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Stalking indiretto e gelosia ossessiva: configurabilità del reato di atti persecutori e rilevanza della condotta per interposta persona

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Tribunale Frosinone, 02/01/2024, n.1764

Il reato di stalking può configurarsi anche attraverso modalità indirette ('stalking indiretto' o 'per interposta persona') qualora l'agente utilizzi terzi come strumenti per esercitare pressione psicologica sulla vittima. La gelosia ossessiva non esclude la rilevanza penale della condotta, anzi può integrare l'aggravante dei futili motivi qualora sia connotata da abnormità o spirito punitivo.

Stalking: esclusa la particolare tenuità del fatto in caso di recidiva e condotta abituale

Atti persecutori: necessaria prova rigorosa di idoneità e abitualità delle condotte

Stalking e conflittualità condominiale: condanna agli effetti civili per molestie e danno morale

Assoluzione per mancanza di prove sul reato di atti persecutori tra fratelli in conflitto ereditario

La calunnia come strumento di offesa: dolo specifico e consapevolezza della falsità dell'accusa


Stalking: esclusione del reato per mancanza di elementi probatori certi, ma conferma delle statuizioni civili per danno extracontrattuale

Stalking: condanna confermata per condotte reiterate di molestie e minacce con mutamento delle abitudini di vita della vittima

Stalking indiretto e gelosia ossessiva: configurabilità del reato di atti persecutori e rilevanza della condotta per interposta persona

Assoluzione per atti persecutori e lesioni volontarie nell'ambito di gestione del servizio sanitario

Sentenza riformata per intervenuta prescrizione del reato di stalking e diffamazione, confermate le statuizioni civili

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto del GIP in sede emesso in data 11.10.2021 veniva disposto il giudizio immediato nei confronti dell'odierno imputato, Bo.Ro. per il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. commesso ai danni di In.Am., coniuge separato, in relazione alle condotte in epigrafe descritte, cui per brevità si rimanda.

All' udienza del 15/02/2022, dichiarata l'assenza dell'imputato ma alla presenza del difensore, veniva ammessa la costituzione di parte civile della persona offesa In.Am., aperto il dibattimento ed ammesse le prove orali e documentali come richieste dalle parti.

All'udienza del 05/07/2022 veniva escussa la p.o. In.Am. e, all'esito, si acquisiva l'attestazione della sua partecipazione ad un percorso psicologico rilasciata dal centro antiviolenza gestito dell'associazione Auser di Frosinone in data 14.02.2022.

All' udienza del 20/12/2022 venivano escussi i testi del P.M. Ze.Ma., Bo.Ga., Bo.Ni. (questi ultimi due figli di Bo.Ro. ed In.Am.).

All'udienza del 14/03/2023 veniva escusso il teste del p.m. Bo.Al. (figlio di Bo.Ro. ed In.Am.).

All'udienza del 13/06/2023 venivano escussi i testimoni della difesa: Bo.Ar., Bo.En. (questi ultimi due fratelli dell'imputato), Ar.Ma. e Di.Fr.. Al termine la difesa rinunciava all'ultimo teste Na.Ro.

All'udienza del 19/09/2023 l'imputato si sottoponeva ad esame ed al termine dichiarata chiusa l'istruttoria e utilizzabili gli atti di cui era stata data lettura, le parti concludevano nei termini di cui in epigrafe.

All'udienza odierna, previa rinuncia alle repliche da parte del P.M., il giudice emetteva la sentenza dando lettura del dispositivo.

L'elemento probatorio principale è rappresentato come normalmente accade per le condotte commesse con violenza sulla persona in assenza di terze persone, dalle dichiarazioni rese nelle numerose querele presentate e confermate in dibattimento dalla p.o. In.Am., già da soli sufficienti a fondare una pronuncia di responsabilità penale dell'imputato alla luce della copiosa giurisprudenza di legittimità (si veda per tutte Cass. 9 giugno 2000, Lo Scavo e altri), secondo cui, la deposizione della persona offesa può essere anche da sola assunta come fonte di prova della responsabilità dell'imputato purché sottoposta ad un'indagine positiva di credibilità, apprezzandone la coerenza e la costanza, nonché l'assenza di verosimiglianze o contraddizioni, ovvero di eccessi sintomatici dell'intento calunniatorio, e ciò anche quando la stessa, costituitasi parte civile, sia titolare di un interesse economicamente valutabile; ed infatti anche la sola dichiarazione della persona offesa può costituire valido elemento sul quale fondare il libero convincimento del giudice nell'affermazione della responsabilità dell'imputato. In tale situazione non sono applicabili i commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p., di tal che detta testimonianza non deve trovare necessario conforto in altri elementi di prova anche se è richiesta una particolare prudenza e un rigore nella valutazione dell'attendibilità del testimone (Cass. 1 giugno 2000, Ip.).

Ebbene, nel caso di specie, si rileva come la versione dei fatti fornita dalla In. non solo sia intrinsecamente logica e priva di contraddizioni, nonostante l'evidente sofferenza e a tratti imbarazzo nel renderla in aula, caratteristiche che del pari ne rivelano la genuinità, ma neppure, per quanto si dirà, sia stata smentita dalle altre risultanze processuali, e sia altresì immune da qualsiasi indice sintomatico di intento calunniatorio.

Trattasi, in sostanza di dichiarazioni coerenti, per un verso e, per l'altro, non smentite - anzi confortate dalle altre risultanze processuali.

È stata chiara e lineare la persona offesa nel raccontare la sua versione dei fatti: la stessa ha infatti narrato che la vita coniugale con l'odierno imputato era stata sempre connotata da un clima tormentato dovuto alla gelosia morbosa del marito, a causa della quale le era stato, di fatto, precluso di svolgere una propria vita autonoma al di fuori della famiglia impedendole di coltivare la cura della sua persona e relazioni di tipo amicale al di fuori del nucleo familiare.

Per tale ragione, dopo l'ennesimo episodio verificatosi il 19 giugno 2021 nel quale il marito dopo averla incontrata in un bar con un'amica al suo rientro a casa l'aveva insultata dicendole "zoccola, sei andata a divertirti, guarda come ti vesti, vai a scopare con i negri"e considerato che ormai anche l'ultimo dei setti figli nati nel corso del matrimonio aveva raggiunto la maggiore età, si era sentita finalmente libera di lasciare il marito. Gli aveva pertanto comunicato la sua intenzione di lasciarlo, andando via da casa e recandosi presso l'abitazione del figlio Nico. Aveva fatto poi rientro nella casa coniugale per prendere i propri effetti personali quando sapeva che il marito era a lavoro , ma, ivi giunta, aveva dovuto, con amara sorpresa, constatare che i suoi vestiti erano stati bagnati con la candeggina e quindi ormai non più utilizzabili e che le sue scarpe erano state tagliate con le forbici, per renderle parimenti non più utilizzabili. A quel punto chiedeva ai figli di comunicare al Bo. di non far più rientro in casa.

La In. aggiungeva che il Bo. non aveva assolutamente accettato la sua decisione di interrompere il loro rapporto e pertanto da quel momento aveva cominciato a seguirla in tutti i luoghi da lei frequentati: " tutti i giorni, tutti i giorni, tutte le sere io lo incontravo., la sera specialmente, alle 5 e mezza e alle 7 e un quarto". Tali incontri, specificava la teste, anche se avvenuti all'interno di un piccolo paese quale è Ferentino, non potevano ritenersi casuali considerato che il Bo. era sempre presente, " tutti i giorni, in qualsiasi posto dove io stavo. Lui si metteva puntualmente a fare avanti e indietro con la macchina..Poi il sabato e la domenica, poi il venerdì sera, sabato e domenica era tassa fissa. E poi a piedi, addirittura seguirmi a piedi".

Inoltre per raggiungere il suo obiettivo di controllo della In. il Bo. aveva coinvolto anche i figli, destinatari di numerose telefonate con richieste di informazioni su di lei, su dove si trovasse e cosa stesse facendo e con chi.

Anche quando aveva saputo che la In. era andata al mare a Terracina nel luglio del 2021 il Bo. aveva deciso di raggiungerla, come la In. aveva appreso dalla figlia Ga. che, evidentemente preoccupata, l'aveva sollecitata ad andare via; tale circostanza era stata confermata anche dalla signora che gestiva lo stabilimento balneare al quale il Bo. aveva chiesto quando la In. aveva preso l'ombrellone, come lo aveva pagato e con chi stava.

In un altro episodio, accaduto ad agosto del 2021, il Bo. poiché né la In., né i figli, evidentemente preoccupati che la situazione potesse degenerare, gli consentivano di rientrare a casa e non rispondevano al citofono, quando l'imputato riusciva finalmente ad accedervi perché il figlio Al. gli apriva la porta, minacciava la In. con le seguenti parole: "questa me la paghi, sono sette giorni che citofono e non mi rispondi". In tale occasione era stato anche richiesto l'intervento dei Carabinieri dalla In. che si era chiusa per paura in bagno.

La In. ricordava poi un altro episodio nel quale il Bo. la vedeva prendere la navetta e con la sua macchina la seguiva per sapere dove andasse, una volta giunta a destinazione a casa di una sua amica l'imputato commentava tale condotta, dicendo alla In. che era andata lì "a fare la puttana, la mignotta".

La In. riferiva altresì che gli episodi sopra narrati le avevano causato molta ansia e paura: paura di incontrare il Bo. e che potesse questi commettere comportamenti "anomali" ai suoi danni, ansia che egli potesse seguirla e, per tale ragione, evitava di uscire, per paura di incontrarlo.

Per affrontare tale situazione ed in particolare per lo stato di ansia che ne era derivato, aveva deciso di frequentare un percorso di recupero psicologico presso un centro antiviolenza di Frosinone (cfr. attestazione rilasciata dal centro antiviolenza "Nuove opportunità a sostegno delle vittime di violenza", gestito dall'Associazione Auser del Frusinate, datato 14.2.2022.

Le condotte moleste ed ossessive del Bo. nei confronti della In. proseguivano anche dopo l'applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, applicata dal GIP in data 20 settembre 2021 nei confronti del Bo..

Ciò nonostante il Bo. continuava nelle sue condotte (che possono essere prese in considerazione in ragione della natura di contestazione aperta dell'imputazione) che hanno condotto la In. a presentare numerose ulteriori querele versate in atti, in seguito alle quali il P.M. ha richiesto per l'imputato l'applicazione della misura detentiva degli arresti domiciliari in data 27 aprile 2022 e, quest'ufficio, ha applicato in data 29 aprile 2022 il divieto di dimora in Ferentino. Il P.M. ribadiva la richiesta di arresti domiciliari per l'imputato in seguito alle integrazioni di denuncia-querela della In. del 6.9. e del 12.9.2022 e quest'ufficio ha applicato in data 30 settembre 2022, in aggiunta al già disposto divieto di dimora in Ferentino, il divieto di avvicinamento alla In. ed alla figlia Bo.Ga. in ragione dei continui controlli indiretti della In. tramite la figlia Ga. attuati dall'imputato (quest'ultima prescrizione è stata poi revocata in data 17 marzo 2023). Infine in data 6 giugno 2023 quest'ufficio su istanza della difesa ha revocato il divieto di dimora, fermo restando il divieto di avvicinamento alla persona offesa In.Am.

La In. riferiva, dunque, di ulteriori condotte di pedinamenti e controlli verificatesi a dicembre 2021, commesse dall'imputato e ricordava altresì un episodio accaduto il 10.03.2022 (per il quale era stata presentata una delle integrazioni di querela di cui si è detto sopra), quando il figlio la aveva avvertiva che il padre lo aveva chiamato per telefono per chiedergli dove lei fosse. In effetti poco la In. vedeva il Bo. in un parcheggio a Ferentino, che la guardava, entrava in macchina e pronunciava nei suoi confronti le seguenti parole offensive: "vai vai, zozza balorda vatti a fare scopare da quello che viene il sabato e la domenica".

A quel punto la In., per rabbia ed esasperazione, lanciava contro la macchina del Bo. un sasso che aveva raccolto da terra colpendo lo sportello del lato passeggero ed il lunotto posteriore della stessa.

In data 31.03.2022 la In. presentava un'ulteriore querela perché il Bo. l'aveva minacciata ed insultata per telefono;

in data 04.04.2022 la In. presentava un'integrazione di querela lamentando la violazione da parte del Bo. della misura del divieto di avvicinamento;

in data 15.04.2022 giungeva una richiesta di intervento ai Carabinieri della Compagnia di Anagni da parte della In. poiché il Bo., mentre lei si trovava al bar Ga. di Ferentino la insultava;

in data 21.04.2022 la In. presentava una nuova altra integrazione di querela riferendo che in data 20.04.2022 il Bo. proferiva nei suoi confronti le seguenti parole offensive "la battona rientra".

In data 06.09.2022 la In. presentava una nuova querela riferendo che il giorno prima il Bo. aveva telefonato ai figli, dicendo loro "chiama tua madre vedi se è vero che sta con uno e digli che fra 15 giorni sono stato autorizzato a tornare a Ferentino così spezzo le gambe a tutti e due e li lascio sulla sedia a rotelle";

in data 12.09.2022 con una nuova ulteriore querela, la In. denunciava che il giorno precedente, il Bo. l'aveva seguita a Terracina, dove lei si trovava.

La p.o. precisava che il Bo. teneva condotte ossessive nei confronti suoi ed anche dei loro figli, spesso da lui compulsati per telefono per sapere dove si trovava, cosa stesse facendo e con chi. Per tale ragione veniva applicata confronti del Bo. la misura cautelare del divieto di avvicinamento e di comunicazione anche nei confronti della figlia Bo.Ga..

In un ulteriore episodio, il Bo. la insultava perché, a suo dire, aveva visto una sua foto su facebook con un tatuaggio.

Ebbene, è evidente come gli elementi fondanti l'assunto accusatorio si traggano proprio dalle dichiarazioni della persona offesa sin qui esternate e che, peraltro, trovano numerosi riscontri in ulteriori dati emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale.

Ritiene questo giudice come, nel caso di specie, la versione dei fatti fornita dalla In. sia pienamente credibile.

Da un punto di vista oggettivo se ne deve apprezzare l'intrinseca logicità congruenza e coerenza. Ella ha fornito una dettagliata ricostruzione della vita di coppia mantenendo la versione dei fatti sempre inalterata.

A queste considerazioni che già da sole consentirebbero di superare positivamente il vaglio di attendibilità delle suddette dichiarazioni si aggiungano però le ulteriori risultanze istruttorie.

Dapprima, il fatto che le superiori circostanze siano state attestate da pp.uu. nell'esercizio delle funzioni di istituto in atti fidefacienti.

L'app. Bo.Be. della stazione dei Carabinieri di Ferentino riferiva in ordine all'episodio del 22.08.2021, quando si era recato presso l'abitazione ove viveva la In. in seguito ad una richiesta di intervento.

L'operante riferiva di aver constatato una grande agitazione al suo arrivo a casa e di aver udito il Bo. pronunciare nei confronti della In. frasi minacciose: "E' una settimana che non mi dai la ricevuta mensile, questa me la paghi".

A ciò si aggiungano le dichiarazioni rese in dibattimento da Ze.Ma., che aveva frequentato la casa dell'imputato e della persona offesa e riferiva che con lei la In. si era spesso lamentata perché il Bo. era molto geloso.

Ricordava di un episodio in cui il Bo. si era recato presso la sua abitazione e la aveva offesa dandole della "donnaccia" perché " facevo delle cose brutte con la signora ..".

Aggiungeva poi che il Bo. si era inventato un fatto nella realtà mai accaduto "diceva che io con la moglie stavamo a scendere da un Mercedes grigio" e le aveva anche intimato di non uscire più con la moglie " mi ha detto che dovevo lasciare in pace, non dovevo uscire con lei, non la dovevo cercare".

Venivano poi escussi i figli della coppia.

Bo.Ga., premetteva che era andata via dalla casa familiare da molto tempo, ma ricordava che il padre era stato sempre molto geloso della madre. La decisione della madre di separarsi dal padre era stata unilaterale della madre e non condivisa dal padre, che aveva iniziato a controllare la madre anche indirettamente tramite loro figli. La teste confermava che il padre la chiamava continuamente al fine di verificare dove si trovasse la madre e cosa stesse facendo, tanto da indurla a bloccare il suo numero: "mi chiamava ogni due secondi per mamma… l'ho bloccato".

Per tali condotte, all'epoca della loro commissione, aveva temuto per la madre perché il padre non accettava la separazione, ricordava un episodio in particolare, in cui aveva sollecitato la madre ad andare via da Terracina perché stava arrivando il padre: "avevo paura. Avevo paura che in un attimo di rabbia avrebbe fatto qualcosa".

Bo.Ni. confermava che il padre era sempre stato geloso della madre e con la separazione la gelosia si era acuita. Anche lui veniva chiamato con insistenza dal padre per conoscere gli spostamenti della madre.

Ricordava che la madre durante la separazione era ansiosa a causa delle condotte tenute nei suoi confronti dal Bo..

Bo.Al., confermava che il padre era una persona gelosa e che in casa aveva avuto modo di assistere a molti litigi fra i genitori; inizialmente il padre non aveva accettato la separazione e, convinto che la moglie avesse un altro uomo, la seguiva.

Riferiva altresì che la madre era infastidita dal comportamento inquisitorio del padre, che aveva anche definito la madre "schifosa".

Il teste assisteva ad un episodio avvenuto nel mese di agosto del 2021 quando il padre tornava presso l'abitazione coniugale e la madre per paura si era chiusa in bagno. Poco dopo erano arrivati i Carabinieri.

Venivano poi escussi quali testi a discarico i fratelli dell'imputato: Bo.Ar. ed En. i quali riferivano di essere venuti a conoscenza che la In. aveva un secondo telefono e che si era iscritta ad un sito di incontri. Entrambi i testi riferivano che vedevano una foto della In. in reggiseno che riconoscevano per il tatuaggio, visto la foto non ritraeva il viso della persona.

Non erano in grado di riferire di episodi di molestia del fratello nei confronti della moglie e non sapevano neanche spiegare le ragioni della separazione della coppia, riferendo che fossero una coppia "normale". Negavano che la In. non fosse libera di muoversi e di autodeterminarsi. Armando precisava: "lavorava. Faceva i suoi lavoretti era libera ed indipendente".

Bo.En. riferiva che quando il fratello era venuto a sapere della volontà della In. di separarsi, aveva tentato di riappacificarsi con lei e di ripristinare il rapporto coniugale. Durante la fase della separazione, lo aveva contattato in più occasioni chiedendogli se avesse visto la moglie in compagnia di qualcuno nella fase successiva alla separazione.

Dello stesso tenore la testimonianza di Di.Fr..

Il teste Ar.Ma., collega di lavoro del Bo. riferiva che il collega era molto dispiaciuto per la separazione con la moglie "non l'accettava".

Alla luce di tale ricostruzione dei fatti, deve osservarsi in diritto, che, com'è noto, il bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice di cui all'art. 612 bis c.p., oggetto di contestazione a carico dell'odierno imputato, è rappresentato dalla libertà morale e dalla incolumità individuale che subisce un pregiudizio allorquando l'agente ponga in essere, reiteratamente, comportamenti minacciosi o molesti tali da determinare nella vittima un grave stato d'ansia e di paura ovvero da determinare un serio timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o, ancora, tale da alterare le proprie abitudini di vita.

L'elemento psicologico del reato in argomento si sostanzia nel dolo generico della coscienza e volontà di volere l'evento quale conseguenza dell'azione. Mette conto evidenziare che l'art. 612 bis c.p. non richiede la mera reiterazione di minacce o di molestie occorrendo che dette condotte cagionino nella vittima un perdurante stato di ansia o di paura ovvero ingenerino un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona alla medesima legata da una relazione affettiva ovvero costringano la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita.

Ed allora, proprio in merito all'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 612 bis c.p. la Suprema Corte di Cassazione si è recentemente espressa nei termini che seguono: "la disposizione normativa espressa nell'art. 612-bis c.p., delinea esaurientemente la fattispecie incriminatrice in tutte le sue componenti essenziali, giacché il fatto costitutivo del reato assume i connotati dell'antigiuridicità attraverso la realizzazione reiterata di condotte, che, sia pure non definibili preventivamente stante le diverse modalità con cui può concretamente atteggiarsi l'aggressione al bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice, non risultano assolutamente indeterminate, ma, anzi, sono fatte oggetto da parte del legislatore di un elevato grado di determinatezza, dovendo consistere non in generiche minacce e molestie, ma solo in quelle che assumono una gravità tale da cagionare nella vittima uno degli eventi alternativamente previsti dalla stessa disposizione normativa, vale a dire un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie condizioni di vita" (Cass. Pen. Sez., V 24.09.2012 n. 36737).

Ebbene, se queste sono le coordinate interpretative cui ci si deve rifare onde verificare la sussistenza del reato di atti persecutori, deve reputarsi che l'istruttoria espletata consenta di affermare la corrispondenza tra la fattispecie incriminatrice astratta di cui all'art. 612 bis c.p. e quella in concreto verificatasi. Sussiste nel caso di specie, e l'intera istruttoria ne ha dato piena prova, l'elemento imprescindibile ed ineliminabile del reato di stalking, quale reato di danno, costituito dal perdurante e grave stato di ansia e di paura della vittima in conseguenza delle minacce e molestie perpetrate a suo danno dall'agente.

È stata chiarissima sul punto la p.o., e non solo (si vedano le deposizioni dei figli) nel ribadire che il Bo. la seguiva e la controllava in diversi momenti della giornata anche in occasione di incontri con le amiche, rivolgendole frasi oscene e ingiuriose e cercando di isolarla dalle sue amicizie, come è accaduto con l'amica Ze.Ma. diventata anche lei destinataria di offese proprie in ragione dell'amicizia con la In.. A ciò si aggiunga che il Bo. contattava ripetutamente i figli della coppia per ottenere informazioni sulle abitudini, le frequentazioni e gli spostamenti della donna, al fine di raggiungerla ove si trovava. Al riguardo deve rammentarsi che per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità il reato di stalking assume connotati di illiceità anche se svolto con modalità, per così dire, indirette. Si parla infatti di "stalking per interposta persona" o di "stalking indiretto" quando il reo agisce nei confronti di una persona diversa dalla vittima, avendo però questa come obiettivo ultimo. Ebbene nel caso di specie è stato certamente provato che il Bo. cercasse di mettersi in contatto con i figli Alessandra e Nico, con il solo obiettivo di esercitare una forma di pressione nei confronti della ex moglie finalizzata ad un ricongiungimento con lei e ad una forma di controllo della stessa e con una frequenza intollerabile, tanto da indurre la figlia Alessandra a bloccare il numero del padre. Esse vanno pertanto annoverate nell'ambito delle condotte persecutorie.

La gravità e reiterazione delle condotte sono idonee a provare il grave e perdurante stato d'ansia e di pericolo per la propria ed altrui incolumità dichiarato dalla In. e dai figli, per i quali la In. si era rivolta anche ad un centro antiviolenza.

Quanto all'elemento soggettivo del reato, si deve ricordare che: "Nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione" (Cass., Sez. I, 28682/2020, Rv. 279726). Tale consapevolezza e tale volontà emergono dalla modalità delle condotte - così come sono state ricostruite - e dal fatto che esse sono state tutte determinate da una medesima causa: il rifiuto da parte dell'imputato della scelta della moglie di separarsi da lui. A ciò si aggiunga che l'imputato coscientemente e volontariamente ha proseguito a molestare e perseguitare la propria moglie nonostante la consapevolezza del divieto su di lui gravante, come comprovato dagli aggravamenti di misura disposti.

Peraltro, del tutto incredibili risultano le dichiarazioni rese in dibattimento dal prevenuto, il quale ha affermato di aver voluto soltanto riconquistare la ex moglie e ristabilire il rapporto affettivo con la stessa, posto che, nei fatti, la sua condotta è stata di segno diametralmente opposto e che la gelosia ossessiva non elide la illiceità della condotta perpetrata dall'imputato, ma la aggrava.

Né risultano valorizzabili, a favore dell'imputato, le deposizioni rese dai testimoni della difesa posto che detti testi non sono stati presenti agli episodi oggetto dell'odierna imputazione. Hanno tuttavia tutti confermato la gelosia dell'imputato e la sua incapacità di accettare la decisione della moglie di porre fine alla loro relazione matrimoniale.

L'imputato va dunque condannato per le condotte a lui ascritte. Non sono emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale elementi di prova da cui possa ricavarsi la sussistenza di cause di esclusione della punibilità. Non escludono certamente l'imputabilità del soggetto il dolore o il risentimento per il desiderio della moglie di separarsi da lui, così come l'incapacità dello stesso di accettare il fatto che la sua vita familiare, dopo tanti anni, si stesse sgretolando (art. 90 c.p.), né la gelosia che, come è noto, integra, al contrario, la circostanza aggravante dei futili motivi. Come infatti osservato dalla S.C. la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, Rv. 280103 - 02). Più in particolare, la gelosia può integrare l'aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall'abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima od un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, Rv. 278082 - 02; Sez. 5, n. 44319 del 21/05/2019, Rv. 276962).

Sussistono entrambe le circostanze aggravanti contestate, quella di cui all'art. 61 n.2 c.p. poiché le condotte sono state determinate dalla decisione della In. di separarsi e di vivere una vita autonoma da quella dell'imputato e, quindi, per un abnorme spirito possessivo e quella prevista dal comma 2 dell'art. 612-bis, c.p., perché il fatto è stato commesso nei confronti dell'ex coniuge.

Il fatto che imputato e la persona offesa fossero separati di fatto, e che il loro rapporto affettivo fosse già incrinato prima dell'inizio delle condotte de quo esclude l'operatività della clausola di sussidiarietà in favore del delitto di maltrattamenti in famiglia.

Passando ora alla quantificazione del trattamento sanzionatorio, si stima congrua la pena di cui in dispositivo, coincidente con il minimo edittale, un anno. Tale scelta è giustificata, sul piano oggettivo, dal fatto che le condotte di minaccia e molestia - che pur sono risultate essere frequenti e avere cagionato una lesione significativa della libertà morale della persona offesa - non sono mai sfociate in una aggressione fisica della persona offesa. A tale pena vanno aggiunti due aumenti di pena, pari ad un mese e 15 giorni per ciascuna delle aggravanti contestate.

Non possono riconoscersi all'imputato le circostanze attenuanti generiche in ragione della pervicacia mostrata dal Bo. nel vessare la moglie anche in violazione delle misure cautelari disposte nei suoi confronti.

Segue ex lege la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

Nonostante l'imputato sia incensurato e per quanto gli sia comminata una pena inferiore a 2 anni di reclusione, allo stato non può formularsi un giudizio prognostico di non reiterazione dello stesso reato, ritenendosi necessario (come peraltro previsto dall'art. 165 c.p.) lo svolgimento da parte del predetto di un percorso di recupero, avendo l'imputato dimostrato incapacità di autocontrollo, indifferenza ai comandi dell'autorità e una limitata (se non totalmente assente) percezione delle conseguenze, anche giuridiche, delle sue azioni, come confermato dall' esame reso nel corso del dibattimento. La sospensione condizionale della pena va dunque subordinata alla partecipazione ad uno specifico percorso di recupero, da avviarsi entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.

Segue la dichiarazione di inefficacia della misura cautelare attualmente in corso di esecuzione.

Le condotte dell'imputato hanno certamente cagionato alla vittima danni soprattutto non patrimoniali (danni biologici e morali) che devono essere risarciti nella competente sede civile. In accoglimento della richiesta di parte civile può accordarsi una provvisionale, immediatamente esecutiva, che viene liquidata nella misura di euro 3.500,00, dovendosi ritenere già sicuramente provato tale danno morale in ragione della durata delle condotte persecutorie.

Infine, ai sensi dell'art. 541 c.p.p. l'imputato va condannato alla rifusione delle spese processuali a favore della parte civile costituita, somme che possono liquidarsi nella misura di cui al dispositivo.

Il concomitante carico di lavoro ha suggerito di riservare il deposito dei motivi.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,

dichiara Bo.Ro. responsabile del reato a lui ascritto in rubrica, e per l'effetto applicati gli aumenti per le contestate aggravanti lo condanna alla pena della reclusione di anni uno e mesi tre di reclusione oltre il pagamento delle spese processuali, visto l'art. 165 comma 5 c.p.p.

concede al Bo. il beneficio della sospensione condizionale della pena, beneficio questo ultimo subordinato alla partecipazione ad uno specifico percorso di recupero, da avviarsi entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza;

visto l'art. 300, comma 3, c.p.p.

dichiara l'inefficacia della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa, confermata con ordinanza del tribunale di Frosinone in data 6 giugno 2023;

visto l'art. 538 e ss. c.p.p.,

condanna il Bo. al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede. Accorda alla parte civile una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 3.500,00. Condanna l'imputato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile che liquida in euro 2.000,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA da versarsi in favore dell'Erario, essendo la parte civile ammessa al gratuito patrocinio; visto l'art. 544, comma 3, c.p.p.,

fissa in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Frosinone il 3 ottobre 2023.

Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2024.

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