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Patteggiamento e calunnia: la corte d’appello respinge la richiesta di risarcimento per mancanza di prove

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Corte appello Lecce sez. II, 10/10/2023, n.807

La sentenza penale di patteggiamento, nel giudizio civile di risarcimento del danno, non ha efficacia di giudicato né vincola il giudice civile, costituendo un mero indizio utilizzabile solo in presenza di ulteriori elementi probatori gravi, precisi e concordanti ex art. 2729 c.c. In assenza di tali elementi, non può ritenersi integrata la responsabilità risarcitoria per il reato di calunnia, che richiede la consapevolezza certa dell’innocenza dell’incolpato.

Reato di calunnia: dolo generico e irrilevanza delle motivazioni dell’imputato (Giudice Francesco Pellecchia)

Configurabilità del reato di calunnia per falsa accusa consapevole e strumentale

Calunnia: si configura non solo con l'inizio di un procedimento penale contro il soggetto accusato

Calunnia e discrasie narrative: il limite tra denuncia falsa ed enfatizzazione dei fatti

La calunnia: dolo diretto e consapevolezza dell’innocenza

Calunnia e dolo generico: profili di responsabilità penale e risarcimento danni (Giudice Arnaldo Merola)

Calunnia e risarcimento del danno non patrimoniale: criteri di liquidazione e impatto sui diritti fondamentali

Reato di calunnia: esclusione del dolo eventuale e consapevolezza certa dell’innocenza

Reato di calunnia: falsa accusa consapevole e configurabilità del delitto

Calunnia: necessità di dolo e percezione genuina dell'accusatore

La sentenza integrale

MOTIVAZIONE
La presente sentenza viene redatta ai sensi dell'art. 132 cpc come novellato dalla l. 69/2009, omettendo la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con motivazione consistente nella succinta esposizione delle ragioni di doglianza e dei motivi della decisione.

Con sentenza n. 449/2021 del 17.02.2021 ex art. 281 sexies c.p.c. il Tribunale di Lecce rigettava la domanda proposta da Ba. Ma. perché infondata.

Ed invero. L'attore citava a giudizio In. Ca. e In. Ma. esponendo di essere stato fidanzato con In. Mo., rispettivamente figlia e sorella dei convenuti, e che dopo la rottura della relazione veniva a conoscenza di essere stato denunciato dalla ex fidanzata per i reati di violenza privata e atti persecutori con querela sporta dalla stessa il 25.07.2012 dinanzi ai Carabinieri di Poggiardo, cui seguiva l'iscrizione dell'attore nel registro generale notizie di reato dinanzi alla Procura della Repubblica di Lecce.

L'attore deduceva che nel corso delle indagini preliminari venivano ascoltati come testi In. Ca. e In. Ma. i quali, interrogati dai Carabinieri sul presunto episodio di violenza verificatosi in data 3.06.2012, rendevano false dichiarazioni tanto che il G.I.P. su richiesta del P.M. disponeva l'archiviazione del procedimento, avendo nutrito sospetti sull'attendibilità della querelante, e trasmetteva gli atti alla Procura per le false testimonianze rese da In. Ca. e In. Ma.. Veniva loro contestato il reato di calunnia ai danni del Ba., essendo emerso che In. Ma., la quale aveva falsamente dichiarato di aver assistito all'episodio violento, quel giorno non si trovava a Santa Cesarea Terme, come dalla stessa dichiarato ai Carabinieri di Poggiardo, ma nella provincia di Caserta. Il procedimento penale per calunnia nei confronti di In. Ca. e della figlia Ma., accusati in concorso tra loro del reato ex art. 368 c.p., si definiva con sentenza n. 167/15 con cui i convenuti patteggiavano la pena a mesi dieci e giorni venti di reclusione ciascuno.

Risultando evidente la deposizione menzognera ai propri danni, l'attore assumeva di essere stato ingiustamente posto sotto accusa per reati mai commessi a causa di tale falsa testimonianza e domandava il risarcimento del danno morale nella misura di € 60.000,00, ovvero in altro importo ritenuto equo e di giustizia, lamentando di essere stato offeso nella dignità personale e lavorativa, essendo egli agente della Polizia di Stato. L'attore evidenziava, in punto probatorio, che la sentenza di patteggiamento va equiparata a quella canonica di condanna sicché i convenuti, chiedendo l'applicazione della pena, avevano di fatto ammesso la propria responsabilità in ordine alle false accuse propalate ai danni del Ba..

Ritualmente costituitisi, In. Ca. e In. Ma. contestavano le deduzioni avverse precisando che, stralciato il processo per calunnia a loro carico per patteggiamento della pena, il dibattimento proseguiva per gli altri coimputati - la querelante In. Mo., La. Lu. e Di. Au. - e si concludeva con sentenza assolutoria per tutti gli imputati,+ sicché l'attore, alla luce del compendio probatorio complessivamente emerso, non poteva lamentare alcun pregiudizio, quantomeno per esser rimasta dubbia la volontà dei convenuti di averlo voluto accusare falsamente. Gli stessi, infine, evidenziavano il limite probatorio della sentenza di patteggiamento nel processo civile.

All'esito dell'istruttoria mediante produzione documentale e interrogatorio formale, il Tribunale rigettava la domanda attorea preliminarmente pronunciandosi sulla valenza della sentenza di patteggiamento nell'ambito del processo civile de quo. Il giudice di prime cure, condividendo il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento e restituzione non ha efficacia di vincolo né di giudicato e non inverte l'onere della prova, costituendo invece un indizio utilizzabile solo insieme ad altri aventi i requisiti di cui all'art. 2729 c.c., riteneva che dalla menzionata sentenza di patteggiamento non può trarsi alcun valido convincimento circa la responsabilità dei convenuti per il reato di calunnia; specificava che per da una parte essa, valutata isolatamente, potrebbe offrire un quadro sufficientemente probante a carico di In. Ca. e In. Ma. in ordine alle dichiarazioni accusatorie rilasciate ai danni del Ba., ma dall'altra non ricorrono ulteriori indizi gravi, precisi e concordanti a conferma dell'illecito da loro commesso e degli effetti risarcitori che ne dovrebbero discendere.

Difatti, il Tribunale evidenziava che per lo stesso episodio denunciato da In. Mo. è intervenuta la sentenza n. 1150/17 - divenuta irrevocabile - con cui il Tribunale penale di Lecce, decidendo in ordine alle posizioni della stessa In. Mo. e degli altri coimputati La. Lu. e Di. Au. in cui figurava parte offesa sempre Ba. Ma., mandava assolti tutti gli imputati dall'accusa di calunnia all'esito di un'inchiesta dibattimentale che aveva evidenziato diverse criticità, lacune e contraddizioni testimoniali che solo grazie alla dialettica di un processo a cognizione piena son potute emergere rispetto ai noti elementi deficitari del rito alternativo del patteggiamento. In particolare, il Tribunale motivava che l'unica conclamata criticità ha riguardato la testimonianza di In. Ma., che senza dubbio aveva mentito in sede di audizione a sommarie informazioni dinanzi ai Carabinieri di Poggiardo in quanto il giorno in cui ha dichiarato di aver assistito all'aggressione perpetrata dal Ba. nei confronti della ex fidanzata, non si trovava nel luogo dell'episodio, a Santa Cesarea Terme, bensì fuori regione, come dichiarato dal Maresciallo Se. escusso a dibattimento che, su delega investigativa, accertò che il giorno dell'aggressione il numero telefonico in uso a In. Ma. aveva agganciato la cella di Cellole in provincia di Caserta.

Pur conclamata la circostanza della falsa deposizione della convenuta In. Ma., nondimeno il primo giudice analizzava le ulteriori emergenze ricavate dalla sentenza di assoluzione, escludendo che i convenuti avessero consapevolmente e scientemente accusato l'attore di episodi dallo stesso mai commessi o che avessero cospirato ai suoi danni al fine di procurare l'avvio di un processo penale in funzione della sua condanna. Nello specifico, emergeva che la deposizione resa a dibattimento da In. Mo. è stata ritenuta credibile in ordine alla natura vessatoria e invadente del comportamento dell'ex fidanzato avendo trovato riscontro con il contenuto della querela, con le altre dichiarazioni rese a sommarie informazioni e con le dichiarazioni dello stesso odierno attore rese in quel processo, avendo infine anche i testi escussi in dibattimento confermato il rapporto burrascoso tra i due ex fidanzati nonché il carattere prepotente e arrogante del Ba. e lo stato di preoccupazione e disagio in cui versava Mo.. Inoltre, il giudicante rilevava che un'isolata menzogna, quale quella rilasciata da In. Ma., non può ritenersi di per sé sufficiente ad integrare la fattispecie di calunnia occorrendo, sotto il profilo dell'elemento materiale del reato, che la falsa incolpazione coinvolga nella sua interezza il fatto reato addebitato e non solo alcuni frammenti di dichiarazioni, che al più potrebbero integrare il reato di false informazioni al P.M. o falsa testimonianza resa a dibattimento; infatti, se anche la convenuta In. fosse stata presente sul luogo dell'aggressione, in grado quindi di riferire sui fatti per averli appresi de visu, tale circostanza non sarebbe stata da sola sufficiente per determinare l'apertura di un procedimento penale a carico del Ba., ma semplicemente a rafforzare un quadro investigativo già sufficientemente robusto, tenuto conto che l'avvio del processo penale non sarebbe avvenuto a causa della sola deposizione della convenuta ma in forza della querela sporta e di altre testimonianze rese da soggetti presenti in quel luogo. In conclusione, il Tribunale rigettava la domanda risarcitoria statuendo che le sommarie informazioni testimoniali dei convenuti rese dinanzi ai Carabinieri, che l'attore ha posto a base della domanda risarcitoria perché false, non possono essere valutate in modo disarticolato rispetto all'intero quadro istruttorio dibattimentale - che ha invece dimostrato un comportamento dell'attore certamente compatibile con le ripetute dichiarazioni rese dai convenuti ai Carabinieri - e dunque non possono ritenersi calunniose, essendo prive di dolo ai danni del Ba..

Le spese di lite venivano integralmente compensate per la particolarità degli argomenti trattati e per l'evoluzione giurisprudenziale in tema di efficacia della sentenza di patteggiamento nel processo civile.

Con atto di citazione notificato il 09.09.2021 Ba. Ma. ha proposto appello avverso la suindicata sentenza censurandola per un unico ampio motivo e segnatamente per:

1) “Erronea valutazione delle emergenze probatorie ed errata applicazione dell'art. 368 c.p.”. Il Tribunale avrebbe omesso di svolgere ogni valutazione in ordine al valore della sentenza di patteggiamento rispetto agli altri elementi probatori e/o indizianti contro i convenuti, aderendo alle risultanze della sentenza dibattimentale n. 1150/2017 e non tenendo in debita considerazione l'istruttoria espletata nel giudizio civile di primo grado. In particolare, l'appellante, a conferma di condotta integrante reato di calunnia e dei conseguenti effetti risarcitori, evidenzia la discordanza delle dichiarazioni rilasciate da In. Ca. in sede di s.i.t. rispetto a quanto dallo stesso affermato in sede di interrogatorio formale e ribadisce la natura menzognera delle dichiarazioni di In. Mo., sottrattasi dal rendere interrogatorio formale nel giudizio civile. Quanto al capo dell'impugnata sentenza in cui il primo giudice esclude la configurabilità del delitto di calunnia sotto il profilo oggettivo, prospettando in via ipotetica l'eventuale riconducibilità delle condotte alle fattispecie di cui agli artt. 371 bis e 372 c.p., l'appellante deduce che ai fini dell'integrazione del delitto ex art. 368 c.p. è sufficiente che taluno rivolgendosi in qualsiasi forma alle autorità indicate in norma, “esponga fatti concretanti gli estremi di un reato, addebitandoli a carico di persona di cui conosce l'innocenza”.

Infine, con riferimento alla sentenza penale n. 1150/2017 parte appellante lamenta che il primo giudice civile abbia erroneamente dedotto in motivazione la definitività della stessa, attribuendo così rilievo determinante alla pronuncia di insussistenza del fatto di reato ex art. 368 c.p., non avvedendosi, invece, che l'attore Ba. ha tempestivamente eccepito la pendenza del giudizio d'appello, come da certificazione prodotta con le memorie istruttorie ex art. 183, co. 6 n. 2 c.p.c., nell'ambito del quale il P.G. ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale

- anch'essa allegata in atti dall'attore - mediante l'ascolto di In. Mo., In. Ma., Di. Au., Mangia Luigia Santina ed In. Ca., al fine di ottenere una riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale.

Ritualmente costituitisi nel presente grado di giudizio, In. Ca. e In. Ma. contestano ogni doglianza avversa, eccependo l'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. e condividendo nel merito le deliberazioni del primo giudice sia con riferimento al valore della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili risarcitori e restitutori sia con riguardo alla non configurabilità del reato di calunnia dell'ipotesi per cui è causa. Inoltre, le parti appellate eccepiscono che è preclusa all'appellante qualsivoglia confutazione delle dichiarazioni di In. Ca., atteso che nulla sul punto l'attore ha opposto e provato nel corso di giudizio di primo grado. Infine, gli appellati eccepiscono la carenza probatoria della richiesta di risarcimento sia sotto il profilo dell'an che sotto il profilo del quantum.

Sulle conclusioni come innanzi precisate, la causa è stata riservata in decisione ai sensi dell'art. 190 cod. proc. civ., con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Valutata preliminarmente, l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. è infondata. L'assunto che ne è alla base, in sostanza riproducente il testo della norma, non è condivisibile. L'eccezione rimane, peraltro, assorbita dalla prosecuzione del giudizio, giacché l'eventuale inammissibilità dell'appello va dichiarata, sentite le parti, prima di procedere alla trattazione ex art. 350 c.p.c.

Quanto al merito, l'appello è infondato e deve essere rigettato.

Il motivo di censura articolato in gravame ruota attorno alla problematica della valore che assume la sentenza di patteggiamento nei giudizi civili risarcitori e restitutori. Tuttavia, pacificamente il tribunale ha aderito all'orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente secondo cui la sentenza penale di patteggiamento, nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, non ha efficacia di vincolo né di giudicato e neppure inverte l'onere della prova, costituendo, invece, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall'art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l'inefficacia agli effetti civili (art. 444 c.p.p.).”

In tale senso Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 20170 del 30/07/2018; Cass. Civ. Sez. III, ord. n. 7014 del 11/03/2020 che condivide tale ultimo orientamento con il quale, oltretutto, la ripartizione degli oneri probatori risulta declinata in linea con i più recenti arresti pronunciati in ordine al rapporto fra giudizio penale e giudizio civile nella materia risarcitoria (cfr. anche Cass. 25918/2019; Cass. 30311/2019).

Più di recente tale orientamento è ribadito dalla sentenza n. 7014 del 11/03/2020 - sul cui pronunciamento si è attestato il tribunale - nonché anche dalla recentissima Cassazione civile sez. III, 05/05/2022, n. 14278 secondo cui << Nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, la sentenza penale di patteggiamento non ha efficacia di giudicato né inverte l'onere della prova, costituendo, invece, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dalla legge, atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l'inefficacia agli effetti civili.>>

Il quadro giurisprudenziale prevalente ed univoco cui fare riferimento è dunque che la sentenza di patteggiamento assuma valore meramente indiziario in sede risarcitoria, nel senso che rappresenta un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi, se ricorrono i tre requisiti previsti dall'art. 2729 c.c., per affermare la responsabilità dell'imputato-danneggiante. Occorre precisare, che è vero che la sentenza di patteggiamento è pur sempre una sentenza di condanna, ma è altresì vero che non si tratta d'una sentenza di condanna a tutti gli effetti: è una sentenza equiparata a quelle di condanna "salve diverse disposizioni di legge". E sul punto degli effetti civili, poiché per quanto detto esiste una norma espressa che proclama l'inefficacia della sentenza ex art. 444 c.p.p. in sede civile, essa non può essere equiparata ad una ordinaria sentenza penale di condanna pronunciata all'esito del dibattimento. Va, infatti, osservato da un lato che le valutazioni richieste al giudice penale, al fine di pronunciarsi sull'accoglibilità della richiesta di patteggiamento, vengono compiute rebus sic stantibus, e non all'esito d'una attività istruttoria; e dall'altro che sarebbe una ben strana scelta ermeneutica quella che negasse efficacia vincolante, per il giudice civile, alla sentenza di patteggiamento in sé considerata, ma l'attribuisse agli accertamenti propedeutici ad essa. Il censurato passaggio motivazionale della sentenza di primo grado appare pertanto assolutamente condivisibile, non essendo intaccato in alcun modo dall'appello.

La sentenza di patteggiamento in scrutinio non assurge quindi al rango di indizio grave preciso e concordante della colpevolezza degli appellanti in relazione alla commissione del reato di calunnia, posto in essere ai danni del Ba., e di cui l'appellante invoca il ristoro dei pregiudizio sofferto, posto che - come pure evidenziato dal tribunale in primo grado - il corredo probatorio milita nel senso della mancanza nella specie di un quadro probatorio univoco sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di calunnia.

Il reato di calunnia si realizza quando, in modo diretto od indiretto si accusa taluno che si sa innocente della commissione di un reato, la condotta dell'agente si concretizza dunque nell'incolpare una persona di un reato ovvero di simulare a carico di lui le tracce di un reato, mediante denuncia, querela, richiesta o istanza, conoscendo già a quel momento l'innocenza dell'incolpato, ossia l'estraneità al fatto (realmente accaduto) o l'inesistenza del fatto medesimo.

Nel caso di specie si è trattato di false dichiarazioni rese alla P.G. (la cui riconducibilità ai reati di 371 bis cp e 372 cp appare in ogni caso opinabile), ciò di per sé non esclude in ogni caso la configurabilità dell'elemento materiale del reato di calunnia, ossia la falsa rappresentazione dei fatti con accusa rivolta nei confronti di taluno, che, se pure non confluisce in una formale denuncia-querela, è comunque condotta idonea a determinare, in ogni caso, il pericolo di avvio delle indagini a carico del soggetto accusato, e come tale giustificherebbe la domanda risarcitoria in scrutinio.

Tuttavia, le dichiarazioni in esame da sole non avrebbero in ogni caso consentito la prosecuzione del procedimento penale, fino alla condanna dell'accusato per la scarsa offensività delle condotte narrate; Ma. dice infatti “Decidevo di fermami per salutarli (...) ma quest'ultimo (n.d.r.. Ba. Ma.) aveva afferrato i polsi di mia sorella e la tirava verso di sé, mentre mia sorella ad alta voce diceva ripetutamente “LASCIAMI”, cercando di divincolarsi”. Trattasi, è vero, di dichiarazioni, rese da In. Ma., accertate come false, perché è emerso che la stessa non poteva aver visto la scena riferita in quanto si trovava altrove (in provincia di Caserta), ma riferiscono in ogni caso di condotte dell'accusato non penalmente perseguibili, nella misura in cui la In. non attribuisce al Ba. una condotta integrante reato, al più il riferire che il Ba. teneva i polsi della sorella, insensibile alla richiesta di lasciarla, poteva essere un elemento di valutazione per il giudice penale nel tratteggiare la personalità violenta dell'imputato, con riferimento ad altre ipotesi di reato. La condotta narrata non integra infatti - per la episodicità del fatto narrato - né il reato di maltrattamenti, né quello di stalking, né quello di violenza privata (posto che l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 610 c.p. è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore, vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve, dunque, trattarsi di qualcosa di diverso dal fatto in cui si esprime la violenza).

Del tutto inconferenti sono quindi le sentenze citate dall'appellante, perché si riferiscono a situazioni in cui le false dichiarazioni rilasciate alla P.G. presupponevano da parte dei familiari di aver concordato una versione comune, con un accordo illecito, pur nella piena consapevolezza dell'innocenza del calunniato, sintomatico dell'elemento soggettivo del delitto. Manca, invece, nella specie, l'evidenza di un simile accordo e comunque dell'elemento soggettivo del delitto. Va precisato, invero, che per la sussistenza del delitto di calunnia, occorre oltre all'elemento oggettivo del reato (la falsa rappresentazione) anche l'elemento soggettivo del delitto, che consiste nella consapevolezza, del soggetto agente, di star accusando qualcuno consapevolmente della sua effettiva innocenza. Per la sussistenza della fattispecie di reato rubricato come "calunnia", affinché si possa ritenere sussistente la fattispecie di reato e che quindi il soggetto danneggiato possa chiederne il risarcimento dei danni patiti come conseguenza del predetto reato, è necessario che concorrano sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo del reato di calunnia. Tale ultimo elemento soggettivo consiste nella consapevolezza, del soggetto agente, di star accusando qualcuno consapevolmente della sua effettiva innocenza.

Va condivisa quella giurisprudenza che nega la sussistenza della calunnia in caso in cui l'agente nutra dubbi sull'innocenza dell'incolpato: “In tema di calunnia, la consapevolezza del denunciante in merito all'innocenza dell'accusato è esclusa, qualora la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza” (Cass. pen. sez. VI, 18/02/2020, n. 12209). Nel caso di specie dagli atti del processo penale proseguito contro gli altri imputati - poi assolti - è emerso un quadro che evidenzia dubbi sulla effettiva colpevolezza del Ba., cui vengono addebitati fatti penalmente rilevanti, dubbi aventi il carattere della ragionevolezza e serietà, essendo fondati su elementi fattuali veritieri, al di là dell'episodio del 3 giugno. Tanto è vero, che il giudice penale - che ha assolto gli altri - ha ritenuto astrattamente credibile quanto affermato da In. Mo. (querelante) circa la natura vessatoria dei comportamenti di Ba., tale da escludere la configurabilità del reato di calunnia: ciò è sufficiente ad escludere il dolo del delitto di calunnia, che non può consistere nel dolo eventuale, in quanto la formula normativa "taluno che egli sa innocente" richiede la consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato.

Tanto vale anche, a fortiori, per In. Ca., che in sede di s.i.t-, rese davanti ai CC, dichiara: “mi trovavo in Santa Cesarea Terme, (...) giungeva mia figlia Ma. che in uno stato di agitazione, mi riferiva che nei pressi di Porto Vergine aveva notato il Ba. vicino la macchina dell'altra mia figlia, aveva bloccato la stessa afferrandole i polsi ed aveva sentito Mo. gridare. (...) Nel frattempo, mi chiamava al telefono mia figlia Mo. che mi riferiva dell'avvenuta aggressione (..). Nel mentre parlavo al telefono con lei mi giungeva un'altra telefonata da parte del Ba.”.

Escusso a dibattimento riferisce di non ricordare se la figlia Ma. fosse presente il giorno dell'aggressione. All'interrogatorio formale nel giudizio civile ammette infine che la figlia Ma. alla data dell'episodio violento denunciato si trovava in provincia di Caserta. Tanto è sufficiente ad escludere una condotta calunniosa, tale da fondare la domanda risarcitoria svolta: l'aver poi modificato la deposizione iniziale esclude la sussistenza dell'elemento soggetto, ossia la volontà di accusare il Ba., pur sapendolo con certezza innocente. In realtà In. Ca. ha appreso dell'aggressione subita direttamente dalla figlia Mo.; quindi, va esclusa la consapevolezza della innocenza del Ba., se pure, per corroborare il racconto di Mo., riferisce falsamente di aver sentito anche il racconto di Ma.. La falsità invero risiede nel fatto che Ma. abbia visto il litigio della sorella con il Ba. il 3 giugno, non che quell'epossido non si sia verificato. Il comandante della stazione di CC presso cui la In. Mo. si recò subito dopo quel fatto per denunciare il Ba. riferisce che al ragazza giunse visibilmente agitata, per aver effettivamente subito le riferite condotte dell'ex fidanzato. La calunnia quindi risiede soltanto nell'aver voluto corroborare il racconto - veritiero - di Mo. con la testimonianza di Ma. che tuttavia non poteva aver assistito al fatto. Tale ricostruzione fattuale esclude la certezza della innocenza del Ba. con riferimento a detto episodio, perché occorre che chi falsamente accusa un'altra persona di un reato abbia la certezza dell'innocenza dell'incolpato, in quanto l'erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude l'elemento soggettivo, da ritenere integrato solo nel caso in cui sussista una esatta corrispondenza tra momento rappresentativo (sicura conoscenza della non colpevolezza dell'accusato) e momento volitivo (intenzionalità dell'incolpazione).

Nessun dato di valutazione in senso contrario proviene, infine, dalla disamina dell'istruzione probatoria penale ai fini della responsabilità da reato nel giudizio concluso con sentenza di assoluzione, anche se questa non è definitiva. La tesi dell'appellante è che l'assoluzione degli altri coimputati, di cui alla sentenza penale n. 1150/2017, è stata utilizzata dal primo giudice civile, erroneamente affermandone in motivazione la definitività, per affermare la insussistenza del fatto di reato ex art. 368 c.p., laddove, invece, l'attore Ba. aveva tempestivamente eccepito la pendenza del giudizio penale d'appello, in seno al quale era stata chiesta la rinnovazione della istruttoria.

Va detto in proposito che l'appellante effettivamente aveva dato prova della non definitività della sentenza penale di assoluzione in epoca anteriore alla data della pronuncia civile impugnata (emessa il 17.02.2021), per aver prodotto certificazione della cancelleria, allegata alle memorie istruttorie 183, co. 6 n. 2 (atto del 17 dicembre 2018) e richiesta di rinnovazione istruttoria del PG allegata alla comparsa conclusionale (atto del 3 dicembre 2020), entrambi anteriori alla pronuncia della sentenza impugnata, e- al di là della ritualità e tempestività della rispettiva produzione- idonei a documentare come alla data della decisione di primo grado la sentenza penale effettivamente non fosse ancora passata in giudicato, in pendenza di appello. Ciò chiarito, la questione, dedotta con riferimento a tale passaggio motivazionale, è in ogni caso del tutto irrilevante e priva di pregio.

E tanto perché in realtà il giudice di primo grado non ha utilizzato tale sentenza penale nella sua efficacia probatoria di giudicato sulla assoluzione degli imputati, per escluderne ogni responsabilità risarcitoria, ma ha soltanto utilizzato le risultanze istruttorie, acquisite nel corso del parallelo processo dibattimentale nei confronti degli altri co-imputati, al solo fine di vagliare la fondatezza della domanda risarcitoria nei confronti dei due che, invece, avevano patteggiato la pena, uscendo da qual processo penale. Nella vicenda per cui è causa, infatti, il giudizio risarcitorio è stato promosso dal danneggiato nei confronti non già degli imputati, assolti all'esito del giudizio dibattimentale, bensì solo nei confronti degli imputati che hanno patteggiato la pena e la cui posizione è stata quindi stralciata da quel giudizio. Le vicende del procedimento penale successive all'applicazione della pena su richiesta dei due imputati pertanto sono per loro del tutto indifferenti e non riguardano la loro posizione, se non nei limitati confini di una valutazione delle risultanze del corredo probatorio acquisito in quella sede, che fungono quali dati utili per fondare il convincimento del giudice ex art. 116 cpc.

Di tal ché correttamente il tribunale ha utilizzato la sentenza di assoluzione dei coimputati, non già con l'efficacia di giudicato nel procedimento civile, come previsto dall'art. 652 cpp, (che attribuisce alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione efficacia di giudicato nel giudizio civile restitutorio e risarcitorio del danno promosso dal danneggiato, se il danneggiato si sia costituito parte civile, salvo che non abbia esercitato l'azione in sede civile ex art. 75, co. 2 cpp.) bensì solo per trarre dal corredo probatorio di quel giudizio dati di valutazione utili, necessari al fine di corroborare il dato indiziario sulla responsabilità promanante dalla sentenza di patteggiamento, ma di per sé sola assai labile perché privo detto dato indiziario isolato dei requisiti dell'art. 2729 cc. In tale guisa, la definitività o meno di quella assoluzione e le successive vicende di quel processo, e perfino la rinnovazione del dibattimento, non assumono alcun peso rilevante e/o dirimente ai fini della pretesa risarcitoria in scrutinio e quindi non intaccano l'iter motivazionale, posto dal primo giudice a fondamento della sua decisione, ancorché non abbia valutato come quella assoluzione non fosse ancora definitiva.

In ogni caso, la circostanza che quel procedimento non si fosse ancora concluso e che sia stata richiesta la rinnovazione della istruttoria da parte del PG appellante è comunque un ulteriore dato di valutazione che può essere utilizzato dalla Corte per trarre conferma, anziché smentita, in ordine alla insussistenza di un quadro indiziario sulla sussistenza del delitto di calunnia, che abbia i tre requisiti previsti dall'art. 2729 c.c., che sia cioè grave preciso e concordante, tale da provare la commissione dell'illecito da patte degli appellanti. Residua invece il solo dato probatorio di semplice indizio, rinvenibile in sé dalla sentenza di patteggiamento, insufficiente per la condanna risarcitoria invocata dall'appellante.

In tale contesto, la sentenza di primo grado appare pertanto del tutto immune dalle censure sollevate in gravame. Consegue la conferma della stessa con rigetto dell'appello.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, con importo più prossimo ai minimi tariffari previsti per le 3 fasi del giudizio di appello, considerato il valore (€ 60.000 come dichiarato) e la complessità della causa.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell'appellante,

di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il gravame, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Ba. Ma. con atto di citazione notificato il 09.09.2021 nei confronti di In. Ca. e In. Ma. avverso la sentenza n. 449/2021 emessa ex art. 281 sexies c.p.c. in data del 17.02.2021 dal Tribunale di Lecce così provvede:

1. Rigetta l'appello;

2. Conferma la sentenza appellata;

3. condanna la parte appellante, Ba. Ma. al pagamento, in favore degli appellati, In. Ca. e In. Ma., delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in € 6500 per compensi, oltre accessori di legge e di tariffa nella misura del 15%, con distrazione in favore dell'avv. Leonardo Maiorano, procuratore della parte vittoriosa;

4. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, in favore dell'erario di un importo ulteriore, pari a quello del contributo unificato previsto per il gravame, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 6 ottobre 2023

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 10 OTT. 2023.

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