RITENUTO IN FATTO
R.K., ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia del 24/02/2022 che ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona che ha condannato l'imputata alla pena di giustizia in ordine al reato di truffa, ai sensi dell'art. 640 c.p..
1. Il ricorrente, con cinque motivi, deduce:
1.1. "inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sulla mancata assoluzione ai sensi dell'art. 530 c.p.p., commi 1 e 2," perché ammesso che le trattative contrattuali sono state presiedute da soggetto di sesso maschile, diverso dall'odierna imputata, non si comprende in che cosa si sostanzierebbero gli artifici e i raggiri nella condotta di cui capo di imputazione. La sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria posto che prima la Corte d'appello ritiene di poter sussumere la fattispecie in esame nel reato di truffa e, successivamente, afferma che il venditore, dopo aver ricevuto l'acconto concordato, si sarebbe reso irreperibile. A ciò si aggiunga che: dalle risultanze processuali non sarebbe emerso alcun elemento da cui poter desumere una partecipazione attiva, o quantomeno consapevole, dell'imputata; gli organi inquirenti non avrebbero mai appurato se la stessa abbia presentato querela per lo smarrimento dei propri documenti di identità, con quali modalità è stata attivata la carta postpay utilizzata per effettuare il bonifico e nemmeno se la somma di 900,00 Euro sia stata effettivamente incassata da quest'ultima. Conseguentemente, dato che non vi sarebbe alcuna prova degli artifici e dei raggiri, si ritiene insussistente l'elemento oggettivo del reato di truffa, tenuto conto anche del fatto che le circostanze per cui l'utenza telefonica e la carta postepay risultavano intestate all'imputata non escludono la possibilità che fossero stati, per l'occasione, utilizzati da altri a sua insaputa;
1.2. "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sulla mancata pronuncia di sentenza di non doversi procedere per carenza della querela", poiché la querela presentata dal T.D., non sarebbe valida per il fatto che egli non avrebbe subito alcun danno patrimoniale. Invero, ammesso che si tratti del delitto di truffa, la persona offesa dovrebbe identificarsi nella figlia di T.D. (vale a dire, T.E.), quale esecutrice materiale del bonifico effettuato dal conto corrente di cui è unica titolare e acquirente del pellet. Sul punto, la sentenza impugnata sarebbe illogica per aver configurato in capo al T.D., un danno che viene identificato nel non avere ricevuto parte del pellet ordinato e quindi, a mero titolo di lucro cessante che, evidentemente, configura una categoria di danno di natura prettamente civilistica, che nessuna rilevanza potrebbe assumere in questa sede. Invero, il diritto di querela spetterebbe alla persona offesa, intesa come titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l'essenza dell'illecito, mentre il T., non vantava alcun diritto sul conto corrente della figlia e quindi non ha patito alcuna lesione nel bene giuridico protetto dall'art. 640 c.p. Alla luce di quanto appena esposto, si ritiene che ci sia la carenza di una valida condizione di procedibilità;
1.3. "vizio di motivazione ed illogicità intrinseca della sentenza" per non avere la Corte d'appello precisato quale lesione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie di reato contestata avrebbe subito il querelante, poiché "apparirebbe in tutta evidenza che la lesione patrimoniale è stata subita dalla figlia titolare del conto corrente, materiale esecutrice del bonifico e acquirente del bene promesso in vendita";
1.4. "vizio di motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti generiche e sull'eccessività della pena erogata ai sensi dell'art. 133 c.p. " poiché la Corte d'appello avrebbe dovuto tenere conto di tutte le circostanze sopra esposte, anche in merito alla mancanza di prova al di là di ogni ragionevole dubbio, affinché operasse una corretta determinazione della pena, ai sensi dell'art. 133 c.p., così concedendo le attenuanti generiche;
1.5. "vizio di motivazione sulla mancata applicazione della disciplina del reato continuato ai sensi dell'art. 81 c.p. " poiché la Corte territoriale, pur avendo revocato la sospensione condizione della pena in considerazione di due precedenti condanne nei confronti dell'imputata per reati della stessa indole, avrebbe omesso di riunire in continuazione le predette condanne con quella oggetto del giudizio in questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato con riguardo al difetto della condizione di procedibilità.
1. Il titolare del diritto di querela, a norma dell'art. 120 c.p., è soltanto la "persona offesa da un reato" (nonché soggetto passivo del reato), intesa come la persona detentrice del bene giuridico leso o messo in pericolo protetto direttamente dalla norma penale e non anche il mero danneggiato, il quale avendo subito un qualsiasi altro danno di natura patrimoniale derivante dalla commissione del fatto può - diversamente dalla prima - costituirsi parte civile all'interno del procedimento penale oppure agire direttamente all'interno di un autonomo giudizio civile avanzando richiesta di risarcimento del danno.
Inoltre, pur essendo vero che, per sua struttura, il delitto di truffa non esige l'identità tra il soggetto passivo del raggiro, ossia la persona indotta in errore dalla condotta fraudolenta dell'agente ed il soggetto passivo del reato, vale a dire il titolare dell'interesse patrimoniale (Ex Multis, Sez. 2, n. 43143 del 17/07/2013, Saracino, Rv. 257495-01), tale dicotomia può incidere sull'esercizio del diritto di querela, posto che, ai sensi dell'art. 120 c.p., soltanto la "persona offesa da un reato" ha diritto di querela.
Tanto è vero quanto premesso, nel caso in esame la persona offesa del reato deve individuarsi in T.E., in quanto unica titolare del conto corrente utilizzato per effettuare il bonifico sulla carta postepay intestata all'imputata e dunque, unica titolare del patrimonio leso a causa della condotta truffaldina; mentre il T.D. rappresenta unicamente il soggetto destinatario degli artifici e dei raggiri, poiché persona indotta in errore dalla condotta fraudolenta realizzata dall'imputata e dal concorrente rimasto ignoto, ma non anche soggetto passivo del reato. Infatti, stando agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità "ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato di truffa, dell'individuazione dell'interesse tutelato e conseguentemente del titolare di detto interesse è la diminuzione patrimoniale, cui corrisponde il conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente, e cioè l'aspetto finalistico e non quello strumentale (induzione in errore) della condotta; pertanto, essendo il soggetto passivo del reato colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell'azione truffaldina, la querela proposta dalla persona ingannata, in caso di non coincidenza fra indotto in errore e danneggiato, è priva di ogni effetto (Sez. 2, n. 10259 del 13/07/1993, Cerello, Rv. 195869-01).
Peraltro, neppure si rivela decisivo il richiamo operato dalla Corte di merito a quell'orientamento di legittimità che ha esteso il diritto a proporre querela anche al cosiddetto terzo danneggiato dal delitto di truffa, intendendo con tale espressione colui che per effetto della condotta fraudolenta, pur senza aver subito una concreta diminuzione patrimoniale, abbia però perduto l'opportunità di acquisire al proprio patrimonio, ad esempio, il bene offerto in vendita dall'imputato o il corrispettivo di un servizio in grado di erogare al pubblico, quale mancata acquisizione di un profitto (Sez. 2, n. 43910 del 04/10/2019, Minnucci, Rv. 277712 - 01; Sez. 2, n. 20169 del 03/02/2015, Olivieri, Rv. 263520 - 01). Invero, nel caso in esame, il c.d. lucro cessante è stato ravvisato nel mero inadempimento, in assenza dell'indicazione di un necessario quid pluris che a tale fatto ricollegasse l'esistenza di un concreto pregiudizio nel patrimonio del T.D..
2. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per difetto di querela, restando, di conseguenza, assorbiti gli altri motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è improcedibile per difetto di querela.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2023