Tribunale Roma, 22/05/2023
La calunnia, avendo natura plurioffensiva, lede non solo l'interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia, ma anche l'onore e la reputazione dell'incolpato, con un riflesso diretto sui diritti fondamentali della persona offesa. Il risarcimento del danno non patrimoniale derivante da calunnia deve essere determinato in via equitativa, considerando la gravità della condotta, la risonanza mediatica, la durata degli effetti lesivi e la sofferenza interiore causata. La chiamata in correità, pur se non sfociata in conseguenze penali per l'incolpato, costituisce offesa diretta quando le false accuse contengono elementi idonei a configurare il reato imputato. (Cass. civ., Sez. Un., n. 26972/2008; Cass. pen., n. 21789/2010).
MOTIVAZIONE – Con citazione ritualmente e tempestivamente notificata F. Rutelli, fondatore e presidente dell'associazione politica “La Margherita”, all'epoca in liquidazione, ha convenuto in giudizio L. L., tesoriere del partito e legale rappresentante dello stesso a fini contabili, economico-finanziari e di gestione patrimoniale, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali, quantificati nell'importo di euro 1 milione.
A tal fine ha evidenziato l'esistenza di sentenza penale irrevocabile con la quale il convenuto era stato condannato per il delitto di calunnia commesso nel 2012 nei propri confronti, costituitosi parte civile in quel procedimento, nel quale era stata altresì pronunciata condanna generica al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile. Ha esposto che il tribunale adito, con sentenza n. 7435 del 2 maggio 2014, aveva condannato il convenuto alla pena di otto anni di reclusione per appropriazione indebita continuata di risorse facenti parte del patrimonio della “Margherita” e calunnia per avere falsamente accusato l'attore – sapendolo innocente – di averlo indotto a effettuare quelle operazioni di indebita appropriazione; che la Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 2984 del 31 marzo 2017, aveva rideterminato la pena in sette anni di reclusione e confermato la condanna al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile; che infine la Corte di cassazione, con sentenza n. 14761 del 30 marzo 2018, aveva sostituito la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea di cinque anni, con il conseguente passaggio in giudicato delle statuizioni che avevano rimesso al giudice civile la quantificazione del danno da calunnia.
Ha, in proposito, sostenuto di avere subito dall'intera vicenda una gravissima lesione dell'onore e della reputazione, soprattutto politica, quale conseguenza dell'avversa condotta calunniosa del convenuto, secondo il quale l'attore avrebbe ideato ed indotto le condotte appropriative, svolte quale mero esecutore delle medesime, sostanzialmente chiamandolo in correità ed individuandolo quale mandante di un incarico finalizzato a sottrarre parte delle risorse del partito, nel corso delle indagini preliminari (interrogatorio g.i.p. ed interrogatori pubblici ministeri del giugno/luglio 2012). In particolare, l'attore ha evidenziato l'enorme risalto mediatico della vicenda calunniosa sulla stampa nazionale, anche nelle versioni online delle varie testate giornalistiche, sin dall'epoca delle indagini preliminari e fino all'introduzione del giudizio nel 2019, con costanti aggiornamenti e con la ostinata e pervicace reiterazione delle dichiarazioni calunniose nei propri confronti, peraltro senza la manifestazione di alcun ravvedimento nel corso degli anni.
Ha quindi sottolineato il gravissimo danno riportato dall'intera vicenda sulla credibilità politica, con lesione dell'onorabilità del proprio profilo pubblico, mai inciso negativamente nel corso dell'attività istituzionale svolta per un trentennio e caratterizzato da onestà, probità e trasparenza. Ha infine evidenziato, sempre sotto il profilo del danno non patrimoniale asseritamente subito e della sofferenza interiore, il turbamento psicologico sofferto, anche in relazione alla considerazione degli stretti congiunti ed alla perdita dell'armonia familiare, con lesione dunque non solo dal punto di vista dell'onore e della reputazione pubblica, ma anche di quella privata, con dolore intimo patito quale persona offesa dal reato di calunnia.
Il convenuto si è costituito evidenziando l'insussistenza di alcun automatismo tra le invocate sentenze penali e la fondatezza della spiegata domanda risarcitoria, stante la necessità di allegare e provare l'ingente danno asseritamente subito, nella specie da ritenersi insussistente, considerato che l'attore, nonostante la condotta calunniatoria posta in essere, non era mai stato coinvolto nelle indagini e nel procedimento penale, se non come persona offesa, e che era sempre stato ritenuto responsabile delle appropriazioni indebite il solo convenuto; ha comunque sostenuto di avere sempre ammesso la propria responsabilità penale, di avere provveduto alle dovute restituzioni e di avere intrapreso un lungo e difficile percorso detentivo e riabilitativo, terminato anche con una proposta conciliativa rimasta inascoltata.
Ha concluso quindi per il rigetto dell'avversa domanda. (Omissis).
La domanda risarcitoria dell'attore è fondata e deve essere accolta nei limiti e per le ragioni che seguono. (Omissis).
Infine, per quanto rileva in questa sede, la sentenza ha altresì accertato il mendacio e l'interesse ad esso sotteso da parte dell'imputato – dal punto di vista dell'elemento soggettivo del reato e della consapevolezza dell'innocenza della persona offesa, accusata falsamente –, consistente, da un lato, nella volontà di sminuire le proprie responsabilità penali, configurandosi quale mero esecutore di comportamenti indotti dal presidente del partito al quale sottraeva denaro (mentre invece le appropriazioni risultano effettuate per propria esclusiva iniziativa e con un fine esclusivamente personale), e, dall'altro, nella sopravvenuta consapevolezza da parte dell'imputato dell'avvenuto “abbandono” da parte del presidente e del partito stesso dai quali si aspettava protezione e che invece lo avevano lasciato privo di copertura ed usato come “capro espiatorio di una situazione oggettivamente imbarazzante”, con la conseguente decisione “di vendicarsi attribuendogli responsabilità che vanno ben oltre quelle di un omesso controllo”. Da ultimo, la menzionata sentenza di primo grado, nel procedere alla determinazione delle pene, riconosce la continuazione, oltre che tra le singole condotte appropriative, tra queste e la calunnia, evidenziando, riguardo a tale ultima condotta, che “pur materialmente realizzata in epoca successiva alle appropriazioni, è stata evidentemente finalizzata ad elidere la propria colpevolezza al riguardo ed in quanto tale deve ritenersi far parte di un'ideazione unitaria, anche eventuale, in cui egli aveva posto tra gli elementi di rassicurazione del proprio disegno criminoso il profondo rapporto personale e fiduciario che lo legava a Francesco Rutelli e la possibilità di utilizzare lo stesso a copertura delle proprie malefatte” (cfr., pag. 29, della sentenza Tribunale di Roma).
Siffatta ricostruzione della condotta criminosa della calunnia non è mai stata modificata (nemmeno nel capo di imputazione) nei successivi gradi di giudizio (la lieve riduzione di pena in appello è dovuta all'accertata prescrizione di alcuni fatti appropriativi oggetto di contestazione) e deve ritenersi accertata in tali termini con efficacia di giudicato, quale fondamento della condanna generica pronunciata ex art. 539 c.p.p., senza provvisionale (considerata la particolare complessità della valutazione del danno sofferto da Rutelli “per il ruolo politico rivestito”; cfr., sentenza corte d'appello, pag. 47).
In sede di legittimità, infatti, la Cassazione, nel confermare la sentenza di primo grado, ha stabilito che “... i giudici di merito hanno correttamente ritenuto sussistente la chiamata in correità di Rutelli, indicato come l'ideatore delle appropriazioni indebite realizzate successivamente dal L. secondo le modalità concordate, e come il mandante di un incarico finalizzato non alla tutela delle risorse del partito, ma a sottrarre una parte delle stesse, in vista della costituzione di una sorta di fondo di garanzia per le proprie successive attività politiche personali. E hanno reputato che, al di là delle dichiarazioni di Rutelli, che hanno sconfessato il racconto del ricorrente, la versione offerta dal L. era smentita da diverse circostanze emerse nel processo, dalle quali era data evincersi la volontà di un'accusa mendace”; ed inoltre che: “Le stesse modalità con le quali si espresse il ricorrente che espose circostanze non veritiere risalenti ad anni prima denotano la volontà di esporre situazioni suscettibili di danneggiare Rutelli e non manifestazione di eventi del tutto neutri, espressi in maniera del tutto occasionale, poiché il contesto in cui vennero formulate, dinanzi ad autorità che avevano l'obbligo di procedere, denota il proposito di coinvolgere negli illeciti commessi il presidente della Margherita (...)” (cfr., sentenza cassazione, pagg. 18–21). Ebbene, la condotta realizzata dal convenuto appare di rilevante disvalore nei confronti dell'attore, per come giudizialmente accertata nel procedimento penale, il quale, nelle tre fasi di giudizio, si è protratto complessivamente dal 2012, epoca delle dichiarazioni calunniose nel corso delle indagini preliminari, al 2018 almeno, epoca della sentenza della Corte di cassazione (che ha confermato definitivamente che il convenuto “falsamente accusava F. Rutelli, che sapeva innocente”).
Nel corso di tutti questi anni la descritta vicenda giudiziaria, peraltro espressione di un profondo intento doloso del convenuto nei confronti della persona offesa, ha avuto risonanza mediatica molto ampia, considerato che l'hanno affrontata e descritta numerosissimi articoli di cronaca e cronaca giudiziaria pubblicati su testate nazionali (tutti allegati all'atto di citazione ed alla successiva prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., nel numero di oltre trenta brani sull'argomento), ove sono state sempre riportate le dichiarazioni del convenuto secondo le quali il medesimo sarebbe stato un mero esecutore dei propositi di spartizione delle risorse della “Margherita”, dichiarazioni, peraltro, rese da L. non solo in occasione dell'esame parlamentare della richiesta di arresto nei suoi confronti durante l'audizione tenuta presso la Giunta delle elezioni e le immunità parlamentari del Senato della Repubblica il 16 maggio 2012, ma anche, appunto nel corso delle indagini preliminari (interrogatorio presso la procura di Roma del 27 marzo 2012, interrogatorio davanti al g.i.p. del 23 giugno 2012 e interrogatorio davanti ai pubblici ministeri del 17 luglio 2012). (Omissis).
Ebbene, il descritto contesto evidenzia, nel complesso, la fondatezza della lamentata lesione dei diritti fondamentali dell'attore, quali onore, reputazione ed immagine non solo professionale dell'uomo politico, ma anche quella privata di uomo nel contesto familiare e sociale; il concetto di reputazione non riguarda infatti soltanto la stima che si ha di sé stessi, ma anche la considerazione che i terzi hanno di sé, essendosi quindi gli effetti della vicenda di calunnia esaminata riflessi in maniera diretta ed immediata sull'attore, per tutto il lungo tempo in cui questa è stata oggetto di esame da parte dell'autorità giudiziaria ed è stata altresì grandemente diffusa dagli organi di stampa, attraverso i quali lo stesso convenuto ha peraltro continuato a sostenere, anche nonostante la sentenza di condanna del 2014, la propria verità (per come evincibile anche dall'allegato 16, pag. 32, memoria 183 n. 2, sesto comma, c.p.c. di parte convenuta, consistente in memoria dell'imputato per l'udienza di appello del 2 marzo 2016) contraria alla verità giudiziale, perfino diffondendola attraverso il libro sopra richiamato. È evidente che se la condotta criminosa non fosse stata posta in essere non vi sarebbero stati né un processo nei suoi tre gradi di giudizio, né l'evidenziata risonanza mediatica. Del resto, come è noto, secondo il condivisibile orientamento della suprema Corte di cassazione il delitto di calunnia: “ha natura plurioffensiva, nel senso che oltre a ledere l'interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia, offende anche l'onore dell'incolpato” (cfr., tra le tante, Cass., pen., 28 aprile 2010, n. 21789; Cass., civ., 19 aprile 2013, n. 9618). Né tale offesa può essere esclusa dall'assenza di conseguenze penali per l'attore a seguito della chiamata in correità da parte del L., considerato che la medesima si è verificata nel momento in cui sono state attribuite all'attore le riportate circostanze false (cfr., nello specifico, sul punto, la pronuncia resa in sede di appello, secondo la quale “La mancata iscrizione di Rutelli nel registro degli indagati non esclude la configurabilità del reato in quanto, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, quale reato di pericolo non è richiesto l'inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo solo che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di una persona univocamente individuabile e non si compendi in circostanze assurde e grottesche tali da non poter ragionevolmente neppure adombrare la concreta ipotizzabilità del fatto. Nel caso di specie, l'accusa non era confezionata con il ricorso a circostanze assurde e solo la valutazione logica del compendio probatorio acquisito sino a quel momento ha indotto la Procura a non dar seguito alla chiamata in correità formulata contro Rutelli”).
A fronte di tale, grave, lesione dei diritti fondamentali dell'attore, questo deduce di aver subito, quale danno conseguenza della condotta criminosa dell'odierno convenuto, sofferenze e patimenti interiori nella propria sfera personale soprattutto a causa della grave compromissione della credibilità politica, condizione analiticamente descritta sin dall'atto introduttivo ed eziologicamente riconducibile alla condotta calunniosa del convenuto. La prospettazione è pienamente condivisibile.
La tipologia di condotta calunniosa posta in essere e sopra riportata nel suo contenuto ha specificamente riguardato proprio l'ambito dell'esercizio dell'attività politica dell'attore ed appaiono quindi evidenti ed intuibili non solo il discredito professionale e politico causato nei confronti dello stesso, “mai sfiorato da alcun addebito di malversazione e disonestà” (affermazione in citazione non contestata dalla controparte, la quale non ha nemmeno menzionato l'esistenza di eventuali procedimenti penali o condanne a carico dell'attore) e titolare negli anni dei noti incarichi istituzionali dal medesimo elencati in citazione (da intendersi qui richiamati), ma anche la sofferenza interiore ed il disagio di tipo sociale e relazionale che indubbiamente sono derivati nel rapporto coi congiunti ed il contesto sociale di riferimento (pecunia doloris o pretium doloris).
Per quanto riguarda il danno da reato, poi, occorre richiamare la giurisprudenza delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione (v. sentenza n. 26972 del 2008), secondo la quale, in presenza di illecito penale, deve considerarsi superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte, dovendosi affermare la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, comprensiva cioè anche del pregiudizio non patrimoniale consistente “nel non poter fare” o meglio “nella sofferenza morale determinata dal non poter fare” ovvero dalla incidenza sul “fare non reddituale” della persona. In altri termini, si è affermato che, nel caso in cui il fatto illecito limita le attività realizzatrici della persona umana, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizza un nuovo tipo di danno (rispetto al danno morale soggettivo ed al danno biologico), già ricondotto dai precedenti orientamenti al “danno esistenziale”. Ebbene, indubbiamente, l'intera vicenda, per come sopra descritta, diffusa dalla stampa e prospettata da L. stesso, ha provocato a lungo – secondo il meccanismo inferenziale tipico delle presunzioni laddove il danneggiato abbia assolto, come nella specie, all'onere di allegare gli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio – quanto meno sospetti sulla onestà e dirittura morale dell'attore, affermato uomo politico, esponendolo a dubbi e critiche, costringendolo ad affrontare la vicenda nella quale è stato coinvolto, sebbene quale persona offesa, e verosimilmente anche ad assumere comportamenti professionali e sociali diversi da quelli che avrebbe normalmente tenuto per effetto di un senso di vergogna, di imbarazzo e riservatezza derivanti dalle (false) dichiarazioni del convenuto e dall'offesa al sentimento dei propri valori di onestà e trasparenza, oltre che all'onore e alla reputazione, vale a dire dalla offesa delle qualità che concorrono a determinare la considerazione che si ha di sé stessi e quella di cui si gode nell'ambito della collettività nella quale si vive e si opera, anche professionalmente, quale noto personaggio pubblico e politico.
Anche a tale proposito, del resto, considerata la notorietà dell'attore, la stampa nazionale ha dato risalto alle conseguenze dannose della vicenda per l'odierno attore, pubblicando brani, anch'essi menzionati in citazione e depositati in atti, dai titoli (e contenuti) indicativi del turbamento e della sofferenza interiore della persona offesa dal reato. Ebbene, il descritto contesto evidenzia, nel complesso, la fondatezza della lamentata lesione dei diritti fondamentali dell'attore, quali onore, reputazione ed immagine non solo professionale dell'uomo politico, ma anche quella privata di uomo nel contesto familiare e sociale; il concetto di reputazione non riguarda infatti soltanto la stima che si ha di sé stessi, ma anche la considerazione che i terzi hanno di sé, essendosi quindi gli effetti della vicenda di calunnia esaminata riflessi in maniera diretta ed immediata sull'attore, per tutto il lungo tempo in cui questa è stata oggetto di esame da parte dell'autorità giudiziaria ed è stata altresì grandemente diffusa dagli organi di stampa, attraverso i quali lo stesso convenuto ha peraltro continuato a sostenere, anche nonostante la sentenza di condanna del 2014, la propria verità (per come evincibile anche dall'allegato 16, pag. 32, memoria 183 n. 2, sesto comma, c.p.c. di parte convenuta, consistente in memoria dell'imputato per l'udienza di appello del 2 marzo 2016) contraria alla verità giudiziale, perfino diffondendola attraverso il libro sopra richiamato. È evidente che se la condotta criminosa non fosse stata posta in essere non vi sarebbero stati né un processo nei suoi tre gradi di giudizio, né l'evidenziata risonanza mediatica. Del resto, come è noto, secondo il condivisibile orientamento della suprema Corte di cassazione il delitto di calunnia: “ha natura plurioffensiva, nel senso che oltre a ledere l'interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia, offende anche l'onore dell'incolpato” (cfr., tra le tante, Cass., pen., 28 aprile 2010, n. 21789; Cass., civ., 19 aprile 2013, n. 9618). Né tale offesa può essere esclusa dall'assenza di conseguenze penali per l'attore a seguito della chiamata in correità da parte del L., considerato che la medesima si è verificata nel momento in cui sono state attribuite all'attore le riportate circostanze false (cfr., nello specifico, sul punto, la pronuncia resa in sede di appello, secondo la quale “La mancata iscrizione di Rutelli nel registro degli indagati non esclude la configurabilità del reato in quanto, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, quale reato di pericolo non è richiesto l'inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo solo che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di una persona univocamente individuabile e non si compendi in circostanze assurde e grottesche tali da non poter ragionevolmente neppure adombrare la concreta ipotizzabilità del fatto. Nel caso di specie, l'accusa non era confezionata con il ricorso a circostanze assurde e solo la valutazione logica del compendio probatorio acquisito sino a quel momento ha indotto la Procura a non dar seguito alla chiamata in correità formulata contro Rutelli”).
Nella specie, dunque, l'attore ha compiutamente dedotto ed allegato il discredito complessivamente derivatogli dalla vicenda e le sofferenze patite in conseguenza di essa e ciò è sufficiente a quantificare il danno morale subito, ed in particolare le dimostrate sofferenze interiori, in maniera piuttosto elevata, sebbene di molto inferiore a quanto richiesto, da determinarsi nello specifico in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. quanto all'entità del pregiudizio (Cass. civ., 5 dicembre 2014, n. 25739). In ordine alla quantificazione del danno, ad avviso del giudicante, è possibile attenersi ai condivisibili criteri orientativi elaborati per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa dall'osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel 2018 e confermati nel marzo del 2021, secondo i quali vengono distinte cinque tipologie di diffamazione, con individuazione per ognuna di esse del danno liquidabile.
Pur non essendovi coincidenza tra danno non patrimoniale da diffamazione e da calunnia, la comune nota di avere origine in condotte penalmente rilevanti e dell'incidenza di tali condotte sulla categoria dei diritti fondamentali, oltre che la risonanza mediatica assunta nella fattispecie dalla condotta criminosa sugli organi di stampa, consentono infatti di utilizzare i medesimi parametri orientativi, trattandosi comunque di pronuncia resa in base ai poteri equitativi del giudicante. In particolare, nell'ambito dei menzionati criteri, vengono distinte: la diffamazione di tenue gravità (danno liquidabile da euro mille a euro 10 mila), la diffamazione di modesta gravità (danno liquidabile da euro 11 mila a euro 20 mila), la diffamazione di media gravità (danno liquidabile da euro 21 mila a 30 mila), la diffamazione di elevata gravità (danno liquidabile da euro 31 mila a 50 mila) e la diffamazione di eccezionale gravità (danno liquidabile da euro 50 mila in su).
Ciò posto, l'odierna fattispecie di calunnia può essere equiparata, ai concreti fini del risarcimento del danno non patrimoniale, alla diffamazione di eccezionale gravità (danno liquidabile in oltre 50 mila euro), avuto riguardo alla notorietà dell'attore, con particolare riferimento alle cariche pubbliche ed istituzionali dal medesimo ricoperte nel corso degli anni e meglio elencate in atti né contestate dal convenuto, alla natura della condotta calunniosa che ha investito direttamente e principalmente proprio l'ambito dell'attività politica della persona offesa, con attribuzione di fatti aventi rilevanza penale di rilevante gravità, alla reiterazione della condotta sugli organi di stampa anche a seguito della (e nonostante la) sentenza del tribunale del 2014, all'intensità dell'elemento psicologico doloso del reato e della chiamata in correità, meglio descritto dalle sopra citate pronunce, nonché alla vasta diffusione e protratta risonanza delle dichiarazioni calunniose su numerose testate nazionali e non solo, le quali hanno costantemente riportato dichiarazioni del convenuto, aggiornamenti processuali e reazioni del mondo politico, peraltro ancora accessibili nelle versioni online, con perdurante pregiudizio alla reputazione, anche sul web.
In particolare, tenuto conto di tutto quanto sopra evidenziato, si stima equo determinare, al valore attuale, il risarcimento del danno non patrimoniale dovuto dal convenuto in favore dell'attore per la sofferenza interiore conseguente ai descritti fatti oggetto di accertamento penale irrevocabile in euro 70 mila, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo. La domanda risarcitoria deve in conclusione essere accolta nella misura di cui sopra.