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Dolo nella calunnia: necessità della certezza sull'innocenza dell'incolpato (Corte appello Napoli - Terza sezione)

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Corte appello , Napoli , sez. III , 31/07/2023 , n. 7725

Per la configurabilità del reato di calunnia è necessario che il soggetto agente accusi consapevolmente una persona della cui innocenza abbia certezza, mentre l'esistenza di dubbi sulla colpevolezza dell'incolpato esclude l'elemento soggettivo del reato.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Attraverso il proprio difensore, Ga.U. - nella duplice veste di imputato, nonché di parte civile costituita nei confronti di D'A.Er. - ha impugnato la sentenza emessa in data 12.2.2015 dal Tribunale di Benevento in composizione monocratica, con la quale il predetto imputato è stato giudicato colpevole del reato continuato a lui ascritto e - concesse attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante - è stato condannato alla pena condizionalmente sospesa di euro 150,00 di multa, nonché al risarcimento del danno patito dalla parte civile D'A.Er.

Ai soli effetti civili, poi, il Ga. ha impugnato l'assoluzione del D'A. dal delitto di diffamazione.

L'appello nell'interesse del Ga. in qualità di imputato.

Con il primo motivo di appello si chiede di assolvere il Ga. perché il fatto non sussiste, quantomeno ex art. 530 co. 2 c.p.p.

A tal fine si evidenzia che il D'A. ha reso una testimonianza fortemente imprecisa circa l'epoca in cui si erano verificate le minacce. Inoltre, il medesimo D'A. ha riferito che le minacce non erano espresse a parole ma solo a gesti, ed è lecito dubitare di quanto da lui percepito atteso che egli, per sua stessa ammissione, soffre di una maculopatia, ovvero di una patologia che compromette la vista. Il medesimo dichiarante ha reso dichiarazioni ulteriormente inattendibili perché si è contraddetto su un aspetto non trascurabile dal punto di vista del giudizio di attendibilità intrinseca, ovvero la relazione sentimentale - negata in querela, ma riferita in dibattimento - con la moglie del Ga.

Infine, il giudizio di attendibilità doveva tenere conto del fatto che il D'A. era contemporaneamente imputato di diffamazione in danno del medesimo soggetto da lui accusato.

Con il secondo motivo di appello si eccepisce la compiuta prescrizione del reato.

La sentenza di primo grado va riformata dichiarando la prescrizione del reato di minaccia.

Prendendo le mosse dal giudizio di attendibilità del D'A., costui è stato esaminato in qualità di testimone in data 21.2.2013. il giudizio di attendibilità è positivo, non riscontrandosi alcuna delle criticità indicate dalla difesa. In primo luogo il D'A. ha immediatamente chiarito la ragione di ipotetico astio verso il Ga., ossia la pregressa (ed in ogni caso terminata) relazione sentimentale che aveva avuto con la moglie del soggetto da lui denunciato; ed ha altrettanto chiaramente spiegato che dal suo soggettivo punto di vista il contegno del Ga. - del quale meglio si dirà - andava posto in correlazione con l'incendio della sua

autovettura, avvenuto nel mese di agosto 2007, e con l'incendio occorso presso la sua abitazione nel successivo mese di febbraio 2008.

Sussiste dunque un primo indice di attendibilità dell'accusa poiché la querela del D'A. veniva presentata solo nel marzo 2008, ossia dopo gli eventi più allarmanti.

In secondo luogo, questi ha reso una testimonianza pacata, nel corso della quale si è limitato a riferire quanto a sua memoria, senza accrescere artificiosamente la propria narrazione e senza mostrare acrimonia.

Con specifico riferimento alle censure mosse dall'appellante, il D'A. ha spiegato di avere inizialmente sfumato il riferimento alla predetta relazione sentimentale per galanteria verso la sua compagna; quanto poi alla maculopatia, la circostanza è stata riferita dal D'A. al fl. 9 del verbale stenotipico del 21.2.2013. La difesa intende sostenere che, a causa di tale patologia, il dichiarante non avrebbe potuto vedere ciò che invece riferiva di avere visto; ma si tratta di una conclusione che non trova conforto nelle risultanze processuali, poiché il D'A. ha dichiarato che a causa della maculopatia egli era solito indossare gli occhiali da sole, dei quali si avvaleva per evitare di incrociare lo sguardo con il Ga. allorquando lo incontrava.

L'altro canto, che costui transitasse nei pressi dell'abitazione del D'A. è circostanza non contestabile, riferita dal medesimo Ga. nel corso dell'esame reso nella stessa udienza del 21.2.2013.

Conclusivamente, va confermato che in più occasioni Ga., incrociando in strada il D'A., gli rivolgeva gesti inequivocabilmente minacciosi, ovvero mimava il taglio della gola.

Così ribadita la sussistenza del reato di minaccia - in merito al quale si richiamano qui le valutazioni svolte al fl. 3 della sentenza impugnata - va rilevata la compiuta prescrizione di tale reato, definitivamente maturata in data 9.9.2015.

La sentenza di primo grado va quindi riformata in questa parte e Ga. va condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile D'A. per la costituzione nel presente grado di giudizio, che si liquidano come da dispositivo in base alle tariffe contenute nel d.m. 147/2022, tenuto conto della modesta complessità delle questioni giuridiche che il presente giudizio ha richiesto di affrontare.

L'appello nell'interesse del Ga. in qualità di parte civile.

Si chiede la riforma della sentenza, agli effetti civili, ritenendo il D'A. responsabile del delitto di diffamazione di cui al capo B.

A tal fine si evidenzia che, allorquando esternava i suoi sospetti circa gli autori dell'incendio ella sua automobile, il D'A. colloquiava con i carabinieri intervenuti, adoperando modalità tali da consentire ai presenti - radunatisi sul posto perché allarmati dalle fiamme -

di ascoltare le accuse rivolte al Ga.

Si verificava quindi il requisito della comunicazione con più persone, ferma restando la natura offensiva dell'altrui reputazione delle frasi pronunciate dai D'A.

La natura denigratoria di tali frasi, ad avviso dell'appellante, appariva maggiormente chiaro tenuto conto del fatto che il soggetto accusato era il marito della persona con cui il D'A. era sospettato di avere una relazione: se egli avesse voluto limitarsi ad aiutare gli investigatori fornendo loro elementi ritenuti utili alle indagini, si sarebbe recato in caserma ed avrebbe conferito riservatamente con i Carabinieri. Il primo giudice, poi, avrebbe erroneamente obliterato quanto riferito dal testimone (…), il quale si trovava a casa del Ga. nel momento in cui i Carabinieri si presentavano per eseguire una perquisizione: in quel frangente, infatti, il maresciallo Romagnolo aveva dichiarato che la perquisizione era determinata dalle dichiarazioni del D'A.

Con il secondo motivo di appello si chiede di condannare D'A. a risarcire il danno subito da Ga., il quale svolgeva il lavoro di autista di scuolabus ed in seguito alle accuse vedeva fortemente danneggiata la reputazione di cui godeva nella sua comunità.

L'appello è infondato.

Giova premettere che anche in questo caso si discute di una fattispecie estinta per prescrizione alla data del 8.2.2015. All'esito del gravame proposto dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, il giudice d'appello, anche qualora sia intervenuta la prescrizione del reato contestato, deve valutare la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di responsabilità limitata agli effetti civili e può condannare l'imputato al risarcimento del danno o alle restituzioni qualora reputi fondata l'impugnazione, in modo da escludere che possa persistere la sentenza di merito più favorevole all'imputato (Sez. 2 - Sentenza n. 6568 del 26/01/2022 Ud. (dep. 23/02/2022) Rv. 282689 - 01).

Orbene, l'assoluzione del D'A. deve essere confermata.

In primo luogo, giova ricordare che il delitto di diffamazione consiste nella diffusione di notizie lesive della onorabilità della persona offesa. In questo paradigma normativo, pertanto, rientrano certamente le condotte che consistono nell'attribuzione di condotte disdicevoli o di qualità personali tali, da compromettere la reputazione di cui un soggetto gode all'interno della sua comunità di vita 0 di lavoro. Viceversa, la condotta attribuita al D'A. consiste nell'aver espresso i propri sospetti circa i possibili autori dell'incendio della sua automobile. A tutto voler concedere, pertanto, tale condotta appare astrattamente riconducibili alla diversa fattispecie delittuosa della calunnia.

In secondo luogo, il delitto di diffamazione è punito unicamente a titolo di dolo generico, e non anche a titolo di colpa (diversa è la responsabilità posta a carico del direttore responsabile dall'art. 57 c.p.). Il teste della difesa Pa. ha riferito che il D'A. esternava i propri sospetti sul (…) dell'incendio dapprima al carabiniere in borghese Lu., e poi al maresciallo (…), entrambi giunti

sul posto a seguito dell'incendio. Il maresciallo (…), in particolare, invitava il D'A. a presentare formale denuncia in caserma.

Pur ammirando l'udito e la memoria del testimone a discarico Pa. - il quale dapprima percepiva a distanza una conversazione cui rimaneva estraneo, e poi ne serbava memoria nitida ancora cinque anni dopo, allorquando veniva esaminato come testimone - il Collegio deve evidenziare, da un lato, che non risulta che il D'A. abbia adoperato espressioni irriguardose, o lesive della reputazione dell'ipotetico autore dell'incendio; dall'altro, che ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, è necessario che l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri (Sez. 5, Sentenza n. 522 del 26/05/2016 Ud. (dep. 05/01/2017) Rv. 269016 - 01). Tale requisito nel caso di specie non ricorre poiché, come già evidenziato dal primo giudice, il D'A. si stava rivolgendo ai militari intervenuti sul posto nell'immediatezza dell'incendio, i quali assumevano da lui elementi utili per indirizzare le indagini.

Infine, non giova ad integrare la contestata diffamazione il fatto che, all'atto della perquisizione domiciliare, i militari riferissero al Ga. che l'atto si rendeva necessario a seguito delle dichiarazioni del D'A.: tale spiegazione era resa al Ga. unicamente per giustificargli la necessità di un atto certamente invasivo, quale è una perquisizione domiciliare.

La sentenza di primo grado deve essere dunque riformata nei termini anzidetti, intendendosi per converso confermata ogni restante statuizione resa in primo grado.

Il carico di lavoro di questo estensore consiglia la fissazione del termine di 90 giorni per il deposito della presente motivazione.

P.Q.M.
visto l'art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza emessa il 12.2.2015 dal GM del tribunale di Benevento, appellata da Ga. quale imputato e, ai soli effetti civili, quale parte civile, dichiara non doversi procedere confronti di Ga. per essere il reato a lui ascritto al capo A) estinto per prescrizione, e rigetta l'appello proposto ai fini civili.

Condanna il Ga. alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile D'A. per la costituzione nel presente grado di giudizio, che liquida in euro 945,00 oltre rimborso forfetario al 15 per cento, Iva e Cpa come per legge.

Fissa in giorni 90 il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Napoli il 7 giugno 2023.

Depositata in Cancelleria il 31 luglio 2023.

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