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La denuncia calunniosa e i suoi effetti: responsabilità risarcitoria per danni patrimoniali e non patrimoniali

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Tribunale Padova sez. II, 14/11/2023, n.2252

La presentazione di una denuncia o querela è fonte di responsabilità per danni solo in presenza di dolo, ovvero quando l'accusa sia consapevolmente falsa e diretta a causare un danno al denunciato. La consapevolezza dell'innocenza del querelato, unita a intenti ritorsivi o maliziosi, configura il reato di calunnia ex art. 368 c.p., integrando il presupposto per la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali (come le spese legali) e non patrimoniali (pregiudizio alla reputazione e sofferenza morale).

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Ro.Fi. ha convenuto in giudizio Ba.Go. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, per complessivi Euro 26.693,48 oltre interessi e rivalutazione, subiti a causa della denuncia-querela presentata dalla convenuta contro l'attore per accesso abusivo a sistemi informatici protetti e del conseguente procedimento penale apertosi a suo carico e poi conclusosi con l'archiviazione, deducendo la natura calunniosa della denuncia, sporta nella piena consapevolezza dell'estraneità ai fatti dell'attore e con finalità ritorsive legate a questioni condominiali.

1.1. Si è tempestivamente costituita Ba.Go. chiedendo il rigetto delle domande attoree, negando di aver posto in essere alcuna condotta calunniosa nei confronti dell'attore per difetto dell'elemento soggettivo e deducendo comunque la genericità delle allegazioni avversarie in ordine alla sussistenza e all'entità dei danni non patrimoniali lamentati.

1.2. La causa è stata istruita con prove orali e giunge in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti.

2. La domanda di risarcimento dei danni per calunnia è fondata e va accolta nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

In diritto costituisce orientamento consolidato quello secondo il quale la denuncia di un reato perseguibile d'ufficio o la proposizione della querela in relazione ad un fatto perseguibile a querela di parte non è di per sé fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante o del querelante in caso di proscioglimento o assoluzione dell'imputato, se non quando la denuncia o la querela possano considerarsi calunniose, ovvero solo in caso di condotta dolosa del denunciante o del querelante volta alla consapevole attribuzione della commissione di un reato in capo a soggetto della cui innocenza il denunciante sia conscio (Cass. n. 11898/2016; Cass. n. 1542 del 2010; Cass. n. 10033 del 2004; Cass. n. 15646 del 2003; Cass. n. 750 del 2002; Cass. n. 3536 del 2000).

Commette infatti calunnia, a norma dell'art. 368 c.p. "Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità" che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato".

Spetta al danneggiato provare la sussistenza di tutti i presupposti dell'illecito addebitato al convenuto, e cioè non solo la materialità delle accuse, ma anche la consapevolezza della loro falsità e infondatezza (Cass. n. 9322 del 2015; Cass. n. 300 del 2012), poiché la presentazione della denuncia di un reato costituisce adempimento del dovere, rispondente ad un interesse pubblico, di segnalare fatti illeciti, che rischierebbe di essere frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce semplicemente inesatte o rivelatesi infondate (cfr. Cass. n. 11271 del 2020).

La giurisprudenza penale ha poi avuto modo di precisare che "la consapevolezza da parte del denunciante dell'innocenza della persona accusata è, dunque, esclusa solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza. A tale riguardo, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiaramente tracciato la linea di discrimine, stabilendo che se l'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o, comunque, di una corretta rappresentazione nella denuncia, l'omissione di tale verifica o rappresentazione viene a connotare effettivamente in senso doloso la formulazione di un'accusa espressa in termini perentori. Di contro, solo quando l'erroneo convincimento riguardi i profili valutativi della condotta oggetto di accusa, in sé non descritta in termini difformi dalla realtà, l'attribuzione dell'illiceità potrebbe apparire dominata da una pregnante inferenza soggettiva, come tale inidonea, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, ad integrare il dolo tipico del delitto di calunnia. Ne discende che l'ingiustificata attribuzione come vero di un fatto del quale non si è accertata la realtà presuppone la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all'incolpato" (Cass. pen. n. 29117 del 2012).

2.1. Ciò premesso in diritto, questi i fatti di causa.

L'odierna convenuta è stata proprietaria, fino al 2021, di un appartamento facente parte del complesso denominato Condominio (…), che ha abitato personalmente, insieme al marito, Ma.Ra., fino al 2017; anche la moglie dell'attore è proprietaria di un appartamento nel medesimo condominio e l'attore è stato per un certo periodo amministratore di fatto del condominio.

I rapporti condominiali tra le parti erano tesi.

Al riguardo è del tutto irrilevante stabilire in questa sede le ragioni di tali dissidi, apparendo sufficiente, per poter contestualizzare i fatti di causa, il dato, non contestato, della elevata conflittualità in essere. Successivamente al trasferimento dei coniugi Go./Ra. nella primavera del 2017, l'attore ha spedito il 22.9.2017 al loro nuovo indirizzo una raccomandata contenente il verbale dell'assemblea del 20.9.2017 - al quale dette parti avevano comunicato, tramite mail del 19.9.2017 (doc. 15 att.), che non avrebbero partecipato - contenente la data della nuova assemblea fissata (doc. 18 att.); successivamente l'attore ha inviato tramite raccomandata anche il verbale dell'assemblea del 9.10.2017. A seguito della ricezione di dette raccomandate, in data 28.10.2017 la convenuta sporgeva denuncia-querela presso la stazione dei Carabinieri di Cadoneghe nei confronti dell'attore sostenendo che questi, Brigadiere Capo presso l'Arma dei Carabinieri in servizio presso il centro operativo di Padova della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), sarebbe illegittimamente venuto a conoscenza del suo nuovo indirizzo di residenza in Cadoneghe (PD) al fine di recapitarle la raccomandata a/r del 22.9.2017, approfittando del suo ruolo (doc. 1 att.).

Si legge nella denuncia:

"Premetto di essere, con mio marito RA.Ma., proprietaria di un appartamento nel condominio (…).

In seguito ai cattivi rapporti con alcuni condomini, in particolare con la famiglia Ro. e la famiglia di FI.Ro., che abita in un altro luogo ma è proprietaria di uno degli appartamenti, ho cambiato casa, mettendo in affilio quell'appartamento a tale Gi.

Ho badato bene, come anche mio marito, di non comunicare a nessuno il mio nuovo indirizzo, per non essere raggiunta dai condomini di cui sopra.

Devo anche dire che le discordie erano nate soprattutto per il l'alto che, mio marito ed io, non condividevamo l'opportunità di far eseguire le pulizie condominiali e lo sfalcio dell'erba a delle persone estranee non in regola, in pratica, tali lavori venivano eseguiti da persone note a Fi. ed altri condomini, che non avevano presentato alcun preventivo e nessuna fattura ma, soprattutto, non erano assicurati in caso di infortunio.

Inoltre, nonostante le numerose nostre richieste, non si è mai provveduto a nominare un amministratore di condominio, che fosse terzo nei problemi più volte rappresentati.

Ho scritto a Ro.Fi. varie volte a mezzo posta elettronica all'indirizzo che lui stesso ci aveva dettato, ovvero: (…) ma lui non mi ha mai risposto con io stesso mezzo, invece, in risposta ad una mia e-mail del 19.09.2017, inerente i problemi condominiali, ho ricevuto presso il mio nuovo indirizzo di (…) una raccomandata con avviso di ricevimento, il cui mittente c: (…). Tale raccomandala reca la date del 22/09/2017 ed è giunta presso la mia abitazione qualche giorno dopo.

In seguito, ho anche chiesto allo stesso Fi., via e-mail di spiegarmi come avesse fatto a conoscere il mio nuovo indirizzo, ma lui non mi ha risposto.

Mi sono informata sia presso l'anagrafe di (…) che presso quella di Campodarsego, per sapere se qualcuno avesse riferito il mio indirizzo a chicchessia, ma in entrambi gli uffici c stata negata tale possibilità. Mi è stato detto che per rivelare il mio indirizzo a qualcuno era necessario per l'ufficio ricevere una richiesta motivata, con allegalo un documento del richiedente, ma tale richiesta non risultava agli atti e pertanto nessuno poteva legittimamente conoscere il mio indirizzo.

Rappresento inoltre che, nonostante la mia richiesta di spiegazioni, in data successiva e prossima al 10.10.2017, sempre spedita dal FI.Ro. mi è arrivata un'altra raccomandata.

Per quanto sopra, sapendo che Fi.Ro. è un carabiniere in servizio presso la DIA di Padova, come da lui stesso ribadito più volte, chiedo si proceda nei suoi confronti per avere violato la mia privacy profittando del suo status".

E' stato quindi aperto presso il Tribunale di Venezia un procedimento penale a carico dell'attore, n. RG 1348/2018, per il reato di cui all'art. 615 ter c.p., conclusosi poi con decreto di archiviazione del 14.6.2021 (doc. 6 att.).

2.2. Pacifico l'elemento oggettivo della calunnia, avendo la convenuta attribuito all'attore una condotta delittuosa perseguibile d'ufficio, riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 615 ter c.p.(1), sussiste anche quello soggettivo, ovvero la consapevolezza dell'innocenza di Fi. in capo alla convenuta. Gli elementi oggettivi su cui l'attrice ha basato la sua denuncia contro Fi. sono stati la mancata comunicazione del proprio indirizzo a terzi e ai condomini in particolare, la mancata risposta di Fi. alla mail con cui chiedeva come avesse avuto conoscenza dell'indirizzo e l'assenza di richieste di terzi presso l'anagrafe del Comune circa il suo nuovo indirizzo.

Da tali elementi la convenuta ha quindi desunto con certezza che l'indirizzo della sua residenza fosse stato recuperato da Fi. abusando del suo ruolo di pubblico ufficiale, avvalendosi dei sistemi informatici utilizzati nell'ambito della sua attività lavorativa.

Le prove orali espletate nel presente giudizio, tuttavia, hanno dimostrato la falsità del primo assunto, ovvero la mancata comunicazione ai condomini del nuovo indirizzo, mentre la mail di richiesta a Fi. di spiegazioni non è mai stata prodotta.

Quanto al primo assunto, le condomine Ti.Pe. e Ro., infatti, hanno entrambe confermato che all'assemblea del 20.3.2017, su richiesta della condomina Ti., Ma.Ra., marito della convenuta, ha comunicato il nuovo indirizzo di (…), via (…). Durante tale riunione era presente anche l'attore.

Ma.Ra. ha invece negato la circostanza, ma detta discorde testimonianza - di cui l'attore non ha eccepito la nullità per incapacità all'esito dell'escussione con conseguente sua sanatoria ex art. 157 c.p.c. (cfr. Cass. n. 11377 del 2006) - appare recessiva rispetto a quella delle due condomine, considerato che per queste non vi sono ragioni per dubitare della loro terzietà, a differenza che per Ra., marito della convenuta, senza contare che appare del tutto plausibile che, visto il trasloco, fosse stato richiesto dove i coniugi Ra. si fossero trasferiti.

Ben avrebbe potuto poi la convenuta citare gli altri condomini presenti alla riunione per sostenere la propria tesi, mentre invece ha citato come teste solo il marito.

Se quindi l'indirizzo di nuova residenza era stato reso noto ai condomini, cade la tesi dell'acquisizione illegittima come unica possibilità di conoscenza dell'indirizzo.

Né la convenuta, come già sopra indicato, ha prodotto la mail che avrebbe inviato all'attore per sapere come avesse recuperato l'indirizzo.

Ancora, la stessa convenuta nella sua comparsa, a pagina 5, afferma che "non è dato capire con che modalità veniva a conoscenza della nuova residenza".

Né il fatto che l'attore si vantasse del suo lavoro e del fatto che a lui nulla poteva sfuggire, come dedotto nel presente giudizio, può ritenersi una prova oggettiva dell'abuso.

Da un lato, quindi, la convenuta non aveva elementi oggettivi per fondare la sua convinzione circa la colpevolezza dell'attore, che poteva al più essere una sua congettura o ipotesi, dall'altro, i dissidi condominiali fanno apparire più che plausibile un intento ritorsivo, tanto più ove si consideri che quella inviata era una semplice raccomandata contenente il verbale d'assemblea con la data di rinvio della nuova assemblea.

Va quindi affermata la natura calunniosa della condotta della convenuta.

3. Venendo ora alle conseguenze lesive, il danno patrimoniale che l'attore reclama è costituito dalle spese legali sostenute per la difesa nel procedimento penale avviato per presunto accesso abusivo a sistemi informatici ex art. 615-ter c.p., protrattosi per circa tre anni e conclusosi con l'archiviazione, quantificate in complessivi Euro 1.693,48, come da fatture quietanzate del legale (doc. 22 att.). Si tratta di un costo sostenuto in conseguenza diretta e immediata della condotta della convenuta che nessuna contestazione ha mosso al riguardo. La voce va quindi riconosciuta.

3.1. Quanto al danno non patrimoniale, l'attore lamenta sia il pregiudizio alla reputazione e all'immagine in ambito lavorativo, causato dall'avvio del predetto procedimento penale, sia la sofferenza interiore, l'angoscia e l'ansia legati al timore di possibili conseguenze pregiudizievoli in ambito lavorativo e allo sconvolgimento, ancorchè temporaneo, della quotidianità delle relazioni familiari e affettive con la moglie e i due figli conseguenti al trasferimento al centro operativo di Trieste da giugno a ottobre 2018, quantificandolo in complessivi Euro 25.000,00.

Escluso che il danno possa essere in re ipsa, non identificandosi puramente e semplicemente nella lesione dell'interesse protetto, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli che tale lesione ha determinato2, dai documenti in atti e dalle prove orali può ritenersi raggiunta la prova, anche in via presuntiva, di quanto lamentato dall'attore.

Premesso che 1) la sottoposizione a un procedimento penale per abuso della propria funzione, 2) la circostanza che il procedimento penale sia stato portato a conoscenza di tutta la catena gerarchica per eventuali provvedimenti disciplinari (si vedano le richieste di aggiornamenti sul procedimento doc. 2, 3, 4 e 5) sono già di per sé fatti sufficienti a far ritenere provata, in via presuntiva, sia la compromissione della reputazione, quantomeno in termini di dubbi sulla professionalità, sia la sofferenza interiore e lo stato d'ansia dell'attore, con inevitabili riflessi negativi anche nella sfera familiare, entrambi detti pregiudizi sono stati confermati dal teste Da.Sa., all'epoca dei fatti responsabile dell'attore.

Il teste ha dichiarato che il trasferimento a Trieste dell'attore è stato disposto proprio a causa dell'indagine in corso a Venezia ed è durato fino a quando le verifiche hanno escluso ogni responsabilità di Fi. e ha ricordato altresì che Fi. soffriva per la situazione venutasi a creare.

2 Sul punto si richiama Cass. ord. n. 31537 del 6.12.2018 "in tema di responsabilità civile derivante da pregiudizio all'onore ed alla reputazione, il danno risarcibile non è "in re ipsa" e va pertanto individuato, non nella lesione del diritto inviolabile, ma nelle conseguenze di tale lesione, sicchè la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato".

Il procedimento penale ha quindi comportato non solo un disagio emotivo all'attore, ma anche un concreto peggioramento, pur se solo temporaneo, della condizione lavorativa e altresì familiare dell'attore, visto l'allontanamento forzato da casa per circa cinque mesi e ha altresì nella liquidazione, necessariamente equitativa, si ritiene di fare riferimento alla quantificazione proposta nelle tabelle di Milano per il danno da diffamazione, vista l'identità dei valori lesi e del tipo di pregiudizi che ne conseguono.

I fatti di causa appaiono riconducibili a quelli di tenue entità.

Se da un lato, infatti, la denuncia di un simile reato per un appartenente all'Arma dei Carabinieri è particolarmente grave, incidendo sui valori fondamentali della professione, dall'altra si deve tener conto della provenienza della denuncia da una condomina, priva di alcuna notorietà e che nella denuncia richiamava i contrasti insorti, fatti che potevano già indirizzare le autorità a ipotizzare intenti ritorsivi o calunniosi; se poi è vero che l'archiviazione è giunta solo nel 2021, a tre anni di distanza, già dopo 5 mesi l'attore aveva potuto riprendere regolarmente servizio, essendone già stata verificata l'estraneità ai fatti e non risulta l'adozione di altri provvedimenti nei suoi confronti. Si ritiene quindi di riconoscere la somma di Euro 4.000,00, già comprensiva di interessi e rivalutazione. La convenuta va quindi condannata al pagamento di complessivi Euro 5.693,48 oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

4. Quanto alle spese, queste seguono la soccombenza e vanno poste a carico della convenuta e liquidate in base a valori inferiori ai medi per le quattro fasi, tenuto conto della prossimità del danno riconosciuto ai minimi dello scaglione, della semplicità delle questioni giuridiche affrontate, con sostanziale ripetizione degli argomenti difensivi.

Atteso infine che a mente dell'art. 59, lett. d), del D.P.R. 26.4.86 n. 131 vanno registrate a debito le sentenze che condannano al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato - laddove, in forza del successivo art. 60, risulta necessario indicare quale sia la parte obbligata al risarcimento del danno, nei cui confronti va recuperata l'imposta prenotata a debito - si precisa che nel caso di specie parte obbligata è Ba.Go.

P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

condanna Ba.Go. a pagare a Ro.Fi., a titolo di risarcimento danni per le causali di cui in parte motiva, la somma di Euro 5.693,48 oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Condanna altresì Ba.Go. a rimborsare a Ro.Fil. le spese di lite, che si liquidano in Euro 545,00 per spese vive, Euro 4.000,00 per onorari, oltre IVA, se dovuta, CPA e 15,00 per cento per rimborso spese generali.

A norma degli artt. 59 e 60 D.P.R. 131/86 parte obbligata è Ba.Go.

Così deciso in Padova il 9 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2023.

(1) (A norma dell'art. 615 ter c.p., (Accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico). Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni: se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema").

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