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Responsabilità penale per dichiarazione infedele: La delegabilità formale e i limiti dell'affidamento a professionisti

Dichiarazione infedele (Art. 4)

Cassazione penale sez. III, 14/10/2024, (ud. 14/10/2024, dep. 22/11/2024), n.42822

In tema di reati tributari, l'affidamento ad un professionista per la predisposizione e presentazione della dichiarazione dei redditi non esonera il legale rappresentante di una società dalla responsabilità penale, salvo la presenza di una delega formale e preventiva. Il dovere di presentare dichiarazioni corrette è personale e indelegabile, sebbene la trasmissione telematica dell'atto sia delegabile.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. È impugnata la sentenza emessa il 23 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Messina che, su appello del Procuratore generale ed in riforma della pronuncia del 26 ottobre 2021 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto di proscioglimento da tutti i reati perché estinti per prescrizione, ha assolto Be.Or., nella sua qualità di amministratore unico e rappresentante legale della omonima società a responsabilità limitata, dal reato di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000, relativo alla dichiarazione del 2012 e lo ha dichiarato responsabile del menzionato delitto, per aver indicato, nella dichiarazione del 2011 inerente le imposti sui redditi e sul valore aggiunto ed al fine di evaderle, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, e specificatamente, a fronte della contestazione di Euro 1.814.747,82 corrispondente ad elementi positivi di reddito non dichiarati, con una imposta diretta evasa pari ad Euro 499.055,65 ed iva pari ad Euro 366.853,25, lo ha condannato, limitatamente all'evasione delle imposte dirette per Euro 227.059,59 e dell'IVA per Euro 165.334,24, alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese nei due gradi di giudizio, alle pene accessorie di cui all'art. 12, comma 1, lett. a), b) e c) D.Lgs. n. 74 del 2000 per la durata minima ivi prevista, nonché alla interdizione in perpetuo dall'ufficio di commissione tributaria, concedendo all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione e disponendo la confisca per equivalente fino al valore corrispondente alle imposte evase. 2. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, affidandosi a tre motivi. 2.1 Con il primo motivo deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione agli artt. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000, 17 D.P.R. n. 633 del 1972 e 3, comma 4, L. n. 7 del 2000. Si rileva l'errar in procedendo in cui è incorsa la Corte d'Appello di Messina nell'aver ritenuto non applicabile al caso di specie il disposto di cui all'art. 17 D.P.R. n. 633 del 1972 (il ed. reverse charge) alla luce dell'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, da cui emergerebbe che l'imputato non aveva i requisiti soggettivi richiesti per l'applicazione del suddetto regime fiscale, ed era di conseguenza soggetto al regime del margine e quindi tenuto a versare l'IVA. Si produce a tal fine l'interpretazione dell'art. 17 D.P.R. n. 633 del 1972 fornita dall'Agenzia delle Entrate, a seguito di una consulenza giuridica chiesta dalla Federazione Nazionale delle Imprese Orafe Gioielliere Argent, secondo cui il meccanismo del reverse charge è applicabile nell'ipotesi in cui la rivendita di beni d'oro usati è finalizzata al processo industriale di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso ivi contenuto. Si deduce che i giudici territoriali non hanno fornito una adeguata motivazione sul punto, facendo un generico riferimento alla mancanza dei requisiti, senza vagliare la documentazione prodotta dalla difesa, tra cui anche le fatture di vendita dell'oro e le dichiarazioni delle fonderie, nonché le prove assunte (in particolare la consulenza redatta dal dott. Mu.Fe., che si occupava della contabilità della società) da cui emergeva che la società aveva tutti i requisiti per applicare il regime del reverse charge, che, a dire della difesa, era proprio imposto per l'attività svolta dall'imputato. Sotto questo profilo la motivazione sarebbe da ritenersi mancante. 2.2. Con il secondo motivo, la difesa si duole del vizio di motivazione in relazione alla quantificazione ed al calcolo della ritenuta evasione sia delle imposte dirette che dell'IVA in riferimento all'anno 2011, avendo la Corte territoriale detratto dall'intero importo la somma di Euro 989.076,59 per prelevamenti non giustificati senza enucleare il percorso logico argomentativo che giustifica il calcolo e senza tener conto della consulenza del dott. Mu.Fe. 2.3 Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento al ritenuto elemento psicologico del reato. Si osserva che la società, oltre ad essere iscritta alla Banca d'Italia, aveva tre revisori contabili oltre al dott. Mu.Fe. che ne curava la contabilità e proprio quest'ultimo ha sottolineato che il regime applicabile alla società era quello del reverse charge. 3. Con requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per i motivi evidenziati dalla difesa. 4. Il difensore dell'imputato ha depositato memoria con la quale ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esplicitate. 1.1. Con il primo motivo la parte deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine al regime del reverse charge che la Corte di appello ha ritenuto non applicabile alla omonima società di oreficeria dell'imputato, senza prendere in considerazione la deposizione sul punto resa dal contabile della società; si osserva che alla omonima società di cui l'imputato è il legale rappresentate si applica tale regime, anziché quello del margine, come emerge da un parere richiesto dalle associazioni di categoria all'Agenzia delle entrate. 1.2. La doglianza è inammissibile in quanto la parte non si confronta con le valutazioni, fondate su dati obiettivi e logicamente argomentate, svolte dalla Corte di appello che ha escluso l'applicabilità del regime fiscale agevolato alla luce di quanto testualmente contenuto negli avvisi di accertamento notificati alla società, che non solo la difesa non commenta, ma su cui non si confronta, nonostante negli stessi sia esplicito il riferimento al fatto che la società non disponeva né dei requisiti soggettivi né dei requisiti oggettivi per il regime agevolato. 1.3 Va sul punto chiarito che il regime dell'inversione contabile di cui all'art. 17, comma 5, D.P.R. n. 633 del 1972, allorché prevede, in deroga a quanto previsto dal comma 1, che le cessioni imponibili abbiano ad oggetto oro da investimento oppure materiale d'oro oppure prodotti semilavorati di una ben determinata purezza, postula che il metallo ceduto si caratterizzi per il suo "tenore" e sia destinato non all'immediato consumo, ma alla sua trasformazione in un altro oggetto che avvii un nuovo ciclo economico: in altri termini, ai fini dell'applicabilità del predetto regime, in luogo di quello diverso del margine concernente il commercio degli oggetti di occasione, è sufficiente che si tratti di prodotti non immediatamente destinati al consumo, che rispondano ai requisiti di purezza stabiliti dalla norma (in questo senso Cass. Civ, Sez. 5, ordinanza n. 18326 del 30/04/2024 che richiama Cass. civ, Sez. 5, ordinanza n. 11927 del 06/05/2021, Rv. 661259-01; conf. Cass. Civ, Sez. 5, ordinanza n. 26760 del 12/09/2022, Rv. 665853 -01; Cass. civ, Sez. 5, ordinanza n. 11106 del 06/04/2022, Rv. 664286 -01; nonché Cass. Civ. n. 19906, n. 19907, n. 19908, 19909 del 2022; Cass. Civ. n. 1787 e n. 1837 del 2024). 1.4. Nel caso in esame i giudici territoriali hanno valorizzato, per escludere l'applicazione del regime del reverse charge quanto riportato - e non contestato -negli avvisi di accertamento inviati alla società di cui l'imputato è il legale rappresentante, ed acquisiti agli atti, nei quali si evidenzia sia la mancanza dei requisiti soggettivi necessari per cedere rottami auriferi ad aziende specializzate nel recupero dei metalli preziosi; sia la mancanza dei requisiti oggettivi in ordine alla cessione di oggetti d'oro integri, precedentemente acquistati da privati, in quanto gioielli usati aventi le caratteristiche di "oggetti finiti", che non possono essere destinati alla fusione, alla trasformazione o che comunque erano destinati o destinabili al consumatore finale. Gli elementi che hanno portato i giudici territoriali a ritenere non applicabile il regime fiscale che la parte invoca costituiscono, in conclusione, oggetto di una verifica di fatto, condotta dai giudici territoriali sul materiale probatorio acquisito, sul quale la parte ricorrente omette del tutto di confrontarsi e ciò rende del tutto inammissibile il motivo di ricorso sul punto. 2. Quanto al secondo motivo di censura, con il quale la parte deduce vizio di motivazione per non aver la Corte spiegato il percorso logico seguito nel ridurre l'ammontare delle imposte dirette e dell'IVA, lo stesso deve parimenti ritenersi inammissibile, in considerazione del fatto che la parte non indica le ragioni per quali si duole di una valutazione che comunque è a lei più favorevole, né argomenta in alcun modo sulla decisività della valutazione operata, né offre elementi di confutazione rispetto a quanto ritenuto dai giudici territoriali. 3. Inammissibile è anche l'ultimo motivo di doglianza, inerente alla mancanza di dolo da parte del ricorrente, che si era affidato a tre professionisti, revisori contabili, oltre che ad un addetto alla contabilità per la predisposizione della dichiarazione e per la gestione della contabilità. 3.1 Ritiene questa Corte che sia ancora attuale il principio espresso in una risalente pronuncia, secondo cui, in tema di reati tributari, il mero incarico ad un dipendente della società di occuparsi della contabilità non equivale a quella delega ufficiale e preventiva che sola può scagionare l'amministratore della società stessa, (Sez. 3, n. 7209 del 07/06/1991, Pisano, Rv. 188177-01), e tale principio va letto in uno a quello espresso con riferimento al caso specifico del delitto di omessa dichiarazione, ma estensibile, per identità di ratio, anche al reato di cui all'art. 4 D.Lgs., n. 74 del 2000, in base al quale l'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione in quanto la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l'inoltro telematico dell'atto (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421-01). In applicazione dei principi esposti, l'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre (e presentare) la dichiarazione annuale dei redditi non esonera, in mancanza di deleghe, dalla responsabilità penale per il delitto di dichiarazione infedele il soggetto tenuto alla sua predisposizione e presentazione, che, nel caso di specie, è appunto l'imputato, rivestendo questi la veste di legale rappresentante della società e l'amministratore unico della stessa. 4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere per il ricorrente del pagamento delle spese del procedimento nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall'art. 1, comma 64, L. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all'art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Cosi deciso i Roma, il 14 ottobre 2024. Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2024.
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