di una banca estera (così come uno strumento finanziario o un bene immobile) non é considerata, di per sé sola, parte del reddito imponibile del contribuente italiano, restando tassabili in Italia alle condizioni prescritte dalla legge, esclusivamente le rendite - come gli interessi conseguiti da un investimento finanziario o le rendite immobiliari - che il bene detenuto all'estero dovesse eventualmente produrre; rendite che, peraltro, vanno dichiarate in quadri della dichiarazione dei redditi diversi dal quadro RW. E', quindi, giuridicamente non corretta l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l'importo detenuto dal M. in Svizzera nel 2003 fosse integralmente (e automaticamente) tassabile ai fini dell'imposta sui redditi per quell'anno; e che, perciò, essendo state superate le soglie di punibilità previste dal citato art. 4, fossero presenti gli elementi costitutivi del delitto presupposto del riciclaggio. Che le somme detenute dal M. in Svizzera e poi trasferite a San Marino fossero il provento di evasione fiscale, lo dimostra il fatto che - come precisato nella motivazione della sentenza di primo grado - il predetto riuscì a far rientrare in Italia quel denaro beneficiando della normativa sullo "scudo fiscale" di cui alla L. 24 dicembre 2002, n. 284, art. 8. Ma nell'impossibilità di riferire l'importo ad uno o più specifici anni di imposta, dunque il superamento delle soglie di punibilità, manca la prova precisa della esistenza del delitto presupposto necessario per la configurabilità del reato di cui all'art. 648-bis c.p. addebitato all'odierno ricorrente. 1.2. La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio con riferimento al reato del capo E), dal quale D.S.G. deve essere mandato assolto con la formula del perché il fatto non sussiste, non essendovi in atti elementi fattuali che possano giustificare una diversa e alternativa valutazione da parte dei giudici di rinvio. La riconosciuta fondatezza del primo motivo assorbe l'esame dei restanti motivi del ricorso. Va disposto il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze esclusivamente per rideterminare la pena da irrogare a D.S.G. in relazione agli altri reati dei capi C) e D), per i quali é divenuta definitiva l'affermazione della sua penale responsabilità. 2. Il ricorso presentato nell'interesse di D.S.S. é inammissibile. 2.1. I motivi del ricorso riportati nella prima parte del primo punto e nel terzo punto dell'atto di impugnazione - strettamente connessi tra loro e, dunque, esaminabili congiuntamente - non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivi della sua impugnazione, asserite violazioni di legge ovvero vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né ha indicato alcuna reale incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento. Il ricorrente, in verità, ha finito per criticare il significato che la Corte di appello di Firenze aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante la fase delle indagini e nel corso del giudizio di primo grado. In pratica l'impugnazione lungi dal proporre un effettivo travisamento delle prove, vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, é stata proposta per provare a sostenere una ipotesi di travisamento dei fatti oggetto di analisi, dunque per sollecitare un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale probatorio, con una spiegazione del loro significato dimostrativo alternativo a quello privilegiato dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente. Operazione, questa, che non é consentito fare nel giudizio di legittimità. La Corte di appello ha spiegato, con un apparato motivazionale nel quale non é riconoscibile alcuna manifesta illogicità, come la responsabilità dell'imputato in relazione al delitto ascrittogli, anche sotto l'aspetto soggettivo, fosse desumibile sulla base di una serie di gravi, precisi e concordanti indizi sintomatici della consapevolezza del predetto a contribuire in maniera determinante nella operazione orchestrata dal fratello D.S.G. per "ripulire" denaro di provenienza delittuosa, coinvolgendolo nell'acquisto di un immobile di considerevole valore, impedendo il collegamento tra l'acquisizione della proprietà del bene e le somme impiegate per realizzare tale risultato. Con stringente e persuasivo tracciato motivazionale, i giudici di merito hanno sottolineato come l'operazione che avrebbe dovuto consentire a D.S.G. di impiegare il denaro provento della commissione di reati fiscali e contro il patrimonio nell'acquisto della Tenuta di Casole, che egli aveva già destinato a propria dimora, ostacolando il collegamento tra quelle risorse e l'acquisizione dell'immobile, fosse passata attraverso la consapevole partecipazione del ricorrente alla costituzione di una società che aveva acquisito le quote di altra società, formalmente da lui amministrata, proprietaria dell'immobile: D.S.S. che, per permettere la realizzazione di tale proposito criminoso, accettò di acquistare una minima parte delle quote della prima società, in gran parte intestate invece, al germano; di assumere la carica di amministratore unico della seconda società; e di accendere a proprio nome un mutuo ipotecario per saldare l'acquisto dell'immobile. La prova della consapevolezza di D.S.S., quanto meno in termini dolo eventuale, della provenienza illecita delle ingenti risorse finanziarie che il fratello avrebbe impegnato in quella operazione immobiliare, dunque della funzione di "ripulitura" del denaro che l'acquisto avrebbe dovuto assolvere, é stata desunta in via logica dal fatto che D.S.G., pur essendo l'unico soggetto realmente interessato ad acquistare la proprietà di quella tenuta toscana che già aveva destinato a propria esclusiva dimora, non aveva voluto far risultare la propria persona come parte dei vari atti di acquisto; dalla circostanza che D.S.S., già residente in un comune calabrese, dove svolgeva l'attività di commerciante con ridotte capacità economiche e reddituali, ebbe a gravarsi personalmente dell'amministrazione di una società della quale si sarebbe poi del tutto disinteressato, perché riguardante l'acquisto di immobile da lui mai utilizzato; nonché dal fatto che lo stesso D.S.S., mera testa di legno, accettò di farsi carico solo formalmente degli oneri finanziari di tale operazione, tenuto conto che la gran parte del prezzo per acquisire la tenuta venne sostanzialmente pagata dal fratello G., titolare della quasi totalità delle quote della società divenuta proprietaria dell'immobile; e che i ratei semestrali dovuti alla banca per la somma formalmente ricevuta da S. in prestito per poter saldare il pagamento del prezzo della tenuta, vennero poi sistematicamente pagati da G. con bonifici effettuati da conti bancari a lui direttamente o indirettamente facenti capo. 2.2. I motivi dedotti nella seconda parte del primo punto dell'atto di impugnazione, riguardanti il trattamento sanzionatorio e perciò valutabili in quanto assorbiti dal precedente annullamento con rinvio emesso da questa Corte di cassazione, sono manifestamente infondati. Resta, infatti, esente da qualsivoglia censura di contraddittorietà la motivazione adottata dai giudici di rinvio che, nel disattendere le sollecitazioni difensive sul punto, hanno convincentemente spiegato di non poter riconoscere all'imputato le richieste circostanze attenuanti generiche, non solamente in ragione del contributo dato dal prevenuto alla commissione del reato, ma anche in considerazione del comportamento processuale scarsamente collaborativo e della oggettiva gravità dei danni causati dall'illecito per l'entità dell'importo riciclato. D'altro canto, la Corte territoriale ha chiarito come la pena irrogata a D.S.S. fosse stata fissata in misura prossima ai minimi edittali in ragione del diverso ruolo avuto dal predetto nella vicenda rispetto a quella del fratello coimputato. 2.3. I motivi dedotti nel secondo motivo del ricorso sono inammissibili perché estranei al thema decidendum rimesso al giudice di rinvio a seguito della pronuncia di annullamento adottata da altra sezione di questa Corte di cassazione. 2.4. Segue la condanna di D.S.S. al pagamento delle spese del procedimento e a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. 2.5. Nessuna decisione va adottata sulle richieste formulate dal difensore della parte civile M.L., in quanto costituitasi in relazione alla sola imputazione del capo G) che non h costituito oggetto dell'impugnazione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di D.S.G. limitatamente al capo E), perché il fatto non sussiste, e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per la rideterminazione della pena per le residue imputazioni di cui ai capi C) e D). Dichiara inammissibile il ricorso di D.S.S. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 4 maggio 2021. Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021
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