Tribunale Udine, 08/08/2024, n.1127
Il tentato furto di fauna selvatica e beni del patrimonio indisponibile dello Stato, se sorvegliato e interrotto dalle autorità competenti prima della completa sottrazione, integra il reato di tentato furto aggravato, ai sensi degli artt. 56, 624 e 625 n. 7 c.p. La connivenza passiva di un convivente non costituisce concorso nel reato se priva di un contributo causale alla condotta illecita.
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione a giudizio emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine in data 5/10/23, Ca.Mi. e El.Gi. venivano citati a giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere del reato a loro ascritto in rubrica.
Il 2/2/24 si costituiva come parte civile la Regione FVG. Il difensore di Ca., munito di procura speciale, chiedeva procedersi nelle forme del rito abbreviato previo esame dell'imputato. Il difensore di Gi., invece, chiedeva un rinvio per prendere contatti con l'assistita.
All'udienza del 23/4/24, stralciata la posizione di Gi. previa rinnovazione della notifica degli atti a sue mani (il processo assumeva il n. 757/24 Rg. Dib.), veniva sentito l'imputato Ca. All'udienza dell'11/6/24 le parti discutevano e concludevano come da verbale di udienza. Alla medesima udienza nel parallelo procedimento n. 757/24 Rg Dib. il difensore di Gi. chiedeva un ulteriore rinvio per munirsi di procura speciale.
Il 9/7/24 il difensore di Gi. munito di procura speciale chiedeva definirsi il procedimento nelle forme del rito abbreviato condizionato all'esame del coimputato Ca.; ammesso il rito speciale richiesto e dato corso all'esame di Ca., le parti concludevano come da verbale di udienza. Riunite le posizioni di Ca. e di Gi., in assenza di repliche, il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo.
Motivi della decisione
Le prove acquisite al processo confermano la tesi d'accusa solo in relazione ai fatti contestati a Ca. ai capi 1 e 2 di rubrica, previa riqualificazione dei fatti di cui al capo 1 ex artt. 56,624 e 625 n. 7 c.p. La sentenza sarà assolutoria per le restanti contestazioni.
Come si evince dalla c.n.r. del 18 agosto 2022, il giorno 16 agosto 2022 i Carabinieri di Palmanova avevano dato corso al controllo di Ca.Mi. mentre lo stesso era intento a pescare in riva al fossato dei bastioni di Palmanova; lo stesso era stato visto catturare una tartaruga e riporla capovolta sul terreno adiacente per poi continuare nella sua attività di pesca. Lo stesso Ca., essendo privo del documento di identità, aveva invitato gli operanti a seguirlo presso il suo domicilio, ossia presso l'abitazione della compagna convivente El.Gi. sita a Palmanova via (…). Presso tale abitazione gli operanti lo avevano identificato, accertando che lo stesso era sottoposto alla libertà vigilata; avevano constatato la presenza di una gabbia trappola per la cattura degli uccelli collocata su un albero all'esterno della casa (all'interno della quale vi era un uccello come richiamo vivo) e in cantina avevano trovato sette gabbie contenente quindici esemplari di avifauna autoctona privi di anelli identificativi, oltre ad un piccione libero all'interno del locale. Tutto quanto rinvenuto era stato posto sotto sequestro, ad eccezione degli uccelli che, una volta accertata la loro specie, erano stati liberati (solo il colombo e il pettirosso erano stati affidati al Centro di recupero fauna selvatica di San Canzian d'Isonzo).
L'imputato nel corso del suo esame ha dichiarato di essere titolare di regolare licenza di pesca e di non essere munito di licenza di caccia; ha spiegato che il 16 agosto 2022 era a pesca di carpe e inavvertitamente aveva catturato una tartaruga; l'aveva subito liberata dall'amo e l'aveva appoggiata sul bagnasciuga per consentirle di tornare in acqua. In quel momento era stato controllato dai Carabinieri ai quali aveva esibito la licenza di pesca. I Carabinieri si erano poi portati presso il domicilio di Ca. al fine di effettuare una perquisizione ed erano stati rinvenuti i volatili riportati in imputazione. Ca. ha spiegato che si trattava di specie mutate, non autoctone, come tali non sottoposte all'obbligo di anello identificativo. L'imputato ha precisato che gli unici volatili appartenenti a specie protette tra quelli rinvenuti nella sua abitazione erano le cinciallegre e il colombo domestico. Ca. ha confermato di avere posizionato all'esterno dell'abitazione nei pressi di una siepe una gabbia trappola con all'interno un fringuello mutato al fine di catturare un volatile che era scappato.
Ca. ha poi spiegato che all'epoca dei fatti conviveva con la Gi. presso una casa popolare; ha spiegato che Gi., anch'essa non munita di licenza di caccia, non si era mai occupata dei volatili, dei quali anzi aveva paura, e neppure della gabbia trappola.
Come anticipato, andrà pronunciata sentenza di condanna di Ca. per i reati di cui ai capi 1 e 2 di rubrica, con le precisazioni di seguito illustrate.
Al capo 1 è contestato al solo Ca. il furto della tartaruga che lo stesso, in tesi d'accusa, aveva catturato con un guadino da pesca, estratto dall'acqua e riposto sull'erba capovolta sul carapace. In effetti, come si evince dagli atti di indagine risulta provato che Ca., mentre stava pescando presso i bastioni di Palmanova, aveva catturato una tartaruga e l'aveva riposta capovolta sul prato ad alcuni metri di distanza dal fossato (cfr annotazione del 20 ottobre 2022).
Sul punto va subito detto che non pare credibile la dichiarazione di Ca. di aver appoggiato la tartaruga vicino al bagnasciuga per consentirle di tornare in acqua e che la tartaruga stessa si era capovolta nella discesa ("l'ho messa così perché non so nuotare io. L'ho mollata giù nella discesa e si è ribaltata, e io non vado giù ad annegarmi per una tartaruga")-, come si evince da quanto riportato negli atti di indagine - a cui non vi è motivo per non credere, avendo gli agenti di p.g. dato atto di quanto constatato nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali - la tartaruga era stata appoggiata a terra dal Ca. "capovolta sul carapace ad alcuni metri di distanza dal fossato" e, dunque, non nelle immediate adiacenze di esso.
In merito alla qualificazione del reato contestato all'imputato, va evidenziato che esso deve essere riqualificato nella relativa fattispecie tentata.
Costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per cui il furto è consumato quando l'autore del fatto ha conseguito una autonoma disponibilità sul bene, acquisendo su di esso un dominio esclusivo, sottraendo il bene al controllo della persona offesa; quando, invece, l'avente diritto o persona da lui incaricata abbia sorvegliato tutte le fasi dell'azione furtiva, in modo da poterla in ogni momento arrestare, è ravvisabile allora solo la fattispecie tentata. Nel caso in disamina, come si evince dalla annotazione a firma del Lgt Ma.Ar. e dell'App. Sc. QS Eu.Ba., gli stessi, in abiti civili, avevano sorvegliato continuamente l'azione dell'imputato, osservandolo anche nell'attimo in cui aveva catturato la tartaruga e l'aveva riposta sul prato adiacente al fossato. Deve, dunque, trarsi la conseguenza che Ca. non ha mai avuto una completa ed autonoma disponibilità del bene. Il reato, per tali ragioni, va riqualificato nel furto tentato.
Quanto all'elemento psicologico del reato, la sussistenza dello stesso è facilmente ricavabile dalle stesse modalità della condotta. Peraltro, è ormai principio assodato quello che "Nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore" (Cass Sez Unite, sentenza n. 41570 del 25/05/2023 Ud. (dep. 12/10/2023) Rv. 285145 - 01).
Sussiste l'aggravante contestata, essendo il fatto commesso su bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato.
In merito al capo 2, nel quale a Ca. e Gi. è contestato il tentato furto di avifauna selvatica posto in essere mediante l'utilizzo della gabbia trappola con all'interno, come richiamo vivo, un fringuello, va osservato quanto segue.
Come si legge nel verbale di sequestro delle gabbie, quella in questione era una "gabbia trappola attiva" che era stata rinvenuta appesa ad un albero posto sul retro dell'abitazione; all'interno della gabbia era stato rinvenuto vischio e la gabbia stessa presentava un sistema di intrappolamento dei volatili nelle porte di accesso laterali. Inoltre, al momento del primo controllo all'interno della gabbia vi era un esemplare di fringuello maschio, che era stato sostituito nei giorni successivi con una cinciallegra morta (cfr c.n.r. sopra citata).
Lo stesso Ca. nel corso del suo esame ha ammesso di avere posizionato in giardino la gabbia trappola, dichiarando, però, di averlo fatto al solo fine di catturare un fringuello che era scappato. In tal modo ricostruiti i fatti, gli stessi possono dirsi assolutamente pacifici e correttamente qualificati come tentativo di furto, atteso, da una parte, che gli atti compiuti dall'imputato erano all'evidenza idonei e diretti in modo non equivoco a catturare esemplari di avifauna selvatica e, dall'altro, che il furto non si è consumato solo per l'intervento delle forze dell'ordine.
Nessun dubbio può esservi sull'elemento psicologico del reato, per come comprovato, tra l'altro, anche dalle sue stesse dichiarazioni, nella parte in cui ha ammesso di voler catturare solo un fringuello.
Anche per il capo 2 sussiste l'aggravante contestata dal momento che il tentato furto ha avuto ad oggetto avifauna selvatica appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, il quale assolve per legge a finalità di pubblico servizio o pubblica utilità.
Venendo alla posizione di El.Gi., va subito detto che la stessa era affittuaria dell'appartamento ATER di viale (…) presso il quale aveva dato ospitalità al compagno Ca. Ella era consapevole della collocazione da parte di Ca. della gabbia in giardino, ma non aveva offerto alcun apporto causale alla realizzazione dell'illecito.
E pacifico, infatti, che integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. Nel caso in esame va escluso che possa essere sufficiente per configurare il concorso nel tentato furto l'accertamento di un rapporto di coabitazione tra Ca. e Gi. nell'appartamento nelle cui pertinenze era stata rinvenuta la gabbia, non ravvisandosi peraltro a carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l'evento ex art. 40 c.p. Gi. andrà, dunque, assolta dal reato di cui al capo 2 per non avere commesso il fatto.
Passando ora all'esame dei capi 3 e 4 nei quali sono stati contestati agli imputati i reati di cui all'art. 30 lettera B) e lettera H) della L. 157/92, come anticipato in relazione ad essi andrà pronunciata sentenza assolutoria.
Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, l'ambito applicativo dell'art. 30 comma 1 L. 157/92 è ristretto ai soli cacciatori muniti di apposita licenza che esercitino l'attività venatoria in violazione alla stessa.
La Cassazione nella sentenza n. 44636/21 ha, infatti, osservato che "Tutto l'impianto normativo della legge in esame (L. 157/92) è volto alla regolamentazione dell'attività venatoria, legittimamente esercitatile soltanto previo provvedimento autorizzativo da parte della pubblica amministrazione competente. Numerose sono, dunque, le disposizioni ivi rinvenibili che confermano che la disciplina normativa di cui alla legge n. 157/1992 è applicabile soltanto alla categoria di cacciatori muniti di licenza autorizzativa. In tal senso vanno richiamati l'art. 12, che prevede che (d'attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti" dalla stessa legge e disciplina anche il rilascio e le condizioni di validità del porto d'armi a fini venatori, l'art. 21, che reca una serie di divieti relativamente a determinate azioni non attuabili nell'esercizio della caccia su licenza e l'art. 32. Tale ultima norma costituisce argomento decisivo in favore di una siffatta interpretazione sistematica della clausola di specialità di cui all'art. 30, comma 3, sancendo, in caso di condanna passata in giudicato per una delle contravvenzioni di cui all'art. 30, comma 1 (o di decreto penale dì condanna esecutivo), che alla affermazione definitiva della penale responsabilità corrisponda anche un provvedimento dell'amministrazione con cui sia sospesa, o nei casi più gravi revocata, ovvero addirittura esclusa definitivamente la concessione della licenza per il porto di fucile ad uso venatorio, lasciando dunque chiaramente intendere l'ambito in cui si muovono le disposizioni della legge n. 157, relative alla caccia disciplinata con licenza autorizzativa appunto" (cfr anche Cass. sentenza n. 16981/20).
Dunque, alla luce delle considerazioni esposte, essendo gli imputati sprovvisti di licenza autorizzativa all'attività venatoria, non è applicabile nei loro confronti la disciplina contravvenzionale di cui all'art. 30, comma 1 L. n. 157/1992.
Sia nei casi di cui alla lettera B) sia in quelli di cui alla lettera H) della citata legge sono applicabili, se vi sono i presupposti, le norme codicistiche sul furto ovvero sulla ricettazione (cfr Cass. sopra citata). L'impossessamento illegittimo della fauna selvatica da parte di soggetti privati può, infatti, integrare l'una o l'altra fattispecie. Nel caso in esame, tuttavia, non è stato compiuto alcun accertamento finalizzato a verificare l'illegittima provenienza dell'avifauna selvatica trovata nella disponibilità di Ca. (il quale, peraltro, ha affermato di essere stato in possesso di registri per la cessione di volatili), circostanza che impedisce una eventuale riqualificazione dei fatti ed una pronuncia di condanna.
Dovendosi, dunque, esprimere un giudizio di colpevolezza nei confronti di Ca. in ordine ai reati di cui ai capi 1 e 2 con la riqualificazione sopra detta, venendo alla pena cui condannarlo, va osservato che non sono concedibili in suo favore le circostanze attenuanti generiche, non essendoci elementi favorevoli da poter valorizzare in tal senso (non vi è stato risarcimento o ravvedimento). Può essere esclusa la recidiva contestata all'imputato, dal momento che i fatti in contestazione non paiono denotare una sua maggiore pericolosità sociale, considerato anche il lasso temporale rilevante trascorso rispetto ai precedenti penali.
Stante la contiguità spazio-temporale, le modalità della condotta e la tipologia dei reati, i fatti contestati a Ca. possono ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 81, comma 2, c.p. con conseguente individuazione come più grave del reato di cui al capo 2 della contestazione.
Valutati, dunque, i criteri di cui all'art. 133 c.p., circa la quantificazione della pena da comminare, tenuto conto della riduzione per il rito, ritiene il giudice equo e conforme a giustizia porre a carico dell'imputato la pena di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00 di multa (pena base per il capo 2 mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa, così determinata in misura prossima al minimo edittale in considerazione della natura tentata del reato e dell'aggravante contestata, aumentata con la continuazione con il capo 1 alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 450,00 di multa, ridotta per il rito alla pena finale di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00 di multa).
All'accertamento della responsabilità penale segue ex lege la condanna alle spese processuali. I precedenti penali dell'imputato impediscono la concessione dei benefici di legge.
L'accertamento della penale responsabilità dell'imputato Ca. comporta la condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile per il solo capo 2 di imputazione, non avendo egli esercitato legittimamente l'attività venatoria dell'avifauna appartenente al patrimonio faunistico della Regione. Tali danni di natura non patrimoniale (consistiti in un danno all'immagine e nel pregiudizio all'esercizio delle funzioni istituzionali dell'ente regionale) possono essere liquidati equitativamente nella somma di Euro 300,00.
All'accoglimento di tale pretesa risarcitoria consegue la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di costituzione e assistenza legale sostenute dalla medesima parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 1.800,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie, IVA e CPA come per legge.
I beni in sequestro devono essere confiscati ai sensi dell'art. 240 c.p.; in particolare la canna da pesca e l'asta telescopica sono stati utilizzati per la commissione del reato di cui al capo 1, così come la gabbia trappola per il capo 2: la loro restituzione agli aventi diritto renderebbe concreto il pericolo di reiterazione dell'illecito. Anche gli ulteriori reperti (il colombo domestico, il pettirosso e le ulteriori gabbie) andranno confiscati, con distruzione delle gabbie e con assegnazione dei volatili al custode attuale possessore.
La motivazione è riservata ex art. 544 comma 3 c.p.p. in giorni 60, avuto riguardo alla natura delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale di Udine - Sezione Penale -, in composizione monocratica, visti gli artt. 438 e ss, 533 e 535 c.p.p.,
DICHIARA
Ca.Mi. responsabile dei reati a lui ascritti ai capi 1 e 2 di imputazione, previa riqualificazione dei fatti contestati al capo 1 ex artt. 56, 624 e 625 n. 7 c.p., e, esclusa la recidiva, uniti i fatti nel vincolo della continuazione e tenuto conto della riduzione per il rito, lo
CONDANNA
alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
visti gli artt. 538 e ss. c.p.p.,
CONDANNA
Ca.Mi. al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della costituita parte civile, che liquida equitativamente in Euro 300,00, nonché al rimborso delle spese processuali dalle stesse sostenute, che liquida in complessivi Euro 1.800,00, oltre ad I.V.A., C.P.A. e rimborso spese forfettarie, come per legge;
visto l'art. 530 c.p.p.
ASSOLVE
Gi.El. dal reato di cui al capo 2 per non avere commesso il fatto ed entrambi gli imputati dai reati a loro ascritti ai capi 3 e 4 di imputazione perché il fatto non sussiste; ordina la confisca di quanto in sequestro;
visto l'art. 544, co. 3, c.p.p., indica il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione della sentenza.
Così deciso in Udine il 9 luglio 2024.
Depositata in Cancelleria l'8 agosto 2024.