Tribunale Potenza, 30/09/2024, n.928
Il delitto di calunnia si configura con la falsa attribuzione, consapevole e volontaria, di un fatto costituente reato, idoneo a provocare l’avvio di un procedimento penale, anche in assenza di denuncia formale, qualora emergano circostanze atte a indurre l’autorità giudiziaria a ritenere verosimile l’accusa.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto che dispone il giudizio del 26.9.2019, DE.CU. e BO.PA. venivano tratti a giudizio dinanzi a questo Giudice Monocratico per rispondere del reato loro ascritto in rubrica. Dichiarati assenti gli imputati, regolarmente citati e non comparsi, ed ammessa la costituzione di parte civile della p.o. ST.BI., il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove orali e documentali così come articolate dalle parti.
All'udienza del 24.5.2022, venivano escussi i testi di p.g. DO.GE. e UR.GA.
All'udienza del 14.5.2024, venivano acquisite le s.i.t. rese da CA.FR., ex art. 493 comma 3 c.p.p., e veniva altresì escussa SO.RO.
All'udienza del 13.2.2024, veniva escusso il teste MO.GI.
Quindi, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, sulle conclusioni delle parti, come da verbale, il Giudice pronunciava il dispositivo riservandosi il deposito della motivazione nel termine di novanta giorni.
Osserva il Giudicante che, alla stregua dell'istruttoria svolta, si deve pervenire a declaratoria di colpevolezza nei confronti di entrambi gli imputati, firmatari della denuncia.
Ed invero, le prove legittimamente confluite in giudizio, e consistite nell'esame dei testi del P.M. e nell'acquisizione della documentazione in atti, appaiono certamente idonee ad integrare la condotta di calunnia in danno della costituita parte civile ST.BI.
Dalle risultanze dell'istruttoria dibattimentale emerge la seguente ricostruzione della vicenda in esame.
DE.CU., in data 22.4.2018, sporgeva denuncia nei confronti di ST.BI. La denuncia veniva sottoscritta anche dal compagno, nonché coimputato BO.PA.
Ella premetteva di aver convissuto con il BO. dal 9.5.2017 al 4.8.2017; dalla relazione nasceva una bambina di nome Ro.Gi.
Interrotto il rapporto di convivenza con il BO., la dichiarante, dal 30.8.2017 al 10.1.2018, intraprendeva un'altra convivenza con ST.BI.
Il rapporto con ST.BI. si interrompeva allorquando il BO. decideva di riconoscere la paternità della figlia Ro.Gi.
Al momento della nascita, avvenuta il 26.1.2018, la DE.CU. aveva tuttavia assegnato alla bambina il cognome ST., pur sapendo che la predetta fosse figlia naturale BO.
Di comune accordo con il BO., la dichiarante decideva di consentire a ST.BI. di far visita alla bimba; questi si occupava anche delle pratiche relative all'ottenimento del bonus maternità, bonus che tuttavia non veniva mai elargito. Sospettando che ST. si fosse appropriato del denaro, gli imputati decidevano di non fargli vedere più la bambina. Quindi, in data 21.4.2018, ST., alle ore 23:00, si recava presso l'abitazione di CA.FR., ubicata in Atella alla via (...), trovandovi all'interno il BO.
Ne scaturiva, a causa dei precedenti attriti, un'accesa discussione, nel corso della quale ST. colpiva con schiaffi e pugni il BO. ed anche la stessa DE.CU., in stato di gravidanza. BO. reagiva colpendo a sua volta ST.
Questi poi si allontanava, usciva dall'abitazione, si recava presso la sua auto e, dall'interno, estraeva un fucile nero dicendo di avere a disposizione anche delle cartucce calibro 32 - 34 ed un coltellino blu. Quindi, sparava in aria tre colpi e puntava l'arma contro BO. dicendogli che lo avrebbe ammazzato. Poi si allontanava ed inviava alla DE.CU. dei messaggi vocali, tramite Whatsapp (la cui trascrizione è stata acquisita agli atti di causa). Nei messaggi ST. ingiuriava la DE.CU. accusandola di essere una puttana. Quindi, la dichiarante contattava i CC, cui spiegava l'accaduto e, unitamente al compagno, decideva di sporgere denuncia/querela nei confronti dell'odierna p.o. CA.FR., in sede di s.i.t. del 23.4.2018, dichiarava che, in pari data, alle ore 22:30 circa, faceva rientro presso la sua abitazione, al cui interno rinveniva BO. e DE.CU.
Entrambi, nel pomeriggio, più volte lo avevano chiamato credendo che egli si trovasse in compagnia di ST.BI.
Poco dopo, giungeva presso l'abitazione anche ST.BI.: quindi, il CA., essendo a conoscenza delle controversie sussistenti tra ST., BO. e DE.CU., li invitava a chiarirsi. Tuttavia, mentre ST. entrava in casa, il BO. lo spintonava e lo offendeva dicendogli che non comandava niente e che non avrebbe più rivisto la bambina. Mentre il CA. accompagnava i figli in un'altra stanza per evitare che assistessero alla discussione, udiva il rumore di uno schiaffo e vedeva gli occhiali di BO. volare nel secchio della spazzatura. Quindi, DE.CU. gli chiedeva di separarli. Il CA. riusciva a fatica a dividerli e infine li cacciava di casa. BO. e ST., nelle more, continuavano ad offendersi reciprocamente. A quel punto, CA., per porre fine alla lite decideva di allontanarsi con ST. e l'amico MO.GI.
I tre si recavano dapprima presso un bar e poi in un ristorante, denominato "Pr."
Alle ore 1:50 circa, SO.RO., compagna del CA., contattava questi al telefono dicendogli che BO. e DE.CU. Io stavano aspettando a casa. Poco dopo, il MO. lo avvisava, tramite messaggio, che presso la sua abitazione, erano giunti i Carabinieri. Quindi, il CA. suggeriva a ST. di andare via e di non recarsi a casa sua in quanto i Carabinieri lo stavano cercando. Ciò nonostante ST. si recava presso la sua abitazione ove rinveniva i Carabinieri che stavano effettuando una perquisizione (conclusasi con esito negativo).
MO.GI., escusso in data 13.2.2024, dichiarava di aver assistito ai fatti accaduti in data 22.4.2018. Affermava che la discussione tra gli imputati e ST.BI. avveniva presso l'abitazione dei suoi amici CA.FR. e SO.RO.
Il teste, una volta sopraggiunto presso la predetta abitazione, udiva "gridare di fuori". All'esterno vi erano DE.CU. e BO., i quali discutevano con ST.
A specifica domanda del P.M., il teste asseriva che nessuno dei presenti aveva con sé delle armi. Aggiungeva di aver visto il BO. spintonare ST.BI., il quale, in procinto di reagire, veniva prontamente bloccato dai presenti. Quanto al motivo del litigio, il teste dichiarava che DE.CU. e BO. accusavano ST.BI. di aver bucato, circa tre giorni prima, le ruote dell'autovettura appartenente al BO.
Così ricostruita la vicenda oggetto del presente giudizio, va rilevato, in punto di diritto che, per costante orientamento giurisprudenziale, il reato di calunnia consiste nell'incolpare taluno di un reato pur sapendolo innocente, essendo, a tal fine, sufficiente la falsa incolpazione di un fatto obiettivamente idoneo per l'inizio di un procedimento penale, anche mediante la prospettazione di circostanze non vere che facciano convergere su taluno i sospetti dell'autorità inquirente, risultando, dì contro, irrilevante che il pubblico ufficiale, cui la denuncia fu presentata, abbia o meno creduto alla versione del denunziante. Ed ancora, il delitto di calunnia si configura come reato di pericolo e, quindi, è sufficiente, per la sua integrazione, anche l'astratta possibilità che l'autorità giudiziaria dia inizio al procedimento per accertare il reato incolpato con danno per il normale funzionamento della giustizia. Una possibilità del genere è esclusa soltanto quando il reato incolpato sia perseguibile a querela di parte e questa non sia stata presentata, o nell'ipotesi in cui la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente e a prima vista inverosimili, si che l'accertamento della sua infondatezza non abbisogni di alcuna indagine.
Va altresì osservato che, come da giurisprudenza assolutamente prevalente, per la sussistenza del delitto di calunnia non occorre denuncia in senso formale, ma è sufficiente che siano portate a conoscenza dell'autorità giudiziaria - sia con scritti che con informazioni o anche testimonianze rese nello svolgimento di un processo - circostanze idonee ad indicare taluno come responsabile di un fatto costituente reato che non ha commesso. Infatti, in tale delitto, non viene considerato soltanto il generico sviamento della giustizia, per l'affermazione di un fatto che non corrisponde alla realtà e che assume rilievo nella cognizione del giudice, ma anche e soprattutto il fuorviamento della giustizia che si verifica accusando persone innocenti, nella consapevolezza della falsità dell'accusa.
Ed invero, il delitto di calunnia può essere commesso non solo nella forma diretta, cioè attraverso una denuncia presentata all'autorità giudiziaria, ma anche in forma indiretta, cioè attraverso una segnalazione del fatto-reato a un'altra autorità che a quella giudiziaria ha l'obbligo di riferire; ed è configurabile non solo quando si riferiscono fatti dei quali si assume di aver avuto una diretta percezione, ma anche allorquando si rappresentano quei fatti come oggetto di altrui conoscenze o addirittura predisponendo maliziosamente quanto sia sufficiente perché possa profilarsi la necessità di avviare determinate indagini nei confronti di soggetti della cui innocenza si è così certi da dover ricorrere all'artificiosa creazione della prova della loro responsabilità. Ai fini della configurazione del delitto di calunnia, quindi, non è richiesta una denunzia in senso formale contenente l'addebito specifico di una determinata fattispecie criminosa, ma è sufficiente anche una semplice insinuazione a carico di persona, che si sa innocente, di fatti dai quali si possa desumere l'esistenza di un reato.
Orbene, nel caso di specie, le dichiarazioni rese dagli imputati rivestono contenuto decisamente accusatorio nei confronti della persona offesa, che è stata palesemente incolpata del delitto di minaccia aggravata dall'uso di un'arma (nella specie, un fucile).
La ricostruzione fornita dai prevenuti appare evidentemente falsa, in quanto contrastante con tutti gli altri elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio e non supportata da alcun elemento di riscontro.
Le attività di perquisizione veicolare e domiciliare, poste in essere nella immediatezza dei fatti, difatti, si concludevano entrambe con esito negativo. Inoltre, entrambi i testi oculari della vicenda (ossia CA.FR. e SO.RO.), amici non solo di ST. ma anche della coppia BO./DE.CU., hanno, con dichiarazioni convergenti, escluso che la persona offesa avesse minacciato gli imputati con un fucile. Entrambi, anzi, hanno affermato di non aver mai visto ST.BI. impugnare un fucile nel corso dell'accesa lite.
In ragioni di siffatte prospettazioni risulta, altresì, integrato l'elemento soggettivo della condotta in esame, inteso quest'ultimo come volontà cosciente di commettere il fatto e, dunque, quale consapevolezza dell'innocenza della persona cui viene attribuita un fatto costituente reato.
Dalle dichiarazioni accusatorie in esame si evince, invero, la volontà dei prevenuti di portare a conoscenza dell'autorità giudiziaria circostanze di fatto idonee ad indicare taluno come colpevole di fatti costituenti reato pur sapendolo innocente.
La denuncia sporta conteneva un addebito falso e concretamente idoneo a determinare l'ingiustificata apertura di un procedimento penale a suo carico per l'ipotesi di minaccia aggravata.
Le testimonianze, in particolare quelle dei testi CA. e SO., che hanno assistito de visu all'episodio e sono da considerarsi terzi rispetto alle posizioni delle parti direttamente coinvolte nella vicenda, appaiono del tutto attendibili posto che: si riscontrano a vicenda; sono logiche, conseguenziali e sono state ripetute in modo conforme a distanza di tempo; sono corroborate dall'esito negativo delle attività di perquisizione effettuate nell'immediatezza. Deve, quindi, ritenersi dimostrato gli imputati, sottoscrivendo e presentando la denuncia in questione, abbiano deliberatamente operato una prospettazione di fatti non veritieri, consapevolmente contenente delle accuse relative alla commissione ad opera del denunciato del delitto di minaccia aggravata dall'uso di un'arma.
In definitiva, alla luce delle suesposte considerazioni deve essere affermata la penale responsabilità degli imputati BO.PA. e DE.CU. in ordine al reato loro ascritto.
Ritiene il Giudicante che possano essere concesse le circostanze attenuanti generiche, al fine di adeguare la pena al concreto disvalore del fatto, quest'ultimo, per le modalità di realizzazione, comunque, non evocativo di un contesto di particolare gravità.
Quanto alla pena da irrogarsi, reputa equo il Giudicante, considerati i parametri di cui all'art. 133 c.p.p. riconosciute le circostanze attenuanti generiche, condannare entrambi gli imputati alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione (pena base anni due di reclusione, ridotta il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla suindicata pena finale). Segue, ex art. 535 c.p.p., la condanna dei prevenuti al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Le risultanze del certificato penale in atti consentono il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena esclusivamente a DE.CU. (incensurata). Diversamente, il casellario giudiziale del BO. attesta una precedente condanna per il reato di cui all'art. 609 quater c.p. alla pena di armi due e mesi due di reclusione. Sussistendo i presupposti di legge va accolta la domanda di risarcimento avanzata dalla p.o., ingiustamente accusata del delitto di cui all'art. 612 comma 2 c.p., che, se aggravato dall'uso di un'arma, prevede la procedibilità d'ufficio. La stessa inoltre subiva anche un'attività di perquisizione veicolare e domiciliare, tesa a rinvenire il fucile, attività che si concludeva, in entrambi i casi, con esito negativo.
La specifica, puntuale e compiuta liquidazione dei danni va rimessa alla competente e separata sede, dal momento che i dati a disposizione non consentono adeguata e definitiva quantificazione in quest'ambito processuale. Consegue, ancora, per legge, la condanna dell'imputato, in favore della parte civile costituita, alla rifusione delle spese di costituzione e difesa, che si liquidano in complessivi Euro 1.300,00, oltre IVA, CPA e spese forfettarie del 15 per cento come per legge, con distrazione a favore dell'Erario anticipatario. Deve, infine, disporsi, ai sensi dell'art. 130 c.p.p., la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo letto all'udienza del 2.7.2024, ove è stata erroneamente, a causa di un mero errore materiale in fase di stampa, omessa la condanna degli imputati al risarcimento del danno e alla refusione delle spese di costituzione e rappresentanza della parte civile costituita.
P.Q.M.
Letti gli art. 533 e 535 c.p.p., dichiara DE.CU. e BO.PA. colpevoli del reato a lui ascritto in rubrica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, condanna ciascuno alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa per DE.CU. a termini e condizioni di legge.
Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna gli imputati al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, ST.BI., da liquidarsi in separata sede, nonché alla refusione delle spese di costituzione e di rappresentanza da quest' ultima sostenute, che si liquidano in Euro 1.300,00, oltre IVA CPA e rimborso forfettario come per legge.
Motivazione entro giorni novanta.
Letto l'art. 130 c.p.p., ordina la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo letto all'udienza del 2.7.2024, disponendo che, dopo le parole "Pena sospesa per DE.CU. a termini e condizioni di legge" venga aggiunto il seguente inciso: "Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna gli imputati al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, ST.BI., da liquidarsi in separata sede, nonché alla refusione delle spese di costituzione e di rappresentanza da quest' ultima sostenute, che si liquidano in Euro 1.300,00, oltre IVA CPA e rimborso forfettario come per legge". Manda alla cancelleria per l'annotazione sull'originale dell'atto della predetta correzione e per gli altri adempimenti di legge.
Così deciso in Potenza il 2 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2024.