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Calunnia: necessità di dolo e percezione genuina dell'accusatore

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Tribunale Torre Annunziata, 21/07/2023, n.1293

Il reato di calunnia richiede la certezza dell'innocenza dell'incolpato da parte del querelante. Il dolo non è configurabile quando l'accusa si fonda su una percezione distorta o su un errore genuino circa i fatti, anche se temeraria.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
9 giugno 2021 - Decreto che dispone il giudizio.

11 novembre 2021 - Dichiarazione di assenza. Apertura del dibattimento.

Richieste istruttorie. Ammissione delle prove articolate dalle parti. Rinvio per inizio istruttoria.

31 maggio 2022 - Su accordo delle parti, si acquisisce la querela sporta il 06.09.2019 da Vi.Ga., con domande a chiarimento. Per le posizioni dei testi Sa. ed altri (…), su accordo delle parti, si acquisiscono i rispettivi verbale di s.i.t., con domande a chiarimento.

Produzione documentale: referto di D.Ro., copia testamento olografo del 17.3.2016 e n. 14 fotogrammi, decreto di archiviazione per Vi.

18 ottobre 2022 - Rinvio per legittimo impedimento del difensore.

14 febbraio 2023 - Rinvio per legittimo impedimento del difensore.

25 maggio 2023 - Chiusura dell'istruttoria dibattimentale. Conclusioni delle parti. Decisione.

Diritto
Motivi della decisione
Alla luce dell'istruttoria dibattimentale svolta e degli atti acquisiti con l'accordo delle parti al fascicolo dibattimentale, ritiene il Giudicante che vada emessa sentenza di assoluzione nei confronti degli odierni imputati D.Ro. e D.Lu. per il reato loro ascritto in rubrica perché il fatto non costituisce reato.

1. L'odierno procedimento trae origine dalla querela sporta il 6.9.2019 dalla costituita parte civile, Vi.Ga., acquisita al fascicolo dibattimentale anche con riferimento al suo contenuto.

In quella sede, il Vi. aveva dichiarato di essere stato per oltre trent'anni compagno di vita del Sig. Vi.Ma., deceduto in data 5.11.2017, col quale era legato da una relazione sentimentale. A suo dire, sin dall'inizio della relazione, il defunto Ma. gli aveva consegnato le chiavi della sua abitazione, che Vi. affermava di sentire come casa sua; nell'ultimo periodo di vita, quando il Ma. era ormai anziano e affetto da gravi patologie, l'unico ad occuparsi del suo stato di salute e ad offrirgli le cure necessarie era stato proprio il Vi.

Quando, in data 19.10.2017, si era reso necessario il ricovero d'urgenza del Sig. Ma. presso l'ospedale (…) e, la sera successiva, il trasporto presso l'ospedale di Pagani, il Vi. aveva deciso di mettersi in contatto coi parenti del compagno, poichè, non essendovi alcun legame di parentela tra lui e il paziente, gli operatori sanitari opponevano costanti dinieghi agli accessi ospedalieri per ragioni di privacy.

Nonostante le cure, il 5.11.2017 il Sig. Vi.Ma. era venuto a mancare. Di conseguenza, il Vi. aveva deciso di attivarsi al fine di dar seguito alle ultime volontà del compagno, recandosi presso l'appartamento del Ma. per recuperare alcuni libri da lui pubblicati e una stampa di Sant'Anna, cui il Ma. era devoto, poiché più volte questi aveva espresso il desiderio di essere accompagnato da tali oggetti durante la cerimonia funebre.

Proprio all'atto di uscire dall'appartamento del compagno, il Vi. si era però trovato dinnanzi gli odierni imputati, (…) e (…), nipoti del defunto Ma., i quali, con fare minaccioso, avevano iniziato ad aggredirlo verbalmente, intimandogli di restituire le chiavi di casa, i libri e la stampa (come specificato in dibattimento, "ho capito però che volevano tassativamente le chiavi di casa (…). Mi si sono messi davanti e hanno precluso la possibilità di parlare e di andare via. Hanno chiesto solo le chiavi di casa. Questo reclamavano le chiavi di casa e i libri, un quadro che poi è una stampa"); oggetti che egli deteneva sia per dare seguito alle volontà del defunto sia perché il defunto gli aveva lasciato i beni in eredità, così come esplicitato in testamento olografo di cui la parte civile ha prodotto copia (cfr. in atti) ma che non è mai stato pubblicato per scelta dello stesso Vi. e di cui non vi è menzione neppure nella denuncia ("al che io mi sono un attimino ribellato, anche perché non mi hanno dato la possibilità di specificare un qualcosa che comunque c'era scritto nel testamento c'era ben specificato che tutto ciò che c'era in casa era mio e quindi ero l'erede, l'unica persona").

I D.Ro., aggredendolo, lo avevano costretto a rifugiarsi all'interno della propria autovettura, piazzandosi tuttavia davanti all'auto per impedirgli di andar via. Solo con una manovra di fortuna, egli era riuscito a scappare.

La sera stessa egli aveva poi restituito le chiavi di casa a un cugino di Ma.Vi., Vi.Cu. e, quanto agli altri oggetti aveva dato seguito alle volontà di Ma.Vi. ha quindi precisato di non aver sporto querela per questi fatti; ma di aver appreso che, all'esito di questo diverbio, i due D.Ro. si erano recati presso il Comando di Polizia Municipale di Torre del Greco, sporgendo nei confronti del Vi. querela, in cui gli stessi dichiaravano: "Vedevamo uscire dall'appartamento di mio zio Vi. che aveva con sé le chiavi dell'appartamento e degli effetti personali appartenenti allo zio. Gli chiedevamo gentilmente di fermarsi per restituire le chiavi visto che non ha nessun vincolo familiare o titolarità nell'appropriarsi dei beni appartenenti a mio zio. Il sig. Vi., salendo in macchina, ci veniva addosso con la sua auto tentando di investirci e scappando via senza curarsi di cosa fosse successo" (cfr. querela sporta da D.Ro. e Lu. in atti).

Nell'ambito del procedimento originato da quella querela (iscritto a carico di Vi. con n. 7888/17 R.G. e n. 2361/18 R.G. GIP per i reati p. e p. dagli artt. 582,624 e 593 c.p.), venivano svolte indagini all'esito delle quali l'Ufficio di Procura chiedeva e otteneva l'archiviazione per la posizione di Vi., evidenziando nella motivazione che i denuncianti avevano taciuto il ventennale rapporto di coppia esistente tra indagato (Vi.Ga.) e defunto (Ma.Vi.), (cfr. richiesta di archiviazione prodotta dalla p.c.).

2. Con l'accordo delle parti è stato acquisito il verbale di s.i.t. rese da (…) il 31.7.2020 la quale, in veste di collaboratrice domestica presso l'abitazione di Vi.Ma. dal 2009, confermava che il Vi. era stato sempre presente nella vita del suo compagno e soprattutto nell'ultimo periodo di vita segnato dalla malattia. Ella confermava la versione dei fatti presentata da Vi., sostenendo che il giorno della morte del Ma.Vi., la costituita p.c. Vi.Ga., stante la volontà del defunto di essere accompagnato nella celebrazione funebre da un quadro di Sant'Anna che i due avevano comprato un anno prima in un mercatino dell'usato, si era recato presso l'abitazione del Ma. per recuperare il quadro in questione e portarlo in chiesa prima dell'inizio della celebrazione. Quando però i nipoti del de cuius, D.Ro. e Lu., lo avevano visto uscire da quella casa, lo avevano accusato di aver rubato cose di proprietà degli eredi, inveendo contro di lui con parole forti quali "sei un ladro, stai rubando e stai svuotando i ricordi di nostro zio".

3. In fase d'indagine, è stata sentita anche Ba.Vi., legata al sig. Ma. da una profonda amicizia, la quale confermava che Ma.Vi. e Vi.Ga. erano legati da una relazione sentimentale da 37 anni, circostanza di cui etano a conoscenza tutti i parenti del defunto poiché nessuno dei due ne aveva mai fatto mistero.

4. Escusso a s.i.t. il 28.7.2020 Ma.Fr., diacono presso la Chiesa del (…) in cui furono svolte le celebrazioni funebri in occasione dalla morte del Ma., dichiarava di aver ricevuto, al termine del rito funebre, dalle mani del Vi. una stampa con cornice raffigurante Sant'Anna, essendo sua volontà quella di donare questa effige alla comunità parrocchiale.

Solo in un secondo momento, rincontrando Vi.Ga., questi gli aveva raccontato che i familiari del Ma. lo avevano accusato del furto del quadro.

5. Con l'accordo delle parti, sono state acquisite anche le s.i.t. rese da Cu.Pa., cugino del defunto Ma.Vi., il quale dichiarava che qualche anno prima del decesso, Ma. si era trasferito presso la casa di Vi.Ga., ove i due vivevano con la madre anziana della p.c.

Aggiungeva, inoltre, che qualche tempo prima, Ga.Vi. gli aveva posto in visione il testamento olografo di Vincenzo con cui intendeva lasciare tutti i suoi averi al compagno, unica persona che si era prodigata per lui.

6. Anche Ma.Cl., escusso a s.i.t. nella fase delle indagini, pur non essendo stato presente ai fatti da cui trae origine il procedimento odierno, dichiarava di esserne a conoscenza per il tramite del Vi., persona a lui ben nota perché "loro convivevano da circa trent'anni, infatti io ho ricordi di loro insieme sin da quando ero adolescente. Loro facevano pienamente parte delle nostre vite e della nostra famiglia" - circostanza che trova in ogni caso riscontro nei numerosi fotogrammi prodotti dalla p.c. che ripercorrono diversi momenti familiari in annate differenti in cui i due vengono ritratti insieme ai familiari del defunto (cfr. in atti).

7. Ora, sulla base di tali emergenze processuali, e in particolare pur ritenendo provato che tra parte civile e Ma. vi fosse una relazione sentimentale ultratrentennale, ritiene questo giudice che gli imputati vadano assolti dal reato contestato perché il fatto non costituisce reato.

La fattispecie di cui all'art. 368 c.p. necessita per la sua integrazione di un soggetto che incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato.

Sotto il profilo soggettivo, "il dolo del reato di calunnia va escluso nel caso in cui un individuo, anche se affidandosi a fatti che sono frutto di una personale e distorta percezione, si limiti a incolpare qualcuno temerariamente, senza avere alcuna intensione di accusare una persona innocente" (Cass. Pen., sez. VI ,14/07/2015, n. 38296).

Nel caso di specie, pur ritenendosi provato che il Vi. avesse titolo (in forza del rapporto con il de cuius) per prelevare dall'abitazione la stampa ed altri effetti personali per dar seguito alle volontà di Ma., si ritiene senz'altro non integrato l'elemento soggettivo del reato previsto e punito dall'art. 368 c.p.

Anzitutto, il procedimento non è stato in grado di chiarire, oltre ogni

ragionevole dubbio, che l'episodio in relazione al quale D.Ro. e D.Ro. presentarono querela si sia svolto in termini difformi da quelli da loro descritti, e che essi quindi abbiano riferito circostanze false sul conto dell'odierna parte civile.

Vero è che gli stessi, in occasione della denuncia, hanno taciuto la circostanza, della quale certamente erano a conoscenza, che il Vi. fosse compagno di vita del defunto Vi.Ma.

Tuttavia, la ricostruzione della vicenda offerta dagli odierni imputati è almeno in parte attendibile, poiché certamente essi subirono le lesioni giudicate guaribili in giorni 5, accertate da referto medico (cfr. in atti). A ciò si aggiunge che tutti i testi e la stessa persona offesa hanno confermato le ostilità sorte nell'occasione del recupero della stampa da parte del Vi.

Del resto, il solo silenzio da parte degli imputati in merito al tipo di relazione intercorsa tra il defunto zio e la costituita parte civile odierna non è sufficiente per ritenere integrato l'elemento soggettivo del reato di calunnia.

Nel caso concreto, proprio dalla lettura delle denunce poste a fondamento del procedimento a carico del Vi., si evidenzia in maniera lampante come gli imputati non fossero affatto certi dell'innocenza dell'incolpato, ma anzi lo ritenessero colpevole di essersi introdotto nell'abitazione dello zio al fine di appropriarsi illegittimamente delle chiavi di casa e di beni di proprietà del defunto (rispetto alle quali avevano ragione di ritenere nulla sapendo del testamento che Vi. non avesse titolo di ereditare).

In quel momento, i beni nella loro integrità non potevano considerarsi di spettanza del solo Vi., sebbene egli fosse compagno di vita del de cuius. Pertanto non può dirsi che gli imputati abbiano sporto querela accusando Vi. del reato di furto o appropriazione indebita pur sapendolo innocente.

Di conseguenza, gli imputati D.Ro. e D.Ro. vanno mandati assolti dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.
Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve D.Ro. e D.Ro. dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato.

Letto l'art. 544 c.p.p., indica in giorni sessanta il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Torre Annunziata il 23 maggio 2023.

Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2023.

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