RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 febbraio 2024 (depositata il 26 marzo 2024), decidendo sull'istanza di riesame proposta da Ma.Sa., il Tribunale di Catanzaro ha riformato l'ordinanza del 23 gennaio 2024, con la quale il Giudice per le indagini preliminari di Catanzaro aveva applicato all'indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari, e ha sostituito questa misura con quella dell'obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. L'ordinanza del G.i.p. è stata confermata quanto alla ritenuta sussistenza di gravi indizi del reato di cui all'art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, (capo A) e dei reati scopo dell'associazione contestati ai capi 1), 2), 3), 4) e 5) dell'imputazione provvisoria. Questi ultimi fatti, però, sono stati qualificati come violazioni dell'art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309/90.
2. Ma.Sa. è accusato di aver partecipato ad una associazione finalizzata al narcotraffico, promossa da Co.Tr., Gi.Bo. e Gi.Ro., operante a L a partire dal luglio 2020. È accusato, inoltre, di aver detenuto - e ceduto a terzi - sostanze stupefacenti: cessioni avvenute il 23 luglio 2020 (capo 1), il 1 agosto 2020 (capo2), il 3 agosto 2020 (capo 3), il 4 agosto 2020 (capo 4) e il 5 agosto 2020 (capo 5).
Il Tribunale ha ritenuto che gli indizi raccolti deponessero nel senso della partecipazione di Ma.Sa. alla associazione. Questi, infatti, si sarebbe messo a disposizione del gruppo quale spacciatore stabile, operando alle dirette dipendenze dei capi dai quali riceveva la sostanza che poi piazzava sul mercato.
3. Contro l'ordinanza del Tribunale l'indagato ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del proprio difensore di fiducia.
Il difensore deduce violazione degli artt. 74 D.P.R. n. 309/90 e 273 cod. proc. pen. e vizi di motivazione quanto all'attribuzione a Ma.Sa. del ruolo di partecipe dell'associazione (capo A) e alla ritenuta sussistenza di gravi indizi della detenzione di stupefacente del 1 agosto 2020, contestata al capo 2).
Il difensore sostiene che le conversazioni valorizzate nell'ordinanza impugnata non sarebbero idonee a documentare lo stabile inserimento dell'indagato nell'attività dell'ipotizzata associazione e rileva che, anche con riferimento al reato di cui al capo 2), il quadro indiziario è ambiguo. Sottolinea che l'ordinanza ha attribuito rilevante valore indiziario a dialoghi intercorsi tra i promotori dell'associazione aventi ad oggetto la contabilità del gruppo nei quali si fa riferimento a "Ma.", ma questo riferimento non è univoco e non si può affermare con certezza che il Ma.Sa. menzionato sia proprio Ma.Sa. La difesa osserva: che nelle conversazioni intercettate è stato indicato tra i destinatari della sostanza stupefacente anche tale "Tu."; che il Tribunale ha valutato questa indicazione insufficiente a fondare un grave quadro indiziario a carico di Sa.Cu. e ha annullato l'ordinanza cautelare emessa nei suoi confronti; che, illogicamente, il Tribunale non è giunto alle medesime conclusioni per Ma.Sa., il quale è indicato nelle conversazioni come Ma..
La difesa sostiene, inoltre, che alcune delle conversazioni intercettate farebbero riferimento a canapa legale. Richiama, in particolare, una conversazione del 1 agosto 2020 (progressivo 394 - RIT 649/20) nella quale si parla di un acquisto all'ingrosso per eseguire il quale è necessaria la partita IVA, circostanze dalle quali dovrebbe desumersi che i conversanti non parlavano di sostanze la cui commercializzazione sia vietata dalla Legge.
Il difensore ricorda, infine, con diffusi richiami alla giurisprudenza di legittimità, che la partecipazione al reato associativo può essere desunta anche dalla semplice commissione dei reati scopo, purché tali condotte, per le loro caratteristiche: siano in grado di attestare un ruolo specifico, funzionale alla realizzazione dei fini illeciti dell'associazione e alle sue dinamiche operative; siano espressione non occasionale dell'adesione al sodalizio; siano state realizzate con la coscienza e volontà dell'autore di far parte della associazione e di contribuire allo sviluppo del suo programma criminoso. Sostiene che, nel caso di specie, non sussistevano elementi da cui desumere lo stabile inserimento di Ma.Sa. nell'attività dell'associazione né sotto il profilo oggettivo né con riferimento all'elemento psicologico. Secondo l'imputazione, infatti, il sodalizio sarebbe nato nel luglio 2020, le cessioni contestate a Ma.Sa. sarebbero avvenute tra il 23 luglio e il 5 agosto 2020 e - come risulta dall'ordinanza impugnata - il 14 agosto 2020 Ma.Sa. si allontanò da L, chiudendo la propria utenza. Si tratterebbe, dunque, di una attività di spaccio limitata nel tempo e di un contributo occasionale inidoneo a conferire a Ma.Sa. il ruolo di associato.
4. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
2. Il Tribunale ha ritenuto che gli indizi raccolti dimostrino lo stabile inserimento di Ma.Sa. nelle attività di narcotraffico gestite dall'associazione promossa da Co.Tr., Gi.Bo. e Gi.Ro. In particolare, il ricorrente è stato ritenuto partecipe del sodalizio perché intratteneva rapporti stabili con i promotori della associazione, si riforniva stabilmente da loro, acquistava a credito, riceveva gli acquirenti provvedendo alle cessioni e, dopo la vendita, versava ai sodali il prezzo della sostanza.
Che Ma.Sa. sia l'autore materiale delle conversazioni a lui attribuite e il Ma. di cui parlano in alcuni colloqui i capi della associazione emerge con chiarezza dalla motivazione dell'ordinanza del G.i.p. e ciò spiega perché il tema non sia stato espressamente affrontato dal Tribunale per il riesame. L'ordinanza del G.i.p. chiarisce (pag. 18) che l'identificazione è avvenuta con certezza, non solo perché gli indagati si chiamano per nome, ma anche grazie alle attività di osservazione pedinamento e controllo contestuali alle operazioni di intercettazione e alle videoriprese eseguite di fronte all'abitazione di Co.Tr. (in una località dove vive anche Gi.Bo., che di Co.Tr. è il genero) e di fronte all'abitazione di Gi.Ro. A ciò deve aggiungersi che Pi.Di. (acquirente della sostanza di cui al capo 4) ha dichiarato di averla ricevuta da Ma.Sa. e di essersi recato presso la sua abitazione a seguito di una telefonata nella quale lo stesso Ma.Sa. lo aveva invitato a "prendere un caffè" (pag. 23 dell'ordinanza del G.i.p., pag. 10 dell'ordinanza impugnata). Tali dichiarazioni, valutate unitamente al contenuto delle conversazioni captate, hanno consentito di identificare in Ma.Sa. il Ma. utilizzatore di una delle utenze intercettate e, di conseguenza, anche il Ma. cui si fa riferimento in alcune conversazioni alle quali i giudici di merito hanno attribuito valore indiziario.
3. L'ordinanza impugnata ha ritenuto che Ma.Sa. abbia contribuito all'attività dell'associazione approvvigionandosi stabilmente dai promotori della stessa, anche per quantità consistenti. Ha sottolineato che l'indagato utilizzava con i sodali un linguaggio criptico e, nel mese di settembre del 2020, era debitore dell'associazione per importi elevati.
Il Tribunale argomenta in tal senso osservando:
- che, già nel mese di giugno del 2020, le intercettazioni documentano contatti tra Ma.Sa., Co.Tr. e Gi.Bo.;
- che il 5 e il 6 luglio 2020 Ma.Sa. si recò insieme ad An.Lu. (indagato quale partecipe della associazione) in un terreno di proprietà di quest'ultimo per spostarvi sostanza stupefacente;
- che infatti, il 7 settembre 2020, in quel terreno furono rinvenuti e sequestrati circa 3,6 kg di marijuana;
- che il 1 agosto 2020, prima che Ma.Sa. arrivasse a ritirare una fornitura, Co.Tr. concordò con Gi.Bo. il prezzo di vendita che avrebbe dovuto essere praticato e, di conseguenza, il prezzo che Ma. avrebbe dovuto versare per pagare la sostanza cedutagli a credito (progressivo n. 375 - RIT 649/20);
- che, poco dopo, Ma.Sa. si accordò con Co.Tr. sulle modalità e sui tempi del pagamento di quella fornitura e gli chiese di non scrivergli e non telefonargli, mostrando così di voler osservare particolari cautele al fine di evitare di essere scoperto (progressivo n. 416 del 1 agosto 2020 - RIT 649/2020);
- che, in una conversazione del 3 settembre 2010 (progressivo n.413 - RIT 649/20), Co.Tr. e Gi.Bo. fecero il punto sulla contabilità del gruppo e il primo disse al secondo di essere creditore di Ma. per più di duemila euro.
L'ordinanza impugnata rileva: da un lato, che il tenore dei dialoghi intercettati rende evidente la continuità e stabilità dei rifornimenti eseguiti dal gruppo in favore di Ma.Sa.; dall'altro che, in ragione delle cautele adottate e dell'uso di un linguaggio criptico, l'oggetto della compravendita non poteva essere costituito da canapa legale. Sottolinea, inoltre, che Ma.Sa. intendeva adoperarsi per provvedere alle esigenze dell'associazione in modo che il gruppo potesse disporre di marijuana da immettere sul mercato e, a tal fine, si interessò della possibilità di predisporre una piantagione che potesse essere monitorata a distanza così da evitare i rischi connessi alla necessità di recarsi troppo spesso sul posto (progressivi n. 385 e 394 del 1 agosto 2020 - RIT 649/2020).
3.1. Il Tribunale ha esaminato la tesi difensiva secondo la quale, nelle conversazioni del 1 agosto 2020, Ma.Sa. avrebbe fatto riferimento a una coltivazione di "cannabis sativa L" e l'ha ritenuta inattendibile. Ha osservato in tal senso che, in data 14 agosto 2020, fu eseguito un sequestro di marijuana in un terreno risultato essere nella disponibilità di Fr.Sa. (padre di Ma.Sa.) e che l'odierno ricorrente era coinvolto nella detenzione di quella sostanza atteso che, subito dopo il sequestro, si allontanò dal territorio di L e smise di utilizzare l'utenza telefonica oggetto di intercettazione (pag. 9 dell'ordinanza impugnata, pag. 23 dell'ordinanza del G.i.p.). Dalla lettura dell'ordinanza del G.i.p. emerge inoltre (pag. 22): che a S, in un terreno nella disponibilità di Fr.Sa., gli inquirenti rinvennero una coltivazione che "formalmente" avrebbe dovuto avere ad oggetto "cannabis sativa di tipo L"; ma fu accertata la presenza nelle piante di un principio attivo ben superiore ai limiti previsti dalla Legge 2 dicembre 2016 n. 242 e, pertanto, la piantagione fu sottoposta a sequestro e le piante furono distrutte.
3.2. Per quanto riguarda l'improvviso allontanamento di Ma.Sa. da L (avvenuto dopo il sequestro del 14 agosto 2020), l'ordinanza impugnata osserva che, dopo quella data, Ma.Sa. non contribuì ulteriormente alla attività del gruppo e tuttavia tale allontanamento non fu determinato dalla volontà di recidere il vincolo associativo, bensì dal timore che il sequestro potesse avere "conseguenze giudiziarie". Secondo il Tribunale, la breve durata del contributo apportato all'attività associativa incide sul grado e sulla rilevanza delle esigenze cautelari, ma non sulla gravità del quadro indiziario, convergente nel far riconoscere a Ma.Sa. il ruolo di partecipe dell'associazione. Ed invero, proprio in ragione del breve periodo in cui Ma.Sa. ha contribuito all'attività associativa, i giudici del riesame ha ritenuto idonea a fini cautelari la misura dell'obbligo di presentazione alla PG e hanno sostituito con questa misura quella degli arresti domiciliari disposta dal G.i.p.
4. Da quanto sin qui esposto emerge che i gravi indizi della partecipazione di Ma.Sa. alla associazione di cui al capo A) sono stati ritenuti sussistenti perché, per oltre un mese (dal luglio del 2020 al 14 agosto dello stesso anno), egli si rifornì stabilmente dai capi e promotori della associazione ricevendo da loro quantità anche rilevanti di sostanza e maturando nei loro confronti un debito di più di duemila euro. Il Tribunale ha considerato indizi significativi della partecipazione di Ma.Sa. all'associazione il comune uso di un linguaggio criptico e il ricorso a canali di comunicazione dedicati. Ha sottolineato che i vertici della associazione sapevano di poter contare su Ma.Sa. per la vendita al dettaglio. Ha ritenuto che le conversazioni intercettate forniscano gravi indizi dell'interessamento del ricorrente alla coltivazione di marijuana e alla individuazione di luoghi ove la stessa poteva essere occultata.
Il ricorso non contrasta efficacemente queste argomentazioni se non sottolineando che gli elementi indiziari sono costituiti da un numero limitato di conversazioni e che il rapporto di collaborazione documentato dalle intercettazioni si protrasse per un breve periodo di tempo.
È doveroso ricordare, allora, che il controllo di legittimità susseguente alla proposizione del ricorso per Cassazione non comprende, neanche con riferimento al giudizio cautelare personale, il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi e quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato. Tali apprezzamenti, infatti, rientrano nelle valutazioni del g.i.p. e del Tribunale del riesame, mentre al giudice di legittimità si chiede di esaminare l'atto impugnato al fine di verificare che esso contenga l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l'assenza di illogicità evidenti; di verificare, quindi, la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (così, tra le tante, Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438). In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare: da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato; dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Quando - come nel caso in esame - la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti o sulla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio. Pertanto, non sono consentite censure che, pur formalmente investendo la motivazione, e a fortiori ammantandosi di una pretesa violazione di Legge, si risolvano, in realtà, nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito.
5. Nel caso in esame la motivazione spiega sulla base di quali elementi di fatto sia stato ritenuto applicabile il principio di diritto secondo il quale: "integra la condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti il costante e continuo approvvigionamento di sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilità all'acquisto, mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell'adesione dell'acquirente al programma criminoso" (Sez. 5, n. 33139 del 28/09/2020, Manzari, Rv. 280450; Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, Giaquinto, Rv. 267991). Il Tribunale, infatti, ha desunto dal tenore delle conversazioni che gli approvvigionamenti di sostanza stupefacente erano stabili e si trattava di forniture per quantità rilevanti. Ha sottolineato, inoltre, che Ma.Sa. contribuì al conseguimento degli scopi dell'associazione anche interessandosi alla produzione e all'occultamento della sostanza.
Non rileva in contrario che il contributo alla attività associativa sia stato limitato nel tempo. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione ad una associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, e, in particolare della "affectio societatis", non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Amarante, Rv. 278440). In altri termini, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l'operatività dell'associazione, la costante disponibilità all'acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, ben può integrare la condotta di partecipazione ad una associazione ex art. 74 D.P.R. n. 309/90 (Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, Giaquinto, Rv. 267991; Sez. 5, n. 33139 del 28/09/2020, Manzari, Rv. 280450; Sez. 4, n. 3398 del 14/12/2023, dep. 2024, Abbattista, Rv. 285702). L'ordinanza impugnata sviluppa sul punto argomentazioni scevre da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità perché valorizza la reiterazione e la frequenza dei contatti (sia pure limitati nel tempo) considerandola rivelatrice dell'esistenza di un legame stabile tra l'acquirente e i suoi fornitori. Il ricorso non contrasta tali conclusioni perché si limita a rilievi meramente oppositivi e non spiega quali elementi, diversi dalla fuga del 14 agosto 2020 (in sé ininfluente), potrebbero portare ad escludere l'esistenza della "affectio societatis".
6. In conclusione, a fronte di un percorso argomentativo coerente con i dati di fatto riportati e non illogico né per le inferenze tratte da quei dati, né per l'interpretazione del contenuto delle conversazioni registrate, il ricorso appare reiterativo delle doglianze già formulate nel giudizio di riesame ed è pertanto inammissibile perché aspecifico. Non merita più di una menzione la censura secondo la quale il Tribunale non avrebbe replicato al contenuto di "memorie ritualmente depositate" (indicata nell'intestazione del motivo di ricorso). La difesa, infatti, non ha spiegato quale fosse il contenuto di tali memorie.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2024.