RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Parma, Sezione specializzata per il riesame, all'esito del giudizio ai sensi dell'art. 324 c.p.p., ha confermato il decreto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Parma, di perquisizione e di sequestro probatorio dei prodotti della cannabis per c.d. finalità "ricreativa" rinvenuti presso la tabaccheria gestita da P.S..
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, P.S. chiede che il provvedimento in epigrafe sia annullato per i motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 4, ed agli artt. 3,25 e 27 Cost.. Evidenzia la difesa come il Tribunale sia incorso in errore, là dove ha ritenuto sussistente il fumus circa l'efficacia drogante dei pacchetti di infiorescenza di canapa detenuti ed offerti in vendita nella tabaccheria dell'indagata, valutando il superamento della massima quantità di principio attivo legalmente detenibile in relazione, non alla "dose media", bensì all'intero quantitativo di prodotti rinvenuti presso l'esercizio commerciale, confondendo l'efficacia drogante del prodotto con il calcolo delle dosi detenute.
2.2. Violazione di legge in relazione all'art. 253 c.p.p., per avere il Tribunale ritenuto erroneamente legittimo il sequestro probatorio, risultando nella specie assente la finalità di ricerca della prova ed essendo invece giustificata l'ablazione dell'intera partita di sostanza rinvenuta sulla scorta dell'assunta illiceità del prodotto, invece indimostrata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é destituito di fondamento in relazione a tutte le deduzioni mosse.
2. In via del tutto preliminare, deve essere rammentato che, contro i provvedimenti emessi in materia di sequestro probatorio (così come di sequestro preventivo), il ricorso per cassazione é ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
2.1. In particolare, nella violazione di legge deducibile ai sensi dell'art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano tanto la mancanza assoluta di motivazione, quanto la presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129).
2.2. Né la disparità di trattamento rispetto al ricorso avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari personali può ritenersi irrazionale o contraria ai principi di eguaglianza e di difesa sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost.. La stessa Corte costituzionale ha avuto modo di tracciare il discrimen, proprio sul piano della diversa tutela apprestata dall'ordinamento, ai beni della libertà personale e della libertà patrimoniale in relazione ai provvedimenti limitativi di esse adottati in via cautelare dall'A.G., evidenziando come diversi fra loro siano i valori che l'ordinamento prende in considerazione: "da un lato, l'inviolabilità della libertà personale, e, dall'altro, la libera disponibilità dei beni, che la legge ben può contemperare in funzione degli interessi collettivi che vengono ad essere coinvolti. Ciò comporta, dunque, la possibilità di costruire differentemente il "potere" del giudice di adottare le misure e, conseguentemente, la tipologia del controllo in sede di gravame, con i naturali riverberi che da ciò scaturiscono sul piano della difesa che gli interessati possono sviluppare" (Corte Cost. n. 48/1994; n. 176/1994 e n. 229/1994).
3. Delimitato il campo dello scrutinio dinanzi a questa Corte di legittimità in materia di sequestri, giudica il Collegio che, nel provvedimento sottoposto al proprio vaglio, non sia ravvisabile alcuno dei vizi denunciati dalla ricorrente.
3.1. L'analisi e la soluzione del primo motivo postula uno sguardo preliminare sul quadro normativo di riferimento in tema di commercializzazione di derivati della cannabis sativa.
Occorre ricordare che, a seguito dell'entrata in vigore della L. 2 dicembre 2016, n. 242 - che ha disciplinato e riconosciuto, pertanto, legale la coltivazione delle varietà di canapa iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole -, si é posto il dubbio se la vendita al minuto di derivati della cannabis sativa contenenti quantitativi minimi di principio attivo (come appunto nel caso che ci occupa) possa ritenersi lecita (segnatamente non integrante l'ipotesi di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73) e, in effetti, in alcune pronunce di questa Corte si é esclusa la punibilità della condotta in presenza di particolari condizioni (iscrizione nel catalogo Europeo delle specie di piante agricole con dosaggio di THC non superiore allo 0,2% e finalizzazione alla realizzazione dei soli prodotti tassativamente indicati nell'art. 2, comma 2, della medesima legge) (in questo senso, Sez. 6, n. 4920 del 29/11/2018 - dep. 2019, Castignani, Rv. 274616-01; Sez. 3, n. 7166 del 07/12/2018 - dep. 2019, PMT C/ Bravi, Rv. 275168-01).
3.2. Il dubbio ermeneutico é stato risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema nella recente sentenza n. 30475 del 30 maggio 2019.
In tale arresto, il più ampio consesso di questa Corte ha affermato che, in tema di stupefacenti, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dalla L. 2 dicembre 2016, n. 242, art. 4, commi 5 e 7, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività, aggiungendo che la L. 2 dicembre 2016, n. 242, qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall'art. 2 della predetta legge (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, PMT c/ Castignani, Rv. 27595601).
Nell'articolata motivazione della decisione, le Sezioni Unite hanno rimarcato che la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivanti dalla coltivazione di cannabis sativa L., integra la fattispecie di reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, T.U. Stup. a prescindere dalla quantità di principio attivo in esse contenute, atteso che la tabella II richiama testualmente tali derivati della cannabis, senza effettuare alcun riferimento alle concentrazioni di THC presenti nel prodotto, senza con ciò incorrere in alcuna incoerenza rispetto ai limiti di tollerabilità di cui alla L. n. 242 del 2016, art. 4, commi 5 e 7, stante la disomogeneità sostanziale dei termini di riferimento là dove la norma incriminatrice riguarda la commercializzazione dei derivati della coltivazione foglie, inflorescenze, olio e resina - ove si concentra il tetraidrocannabinolo, mentre la legge del 2016 - nel promuovere la coltivazione agroindustriale della canapa a basso contenuto di THC, proveniente da semente autorizzata - pone dei limiti soglia rispetto alla concentrazione presente nella coltura medesima, rilevanti anche ai fini della erogazione dei benefici economici per il coltivatore ed elenca tassativamente i prodotti che é possibile ottenere dalla coltivazione, tra i quali non sono ricompresi foglie, inflorescenze, olio e resina.
Chiarito che la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. (che pure si caratterizza per il basso contenuto di THC) integra la condotta tipica delle norme incriminatrici in oggetto, il più ampio consesso di questa Corte ha, nondimeno, fatto richiamo all'insegnamento giurisprudenziale che, da tempo, ha valorizzato il principio di concreta offensività della condotta nella verifica della reale efficacia drogante delle sostanze stupefacenti, oggetto di cessione. Principio che, come ricordato nella medesima sentenza n. 30475/2019, é stato espresso in diversi arresti delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 47472 del 29/11/2007, Di Rocco, Rv. 237856; Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920) e dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., sent n. 109 del 2016). Le Sezioni Unite hanno, in particolare, affermato che, rispetto al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 non rileva il superamento della dose media giornaliera, ma la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente (Sez. U, n. 47472 del 29/11/2007, Di Rocco, Rv. 237856) e - analizzando la specifica questione afferente alla eventuale inoffensività della cosiddetta coltivazione domestica di cannabis - che é indispensabile che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta, riferita alla idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920). Per completezza, giova rilevare come il principio di necessaria offensività della condotta sia stato ribadito dalle stesse Sezioni Unite in un arresto successivo alla pronuncia n. 30475/2019 (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019 - dep. 2020, Caruso, non massimata sul punto, in tema di coltivazione domestica).
3.3. Poste tali premessi, le Sezioni Unite hanno rimarcato come, ai fini della integrazione del reato, sia indispensabile verificare, non tanto la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, bensì l'idoneità della medesima sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante (nella motivazione di Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, PMT c/ Castignani, cit., ove si sono richiamati i seguenti precedenti: Sez. 4, n. 4324 del 27/10/2015, dep. 2016, Mele, Rv. 265976; Sez. 3, n. 47670 del 09/10/2014, Aiman, Rv. 261160, ove si é osservato che il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 é configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola di cui al D.M. 11 aprile 2006, con esclusione soltanto di quelle condotte afferenti a quantitativi di sostanze stupefacenti talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l'assetto nEuropsichico dell'utilizzatore, e Sez. 6, n. 8393 del 22/01/2013, Cecconi, Rv. 25485701, ove si é affermato che ai fini della configurabilità del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 é necessario dimostrare, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio, o comunque oggetto di cessione, sia di entità tale da poter produrre in concreto un effetto drogante).
Anche questo principio é stato di recente ribadito dalle stesse Sezioni Unite nella già ricordata sentenza successiva alla pronuncia n. 30475/2019 (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019 - dep. 2020, Caruso, Rv. 278624-02).
4. Giudica la Corte che il provvedimento in verifica - con le precisazioni che si faranno nel prosieguo - sia conforme alle coordinate normative ed interpretative testé delineate.
4.1. Quanto al primo motivo, non può non essere rilevato che, come posto in rilievo dalle Sezioni Unite nella ricordata sentenza n. 30475/2019, la commercializzazione di prodotti derivanti dalla coltivazione di cannabis sativa L. integra il delitto di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 4, a prescindere dalla quantità di principio attivo in essi contenuto, con l'unico limite che si tratti di messa in vendita e smercio di prodotti "inoffensivi", in quanto privi di alcuna efficacia drogante.
Incensurabilmente il Collegio dell'impugnazione cautelare ha dunque stimato sussistente nella specie il fumus comissi delicti, là dove ha evidenziato, per un verso, come risulti assodata la riconducibilità dei prodotti sottoposti a sequestro (infiorescenze e caramelle a base di olio di canapa) alla classe delle sostanze stupefacenti previste dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 4, giusta l'esito del narcotest eseguito da parte dei Carabinieri; dall'altro lato, come a nulla rilevino le attestazioni rilasciate da laboratori universitari alla società fornitrice circa il mancato superamento dello 0,5% di principio attivo in relazione ai singoli lotti commercializzati, come tale inidoneo a conferire a tali beni una patente di liceità, e dovendo la medesima efficacia drogante essere verificata in concreto sui prodotti sequestrati e, in particolare, sulle diverse tipologie di confezioni oggetto di commercio nella tabaccheria della P..
Ed invero, secondo l'insegnamento di questa Corte sopra rammentato, il delitto é integrato anche in presenza di derivati della cannabis contenenti minime percentuali di principio attivo ed é configurabile anche in caso di dosi inferiori a quella media singola di cui al D.M. 11 aprile 2006, potendo essere escluso soltanto nell'ipotesi in cui si tratti di prodotti contenenti un quantitativo di stupefacente talmente minimo da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l'assetto nEuropsichico dell'utilizzatore, cioé , in concreto, privo di un effetto drogante.
Assenza di alcun reale effetto stupefacente che neanche la ricorrente ha prospettato, limitandosi ad evidenziare la presenza nei prodotti commercializzati di una percentuale di principio attivo THC inferiore allo 0,5% - cioé ai valori indicati dalla L. n. 242 del 2016, art. 4, commi 5 e 7, -, circostanza di per sé , come chiarito in termini netti dal più ampio consesso di questa Corte, non dirimente al fine di escludere l'offensività della condotta.
4.2. Sulla scorta di tali considerazioni, inappuntabilmente il Collegio del merito cautelare ha, allora, ritenuto integrato il fumus commissi delicti, la cui verifica deve fermarsi alla valutazione della congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa, ma con riferimento alla idoneità degli elementi su cui poggia la notizia di reato a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Previtero, Rv. 263053). Ai fini del fumus é invero sufficiente che sussistano concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato (Sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019 - dep. 2020, Gheri, Rv. 27815201), o - detto in altri termini - che rendano plausibile il giudizio prognostico circa la probabile condanna dell'imputato (Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, P.M. in proc. Macchione, Rv. 265433-01).
5. Quanto al secondo motivo, correttamente i Giudici dell'impugnazione cautelare hanno ritenuto sussistente la rilevanza probatoria del disposto sequestro, che - giova ricordare - deve essere imprescindibilmente indicata nel provvedimento ablativo a pena di nullità (Sez. U, n. 36972 del 19/04/2018, PM in proc. Botticelli e altri, Rv. 273548-01).
Al riguardo, il Tribunale ha invero notato come il provvedimento di sequestro dei prodotti commercializzati dalla P. sia stato giustificato dall'inquirente alla luce della prospettata necessità di svolgere gli accertamenti circa la reale efficacia drogante e, dunque, l'effettiva offensività della condotta. Non é revocabile in dubbio che solo l'espletamento di ulteriori indagini - segnatamente le analisi chimico-tossicologiche sui derivati della cannabis - possa consentire la verifica della fondatezza dell'accusa, con particolare riferimento alla idoneità a produrre in concreto un effetto drogante dei prodotti messi in vendita da P.S. nell'esercizio da ella gestito.
6. Né il provvedimento può ritenersi viziato per il fatto che il Tribunale abbia ritenuto legittima l'ablazione dell'intero stock di prodotti derivanti dalla coltivazione di cannabis sativa L. detenuti da P.S..
6.1. Sul punto, ritiene il Collegio non condivisibile il principio di recente affermato da questa Sezione Sesta, là dove si é riconosciuta una violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza in caso di acquisizione di tutti gli esemplari di una medesima produzione commerciale rinvenuti nella disponibilità dell'indagato (nella specie, proprio prodotti della cannabis sativa), qualora l'accertamento tecnico sugli stessi possa essere efficacemente compiuto anche attraverso l'esame di un campione rappresentativo (Sez. 6, n. 9574 del 19/11/2019 - dep. 2020, Schiavon, Rv. 278564-01).
Oltre a doversi rilevare come, nella specie, la difesa non abbia eccepito alcuna violazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza che sono stati posti a base della pronuncia testé rammentata, non può non essere rilevato come, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte regolatrice (espresso anche a Sezioni Unite, come sopra rammentato nel punto 4.1), l'offensività in concreto della condotta di detenzione di sostanze stupefacenti debba essere acclarata, non mediante l'analisi della percentuale di principio attivo presente sull'intera quantità di sostanza nella disponibilità dell'agente (come abbozzato dal Tribunale), bensì attraverso la verifica dell'idoneità a produrre un percepibile effetto psicotropo della "dose destinata allo spaccio" o comunque "oggetto di cessione". Concetto quest'ultimo - che, traslato al caso di commercializzazione di derivati della cannabis sativa, non può che sottintendere all'accertamento dell'idoneità a produrre un'alterazione dell'assetto neuropsichico dell'assuntore di ciascuna tipologia di prodotto messa in vendita.
6.2. Tanto precisato, giudica la Corte corretta la ritenuta necessità dell'ablazione dell'intera partita, là dove il Collegio di merito ha giustificato il provvedimento in ragione dell'esigenza di verificare l'efficacia drogante in relazione alla integralità dei prodotti rinvenuti presso l'esercizio commerciale, id est in relazione ad ogni singolo prodotto, confezione o dose commercializzati presso la tabaccheria della P..
Non può, d'altronde, sottacersi che - come inequivocabilmente previsto dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 87, comma 2, - l'analisi a campione si riferisce expressis verbis ad un'attività successiva al sequestro delle sostanze.
6.3. Dall'altro lato - e risolutivamente -, non può non essere rammentato che l'art. 324 c.p.p., comma 7 seconda parte, impedisce la revoca del sequestro nei casi di cui all'art. 240 c.p., comma 2, cioé - fra le altre - delle cose la cui detenzione costituisce reato; divieto di restituzione che, come chiarito da questa Corte a composizione allargata, opera tanto in caso di sequestro preventivo, quanto in caso di sequestro probatorio (Sez. U, n. 40847 del 30/05/2019, Bellucci, Rv. 276690-01).
Nel caso di specie, una volta ritenuto sussistente il fumus commissi delicti, il provvedimento di sequestro probatorio non avrebbe pertanto potuto essere revocato, avendo ad oggetto un compendio delittuoso di cui la detenzione costituisce - sia pure in termini di probabilità - reato.
Ne discende l'inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto non sorretto da un interesse concreto ed attuale a proporre e coltivare impugnazione.
Ed invero, avendo riguardo ai principi generali in tema di impugnazioni, ed in particolare all'art. 591 c.p.p., per proporre impugnazione é necessario avervi interesse, che deve essere concreto - e cioé mirare a rimuovere l'effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato e persistere sino al momento della decisione (Sez. 1, n. 1695 del 19/03/1998, Papajani Rv. 210562).
L'interesse che la ricorrente può perseguire attraverso l'impugnazione de qua consiste esclusivamente nella rimozione del vincolo reale e nella restituzione delle cose sequestrate ed esso deve, pertanto, essere escluso dal momento che l'ablazione riguarda beni insuscettibili di restituzione a norma del combinato disposto dell'art. 240 c.p., comma 2, e art. 324 c.p.p., comma 7, trattandosi di prodotti la cui detenzione e messa in vendita costituisce - in termini di fumus commissi delicti - reato.
6.4. Giova in ultimo rilevare che, al caso di sequestro di sostanze stupefacenti, non può attagliarsi il principio di diritto (posto a base dell'arresto ricordato sub punto 6.1 Sez. 6, n. 9574 del 19/11/2019 - dep. 2020, Schiavon, Rv. 27856401), secondo cui é illegittima, se non accompagnata da specifiche ragioni, l'indiscriminata apprensione della generalità degli oggetti nella disponibilità dell'interessato, ritenuti dagli inquirenti funzionali all'accertamento del reato per cui si procede, allorquando la ricerca della prova di questo possa essere adeguatamente assicurata, egualmente, attraverso l'esame specifico e mirato soltanto di parte di quelle cose (regula iuris affermata per lo più in tema di sequestro di sistemi e materiali informatici; v. Sez. 6, n. 43556 del 26/09/2019, Scarsini, Rv. 277211; Sez. 6, n. 9989 del 19/01/2018, Lillo, Rv. 272538; Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, Rizzo, Rv. 264092).
Ed invero, nei casi in cui detto principio di diritto é stato affermato, l'ablazione aveva ad oggetto documenti o materiali informatici rilevanti "semplicemente" a fini di prova, ma in sé del tutto leciti e la cui detenzione non integrava pertanto alcun reato. In altri termini, si trattava di beni completamente avulsi dall'ambito del combinato disposto dell'art. 240 c.p., comma 2, e art. 324 c.p.p., comma 7. Rispetto ai beni contemplati da queste ultime norme, non v'é invero materia per invocare il principio di proporzionalità, proprio perché si ha a che fare con res che il legislatore ritiene intrinsecamente pericolose, di tal che l'ablazione non può che riguardare la loro integralità.
7. Dal rigetto del ricorso consegue de iure la condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021