Corte appello Napoli sez. VI, 01/07/2024, (ud. 21/05/2024, dep. 01/07/2024), n.6051
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. si applica anche ai reati di pericolo astratto, valutando la modesta lesività della condotta e l'assenza di abitualità, purché ricorrano i presupposti normativi e sia assicurato il pieno contraddittorio.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 1895/22, emessa in data 12.9.2022 dal Tribunale di Torre Annunziata, (…), Ge.Ma. è stata dichiarata penalmente responsabile dei reati dei reati ex artt. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 (capo A),64, 65, 71 e 72 D.P.R. n. 380/2001 (capo B) e 93-95 D.P.R. n. 380/2001 (capo C), indicati in imputazione, e, concesse le attenuanti generiche, e ritenuta la continuazione, con reato più grave individuato nel capo A), è stata condannata alla pena di mesi tre di arresto ed Euro 13.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. È stata dichiarata l'estinzione del reato ex art. 181, comma 1 -bis, del D.Lgs. 42/2004, di cui al capo D), per intervenuta riduzione in pristino.
La responsabilità dell'imputata è stata ritenuta in base al verbale di sequestro redatto il 19.9.2020 dagli agenti del Comando di Polizia Municipale della Città di Torre del Greco, in cui si legge che, all'esito di un controllo effettuato nel fondo di proprietà della Ma., venne riscontrata l'avvenuta esecuzione delle opere indicate in imputazione, in zona sottoposta a vincolo sismico e paesaggistico e senza alcun titolo abilitativo. Il bene è stato poi dissequestrato in data 19.5.2021, avendo preso atto, il giudice, dell'avvenuta rimessione in pristino.
Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputata, con ricorso tempestivamente depositato, articolando i seguenti motivi:
1) con il primo motivo ha chiesto dichiararsi la nullità della sentenza di primo grado. A tale riguardo, ha evidenziando che, nella fase degli atti preliminari al dibattimento del processo di primo grado, il difensore ha chiesto emettersi un provvedimento ex art. 129 c.p.p., sul presupposto che, avendo egli dimostrato l'avvenuta rimessione in pristino dell'opera, era possibile l'emissione immediata di una sentenza che dichiarasse estinzione del reato sub D) e, al contempo, assolvesse l'imputata, ex art. 131-bis c.p., in relazione agli altri reati; tuttavia, ha aggiunto, il giudice, ritiratosi in camera di consiglio, invece che limitarsi a delibare solo tale richiesta preliminare ha, inopinatamente, e accogliendo la altrettanto anomala richiesta del P.M., direttamente pronunciato una sentenza di condanna per i reati di cui ai capi A), B) e C), così travalicando i limiti della richiesta difensiva e, ciò che più conta, omettendo di dare luogo all'istruttoria. La sentenza, ha concluso, si configura come abnorme.
2) con il secondo motivo ha chiesto la concessione del benefìcio della sospensione condizionale della pena;
3) con il terzo motivo ha chiesto l'assoluzione per particolare tenuità del fatto.
All'odierna udienza, dopo la rituale costituzione delle parti, si è dato corso alla discussione, nell'ambito della quale il Procuratore Generale e la Difesa hanno concluso come da verbale. La Corte, dopo essersi ritirata in camera di consiglio, ha dato lettura del dispositivo, riservando il deposito della motivazione nel termine di giorni quarantacinque.
Ciò premesso, in primo luogo va rigettata la questione preliminare di nullità.
Al riguardo, la Corte osserva, in primo luogo, che la regola generale dell'art. 129 c.p.p. deve essere correlata, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, con quella dell'art. 469 c.p., che, in tale fase, consente solo il proscioglimento anticipato nell'ipotesi di improcedibilità dell'azione penale o di estinzione del reato, fatta salva l'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 129 c.p.p., in relazione alla quale, però, il giudice può pronunciarsi solo nella fase dibattimentale, implicando essa un giudizio che deve essere compiuto con la garanzia del pieno contraddittorio, soprattutto quando non si tratti di proscioglimento che prescinda da approfondite valutazioni del fatto, in relazione alle quali le parti hanno diritto di richiedere ammissioni di prove da espletare, appunto, nel dibattimento. Non è quindi, possibile un'assoluzione nel merito in tale fase.
Nel caso di specie, però, il giudice si è spinto oltre, perché, oltre a pronunciare, correttamente, una sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato sub D), ha addirittura pronunciato una sentenza di condanna nel merito, che era vieppiù preclusa nella fase degli atti preliminari al dibattimento.
Ciò posto, va tuttavia rilevato che la definizione del giudizio nel merito, nella fase degli atti preliminari e al di fuori dei casi espressamente previsti dall'art. 469 c.p.p., di per sé non determina nullità, né relativa, siccome non prevista, né assoluta ex art. 178 lett. a), per essere il giudice del dibattimento lo stesso avanti al quale si svolge la fase preliminare.
Ciò posto, la sentenza appellata deve essere comunque riformata, in accoglimento del terzo motivo di appello, con la pronuncia di sentenza di assoluzione nei confronti dell'appellante, con la formula che l'imputata non è punibile per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art, 131 bis c.p.
Invero, giova rammentare che l'art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, ha introdotto nel codice penale, con l'art. 131-bis c.p., l'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, che si colloca accanto a numerose ipotesi previste dal codice penale e dalle leggi speciali in cui un fatto costituente reato (di cui devono ricorrere tutti i presupposti) non è punibile. In generale le cause di non punibilità vengono definite come quelle situazioni - concomitanti o susseguenti alla commissione di un fatto antigiuridico e colpevole - che, per ragioni politico - criminali, escludono la punibilità del soggetto agente. Esse, a differenza delle cause di giustificazione, non incidendo né sulla antigiuridicità né sulla colpevolezza, non riguardano la struttura del reato, ma solo ed esclusivamente la punibilità; rappresentano perciò una categoria autonoma e distinta da quelle delle cause di giustificazione e di esclusione della colpevolezza: queste ultime escludono il fatto illecito o lo scusano, le prime, al contrario, rendono non punibile un fatto tipico, antigiuridico e colpevole.
Dalla collocazione sistematica delle cause di non punibilità discendono, salvo diversa previsione, alcune conseguenze: così, la putatività della causa di non punibilità è irrilevante; la condotta - in presenza degli ulteriori presupposti della tipicità, antigiuridicità e colpevolezza - integra il reato presupposto (ed è configurabile, ad es. la legittima difesa; la ricettazione; la calunnia); permane l'obbligo di restituzioni e risarcimento ex art. 185 c.p.
La causa di non punibilità opera obiettivamente, ma non è estensibile ai concorrenti, in ragione dei presupposti o requisiti richiesti, presupposti o requisiti che costituiscono "oggetto di prova" ai sensi dell'art. 187 c.p.p.
La sentenza che dichiara il proscioglimento per non punibilità dell'agente è una sentenza di merito, quindi preclusiva di un nuovo giudizio e, infine, principi comuni alla estinzione del reato e della pena sono dettati agli artt. 182 e ss. c.p.
I cennati principi di carattere generale, salve le diverse diposizioni dettate dal decreto legislativo 28/2015, trovano applicazione anche con riferimento all'istituto di recente introduzione che, in ragione della sua natura sostanziale -emblematica la sua collocazione sistematica nel codice penale e nel capo concernente la pena - è regolato dal principio di retroattività delia legge più favorevole, secondo quanto stabilito dall'art. 2, comma 4 cod. pen.
Fin dai primi commenti si è osservato che la ratio dell'istituto, che pure realizza la finalità di ridurre il carico giudiziario, riposa sul principio di proporzione, apparendo ragionevole riservare la sanzione penale ai soli casi in cui è assolutamente necessario.
L'applicazione della causa di non punibilità delle particolare tenuità del fatto - che può avvenire solo all'esito di un procedimento interamente giurisdizionalizzato in cui è assicurato il contraddittorio con l'indagato/imputato e la persona offesa - è ancorata a precisi e rigorosi presupposti, collegati all'entità della sanzione edittale prevista ed agli specifici criteri di individuazione della particolare tenuità del fatto, sicché l'istituto sembra strutturato secondo criteri forniti di oggettività e determinatezza sufficienti a ricondurre la discrezionalità del giudice entro i confini della compatibilità con i principi di legalità e obbligatorietà dell'azione penale e, del resto, le modalità dell'azione, l'entità dei danni cagionati, il grado di offesa causata - cioè i criteri e requisiti di individuazione della particolare tenuità - costituiscono indici diffusamente utilizzati dal legislatore penale.
Sebbene la formula di assoluzione in esame sia tra quelle previste dal codice la più sfavorevole - perché con la pronuncia giudiziale si afferma la esistenza di un reato di cui sono presenti tutti gli elementi strutturali e per l'effetto che il provvedimento definitivo esplica sulla posizione dell'imputato che è oggetto di iscrizione ne! certificato penale del casellario giudiziale - la natura di causa di non punibilità comporta che essa operi, in presenza delle condizioni e requisiti di cui si dirà in prosieguo, obiettivamente e, con applicazione anche ai processi in corso per fatto anteriormente commesso e pur in mancanza di una disciplina transitoria.
Non ne è, dunque, preclusa la sua applicazione nel giudizio di appello sulla scorta del principio del tantum devolutum quantum appellatum posto che detto principio è soggetto ad eccezioni in relazione ad alcune questioni che, indipendentemente dai punti impugnati, possono essere valutate o decise dal giudice d'ufficio, in quanto la legge ne impone l'accertamento in ogni stato e grado del processo. L'unica preclusione alla declaratoria della causa di non punibilità dovrebbe individuarsi nell'impugnazione originariamente inammissibile, che è inidonea a determinare un nuovo grado di giudizio e rende impossibile ogni accertamento diverso da quello diretto all'accertamento dell'impossibilità di giudicare e anche l'inammissibilità parziale non dovrebbe precludere il rilievo anche d'ufficio della causa di non punibilità (cfr. sul punto Cass. pan., sezione 1, sentenza n. 41088 del 6.6.2012).
Facendo applicazione dei principi di carattere generale deve, inoltre, ritenersi che, sebbene in sede di conclusioni in appello le parti possano concludere ove lo ritengano sul tema dell'applicabilità delle cause di non punibilità, non può, però, ritenersi necessario né che tale statuizione debba costituire oggetto di preventiva sollecitazione da parte delia Corte né che l'opposizione dell'imputato ovvero - ove presente - della persona offesa, possa assumere funzione preclusiva all'applicazione dell'istituto.
Consegue da quanto fin qui illustrato che la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. è applicabile anche ai fatti pregressi ed è applicabile, ex officio, anche nel giudizio di appello ancorché, sul piano logico prima che giuridico, debbano essere esaminati - come nelle pagine precedenti si è fatto - i motivi di appello che investono il merito della responsabilità.
Nel caso in esame ritiene la Corte che ricorrono le condizioni e requisiti di applicabilità della causa di non punibilità che, seguendo i criteri enucleati dalla giurisprudenza per istituti omologhi a quello in esame, comportano una valutazione globale dei fatto per cui si procede ed un apprezzamento in concreto degli indici normativamente indicati, considerando - in particolare - la pena edittale prevista per la fattispecie incriminatrice (ed invero il Legislatore non ha individuato fattispecie illecite escluse dall'applicazione dell'istituto) e la sussistenza, congiuntamente e non alternativamente, come si ricava dal tenore letterale delia disposizione, dei ed. indici-criteri, cioè la tenuità dell'offesa e non abitualità del comportamento.
La norma indica, infatti, espressamente, oltre ai limiti edittali di pena, altri elementi di valutazione cui il giudice deve attenersi, poiché si specifica che ii primo degli "indici-criteri" (cioè la particolare tenuità dell'offesa) si articola a sua volta in due "indici-requisiti", che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, apprezzate ai sensi dell'articolo 133 co. 1, cod. pen. (che, come è noto, stabilisce che, nel determinare la pena, il giudice desume la gravità del fatto dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione, dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato e dalla intensità del dolo o dal grado della colpa).
Si tratta, dunque, di una valutazione complessa, che il giudice deve effettuare per rilevare se, sulla base dei due "indici-requisiti" delia modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'articolo 133 cod. pen., sussista "l'indice-criterio" della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento: solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
È affermato l'orientamento - ad es. in materia di ricettazione e di reati contro il patrimonio in generale - secondo ii quale il giudizio di particolare tenuità non può fondarsi solo sulla valutazione dell'entità del danno economico o del lucro conseguito; deve, invece, guardarsi alla globalità del fatto, ai profili della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato.
Le linee guida per il giudizio di tenuità di un fatto di reato sono quindi: valutazione globale delia vicenda, non decisività dello scarso rilievo economico del danno causato o del lucro cercato a fronte di condotte implicitamente gravi, scrutinio della condotta di vita antefatta al fine di esprimere un giudizio complessivo sulla valutazione del reo, verifica del grado di lesione di tutti i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice.
L'ancoraggio a taluni dei parametri interpretativi descritti - con esclusione ad es. di quello relativo al grado di colpevolezza dell'autore del fatto esiguo, espressamente richiamato in altri progetti legislativi - impone all'interprete, quindi al giudice, di concentrare la valutazione di questo aspetto sulle modalità del fatto, piuttosto che su aspetti personologici, che assumono rilievo in relazione al criterio della non abitualità del comportamento, definito dal co. 3 dell'art. 131 bis cod. pen., ancoraggio che può consentire un'equilibrata applicazione del nuovo istituto.
Va segnalato, con riferimento alla valutazione del danno o del pericolo - e, dunque, l'istituto è certamente applicabile anche ai reati pericolo astratto ovvero presunto - che la relazione allegata allo schema di decreto legislativo richiama l'attenzione sulla circostanza che, nei dare attuazione alla delega, si è tenuto conto della netta differenza tra la "irrilevanza del fatto" e la "inoffensività del fatto", ricordando come quest'ultima sia normativamente riconducibile all'art. 49, comma 2 cod. pen., il quale esclude la punibilità quando l'evento dannoso o pericoloso è impossibile per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa, mentre, nel caso dell'irrilevanza del fatto, non difetta alcun elemento costitutivo del reato, il quale, tuttavia, viene ritenuto non punibile in base ai principi di proporzione e di economia processuale.
Soffermandosi, poi, sul secondo degli "indici - criteri", quello della non abitualità del comportamento, rileva la Corte che il riferimento al "comportamento", che deve risultare "non abituale", ha suscitato alcuni dubbi se messo in relazione con quanto poi indicato nel terzo comma dell'art. 131-bis, il quale prende in considerazione alcune situazioni, che indica, premettendo l'espressione "il comportamento è abituale nel caso in cui". Letti in sequenza, ì due commi sembrano indicare, il primo, semplicemente l'"indice-criterio" della "non abitualità del comportamento" e, il terzo, la sua definizione. Se tale lettura fosse corretta, si dovrebbe considerare "non abituale" e, quindi, positivamente valutabile ai fini della non punibilità, ogni situazione diversa da quelle descritte (casi in cui "l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate").
Secondo la relazione, invece, ii terzo comma dell'art. 131-bis cod. pen., aggiunto su sollecitazione espressa nel parere della Commissione giustizia della Camera dei deputati, descriverebbe soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato abituale, ampliando quindi il concetto di "abitualità", entro il quale potranno collocarsi altre condotte qualificabili come abituali e, pertanto, ostative alla declaratoria di non punibilità.
Tale diversa lettura, peraltro, salda logicamente il terzo comma al precedente, cui si aggiunge nel delimitare ulteriormente l'operatività del primo ed è quella condivisa dalla Corte.
Ora, passando ad applicare le coordinate fin qui descritte al caso in esame, e premesso che Sa pena prevista per i reati ascritti all'appellante è compatibile con i limiti del beneficio, ritiene la Corte che certamente sussistono anche gli ulteriori requisiti, valutati alla luce dei criteri indicati, poiché si è in presenza di un fatto oggettivamente modesto, sia con riguardo alle opere eseguite, sia tenuto conto del comportamento dell'imputata, che ha immediatamente rimosso le stesse. Evidente, poi, la minima lesività dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice per effetto della condotta ricostruita in dibattimento e per la non abitualità della condotta stessa, conclusione che trova conferma nell'esame del certificato penale dell'imputata. Inoltre, deve attribuirsi rilievo alla modesta entità della pena inflitta.
A causa del rilevante carico di ruolo dell'ufficio il termine per il deposito della motivazione è stato riservato in quarantacinque giorni, non completamente fruiti.
P.Q.M.
visto l'art. 605 c.p.p.,
in riforma della sentenza emessa, in data 12.9.2022, dal Tribunale di Torre Annunziata, (…), appellata dall'imputata Ma.Ge., assolve l'imputata dai reati a lei ascritti ai capi a), b) e c), per particolare tenuità del fatto. Conferma nel resto.
Motivazione in giorni quarantacinque.
Così deciso in Napoli il 21 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2024.