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Dichiarazione infedele: configurabile per omissione di quadri essenziali ai fini del reddito imponibile

Dichiarazione infedele (Art. 4)

Cassazione penale sez. III, 17/01/2023, n.18532

Integra il delitto di dichiarazione infedele la presentazione di una dichiarazione dei redditi in cui siano stati lasciati in bianco quadri nei quali avrebbero dovuto essere indicate voci essenziali per la determinazione del reddito complessivo imponibile e degli importi conseguentemente dovuti a titolo di imposta, essendo l'omessa compilazione assimilabile a una dichiarazione negativa. (Fattispecie relativa a imputato che aveva omesso la presentazione della dichiarazione IVA e che, nel modello unico delle persone fisiche, non aveva compilato il quadro relativo alla medesima imposta, così rappresentando, in difformità dal dato reale, di non aver prodotto reddito imponibile ai fini dell'imposta sul valore aggiunto).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20 settembre 2021, il Tribunale di Brescia, all'esito di rito abbreviato, assolveva M.G., perché il fatto non sussiste, dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, che era stato a lui contestato perché, quale titolare dell'omonima ditta individuale, indicava nella dichiarazione relativa all'iva per l'anno di imposta 2012 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, per un importo complessivo pari a Euro 1.036.7111, con iva evasa pari a 217.709 Euro; fatto asseritamente commesso in Concesio il 23 dicembre 2013. Con sentenza del 19 maggio 2022, la Corte di appello di Brescia, in riforma della decisione di primo grado, appellata dal Procuratore generale, dichiarava M. colpevole del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di anni 2 di reclusione, applicandogli le pene accessorie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 e ordinando la confisca dei beni immobili e mobili nella disponibilità dell'imputato, sino alla concorrenza della somma di 217.709 Euro. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, M., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi. Con il primo, la difesa censura la formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato, sottolineando che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 contiene una doppia soglia di punibilità, che circoscrive la punibilità solo alle ipotesi più gravi di dichiarazioni infedeli; ora, mentre il Tribunale ha correttamente ritenuto non provata la soglia di punibilità cd. proporzionale, prevista dall'art. 4 lett. b, la sentenza impugnata è andata di contrario avviso, senza motivare adeguatamente le ragioni della diversa determinazione e, soprattutto, senza considerare che, nel caso di specie, la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2012 non risulta essere stata "compilata a zero", ma è stata presentata del tutto priva di compilazione in ogni suo campo-numerico. Ciò comporta che, nel caso di specie, difetta il secondo termine di paragone, specificato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 lett. b, cui occorre fare riferimento al fine di verificare il superamento del limite del 10%, ovvero gli elementi indicati in dichiarazione; ora, l'interpretazione letterale del lemma "elementi attivi indicati" non può estendersi sino a ricomprendere i casi in cui non vi sia stata indicazione di alcun elemento attivo nella dichiarazione dei redditi presentata. La Corte di appello avrebbe inoltre eluso l'onere di motivazione rinforzata richiesto in caso di riforma di un verdetto assolutorio, senza specificare se M. aveva compilato parti della dichiarazione e senza spiegare perché la dizione "elementi attivi indicati in dichiarazione" possa essere interpretata sino a comprendere il caso in cui non risulti indicato alcun elemento attivo. Di qui la richiesta di annullare la sentenza impugnata o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, o perché il fatto non sussiste, ove si intenda il mancato superamento della soglia di punibilità ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 lett. b) come elemento essenziale della fattispecie. Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, rilevandosi che il fatto per cui vi è stata condanna è diverso da quello indicato nel capo di imputazione, dovendosi ritenere che l'invio di una dichiarazione completamente in bianco, unitamente alla mancata presentazione della comunicazione annuale dei dati Iva, possa essere maggiormente assimilata alla fattispecie di cui all'art. 5, che ha natura omissiva, che a quella di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, avente natura commissiva, posto che quando il contribuente trasmette una dichiarazione dei redditi priva totalmente delle indicazioni numeriche necessarie per la quantificazione della base imponibile cui fare riferimento per la determinazione dei tributi, la stessa risulta inidonea a ledere il bene giuridico protetto dall'art. 4, ovvero la trasparenza fiscale e l'interesse patrimoniale dell'Erario alla corretta percezione dei tributi. Con il terzo motivo, la difesa contesta il difetto di motivazione della sentenza impugnata rispetto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, costituito dal dolo specifico della finalità di evasione, non ravvisabile nel caso di specie, atteso che M. non si è mai interfacciato con l'Agenzia delle Entrate, non avendo mai fisicamente ritirato il piego raccomandato contenente l'avviso di accertamento spedito all'indirizzo di (Omissis), non potendo quindi spiegare le proprie ragioni dinanzi all'Amministrazione tributaria, avendo egli trasferito la residenza e il luogo di esercizio dell'attività in (Omissis), in Provincia di (Omissis). Con il quarto motivo, infine, oggetto di doglianza è l'applicazione della recidiva, sotto il profilo dell'inosservanza dell'art. 99 comma 4 c.p. e del vizio di motivazione, evidenziandosi che dal certificato del casellario giudiziale dell'imputato si evince l'esistenza di 4 condanne, la prima per un una fattispecie depenalizzata e tutte per fatti commessi tra il 1995 e il febbraio 2004, per cui, all'epoca dei fatti di causa, risalenti al 23 dicembre 2013, era da circa 10 anni che M. non si rendeva autore di reati, senza considerare, peraltro, che le precedenti fattispecie risultano disomogenee rispetto al delitto di dichiarazione infedele per cui si procede, fermo restando che in nessuna delle precedenti sentenze gli era stata contestata o riconosciuta la recidiva semplice, il che avrebbe impedito l'applicazione dell'aumento per la recidiva ex art. 99 comma 4 c.p. Peraltro, per la condanna sub 4, relativa a fatti commessi in epoca anteriore alla definitività della sentenza sub. 3, dovevano ritenersi estinti gli effetti penali, essendo trascorsi oltre cinque anni dalla sua irrevocabilità senza che venissero commessi altri reati della stessa indole. CONSIDERATO IN DIRITTO E' fondato unicamente il quarto motivo di ricorso sull'applicazione della recidiva, mentre nel resto il ricorso deve essere disatteso. 1. Iniziando dai primi tre motivi, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve evidenziarsi che l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato rispetto al reato a lui ascritto non presta il fianco alle censure difensive. Sul punto occorre premettere che, pur divergendo nelle rispettive conclusioni in punto di qualificazione giuridica del fatto, tuttavia sia il Tribunale che la Corte di appello sono partite dalla medesima ricostruzione della vicenda, del resto chiaramente delineata dalla comunicazione di notizia di reato acquisita nel rito abbreviato scelto dall'imputato. Da tale informativa è invero emerso che la società Com Steel s.p.a. aveva ricevuto fatture nel 2012 dalla ditta individuale Autotrasporti M.G., per un imponibile di 984.672 Euro e iva per 206.777 Euro. E' altresì emerso dalla verifica fiscale in esame che la ditta di M. nel 2012 non ha presentato: - la dichiarazione Iva e che nella dichiarazione dei redditi, modello unico persone fisiche, ha omesso l'indicazione dei dati relativi all'Iva, compilando la dichiarazione solo in relazione ai quadri NS, RG e VA; ulteriori controlli, eseguiti tramite spesometro, la cui attendibilità è stata riscontrata dall'incrocio tra i dati forniti e la documentazione prodotta dalle ditte Com.Steel e C. Autotrasporti, hanno poi consentito di accertare che l'impresa di M. ha avuto rapporti commerciali con altri soggetti, sicché è stato appurato che la ditta Autotrasporti M.G. ha emesso fatture per complessivi 1.036.711 Euro, con Iva pari a 217.593 Euro. A fronte di tali entrate e dell'Iva dovuta, l'imputato ha omesso l'indicazione relativa all'Iva nella sua dichiarazione dei redditi Modello Unico e non ha riportato gli imponibili derivanti dalle fatture emesse, senza fornire al riguardo alcuna giustificazione nel corso del procedimento penale. 1.1. Ciò posto, il Tribunale ha premesso che la fattispecie contestata richiede per la sua configurabilità il superamento di una doppia soglia di punibilità, una quantitativa, relativa all'imposta evasa di Euro 150.000 per taluna delle singole imposte e l'altra proporzionale, riferita all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, che deve essere superiore al 10% dell'ammontare degli elementi attivi indicati nella dichiarazione, o comunque superiore a tre milioni di Euro. Tanto chiarito, il primo giudice ha ritenuto che, quantomeno in relazione all'Iva dovuta (217.709 Euro), M. non solo non l'ha versata, ma non l'ha neppure riportata nella dichiarazione da lui redatta, risultando peraltro provato il superamento della soglia di rilevanza penale del fatto. Ad avviso del Tribunale, tuttavia, difettava nella vicenda in esame la prova del superamento della seconda soglia di rilevanza penale del fatto, ossia che gli elementi attivi omessi superassero del 10% il totale degli elementi attivi indicati nella dichiarazione, o che comunque fossero superiori a tre milioni di Euro, ciò in quanto "non si rinviene copia della dichiarazione dei redditi fatta o accenno agli importi indicati dal contribuente". 1.2. A conclusioni differenti è invece pervenuta la Corte di appello. Nell'accogliere l'impugnazione del Procuratore generale, infatti, i giudici di secondo grado, rilevato che la dichiarazione infedele era in atti, hanno evidenziato che, fermo restando il superamento della prima soglia, nel caso di specie doveva ritenersi integrata anche la seconda soglia di punibilità, posto che negli atti relativi all'attività di accertamento (all. 6, pag. 140 ss.), era riportato il reddito imponibile, pari a zero, risultando altresì provata la mancata compilazione della dichiarazione nelle sue parti essenziali, tra cui quella relativa all'Iva: dunque, mancando nella dichiarazione pur formalmente inoltrata l'indicazione di elementi attivi, doveva ritenersi certamente superata anche la soglia di punibilità ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 lett. b. 1.3. Orbene, l'impostazione seguita dalla Corte di appello appare immune da censure. Deve premettersi al riguardo che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 (rubricato "dichiarazione infedele"), nella versione scaturita dalle modifiche operate dal D.L. n. 124 del 2019, convertito dalla L. n. 157 del 2019 (modifiche destinate a non incidere nella vicenda in esame), sanziona la condotta di chi, fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a Euro centomila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a Euro due milioni. Premesso che è corretto il riferimento delle sentenze di merito alla necessità del superamento della doppia soglia di punibilità e premesso altresì che il superamento della prima soglia di punibilità non è controverso, deve altresì osservarsi che il superamento della seconda soglia di punibilità è stato adeguatamente argomentato dalla Corte di appello, dovendosi evidenziare che la mancata compilazione delle voci della dichiarazione riguardanti elementi essenziali ai fini della determinazione complessiva del reddito e dei conseguenti importi dovuti a titolo di imposte non può essere qualificata come una condotta neutra, contribuendo al contrario a delineare la infedeltà della dichiarazione fiscale, essendo di fatto assimilabile a una dichiarazione negativa l'omessa compilazione delle singole voci concernenti il valore del reddito imponibile e dell'Iva. Del resto, il verbo utilizzato dalla fattispecie incriminatrice, "indica", lascia aperta la possibilità che la dichiarazione contenga sia elementi numerici positivi, sia attestazioni incomplete, che siano cioè contraddistinte da omesse specificazioni di elementi determinanti ai fini della determinazione dell'imposta, per cui in tal senso anche non inserire alcun dato numerico in corrispondenza di una voce essenziale equivale a "indicare" un elemento, sia pure in negativo. Deve peraltro evidenziarsi al riguardo che, pur in assenza di specifiche massime giurisprudenziali sul punto, anche in altra pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 32490 del 24/04/2018, ricorrente Cavallo, non massimata), l'integrazione del reato di dichiarazione infedele ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 non è stata posta in alcun modo in discussione, ciò in una vicenda, assimilabile alla presente, di dichiarazione esistente, ma non compilata nel quadro RG-RF. Ne', del resto, l'imputato, nel corso del procedimento penale, ha fornito una diversa ricostruzione dei fatti, ad esempio evocando la natura colposa dell'omessa compilazione delle voci più significative della dichiarazione da lui redatta, che invero, attraverso quegli spazi lasciati vuoti, appare maliziosamente diretta a rappresentare un quadro economico difforme da quello reale. Ne consegue che legittimamente i giudici di secondo grado hanno ritenuto che fosse stata superata anche la seconda soglia di punibilità, avuto riguardo al tenore della dichiarazione resa dal titolare della ditta individuale Autotrasporti M.G., apparendo corretta, nella valutazione circa l'entità degli elementi attivi dichiarati, la valorizzazione anche degli spazi vuoti della dichiarazione, spazi volutamente non compilati dal dichiarante al fine di conseguire di non corrispondere l'iva, obiettivo questo che rivela anche l'esistenza del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, essendo evidente che l'omessa compilazione degli spazi essenziali della dichiarazione è stata funzionale proprio al perseguimento dell'evasione dell'imposta, non essendo stata in alcuna modo dedotta la tesi di un'eventuale natura colposa dell'omissione. 1.4. Resta solo da precisare, da un lato, che la Corte di appello non ha mancato di confrontarsi con la motivazione della sentenza di primo grado, ribaltando l'esito del giudizio all'esito di un differente e argomentato inquadramento giuridico del fatto e che, per altro verso, alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza appare ravvisabile nel caso di specie, atteso che il fatto per cui M. è stato condannato non si pone affatto in termini di eterogeneità rispetto a quello contestato: nel capo di imputazione, infatti, al ricorrente è stato addebitato il reato ex Dgs. n. 74 del 2000, art. 4 per aver indicato nella dichiarazione relativa all'Iva elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con superamento di entrambe le soglie di punibilità previste dalle lett. a) e b) del citato art. 4. Ed è proprio a tale fattispecie che si riferisce la condanna dell'imputato, avvenuta in secondo grado attraverso un percorso esegetico che non ha immutato la sostanza del fatto ascritto a M., a ciò dovendosi solo aggiungere che, nel caso di specie, non di omessa dichiarazione (rilevante ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5) può parlarsi, ma di dichiarazione incompleta che, stante l'incidenza degli spazi lasciati vuoti, si qualifica come infedele e dunque rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, in ragione dell'avvenuto superamento della doppia soglia di punibilità. Non era dunque ipotizzabile una riqualificazione del fatto ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, avendo questa Corte precisato (Sez. 3, n. 5141 del 22/12/2021, dep. 2022, Rv. 282832) che, in tema di reati tributari, non integra il delitto di omessa dichiarazione la presentazione, nei termini previsti dalle leggi tributarie e nel rispetto delle soglie individuate, di una dichiarazione dei redditi incompleta, in quanto l'esaustiva individuazione normativa della condotta incriminata, consistente nella mancata presentazione della dichiarazione agli uffici competenti, non è suscettibile di lettura analcigica, che si porrebbe in contrasto con il principio di legalità. Correttamente quindi, nella sussistenza degli altri presupposti di legge, la dichiarazione incompleta presentata da M. è stata sussunta nell'alveo della previsione ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, e ciò senza che all'imputato sia stata posta alcuna limitazione nell'esercizio del diritto di difesa rispetto al tenore formale e sostanziale della contestazione elevata a suo carico. Di qui l'infondatezza delle censure in punto di responsabilità. 2. E' invece fondato l'ultimo motivo di ricorso. Premesso che all'imputato è stata contestata la "recidiva reiterata", la Corte di appello ha ritenuto configurabili i presupposti per l'applicazione della stessa, "tenuto conto che la condotta qui giudicata appare espressiva di maggiore pericolosità raggiunta, alla luce della scaltrezza mostrata nell'azione criminosa: ed infatti il M., attratto dalla prospettiva di facili guadagni, non ha esitato a porre in essere la dichiarazione infedele, per un importo assai rilevante". Orbene, tale apparato motivazionale non si sottrae alle censure difensive. Sul punto deve infatti richiamarsi la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Rv. 270419 e Sez. 6, n. 43438 del 23/11/2010, Rv. 248960), secondo cui, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità deì fatti e sull'arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato "sub iudice". Nella vicenda in esame, la verifica circa il rapporto tra fatto per cui si procede e precedenti condanne riportata dall'imputato è mancata, essendosi la valutazione della Corte di appello concentrata soprattutto sull'episodio contestato, mentre nulla si dice nella sentenza impugnata circa la natura, l'epoca e il concreto disvalore dei precedenti penali a carico dell'imputato, sia in quanto tali, sia in relazione alla specifica condotta ascritta a M. in questo giudizio. Ora, se è vero che il giudice della cognizione, a differenza di quello dell'esecuzione, può accertare i presupposti della recidiva reiterata prevista dall'art. 99, comma 4, c.p. anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice (cfr. Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019, Rv. 275816), deve tuttavia ribadirsi che la disamina delle pregresse condanne, in un'ottica non meramente cartolare, è comunque indispensabile nella complessiva valutazione di merito finalizzata ad accertare l'idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo. Stante la ravvisata lacuna argomentativa in punto di applicazione della recidiva, si impone pertanto l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia, restando ferma l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, ai sensi dell'art. 624 c.p.p., stante l'infondatezza delle doglianze riguardanti la formulazione del giudizio di colpevolezza. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2023. Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2023
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