Tribunale Taranto sez. I, 04/01/2024, n.3296
Nel reato di calunnia, l'accertamento della responsabilità penale richiede che la falsa accusa sia supportata da prove certe e che il dolo del calunniatore, ossia la consapevolezza dell'innocenza dell'accusato, emerga in modo univoco. L'intrinseca credibilità delle dichiarazioni della persona offesa deve essere sottoposta a un controllo rigoroso, specie se emergono contraddizioni o intenti calunniatori.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Pa.Fe., compiutamente identificato in atti, è stato tratto a processo, con decreto di citazione a giudizio emesso il 24/11/2021, per rispondere del reato di lesioni aggravate contestato nei confronti della persona offesa Ru.De., così come meglio specificato nel capo di imputazione riportato in epigrafe.
Alla prima udienza del 9/06/2022, verificata la regolare costituzione delle parti, preso atto della intervenuta costituzione di p.c. e dichiarata l'assenza dell'imputato ex art. 420 bis c.p.p., è stato aperto il dibattimento e sono stati ammessi i mezzi istruttori così come richiesti dalle parti; contestualmente è stato acquisito il certificato medico relativo alle lesioni contestate.
Nel corso della successiva udienza del 15/12/2022 è stata quindi acquisita, anche ai fini della piena utilizzabilità, la querela sporta dalla p.c. Ru.De. il 4/09/2019, nonché il verbale di s.i. rese dalla stessa il successivo 17/10/2019 e quello avente ad oggetto le dichiarazioni rese dal teste Fu.Pi. il 7/10/2019; successivamente i medesimi sono stati escussi in dibattimento con sole domande a chiarimento.
All'udienza del 15/06/2023, poi, si è proceduto ad effettuare l'esame dell'imputato e del teste a discarico Se.An.
Le parti hanno altresì prestato il consenso all'acquisizione del verbale di interrogatorio reso da quest'ultimo il 21/07/2020, nonché del verbale di s.i. rese dalla teste Lo.St. il 13/11/2019. Ai fini della sola prova del fatto storico, inoltre, è stata acquisita la querela sporta dall'imputato nei confronti della p.o. 18/10/2019 avente ad oggetto i medesimi fatti per cui è processo.
All'odierna udienza, integralmente esaurita l'attività istruttoria, è stata dichiarata la chiusura del dibattimento, l'utilizzabilità di tutti gli atti acquisiti, e le parti, invitate a discutere, hanno concluso nei termini di cui in epigrafe. Il processo ha trovato dunque definizione con la pronuncia resa in dispositivo, di cui è stata data lettura nella pubblica udienza.
Il contenuto del fascicolo dibattimentale consente di escludere la penale responsabilità dell'imputato per i reati a lui ascritti.
La p.c. escussa, nel ripercorrere gli avvenimenti oggetto di querela, ha riferito che in passato era stata avvinta da relazione sentimentale con PA.FE., con il quale aveva contratto matrimonio nel 2006, e da cui si era poi separata per ragioni di incompatibilità caratteriale. Dalla loro unione era nata la figlia Je., all'epoca dei fatti minore degli anni diciotto.
Il 4/09/2019 la donna, dopo aver scritto all'ex compagno che si sarebbe recata presso la sua abitazione di Martina Franca per recuperare alcuni effetti personali della figlia in vista dell'imminente trasferimento presso (...), pur senza ottenere alcuna risposta al messaggio, aveva dato seguito al proprio intento e, dopo aver trovato il cancello esterno aperto, si era portata insieme alla di lei madre innanzi all'uscio dell'appartamento in cui viveva l'uomo ed aveva più volte suonato il campanello dal momento che, sentendo dei rumori prevenire dall'interno dell'abitazione, era sicura che il PA. fosse in casa.
Al che - proseguendo nella disamina del narrato - la Ru. ha riferito che, dopo aver atteso circa mezz'ora ed aver altresì chiamato i Carabinieri, l'imputato era uscito dall'appartamento e, "come è uscito di casa si è messo nella macchina, ha fatto retromarcia, io mi sono messa dietro la macchina cercando di farlo ragionare per fare entrare la bambina in casa, si è arrabbiato come è suo solito, è uscito, mi ha preso i polsi e ha cominciato a strattonarmi. E poi mi ha preso e mi ha gettato per terra" (cfr. pag. 11 delle trascrizioni del 15/12/2022).
Così sintetizzato il narrato offerto dalla p.c. al vaglio dibattimentale, va sin d'ora affermato che è evidente come un'eventuale pronuncia di condanna non può che poggiare, nel caso di specie, sull'esito assolutamente positivo del vaglio di credibilità della persona offesa a cui, per le ragioni di cui infra, non è possibile addivenire.
Sul punto si impone un richiamo, seppur per sommi capi, a quelle che sono le premesse di carattere giuridico-sistematico poste alla base del processo logico-valutativo della prova orale costituita dalla testimonianza resa dalla persona offesa, che è chiaramente e potenzialmente portatrice di interessi confliggenti con quelli dell'imputato, e che pertanto dev'essere valutata con rigorosa attenzione per l'evidente interesse accusatorio che inevitabilmente la connota. Invero, pur trattandosi comunque di deposizione testimoniale dotata per legge di pieno valore probatorio anche in assenza di riscontri esterni - non trovando in tal caso applicazione i principi di cui all'art. 192 c.p.p. - non va dimenticato che il processo penale risponde all'interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell'imputato e non può, di conseguenza, essere condizionato dall'interesse individuale rispetto ai profili privatistici.
Il che conduce come effettivamente ha condotto - la giurisprudenza di legittimità ad affermare che la verifica dell'intrinseca credibilità della testimonianza resa dalla persona offesa deve essere ancor più rigorosa nel caso in cui la stessa risulti altresì costituita "parte civile" nel procedimento (come nel caso oggi in esame: sul punto, la Suprema Corte ha infatti efficacemente rammentato come "in tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, affondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorie del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazioni. (Cfr. ex multis Cass. Pen. n. 21135/19).
Ciò posto e tornando al merito del caso in esame, va rilevato che la narrazione degli eventi fornita dalla parte lesa non risulta supportare, in modo sufficientemente preciso, circostanziato e soprattutto credibile, le accuse rivolte all'odierno imputato in ordine alle condotte descritte ai capi d'imputazione, mostrandosi la stessa carente soprattutto sotto il profilo della coerenza interna (credibilità intrinseca), rendendo dunque opportuno il vaglio circa la sussistenza di riscontri esterni al narrato che, nello specifico, risultano inconsistenti alla luce delle numerose contraddizioni emerse nella ricostruzione dei fatti fornita dalla parte civile (del resto, appare altresì singolare come la madre della donna, presente ai fatti, non sia stata inserita né nella lista testi della Pubblica Accusa, né di quella privata).
Nello specifico, si osserva quanto segue.
Giova innanzitutto rammentare come le stesse propalazioni rese dalla p.o., ove raffrontate al contenuto della querela e del verbale di s.i. acquisiti, appaiano contraddittorie in ordine ad una circostanza di non scarso rilievo. La Ru., in seno al primo dei due atti richiamati, aveva collocato il momento nel quale avrebbe ricevuto la spinta dal PA. in concomitanza con la sua uscita dall'abitazione, e, solo a seguito di tale gesto, l'imputato si sarebbe posto alla guida della propria autovettura al fine di allontanarsi dal luogo in cui si erano svolti i fatti.
Ebbene, a distanza di poche settimane, sentita innanzi ai C.C. della stazione di La Spezia, la p.c. ha reso una narrazione significativamente diversa, nella misura in cui la stessa ha affermato che il PA., dopo essere uscito dalla propria abitazione, si era subito posto alla guida della propria autovettura e, dopo aver fatto retromarcia incurante della sua presenza, era sceso dal veicolo, l'aveva insultata e l'aveva strattonata per i polsi, facendola cadere al suolo.
In sede dibattimentale la Ru., a fronte delle contestazioni mosse sul punto dal difensore, ha dapprima confermato la versione dei fatti descritta in querela e poi, in un secondo momento, affermato che i fatti erano occorsi così come descritti in sede di (...), concludendo laconicamente che, con riferimento a quanto riportato in querela, "mah, forse avranno sbagliato loro a scrivere" (cfr. pag. 12, ibidem).
Ulteriori contraddizioni, seppur di minor rilievo, si registrano altresì in ordine all'intervento in loco del teste Fu.Pi., in relazione al quale, solo nel verbale di s.i., è stato riferito che quest'ultimo era arrivato in auto, circostanza poi confutata dallo stesso teste escusso.
Del resto, sicura smentita delle dichiarazioni della p.o. proviene proprio dalla testimonianza del Fu., vicino di casa dell'imputato e terzo disinteressato, peraltro indicato tra i testi d'accusa.
Il predetto, già sentito innanzi ai C.C. di Martina Franca il 7/10/2019, aveva infatti affermato che, mentre si accingeva ad uscire dal portone della propria palazzina dunque non certo a bordo di un'autovettura aveva visto la Ru. ed il PA. impegnati in un'accesa confrontazione verbale, durante la quale entrambi si insultavano. Al che, "nella concitatone del momento, la Ru., nel mentre indietreggiava, senza alcuna spinta, cadeva rovinosamente al suolo". In quel frangente, il teste si era limitato ad invitare le parti ad abbassare i toni ed era rientrato all'interno della propria abitazione.
Tale versione dei fatti è stata confermata dal Fu. anche in sede dibattimentale, ove lo stesso ha affermato di essere uscito di casa per gettare la spazzatura e, trovatosi di fronte alla scena del litigio, di non aver visto alcuna spinta o contatto fisico tra la Ru. e l'imputato, atteso che quest'ultima era caduta da sola, per poi rialzarsi immediatamente (cfr. pag. 16-17, ibidem).
Ancora, a ulteriore discredito della credibilità della p.c., il Fu. ha riferito che, quella stessa sera, la di lui moglie collega di lavoro della Ru. aveva ricevuto un messaggio da parte di quest'ultima, in cui le chiedeva di testimoniare a suo favore in relazione ai fatti appena occorsi ("voleva per forvia che io dovevo testimoniare una cosa che non avevo visto, cioè io, infatti c'è il vocale di mia moglie che gli risponde, dice: "Ma mio marito non ha visto nulla", cfr. pag. 18, ibidem).
L'imputato, sottopostosi ad esame, ha negato energicamente gli addebiti mossi nei suoi confronti (avendo altresì reso interrogatorio e sporto querela per i medesimi fatti in data 8/10/2019), affermando che la separazione con la Ru. era stata la conseguenza della scoperta, da parte dell'uomo, di una relazione extraconiugale intrattenuta dalla ex moglie con la persona che sarebbe poi divenuta il suo attuale compagno.
Per tale ragione i rapporti tra le parti si erano del tutto deteriorati e, il giorno in cui erano occorsi i fatti per cui è processo, aveva deliberatamente deciso di ignorare il messaggio ricevuto dalla Ru. e che preannunciava la sua visita. Nondimeno la stessa, dopo aver fatto comunque ingresso all'interno del complesso residenziale, aveva iniziato a suonare al citofono con talmente tanta insistenza da "bruciarlo" e addirittura a sferrare calci alla porta della sua abitazione, all'interno della quale si trovava in visita altresì St.Lo. (sulla cui testimonianza, infra).
Al che il PA. era uscito e, per evitare qualsiasi contatto con la ex moglie, si era subito messo alla guida della propria vettura. A quel punto, poiché aveva il finestrino aperto, l'imputato ha rammentato che la donna gli si era avvicinata repentinamente e, mentre faceva manovra in retromarcia, quest'ultima si era sporta all'interno del veicolo e aveva afferrato il volante, facendogli perdere il controllo e causando l'impatto con un'altra vettura parcheggiata nel vialetto.
Il PA., sceso per controllare l'entità del danno, ha riferito di essere stato aggredito verbalmente e fisicamente dalla p.c.: "questa incomincia, parte schiaffi, calci, io giustamente mi paro almeno il viso così nel tirare il calcio sicuramente si è indietreggiata ed è caduta", per poi subito rialzarsi, tant'è che neppure la madre della donna si era dovuta adoperare per aiutarla.
Tale versione dei fatti è stata oggetto di conferma da parte dei testi a discarico Lo.St. e Se.An., entrambi presenti in occasione degli eventi.
La prima, per tramite del verbale di s.i. del 13/11/2019 acquisito con il consenso delle parti, ha riferito che si trovava all'interno dell'abitazione del PA. quando il campanello di casa aveva iniziato a squillare violentemente ed in modo prolungato. Non appena aperta la porta, l'imputato era stato insultato e strattonato dalla Ru. che aveva cercato di guadagnare l'ingresso dell'abitazione. Al che il PA. era subito uscito di casa e l'ospite, impaurita, era rimasta all'interno.
Il teste Se., invece, ha riferito al Tribunale che, al momento dei fatti, trovavasi a bordo della propria autovettura, parcheggiata sul vialetto antistante l'abitazione dell'imputato, poiché quella sera, insieme al predetto ed alla Lo., sarebbe dovuto uscire per bere qualcosa.
Pertanto, mentre li attendeva, ha affermato di aver visto il PA. uscire velocemente di casa e portarsi all'interno della propria macchina, seguito a breve distanza dalla Ru., che subito aveva iniziato a battere i pugni sul cofano della vettura per poi porre in essere, durante la manovra in retromarcia, la condotta già descritta supra che aveva causato lo sbandamento dei veicolo ed il suo impatto con l'altra vettura parcheggiata.
Analogamente, il teste ha reso dichiarazioni conformi a quelle offerte dall'imputato in relazione a quanto accaduto negli istanti successivi, sicché, dopo che quest'ultimo era sceso dall'autovettura e si stava consumando una violenta lite verbale con offese proferite da ambo le parti, la Ru., nel tentativo di sferrare un calco all'ex marito, si era sbilanciata ed era rovinata al suolo. Sicché l'imputato aveva guadagnato la fuga e si era velocemente allontanato.
Il compendio probatorio illustrato vale, dunque - per le ragioni sopra illustrate ed argomentate sulla scorta degli elementi istruttori analizzati - a giustificare l'esito assolutamente negativo del vaglio di credibilità della costituita parte civile rispetto alle dichiarazioni rese per le quali al contrario può dirsi senz'altro emerso un evidente intento calunniatolo, tale da indurre il Tribunale a disporre la trasmissione degli atti presso la Procura della Repubblica in sede, onde vengano poste in essere le determinazioni di competenza.
Per tali ragioni, merita accoglimento la richiesta formulata dalla difesa dell'imputato ai sensi dell'art. 542 c.p.p.
Più specificamente, si osserva che la condanna alla rifusione delle spese processuali sopportate dall'imputato consegue in automatico alla pronuncia assolutoria (emessa per cause diverse dal difetto di imputabilità), per il sol fatto che questi ne abbia fatto richiesta. Per altro verso, non ritiene il Tribunale che sussistano, nel caso di specie, esigenze peculiari tali da giustificare la compensazione totale o parziale delle stesse. Quanto all'entità delle stesse, vanno determinate nella misura complessiva di euro 3.025,00 oltre accessori come per legge, avuto riguardo al numero di udienze patrocinate, agli atti scritti depositati, alla tariffa applicabile al caso in esame (D.M. n. 147 del 13/08/2022).
Ancora, ritiene il Tribunale che sussista altresì quel profilo di colpa grave tale da giustificare l'accoglimento della richiesta risarcitoria per c.d. "lite temeraria". La disposizione in parola, invero, fa esplicito riferimento all'art. 96 c.p.c., per cui "se risulta che la parie soccombente ha agito o resistito in giudico con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza". Nel caso di specie, l'istruttoria dibattimentale ha smentito completamente la ricostruzione dei fatti prospettata dalla p.c. querelante, rivelandone, con tutta evidenza, l'assoluta mala fede (sul punto, si fa espresso rimando alle considerazioni già esposte nei paragrafi precedenti).
Per ciò che attiene al quantum del risarcimento, lo stesso ben potrà essere determinato in via equitativa (tenendo conto, a tal fine, delle caratteristiche della subita azione penalmente illecita posta in essere dall'odierno imputato e delle sue modalità - soprattutto di durata e reiterazione nel tempo), in assenza di una diversa e più specifica prova circa il danno morale ed in carenza assoluta della dimostrazione della sussistenza di un qualsivoglia danno materiale patito dalla persona offesa, nella misura complessiva di euro 2.000,00.
Pa.Fe. va, pertanto, assolto dal reato a lui contestato perché il fatto non sussiste.
La pregressa esistenza di concomitanti impegni di natura professionale ha suggerito l'indicazione, ai sensi dell'art. 544 c.p.p., del termine di giorni 90 per la stesura della motivazione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 530 co. 1 c.p.p., assolve PA.FE. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste;
visti gli artt. 542 e 427 c.p.p., condanna RU.DE. al risarcimento del danno in favore dell'imputato, liquidato complessivamente nella somma di euro 2.000,00, nonché alla rifusione delle spese processuali relative all'esperita difesa, che si liquidano in euro 3.025,00 oltre Iva e accessori come per legge;
visto l'art. 544 c.p.p., indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Taranto il 12 ottobre 2023.
Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2024.