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Responsabilità civile per denuncia: necessaria la prova della consapevolezza della falsità

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Corte appello Roma sez. I, 21/08/2023, n.5536

La denuncia di fatti asseritamente illeciti può costituire fonte di responsabilità civile solo se contiene gli elementi del reato di calunnia, ovvero la consapevolezza della falsità delle accuse e della non responsabilità del denunciato. L'ordinamento tutela il diritto di denunciare, escludendo responsabilità per denunce semplicemente inesatte o infondate.

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La sentenza integrale

Fatto e diritto
Con sentenza n. 6535/2021 il tribunale di Roma ha così motivato e deciso sulla causa in oggetto: “Con atto di citazione l'attrice ha esposto di essere insegnante della scuola dell'infanzia dal 1996, di essere stata dipendente di Roma Capitale dal 29/02/2008 al 14/04/2014 e assegnata insieme a una collega alla Sezione B di una scuola dell'infanzia. Nel mese di ottobre, unitamente alla collega, ha segnalato al funzionario didattico le problematiche d'inserimento relative a due minori e ha contattato la famiglia di uno di questi. All'incontro si presentava il convenuto Pa., padre del minore, che chiedeva lo spostamento del figlio ad altra sezione, che esponeva episodi relativi a comportamenti inappropriati dell'attrice, a lui riferiti dal figlio di tre anni, contestati sia dall'attrice che dalla sua collega. Il sig. Pa. inoltrava, poi, alla scuola un esposto contenente detti episodi così come i convenuti Ba. e Ma., sempre in base a quanto dichiarato dai rispettivi figli di anni 3 e presentavano denunce presso i carabinieri. L'attrice veniva, quindi, sospesa dall'attività didattica e sottoposta a procedimento penale e disciplinare, definiti con l'archiviazione rispettivamente l'11/07/2014 e il 13/01/2016. L'attrice non ha più ripreso l'attività didattica e soffre di depressione ricorrente e ansia generalizzata, come da certificazione medica. L'attrice ha, quindi, chiamato in causa i convenuti contestando loro il reato di diffamazione e la violazione dell'art. 2043 c.c, riportando alcuni passaggi degli esposti. Ha rilevato che le accuse dei genitori non hanno trovato riscontro nell'indagine dei carabinieri e da quanto dichiarato da molti genitori. Ha, quindi, rilevato che non si applica la scriminante di cui all'art. 51 c.p.

Ha concluso chiedendo di accertare il contenuto diffamatorio degli esposti depositati dai convenuti e, per l'effetto, di condannarli al risarcimento dei danni da quantificarsi all'esito di consulenza medico-legale.

Con comparsa di costituzione il convenuto Pa. ha eccepito la nullità della citazione per omessa o incerta determinazione del petitum, rilevando l'assenza di prova del danno. Ha, poi, dedotto il difetto di legittimazione passiva, evidenziando che la sospensione dell'attrice dall'attività didattica è riconducibile a un provvedimento di Roma Capitale e non all'esposto depositato e che il procedimento disciplinare sarebbe stato archiviato dopo oltre due anni dall'archiviazione del procedimento penale. Ha, quindi, rappresentato la legittimità dell'esposto del 12/12/2013 in quanto volto alla tutela del minore. Ha concluso chiedendo il difetto di legittimazione passiva e nel merito il rigetto della domanda attrice con vittoria di spese e competenze.

Con comparse di costituzione la convenuta Ma. e la convenuta Ba. hanno eccepito la nullità della citazione, il difetto di legittimazione adita e l'incompetenza del giudice adito, il difetto di legittimazione passiva e nel merito hanno concluso per il rigetto della domanda e la condanna dell'attrice a lite temeraria, con vittoria di spese e competenze.

...

Ciò posto, in via preliminare sono respinte le eccezioni dei convenuti, in quanto l'attrice ha agito per il risarcimento del danno che ha affermato essere stato causato dagli esposti dei convenuti. Sussiste, quindi, sia la legittimazione attiva che quella passiva. Con riferimento all'eccezione di nullità della citazione essa è respinta in quanto i convenuti hanno depositato articolata difesa.

Nel merito l'attrice ha chiamato in causa i convenuti ritenendo che gli esposti e le denunce presentate abbiano carattere diffamatorio o, comunque abbiano violato l'art. 2043 c.c.

Sul punto la Corte di Cassazione ha chiarito, con la sentenza n. 26972/08 a Sezioni Unite, che “la gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili.

Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà. verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)”. Con riferimento al tema della quantificazione del danno ha rappresentato che “il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato”, anche attraverso il ricorso alla prova presuntiva (in termini analoghi tra le altre Cass, Ord. n. 19434.19).

Con riferimento all'applicazione della scriminante di cui all'art. 51 c.p. in caso di denuncia presentata dai genitori del minore, la Cassazione ha chiarito che “il presupposto per l'applicazione a titolo putativo della causa di giustificazione invocata presuppone un errore incolpevole sulla verità dei fatti che, invece, non è configurabile quando sia mancato un preventivo vaglio” tramite, quanto meno, “una verifica informale sulla veridicità dei fatti riferiti dal minore” (Cass. pen sent. n. 5935/2012).

Nel caso di specie risulta in atti che i convenuti, sulla base delle sole dichiarazioni riferite da minori, peraltro in tenera età, e senza, quindi, alcuna verifica, hanno presentato esposti alla direzione scolastica e ai carabinieri riferendo fatti gravi a carico dell'attrice che non hanno trovato alcun riscontro nel procedimento penale definito con l'archiviazione. Gli esposti e le denunce hanno, quindi, natura diffamatoria.

Per quanto attiene al danno non patrimoniale, sussiste la lesione dell'onore e della reputazione.

L'attrice è stata sottoposta a procedimento disciplinare, la cui attivazione è dipesa in via esclusiva dalla condotta dei convenuti e in sede di visita medica con verbale della Commissione Medica di Verifica del 26/01/2016 e del 12/09/2016 non è stata ritenuta idonea per la ripresa dell'attività didattica in quanto affetta da “disturbo ansioso-depressivo-reattivo”. L'attrice ha anche depositato certificazioni rilasciate da una struttura pubblica che attestato il percorso di cura dal 2015 al 2018.

Alla luce di quanto precede, l'attrice ha fornito gli elementi per la quantificazione del danno. Pertanto tenuto conto del ruolo di insegnate svolto dall'attrice, della gravità della diffamazione e delle conseguenze della stessa, il danno non patrimoniale va riconosciuto in via equitativa in € 15.000,00, a carico dei convenuti in solido, tenuto conto della vicinanza temporale degli esposti e delle denunce e del contenuto analogo delle stesse. (...)”.

Il tribunale ha quindi condannato i convenuti in solido al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato in € 15.000,00 oltre interessi dalla sentenza al saldo, e al pagamento delle spese del giudizio.

Avverso detta sentenza hanno proposto tutte le parti - in distinti giudizi, riuniti - per i seguenti motivi.

La Ro. ha proposto appello deducendo l'erroneità della sentenza per aver omesso la valutazione del “danno fisico-biologico, conseguenza diretta ed immediata della diffamazione subita, cui era seguito un provvedimento di distacco dall'insegnamento, e successivamente di definitiva inidoneità, con applicazione in uffici amministrativi”, la cui prova sarebbe stata documentalmente fornita. e ha quindi chiesto accertare e dichiarare l'appellante affetta da “ Depressione Maggiore ricorrente con Ansia Generalizzata” conseguente ai fatti di causa, e la sussistenza di una “invalidità permanente, intesa come danno biologico, valutabile in misura pari al 25% (venticinque per cento)” con conseguente condanna al relativo risarcimento del danno.

Le parti appellate hanno dedotto la infondatezza dei motivi di appello chiedendone il rigetto. Il Pa. ha spiegato appello incidentale chiedendo la riforma della sentenza e il rigetto della domanda proposta dalla Ro..

Al. Ma. e Da. Ba. hanno proposto appello autonomo, successivamente riunito, deducendo la erroneità della sentenza e chiedendone la riforma con il rigetto della domanda. Pa. Ma. e Ba. hanno dedotto in particolare la insussistenza del fatto illecito essendo stata la denuncia legittimamente presentata e priva di ogni intento e contenuto calunnioso, e la insussistenza del nesso di causalità essendo la sospensione dalle mansioni dipesa dalla denuncia e dalle valutazioni conseguenti anche ad altri rilievi di altro genitore della responsabile della scuola di infanzia e dai successivi accertamenti effettuati in sede amministrativa. Sul piano delle conseguenze mediche lamentate dall'insegnante, si evidenziava comunque la mancanza del nesso causale essendo le problematiche lamentate dalla Ro. già emerse in precedente visita medica del 2008 come attestato dalla documentazione in atti.

La Corte, previa riunione delle cause, e accoglimento dell'istanza di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza impugnata, all'udienza cartolare del 13 aprile 2023 ha assegnato le cause in decisione, sulle conclusioni scritte delle parti.

L'appello di Ma. e Ba. e l'appello incidentale di Pa. - che per ragioni logiche devono essere esaminati preliminarmente - sono fondati, in relazione al comune motivo di appello relativo alla sussistenza della scriminate dell'esercizio di un diritto, assorbente ogni altro ulteriore motivo da essi dedotto.

È incontroverso e comunque documentato in atti che i sigg. Pa., Ma. e Ba. aveva rappresentato alla responsabile della scuola materna alcune criticità relative a presunti comportamenti della insegnante Ro., appresi dai propri figli (in contesti e tempi diversi) e avevano presentato una denuncia ai Carabinieri al fine di accertare la sussistenza di eventuali illeciti. È poi documentato che il procedimento penale (artt. 570 e 571 c.p.) si è concluso con la richiesta di archiviazione del PM del 13 marzo 2014 accolta dal GIP, in cui si dava atto che dalle indagine svolte non erano emersi “sufficienti elementi di riscontro per sostenere validamente l'accusa in dibattimento”.

Orbene, posto che alla mera archiviazione del procedimento non consegue per ciò stesso una conseguente ipotesi di calunnia a carico del denunciante, dovendo a tal fine provare la sussistenza della consapevolezza nel denunciante della falsità dei fatti o della inesistenza della responsabilità ipotizzata, rileva la Corte che nel caso di specie la denuncia - volta al fine di indurre gli inquirenti a verificare l'accertamento di eventuali illeciti - appare fondata su fatti e circostanze da cui non emerge in alcun modo il contenuto calunnioso della denuncia, e vale a dire la consapevolezza della falsità dei fatti ipotizzati, ovvero della insussistenza di alcuna responsabilità in ordine agli stessi.

A tale conclusione deve giungersi - oltre al fatto che la Ro. non ha ottemperato all'onere probatorio a lei incombente di provare la dedotta calunnia - in ogni considerando:

la pluralità di segnalazioni pervenute da diversi genitori - tra i quali non risulta alcun “accordo” volto a calunniare l'insegnante, come dedotto dalla stessa;

l'autonomo procedimento attivato in sede amministrativa conclusosi con un giudizio di inidoneità della commissione medica all'insegnamento;

la circostanza che anche dopo l'allontanamento dei figli degli odierni appellati denuncianti il collegio dei docenti abbia ritenuto (cfr. verbale del 9 aprile 2014) di segnalare l'esistenza di comportamenti inappropriati e non conformi al regolamento della scuola (“...il richiamo alle regole di vigilanza e responsabilità, già comunicate e condivise all'inizio dell'anno scolastico con tutto il corpo docente “ si rende necessario a causa di “...modalità rilevate non idonee nei confronti dei comportamenti disturbanti di alcuni bambini.”),

la circostanza che la responsabile della scuola dott.ssa An. Ma. in data 16 gennaio 2014 nella propria denuncia ai CC sulle segnalazioni ricevute da genitori si riferiva anche a denuncia di altro genitore (Ca. Lo.).

Tali circostanze complessivamente considerate inducono ad escludere - indipendentemente dall'esito della denuncia - ogni intento meramente diffamatorio (che nella specie diventerebbe calunnioso essendosi sostanziato in una denuncia di fatti astrattamente costituenti reato) dei denuncianti.

Va infatti rilevato che la giurisprudenza di legittimità più recente (in particolare cfr. Cass. 9350/2019) ha statuito che “la denuncia di un reato perseguibile d'ufficio o la proposizione di una querela per un reato così perseguibile, possono costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante (o querelante), in caso di successivo proscioglimento o assoluzione del denunciato (o querelato), solo ove contengano gli elementi costitutivi (oggettivo e soggettivo) del reato di calunnia, poiché, al di fuori di tale ipotesi, l'attività del pubblico ministero titolare dell'azione penale si sovrappone all'iniziativa del denunciante-querelante, interrompendo ogni nesso causale tra denuncia calunniosa e danno eventualmente subito dal denunciato (o querelato)” (cfr. anche Cass. Sez. 3 Sentenza n. 20293 del 23.7.2019, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 30988 del 30/11/2018, tra le più recenti).

La citata sentenza ha altresì statuito che:

- spetta all'attore, che in sede civile chieda il risarcimento dei danni assumendo che la denuncia era calunniosa, dimostrare che la controparte aveva consapevolezza della sua innocenza;

- l'attore, proponendo una domanda di risarcimento del danno scaturente da una denuncia asseritamente calunniosa, dovrebbe dimostrare il dolo della controparte; l'irrilevanza della colpa per la calunnia ai relativi effetti si spiega con lo scopo dell'ordinamento di evitare che alla disponibilità dei cittadini a collaborare con l'autorità giudiziaria, tramite la denuncia dei comportamenti criminosi, siano poste remore derivanti dal timore di incorrere in conseguenze di carattere risarcitorio nel caso di errore.

(cfr. anche Sez. 3 -, Sentenza n. 11271 del 12/06/2020: Colui che invochi il risarcimento del danno per avere subito una denuncia calunniosa ha l'onere di provare la sussistenza di una condotta integrante il reato di calunnia dal punto di vista sia oggettivo sia soggettivo poiché la presentazione della denuncia di un reato costituisce adempimento del dovere, rispondente ad un interesse pubblico, di segnalare fatti illeciti, che rischierebbe di essere frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce semplicemente inesatte o rivelatesi infondate).

Alla luce di detti principi, l'appello incidentale del Pa. e l'appello principale di Ba. e Ma. devono essere accolti, e in riforma della sentenza impugnata deve essere respinta la domanda proposta nel primo grado di giudizio da Ro...

È conseguentemente respinto l'appello principale di Ro. sul quantum.

Va conseguentemente anche accolta la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza appellata e disposta la restituzione in favore di ciascuna delle odierne appellanti Al. Ma. e Da. Ba. della somma di euro 2.500,00 da ognuna di esse distintamente corrisposta alla predetta Da. Ro. con bonifici eseguiti in data 06.07.2021 e in data 07.07.2021, oltre interessi legali dalla data di effettuazione degli stessi fino sino al giorno di effettivo rimborso. Le spese del doppio grado, tenuto conto della giurisprudenza più risalente citata dalla parte appellante, sono integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, così provvede:

accoglie l'appello incidentale di Pa. Pa. e l'appello principale di Al. Ma. e Da. Ba. e, in riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda proposta da Ro. Da. nel primo grado di giudizio.

respinge l'appello di Ro. Da.;

ordina la restituzione in favore di ciascuna delle appellanti Al. Ma. e Da. Ba. della somma di euro 2.500,00 da ognuna di esse distintamente corrisposta alla predetta Da. Ro. in esecuzione della sentenza impugnata, oltre interessi legali dalla data dei pagamenti sino al giorno di effettivo rimborso.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell'appellante Ro. Da. dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'atto di appello, a norma dell'art. 13 co. 1 quater DPR n. 115 del 30.5.2002.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 luglio 2023

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 21 AGO. 2023.

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